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Dinamica stagionale ed interannuale della sostanza organica disciolta (DOM) nel Golfo di Napoli

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN BIOLOGIA MARINA

Dinamica stagionale ed interannuale della sostanza organica

disciolta (DOM) nel Golfo di Napoli

Candidato: Simona Drago

Relatore: Dott.ssa Chiara Santinelli

Relatore esterno: Dott. Christian Tamburini

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RIASSUNTO

La sostanza organica disciolta (DOM), operativamente definita come una miscela di molecole organiche che passano da un filtro di 0.2 µm, rappresenta la maggiore riserva di carbonio organico reattivo sulla Terra e la principale fonte di energia per i procarioti eterotrofi. La DOM cromoforica (CDOM) è la componente della DOM in grado di assorbire la luce nel visibile (400-700 nm) e nell’ultravioletto (290-400 nm), e di riemetterne una parte sotto forma di fluorescenza. La CDOM controlla la penetrazione delle radiazioni luminose lungo la colonna d’acqua, soprattutto in ambienti costieri dove la sua concentrazione è elevata.

Lo scopo del presente lavoro di tesi è lo studio della variabilità stagionale ed interannuale della concentrazione del DOC e delle proprietà ottiche (assorbimento e fluorescenza) della CDOM, nella stazione Marechiara (MC), situata nel Golfo di Napoli e inserita nella rete LTER (Long Term Ecological Research). La stazione MC è situata in un area caratterizzata da un forte impatto antropico e rappresenta l’unico sito nel Mediterraneo in cui vengono effettuate misure di DOC e CDOM con cadenza quindicinale. I dati sono stati raccolti su un arco temporale di 3 anni (2010– 2012), in collaborazione con la Stazione Zoologica A. Dhorn di Napoli.

Il campionamento è stato effettuato a diverse profondità (0, 5, 10, 20, 40, 60 m). Si è misurato: (i) la concentrazione del DOC (mediante ossidazione catalitica ad alta temperatura), (ii) gli spettri di assorbimento tra 230 e 700 nm e (iii) le matrici di eccitazione-emissione (EEM) della fluorescenza. Le EEM sono state elaborate applicando l’analisi fattoriale parallela (PARAFAC), che permette di individuare i principali gruppi di fluorofori presenti nel pool delle CDOM. Al fine di ricavare informazioni sui principali processi che influenzano la distribuzione stagionale della DOM, i dati ottenuti sono stati messi in relazione con i parametri fisici (temperatura e salinità) e quelli biologici riportati in letteratura.

I risultati di questo studio evidenziano: (1) una marcata variabilità stagionale della distribuzione del DOC e delle proprietà ottiche della CDOM nei tre anni (2010-2012), soprattutto nello strato superficiale (0-10 m) nei periodi primaverili-estivi; (2) differenze interannuali, in particolare nelle caratteristiche molecolari della DOM; (3) l’influenza della stratificazione della colonna d’acqua e dei processi biologici sulla distribuzione verticale della DOM.

Infine questo studio mette in luce un elevato impatto antropico nella stazione MC, in quanto le concentrazioni del DOC mostrano valori molto elevati, in particolare nei mesi primaverili-estivi, rispetto ad altre zone costiere e questo potrebbe essere spiegato dall’input da

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terra. Inoltre sono stati individuati due composti altamente inquinanti (il fluorene e il carbofurano).

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ABSTRACT

Dissolved organic matter (DOM) is defined as a complex mixture of organic molecules that passes through a filter of 0.2 µm. It represents the largest reservoir of organic carbon on the Earth and the main source of energy for heterotrophic prokaryotes.

The chromophoric DOM (CDOM) is the fraction of DOM capable of absorbing light in visible (400-700 nm) and UV (290-400 nm) wavelengths, and emits a part of it as fluorescence. The CDOM controls the penetration of the radiations along the water column, in particular in the costal environment where it is abundant.

The main goal of this work is to study the seasonal and interannual variability of DOC and the optical properties of CDOM, at the station Marechiara (MC), located in the Gulf of Naples and included in the network LTER (Long Term Ecological Research). The station MC is located in an area characterized by a strong anthropogenic impact and it represents the only site into the Mediterranean Sea where samples for DOC and CDOM measurements are collected every two weeks. The data were collected over a period of 3 years (2010-2012), in collaboration with the Zoological Station A. Dhorn of Naples . The samples were collected at different depths (0, 10, 20, 40, and 60 m). We measured: (i) the concentration of DOC (by high temperature catalytic oxidation, HTCO), (ii) absorption spectra between 230 at 700 nm and (iii) excitation-emission matrices (EEMs) of fluorescence. The EEMs were elaborated applying the parallel factor analysis (PARAFAC), which allows to identify the main groups of fluorophores occurring in CDOM pool. In order to obtain information on the main processes influencing the seasonal distribution of DOM, the data were studied in relation to the physical (temperature and salinity) and biological parameters reported in the literature.

The results of this work show: 1) a strong seasonal variability of DOC and optical properties of CDOM distribution over the three years (2010-2012), in particular in the surface layer (0-10 m) during spring-summer; 2) interannual differences with particular regards to the molecular characteristics of DOM; 3) a strong stratification influenced on the vertical distribution of DOM.

Finally, this work shows a strong anthropogenic impact in the station MC, since we found two pollutants compounds (fluoren and carbofuran) and the concentration of DOC was markedly higher than in other coastal areas, in particular during spring-summer. This findings could be explained by the input from land.

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INDICE

PREMESSA 10

INTRODUZIONE 13

1. La sostanza organica disciolta (DOM) 13

1.1 Labilità del DOC 14

2. La sostanza organica disciolta cromoforica (CDOM) 16

2.1. Proprietà ottiche 17

2.1.1. Assorbimento 17

2.1.1.1. Lo “Specral Slope” 18

2.1.2. Fluorescenza 20

2.1.2.1. Le matrici di eccitazione ed emissione (EEMs) 22

2.1.2.2. Componenti di tipo proteico 23

2.1.2.3. Componenti di tipo umico 24

2.3. Produzione 25

2.3.1. Aree costiere 25

2.3.2. Mare aperto 26

2.4. Rimozione 27

2.5. Distribuzione di CDOM negli oceani 27

2.6. Variabilità stagionale del DOC e della CDOM 28

2.6.1. Distribuzione di DOC e CDOM nel Mar Tirreno 31

3 il Mare Tirreno, caratteristiche e circolazione 34

3.1. Il Golfo di Napoli 35

3.1.1 Caratteristiche fisiche 35

3.3.1 Masse d’acqua 37

3.3.2 Circolazione 38

(7)

3.3.2.2. Circolazione in estate 39

3.3.3. Qualità ambientale 40

3.3.3.1. Idrocarburi policiclici aromatici (IPA) 41

3.3.4. Caratteristiche biologiche 42

SCOPO 46

MATERIALI E METODI 47

1. Area di studio e sito di campionamento 47

2. Prelievo e trattamento dei campioni 48

3. Analisi dei campioni 49

3.1. Carbonio Organico Disciolto (DOC) 49

3.2. Analisi delle proprietà ottiche della CDOM 50

3.2.1. Assorbimento 50

3.2.2. Fluorescenza 51

RISULTATI E DISCUSSIONE 55

1. Identificazione delle componenti della CDOM 55

2. Variabilità stagionale della DOM 61

2.1. Profili verticali del DOC e della CDOM 61

2.2.1 Stagione invernale 61

2.2.2 Stagione primaverile 64

2.2.3 Stagione estiva 66

2.2.4. Stagione autunnale 68

3. Variabilità stagionale ed interannuale delle caratteristiche fisiche

(8)

3.1. Distribuzione verticale di salinità e temperatura 70

3.2. Distribuzione verticale del DOC 73

3.3. Distribuzione verticale della CDOM 76

3.3.1. Distribuzione verticale delle componenti di tipo proteico 76

3.3.2. Distribuzione verticale delle componenti di tipo umico 78

3.3.3. Distribuzione verticale delle componenti degli idrocarburi

policiclici aromatici (IPA) 80

4. Andamenti stagionali delle medie integrate in relazione alla stratificazione

della colonna d’acqua 82

4.1 Andamenti stagionali delle medie integrate del DOC 82

4.1 Andamenti stagionali delle medie integrate della CDOM 86

5. Variabilità interannuale 90

CONCLUSIONI 94

(9)

“Marine ecosystems and their microbial assemblages vary in both and

time, so any given expedition will return only a snapshot of the dynamic

motion picture that is the ocean”.

(10)

PREMESSA

Il rapido incremento della concentrazione di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera,

registrato a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, ha indotto la comunità scientifica a focalizzarsi su studi mirati alla comprensione dei principali processi che intervengono nel ciclo del carbonio.

A partire dagli anni 70 è stata riconosciuta l’importanza degli oceani nel regolare la concentrazione di CO2 nell’atmosfera grazie alla loro capacità di rilasciare e/o di immagazzinare

questo gas in quantità notevoli (Barnett, 1978; Sarmiento e Toggweiler, 1984; Diamond e Lyle, 1985). Tale capacità è dovuta principalmente a due processi: (i) la pompa fisica, legata alla solubilità della CO2 all’interfaccia atmosfera-oceano, che determina il trasporto in profondità del

carbonio presente negli strati superficiali, attraverso fenomeni di downwelling e il rilascio di CO2in

atmosfera attraverso fenomeni di upwelling; (2) la pompa biologica, che prevede la trasformazione di CO2in C organico ad opera di organismi autotrofi negli strati superficiali ed il suo

trasporto in profondità attraverso la precipitazione del particolato (Fig. 1).

Figura 1. Ciclo del carbonio in mare. La pompa biologica (sinistra) è controllata dalla rete trofica marina;

mentre la pompa fisica (destra) è regolata dai processi fisici (Chisholm, 2000).

Macrofitoplancton Microfitoplancton Batteri Microzooplancton Zooplancton Ca rb on io or ga ni co D ow nw el lin g U pw ell in g Consumatori Batteri Fondo marino CO2 CO2 CO2 CO2 CO2 O ce an o su pe rf ic ia le O ce an o pr of on do 10 0 m 3. 70 0 m

(11)

Recentemente, la cosiddetta “Microbial Carbon Pump” (MCP), ovvero la produzione di composti refrattari da parte della comunità microbica, è stata proposta come una componente chiave in un nuovo modello concettuale per il sequestro a lungo termine del carbonio negli oceani (Jiao et al., 2010).

Il ruolo chiave giocato dagli oceani nel ciclo del carbonio è in gran parte dovuto alla sostanza organica disciolta (DOM) presente in mare, la quale rappresenta la più grande riserva di carbonio organico reattivo sulla terra (Amon et al., 1994). Per avere un idea della sua importanza, basti pensare che la quantità di carbonio organico disciolto (DOC) negli oceani, è di circa 662 Pg C, valore molto simile alla quantità di CO2presente nell'atmosfera (Siegenthaler e Sarmiento, 1993).

Ne segue che l’ossidazione netta di solo l’1% della DOM oceanica sarebbe in grado di generare un flusso di CO2(6.6 GTC) maggiore di quello prodotto in un anno dalla combustione dei combustibili

fossili (4.5-10.6 GTC). La DOM ha inoltre un grande significato biologico perché è la principale fonte nutritiva dei batteri eterotrofi (Azam et al., 1983; Weiss e Simon, 1999; Meon e Kirchman, 2001); il suo consumo sta alla base del microbial loop, meccanismo che può rappresentare un link o un source di energia per la rete trofica in base all’efficienza con cui i procarioti eterotrofi trasformano la DOM in biomassa (Pomeroy, 1974; Azam e Hodso, 1977; Azam et al., 1983; Pomeroy et al., 2007; Fenchel, 2008).

La comprensione dei principali processi ecologici che si svolgono negli oceani, richiede un approccio multidisciplinare ed interdisciplinare. Questo è alla base del programma LTER (Long Term Ecological Research), fondato negli Stati Uniti dalla National Science Foundation (NSF) nel 1980. L’idea innovativa della rete LTER consiste nell’individuare siti di ricerca dove avviare e mantenere ricerche ecologiche a lungo termine, con la prospettiva di lasciare un “eredità scientifica” alle ricerche future. Il programma LTER non si propone soltanto l’obiettivo di un mantenimento routinario di osservazioni e misure, ma si focalizza sui siti significativi che possano funzionare come “sensori” del cambiamento delle condizioni ecologiche a livello locale, regionale o globale. Per questi motivi, la rete LTER potrebbe rappresentare uno strumento fondamentale per studiare la variabilità naturale del ciclo della DOM nell’ecosistema marino su scala temporale lunga e per valutare eventuali variazioni dovute ai processi antropici. Tuttavia attualmente, la dinamica della DOM è studiata solo in pochi di questi siti.

Oggi, le più note stazioni LTER che permettono di ricavare informazione sulla DOM sono: la BATS (Bermuda Atlantic Time-Series Study) (31°50’N, 64°10’W), una stazione costiera situata nel Mar dei Sargassi, dove sono state acquisite importanti informazioni sulla DOM e le sue interazioni

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con le forzanti fisiche e biologiche (Siegel e Michaelis, 1996; Nelson et al.; 1998; Hansell e Carlson, 2002; Siegel et al., 2001); la KONT (Kyoto North Pacific Ocean Time-series) (44°N, 155°E), situata a 400 km dall’isola Hokkaido, in un area rappresentativa del gyre Sud-occidentale Subartico; La stazione di oceano profondo ALOHA-HOT (A Long term Oligotrophic Habitat Assessment-Hawai Ocean) (22°45’N, 158°W) localizzata a 100 km a nord di Oahu (in Giappone), in un sito dove si sviluppa il gyre subtropicale del nord del Pacific e dove è stato registrato un rapporto anomalo tra C:P:N (992:15:1) nel pool di DOM (Church et al., 2002).

Il Mediterraneo, che è stato recentemente classificato come uno dei più grandi hot-spot per il cambiamento climatico, ospita solamente 2 stazioni LTER dove vengono acquisite informazioni sulla DOM: La DYFAMED (43°25’N, 7°52’E) localizzata nel Mar Ligure, in un importante sito di formazione di acque profonde; e la stazione Marechiara (40°48,5'N, 14°15'E), situata nel Golfo di Napoli (ovvero in un area costiera di forte impatto antropico), dove si è svolto questo lavoro di tesi.

(13)

INTRODUZIONE

1. La sostanza organica disciolta (DOM)

La sostanza organica disciolta (DOM) è definita operativamente come una miscela complessa di molecole organiche che passano attraverso un filtro di porosità di 0.2 µm. La componente che viene trattenuta dal filtro è la sostanza organica particolata (POM).

La composizione e la struttura molecolare della DOM sono per la maggior parte (80%) ancora sconosciute (Benner et al., 2002). La principale difficoltà per la sua caratterizzazione molecolare consiste nel fatto che essa è presente a concentrazioni estremamente basse (35-80 µM) in una matrice salata. Essa inoltre comprende molecole caratterizzate da un ampio range di polarità e di pesi molecolari, per cui non esistono tecniche in grado di concentrare e separare i vari componenti in modo efficiente, senza perderne una frazione significativa.

In base al peso molecolare, la DOM può essere classificata in due gruppi: (1) composti ad alto peso molecolare (HMW; > 1000 Da), che possono costituire il 22-42% della DOM; e (2) composti a basso peso molecolare (LMW; < 1000 Da) che rappresentano il gruppo maggiore (circa il 65-80%) (Hansell e Carlson, 2001).

La DOM può essere inoltre suddivisa nelle sue tre frazioni principali: il carbonio organico disciolto (DOC) che ne rappresenta il 93% circa; l’azoto organico disciolto (DON) e il fosforo organico disciolto (DOP), che costituiscono rispettivamente, il 6.8% e il 0.3% del suo pool (Fig. 2).

Figura 2. Rappresentazione delle tre principali frazioni di DOM.

DOC (~93%) DON (~6.8%) DOP (~0.3%)

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1.1. Labilità del DOC

Il DOC in base alla sua disponibilità ad essere utilizzato dai microrganismi viene classificato in labile e recalcitrante (Fig. 3). Il DOC labile presenta tempi di turn-over molto veloci (non più di due ore), e il suo stock negli oceani è molto basso (< 0.2 Pg C). Il DOC recalcitrante è per definizione quella frazione che resiste al rapido consumo batterico e può quindi accumularsi. Recentemente la frazione recalcitrante è stata ulteriormente suddivisa in 4 gruppi: semi-labile (SLDOC), semi-refrattaria (SRDOC), refrattaria (RDOC) e ultrarefrattaria (URDOC) (Hansell, 2013).

Figura 3. Le subfrazioni del pool di DOC: labile e recalcitrante (Hansell, 2013).

Il SLDOC ha un tempo di turn-over altamente variabile (da mesi a anni) che dipende da numerosi fattori quali la composizione chimica, la disponibilità di macronutrienti, la struttura della comunità microbica (Carlson et al., 2004). La sua quantità in mare è di circa 6±2 Pg C. Esso sfugge alla rapida degradazione batterica e può accumularsi sopra il picnoclino stagionale (Hansell et al., 2012) (Fig. 4). Il SLDOC può essere trasportato sia orizzontalmente dai processi di avvezione che verticalmente nei siti di formazione delle acque profonde e, nelle zone temperate, dai processi convettivi invernali.

Il SRDOC ha un tempo di turn-over più lento (circa un anno e mezzo) ed il suo stock negli oceani è stimato essere di circa 4±2 Pg C. Questa frazione risulta visibile solo in presenza del

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picnoclino permanente, al di sopra del quale si accumula, mentre durante il mescolamento verticale tende a diluirsi, tanto da non essere più identificabile (Fig. 4).

Il RDOC è visibile solamente quando le altre frazioni sono assenti, in generale si osserva a grandi profondità (> 1000 m). Esso presenta un tempo di turn-over di 16 mila anni. Questa frazione costituisce un pool di circa 630 Pg C, rappresentando più del 90% del DOC negli oceani (Hansell et al., 2012).

La frazione più vecchia è rappresentata dall’URDOC. Essa è praticamente inerte su scala temporale della circolazione oceanica. La presenza di tale frazione è stata identificata mediante studi sul carbonio radioattivo. Il suo pool è di circa 12 Pg C e rappresenta circa il 2% rappresenta del DOC nelle acque profonde.

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2. La sostanza organica disciolta cromoforica (CDOM)

La sostanza organica disciolta cromoforica (CDOM), in passato denominata “sostanza gialla” o “Gelbstoff”, è definita come la frazione della DOM in grado di assorbire la luce nelle zone spettrali del visibile e dell’ultravioletto e di riemettere una parte sotto forma di fluorescenza.

Figura 5. Schema del ciclo della CDOM in mare (Pomeroy e Wiebe, 1988).

La CDOM gioca un ruolo importante nell’ecosistema marino. Essa è implicata in numerosi processi che avvengono nello strato superficiale della colonna d’acqua: (i) ha un effetto protettivo per gli organismi marini, in quanto limita la penetrazione dei raggi UV-B, biologicamente dannosi (Blough e Zepp, 1990; Blough e Green, 1995); (ii) nelle aree costiere, influenzate da input fluviali, può interferire con l'attività fotosintetica assorbendo la luce visibile e riducendo quindi la produttività primaria (Blough e Green, 1995); (iii) attraverso reazioni fotochimiche, può essere trasformata in composti organici volatili, in CO2e CO e in radicali dell’O2 che essendo altamente

reattivi possono provocare numerosi danni agli organismi acquatici (Blough e Zepp 1995); (iiii) se presente ad alte concentrazioni, come nelle regioni costiere, può interferire con le misure da satellite per il rilevamento della biomassa fitoplanctonica (Blough e Zepp 1995).

(17)

2.1. Proprietà ottiche

Le proprietà ottiche della CDOM (assorbimento e fluorescenza) sono dovute alla presenza di sostanze, chiamate cromofori, in grado di assorbire e riemettere fotoni. Tali proprietà possono fornire informazioni di tipo qualitativo sui cromofori presenti nel pool della CDOM, consentendo una loro classificazione in sostanze di tipo umico, con caratteristiche spettrali simili a quelle degli acidi umici e fulvici, e sostanze di tipo proteico, con caratteristiche spettrali simili a quelle delle proteine.

2.1.1. Assorbimento

Gli spettri di assorbimento della CDOM sono caratterizzati da un andamento poco strutturato con una diminuzione esponenziale dell'intensità di assorbimento all'aumentare della lunghezza d'onda (Fig. 6). La mancanza di picchi definiti deriva dalla presenza di una miscela di composti con caratteristiche spettrali molto diverse tra loro.

Figura 6. Spettri di assorbimento della CDOM di acqua di fiume (- -);di mare aperto(-) ; di mixing (..) (Gonnelli et al., 2013).

L’andamento dello spettro di assorbimento può essere descritto dalla seguente equazione: Lunghezza d’onda (nm) As so rb im en to (m -1 )

(18)

a(λ)= a(λ0)e-s (λ-λ0) (1)

dove a(λ) e a(λ0) rappresentano rispettivamente i coefficienti di assorbimento alla lunghezza

d'onda λ e λ0, mentre S è lo “Specral Slope”, parametro che indica quanto velocemente

l’assorbimento diminuisce all’aumentare della lunghezza d’onda. Il coefficiente di assorbimento a(λ) è ottenuto dalla seguente formula:

a(λ)=2.303A(λ)/r (2)

dove A è l’assorbanza e r il cammino ottico espresso in metri. 2.1.1.1. Lo “Specral Slope”

Lo Spectral Slope (S) fornisce ulteriori informazioni sulle caratteristiche medie della CDOM (caratteristiche chimiche, sorgente, diagenesi). Rispetto al coefficiente di assorbimento Il suo valore si può calcolare con un fitting non lineare dall’equazione (1), che esprime l’andamento dello spettro di assorbimento (Stedmon et al., 2000; Del Vecchio e Blough, 2004), oppure convertendo questa equazione in forma logaritmica (fitting lineare) (Bricaud et al., 1981; Green e Bough, 1994; Nelson et al., 1998). Esso è stato utilizzato per correggere i dati di CDOM rilevati da satellite (Schwarz et al., 2002) e monitorare i processi di degradazione microbica (Vähätalo e Wetzel, 2004). Inoltre, è stato osservato che S è fortemente correlato con il peso molecolare (MW) degli acidi fulvici isolati ma non con quello degli acidi umici (Hayase e Tsubota, 1985; Carder et al., 1989).

L’utilità di S è limitata dal fatto che i suoi valori dipendono dall’intervallo delle lunghezze d’onda considerate (Carder et al., 1989; Stedmon et al., 2000). È stato dimostrato che l’utilizzo di intervalli più corti è vantaggioso, in quanto minimizza le variazioni di S causate dalla diluzione (Brown, 1977). Inoltre, l’utilità di S dipende dal metodo usato per calcolarlo (fitting lineare o non lineare). A causa della mancanza di un metodo standard e di un intervallo di lunghezze d’onda specifico per calcolare S, in letteratura è presente un ampio range di valori relativi allo stesso tipo di campione (Twardowski et al., 2004). Quindi, il confronto con i valori di S noti in letteratura è molto difficile se non impossibile e infatti spesso porta a conclusioni contraddittorie.

(19)

Helms et al. (2008) hanno dimostrato che S calcolato tra 275 e 295 nm è più sensibile ai cambiamenti del peso molecolare e alla sorgente di CDOM rispetto a quello calcolato alle lunghezze d’onda più lunghe. In particolare, gli autori hanno ricavato il valore SRche rappresenta il

rapporto tra le dipendenze spettrali calcolate nel range 275-295 nm (S275-295) e 350-400 nm (S 350-400). Questo approccio permette di evitare l'uso di dati spettrali vicini al limite di rilevabilità degli

strumenti utilizzati e si concentra sui valori di assorbanza che cambiano radicalmente durante il transito dagli estuari al mare aperto e a causa di processi fotochimici (Helms et al., 2008). Confrontando i valori di SR calcolati in diversi ambienti acquatici (paludi, fiumi, estuari, etc), gli

autori hanno notato che durante la stagione estiva (Fig. 7) si osserva un aumento di SR nel

passaggio da acque dolci (0.69 m-1; Great Dismal Swamp, Fig. 7) ricche di CDOM di origine terrestre alle acque di mare aperto (9.02 m-1; ocean, Fig. 7).

Figura 7. a) Spettri di assorbimento della CDOM per campioni prelevati nella stagione primaverile del 2004 in 6 differenti siti : Great Dismal Swamp (palude); Great Bridge Bay Bridge, Town Point, Cheasapeake Bay Bridge, Georgia

Bight (aree costiere) e Mar del Sargasso (oceano); b) valori di SRper ciascuno spettro (Helms et al., 2008).

Co ef fic ie nt e di as so rb im en to (m -1 ) ln a Lunghezza d’onda (nm)

(20)

Studi condotti da Swan et al. (2009) e Yamashita e Tanoue (2008), hanno dimostrato che S275-295 fornisce informazioni molto interessanti anche laddove la concentrazione di CDOM è

piuttosto bassa.

Recentemente Fichot e Benner (2012) hanno inoltre dimostrato che il valore di S275-295

rappresenta un buon tracciante della percentuale di DOC terrigeno (tDOC) in aree influenzate da input fluviali. Il tDOC è stato determinato mediante l’analisi della concentrazione di lignina con gas-cromatografia. Come si osserva in figura 8, gli autori hanno osservato che l’aumento dei valori di S275-295corrisponde ad una diminuzione della percentuale di tDOC. In particolare valori di S275-295

pari a 0.017 m-1 corrispondono al 100 % di DOC di origine terrestre mentre valori di 0.050 solamente al 5%.

Figura 8. Schema che indica la percentuale di DOC terrigeno in relazione a S275-295(Fichot e Benner et al.,

2012)

2.1.2. Fluorescenza

La fluorescenza può essere definita come l’emissione di luce da parte di una molecola che viene eccitata ad una certa lunghezza d’onda. Una radiazione luminosa eccita gli atomi delle sostanze luminescenti, promuovendo il passaggio degli elettroni ad un livello orbitale superiore.

(21)

Figura 9. Diagramma di Jablonsky.

Entro 10-8 secondi, gli elettroni ritornano, passando per uno o più stadi intermedi,

all’orbitale di partenza, riemettendo l’energia assorbita. La fluorescenza si può rappresentare con il diagramma di Jablonsky (Fig. 9). La differenza energetica tra lo stato di base (S0) e quelli eccitati

S1, S2 eS3determina la lunghezza d’onda a cui la luce viene assorbita, mentre l’energia rilasciata nel

tornare allo stato S0 indica la lunghezza d’onda della radiazione emessa come fluorescenza. Le

radiazioni emesse presentano sempre un energia minore rispetto a quella assorbita, poiché la resa energetica non è mai del 100%. Ad esempio se l’eccitazione è prodotta nella zona spettrale dell’UV (290-400 nm), l’emissione avverrà nella zona del visibile (400-700 nm).

Gli spettri di eccitazione e di emissione forniscono informazioni sull’energia della transizione elettronica dell’assorbimento e sulle caratteristiche di emissione di un cromoforo. Queste sono direttamente correlate con la struttura molecolare del cromoforo stesso. Quando si eccita un singolo cromoforo, l’energia e la forma della banda della sua emissione non variano all’aumentare della lunghezza d’onda di eccitazione, poiché normalmente la fluorescenza ha origine dal primo stato eccitato (S1), mentre l’intensità della banda di emissione varia in base alla

quantità di luce assorbita dal cromoforo ad una data lunghezza d’onda e dalla sua concentrazione. Questo comportamento non si osserva negli spettri di fluorescenza della CDOM che sono poco strutturati e caratterizzati dallo spostamento della banda di emissione verso lunghezze d’onda maggiori all’aumentare della lunghezza d’onda di eccitazione. Questi spettri sono il risultato della presenza di numerosi cromofori diversi fra loro che quando eccitati sono soggetti a diverse interazioni intra ed intermolecolari.

Stato fondamentale Fosforescenza Stato di tripletto Luce di fluorescenza emessa Luce di eccitazione assorbita

(22)

2.1.2.1. Le matrici di eccitazione ed emissione (EEMs)

Per ottenere maggiori informazioni sui gruppi di cromofori presenti nel pool della CDOM e sulla loro origine è stata recentemente proposta la misura di matrici di eccitazione ed emissione (EEMs) (Coble et al., 1996, 2007; Mopper e Schulz, 1993; Stedmon et al., 2004, 2008; Stedmon e Markager, 2005, 2008; Yamashita et al., 2010). Le EEMs si ottengono misurando una serie di spettri di emissione acquisiti a varie lunghezze d’onda di eccitazione, e si presentano come grafici tridimensionali dove sull’asse z viene riportato il valore d’intensità della fluorescenza; in ascissa la lunghezza d’onda di eccitazione e in ordinata quella di emissione (nm) (Stedmon et al., 2003) (Fig. 10).

Figura 10. EEM di un campione di a) mare aperto e di b) fiume con indicati i picchi attribuibili a diversi composti (A: composti umici di origine terrestre; C: composti fulvici di origine terrestre; M: composti fulvici di origine marina; T:

(23)

Per l’elaborazione delle EEMs, oggi, il metodo maggiormente utilizzato è la PARAFAC (Parallel Factor Analysis). Essa si basa sulla scomposizione delle EEMs, in un set di termini trilineari più i residui, secondo la seguente formula:

ݔ௜௝௞= ∑ி௙ୀଵܽ௜௙ܾ௝௙ܿ௞௙+ ݁௜௝௞ (3) con I=1,…I; j=1,…J; k=1,…K

Dove

xijk= intensità della fluorescenza per l’i-esimo campione alla lunghezza d’onda di emissione j e di

eccitazione K;

aif = parametro direttamente proporzionale alla concentrazione dell’f-esimo componente del

campione i;

bif= stima dello spettro di emissione dell’f-esimo componente;

cfk= parametro direttamente proporzionale al coefficiente di assorbimento specifico alla lunghezza

d’onda di eccitazione k;

F= numero di componenti del modello

eijk= matrice residua, rappresenta la variabilità non inclusa nel modello

In altre parole, la PARAFAC è un’analisi statistica in grado di separare il segnale complesso dei vari gruppi di cromofori, in segnali semplici consentendo una descrizione qualitativa dei dati, da alcuni viene definita come “cromatografia matematica” (Bro et al., 2010). Questo tipo di analisi permette una classificazione più dettagliata dei due principali gruppi di cromofori che costituiscono il pool della CDOM, ovvero quello di tipo proteico e quello di tipo umico (Coble, 1996; Stedmon, 2005; Murphy et al., 2008; Yamashita et. al., 2010).

2.1.2.2. Componenti di tipo proteico

La fluorescenza di tipo proteico è dovuta principalmente alla presenza di due amminoacidi fluorescenti: il triptofano e la tirosina. Grazie alla PARAFAC è possibile, in alcuni casi, distinguere queste due componenti (Coble et al., 1996, 2007; Mopper e Schulz, 1993; Stedmon et al., 2004, 2008; Stedmon e Markager, 2005, 2008; Yamashita et al., 2010):

(24)

1) “Tryptophan-like”, con caratteristiche spettroscopiche simili al triptofano. Questa componente è caratterizzata da un massimo di eccitazione tra 230 e 280 nm e un massimo di emissione tra 318 e 346 nm;

2)“Tyrosin-like”, con caratteristiche spettroscopiche simili alla tirosina. Questa componente è caratterizzata da un massimo di eccitazione tra 230 e 275 nm e un massimo di emissione tra 304 e 332 nm.

2.1.2.3. Componenti di tipo umico

I composti di tipo umico rappresentano la principale frazione di CDOM di origine terrestre che viene trasportata dai fiumi in mare (Harvey e Boran, 1985; Carder et al., 1989). Queste sostanze sono presenti nel suolo e nelle acque dolci, dove si formano a seguito della degradazione microbica dei residui vegetali. Si tratta di una miscela di acidi alifatici ed aromatici deboli, estremamente complessi che in relazione alla loro solubilità vengono distinti in due classi: acidi umici (Fig. 11), solubili in ambiente alcalino; e acidi fulvici (Fig. 12), solubili sia in ambiente alcalino che acido. Gli acidi umici terrestri, hanno un maggior grado di aromaticità (30-40%), rispetto quelli fulvici (20-25%).

(25)

Figura 12. Struttura teorica di un acido fulvico (Buffle, 1977).

Gli acidi umici di origine marina sono diversi da quelli terrestri in quanto presentano un grado di aromaticità minore e contengono più gruppi carbossilici e zuccheri. Inoltre possono derivare anche dagli acidi grassi rilasciati dal fitoplancton (Harvey e Boran, 1985).

In accordo con quanto riportato sopra, la PARAFAC permette di individuare tre componenti di tipo umico (Coble et al., 1996, 2007; Mopper e Schulz, 1993; Stedmon et al., 2004, 2008; Stedmon e Markager, 2005, 2008; Yamashita et al., 2010):

1) “Humic-like” con caratteristiche spettrali simili agli acidi umici di origine terrestre. Questa componente è caratterizzata da un massimo di eccitazione tra 255 e 365 nm e un massimo di emissione tra 310 e 474 nm;

2) “Fulvic-like” con caratteristiche spettrali simili agli fulvici di origine terrestre. Questa componente è caratterizzata da un massimo di eccitazione tra 250 e 370 nm e un massimo di emissione tra 420 e 480 nm;

3) “Marine-Humic-like” con caratteristiche spettrali simili acidi umici di origine marina o di origine terrestre rielaborate dall’attività microbica. Questa componente è caratterizzata da un massimo di eccitazione tra 265 e 370 nm e un massimo di emissione tra 386 e 462 nm.

2.3. Produzione

2.3.1. Aree costiere

Nelle zone costiere, la sorgente di CDOM dominante è rappresentata dai fiumi e dalle acque sotterranee, che trasportano numerosi composti di origine terrestre molti dei quali

(26)

fluorescenti (Coble, 1996). A questi si aggiungono i composti che derivano dagli scarichi urbani, industriali e dagli impianti di depurazione. In queste zone, la CDOM presenta alti valori di assorbimento e risulta caratterizzata da una elevata variabilità stagionale, legata soprattutto alla portata dei fiumi (Blough e Del Vecchio, 2002). Il fattore che maggiormente controlla la distribuzione della CDOM in acque costiere sembra essere il mescolamento, soprattutto in presenza di input fluviali. In numerosi studi è stata infatti osservata un correlazione lineare indiretta con la salinità, suggerendo che la CDOM negli ambienti costieri assuma un comportamento conservativo.

Spostandoci dalle foci dei fiumi alle zone di mare aperto si osserva un cambiamento nelle proprietà ottiche della CDOM. Per spiegare tale andamento sono state formulate due teorie: la prima sostiene che il cambiamento delle proprietà ottiche potrebbe indicare la sostituzione della CDOM di origine terrestre, con una CDOM prodotta in situ, ovvero rilasciata da numerosi processi che avvengono in mare aperto (Blough et al., 1993; Vodacek et al., 1997); la seconda supporta l’ipotesi che la CDOM “terrestre” sia trasformata in marina ad opera di numerosi processi fisici (Opsahl e Benner, 1997), fotochimici (Spencer et al., 2009) e biologici (Hernes e Benner, 2003) o da una combinazione di questi.

2.3.2. Mare aperto

In mare aperto la CDOM è costituita principalmente da sostanze prodotte in situ (Meyers-Schulte e Hedges, 1986; Opshal e Benner, 1998) attraverso numerosi processi biologici, quali:

1) il rilascio di essudati cellulari da parte del fitoplancton (Lancelot, 1979, Lignell, 1990; Romera-Castillo et al., 2010), soprattutto in condizioni di forte stress (Fogg, 1996);

2) l’escrezione di composti azotati (urea e aminoacidi) da parte dello zooplancton e di organismi superiori, quali copepodi e krill (Banse, 1992; Nagata e Kirchman, 1992; Steinberg et al., 2004; Ortega-Retuerta et al., 2009);

3) lo sloppy feeding (il mangiare disordinato) ad opera dei predatori; 4) la lisi virale (Proctor e Fhurman 1990; Martinez et al., 1996);

5) l’idrolisi delle particelle ad opera degli enzimi extracellulari dei procarioti eterotrofi (Martinez et al., 1996);

6) la trasformazione di alcune molecole presenti nel pool della DOM ed il loro rilascio ad opera di procarioti eterotrofi (Nelson e Siegel, 2002; Sasaki et al., 2005).

(27)

2.4. Rimozione

I principali processi di rimozione della CDOM sono rappresentati dal photobleaching e dalla degradazione microbica. Il processo di fotodegradazione comporta la trasformazione, ad opera della radiazione solare, delle molecole cromoforiche in molecole più piccole, che possono essere velocemente consumate dalla comunità microbica (Miller e Moran, 1997). Questo sembra essere il processo di rimozione più efficiente e può portare alla mineralizzazione completa della CDOM con il rilascio di nutrienti inorganici necessari per la crescita del fitoplancton (Moran e Zepp, 1997; Mopper e Kieber, 2002). Studi recenti suggeriscono che la componente terrigena della CDOM sia più suscettibile alla fotodegradazione che alla degradazione batterica rispetto alla CDOM prodotta in mare aperto (Obernosterer e Benner, 2004).

Il photobleaching, sembra avere una forte influenza sulla distribuzione verticale della CDOM. Nelson e Siegel (2002) infatti in uno studio sulla distribuzione della CDOM effettuato negli anni 1996-1999 nella stazione BATS (Mare dei Sargassi), hanno osservato che durante la stagione estiva, il DOC si accumulava nel mixed layer, mentre l’ assorbimento della CDOM mostrava il minimo assoluto.

2.5. Distribuzione di CDOM negli oceani

Attualmente lo strumento più utilizzato per ricavare informazioni sulla distribuzione della CDOM a livello globale è rappresentato dalle immagini satellitari fornite dal Sea-Viewing Wide-of-View Sensor (SeaWiFS) (Fig. 13). Il SeaWiFs è un sensore multispettrale progettato per rilevare dati della CDM (Chromophoric Detrital Material) presente nello strato superficiale (0-20 m) degli oceani (Hooker et al., 1993). La CDM è costituita dalla CDOM e dalla frazione di materiale particolato (Siegel et al., 2002). Essa contribuisce, insieme all’assorbimento da parte dell’acqua e del fitoplancton, a controllare la propagazione della luce nella colonna d’acqua.

La distribuzione di CDOM a livello globale è strettamente legata alle condizioni ambientali dell’ambiente considerato. In generale si osserva una diminuzione di CDOM ai tropici e un aumento verso i poli. Questa distribuzione è strettamente influenzata dall’intensità dell’incidenza solare: ai tropici e ai subtropici dove l’incidenza solare è alta predomina il photobleaching, mentre alle alte latitudini, dove si registra una bassa incidenza solare e un profondo strato di mescolamento si osservano valori di CDOM elevati.

(28)

Figura 13. Distribuzione globale della CDM: a) nell’inverno del 1998; e b) nell’estate del 1998 (Siegel et al., 2002). Inoltre, la distribuzione della CDOM è fortemente influenzata dalle correnti verticali e orizzontali che caratterizzano la circolazione a livello globale. Le regioni caratterizzate da upwelling (regioni polari, le divergenze equatoriali e le aree costiere) sono ricche di CDOM, mentre dove si hanno fenomeni di downwelling (gyre anticiclonici), i valori di CDOM sono molto più bassi (Fig. 13). Studi effettuati nel Mar del Sargassi (Siegel et al., 2002) e nel Mar Arabico (Coble et al., 1998) hanno evidenziato come il trasporto verticale di CDOM profonda in superficie (upwelling) porta a valori elevati di CDOM al di sopra dello strato mescolato, dove normalmente si osservano i valori più bassi a causa del photobleaching.

2.6. Variabilità stagionale del DOC e della CDOM

Una delle principali domande aperte sulla DOM e CDOM riguarda la loro variabilità stagionale ed interannuale. La difficoltà di dare una risposta a tale questione è dovuta al forte impegno tecnico ed economico necessario per effettuare campionamenti frequenti su un sito fisso. Ne segue che le informazioni presenti in letteratura sulla dinamica temporale della DOM risultano piuttosto scarse e limitate a poche aree. Questo risulta particolarmente vero per il Mediterraneo.

Nell’Oceano interessanti informazioni sono state ottenute da studi pluriennali sulla variabilità temporale della DOM e della CDOM nella stazione BATS (Bermuda Atlantic Time Series), situata nel Mar dei Sargassi (Siegel e Michaelis, 1996; Nelson et al.; 1998; Hansell e Carlson, 2002;

Inverno 1998 Estate 1998 La tit ud in e

(29)

Siegel et al., 2001). In particolare, è stato osservato che in inverno, il mescolamento della colonna d’acqua porta in superficie la CDOM e i nutrienti presenti in profondità, mentre le concentrazioni di DOC sono piuttosto costanti e assumono valori bassi (58-65 μM) (Fig. 14). In primavera l’apporto di nuovi nutrienti supporta il bloom fitoplanctonico determinando un accumulo di DOC di circa 2.1 mol C m-2nello strato superficiale, mentre la CDOM presenta valori costanti.

Figura 14. Profilo verticale di temperatura, DOC e a325in una stazione fissa (BATS) del Mar dei Sargassi

(Siegel et al., 2002).

Durante i mesi estivi si osserva una riduzione delle concentrazioni di CDOM (0.2 m-1) negli strati superficiali, dovuto al photobleaching, mentre le concentrazioni di DOC aumentano (>65 μM) grazie alla stratificazione della colonna d’acqua. E’ interessante osservare che in questo periodo al di sotto del mixed layer si osservano bassi valori di DOC e i massimi di CDOM (Fig. 15).

(30)

Nel Mediterraneo, uno dei principali studi sulla variabilità stagionale ed interannuale del DOC, è stato condotto da Avril (2002), nella stazione DYFAMED (Mare Ligure) e prende in analisi una serie temporale di quattro anni (Gennaio 1991-Novembre 1994).

Figura 15. Distribuzione del DOC (0-2000 m) osservata nel sito DYFAMED (Avril, 2002).

L’andamento del DOC (Fig. 15) sembra essere strettamente legato ai processi fisici e biologici che caratterizzano l’area di studio (Avril, 2002). In particolare è stato osservato un accumulo di DOC con valori di 84 μM durante il periodo di massima stratificazione e in corrispondenza del bloom fitoplanctonico; e una diminuzione in corrispondenza dei mesi invernali, quando la colonna d’acqua è completamente mescolata ed il DOC precedentemente accumulato, viene trasportato nelle acque profonde (Fig. 15).

Un altro sito in cui è disponibile una serie temporale di dati di DOC è il Golfo di Trieste (Mare Adriatico) (De Vittor et al., 2008). Gli autori hanno osservato che dal 1999 al 2002, il DOC mostrava un tipico ciclo stagionale con massimi estivi e minimi invernali. Tale andamento non è stato però osservato nel 2003, anno in cui i valori erano molto variabili senza un trend chiaro. Inoltre sono stati osservati valori piuttosto elevati in profondità (> 100 m). Non avendo osservato anomalie nell’idrologia e/o nelle caratteristiche biologiche dell’area di studio, tali autori hanno ipotizzato che nel 2003 l’elevata variabilità del DOC fosse dovuta alla composizione della comunità

(31)

batterica; mentre gli elevati valori osservati in profondità fossero associati alla mineralizzazione della materia organica presente nei sedimenti e/o ad una elevata produttività della comunità batterica.

2.6.1. Distribuzione di DOC e CDOM nel Mar Tirreno

Il Mar Tirreno è considerato un bacino con regime sub-tropicale per il ciclo stagionale del fitoplancton e per la concentrazione superficiale dei nutrienti. Le acque superficiali sono caratterizzate infatti da limitate concentrazioni di nutrienti e bassi valori di clorofilla a durante tutto l’anno (Fig. 16) (Ribera D’Alcalà et al., 2009). Questo bacino del Tirreno è ricco di regioni costiere fortemente influenzate dall’apporto fluviale. Tuttavia gli unici studi sulla dinamica della DOM sono stati condotti in prossimità della foce del fiume Arno, nel Tirreno settentrionale (Seritti et al., 1998; Vignudelli et al., 2004).

Figura 16. Concentrazione della clorofilla a (mg/m3) nel Mar Mediterraneo. I valori sono riportati come medie tra il 1997 e il 2007 (D’Ortenzio e Ribera d’Alcalà, 2009).

Nel 1998 Seritti et al., in prossimità del fiume Arno, hanno osservato una diminuzione di sostanze di tipo umico rispetto a quelle proteiche nel pool di CDOM, passando dall’acqua di fiume a quella di mare. Questi dati sono stati confermati successivamente in uno studio condotto da Vignudelli et al. nel 2004, che rilevava valori massimi di fluorescenza (riconducibili a componenti di tipo umico) (Fig. 17b) in corrispondenza del pennacchio del fiume (minimo di salinità) dove è stato

Isole Baleari Mar Tirreno Mar Adriatico Gyre di Rodi Bacino levantino Mar Ionio Canale di Sicilia

(32)

anche registrato il valore massimo di DOC (> 70 µM) (Fig. 17a). È stata inoltre osservata una diminuzione graduale del valore di DOC fino a raggiungere valori di 56-66 µM in mare aperto. Diversamente la componente proteica (Fig. 17c) era caratterizzata da un massimo pochi chilometri più a nord del pennacchio fluviale. Gli autori suggeriscono che tale osservazione potrebbe essere spiegata dal rilascio persistente di composti proteici.

Figura 17. Distribuzione superficiale della a) concentrazione del DOC b) fluorescenza a 355 nm c) fluorescenza a 280 nm (Vignudelli et al., 2004).

Le sole informazioni sui valori di DOC presenti nelle acque di largo nel Tirreno sono riportate in un articolo di Santinelli et al. del 2013, mentre non esistono in letteratura informazioni sulla CDOM. La concentrazione di DOC varia da 33 a 73 µM, con i valori più bassi riscontrati nelle acque intermedie (40-45 µM) e profonde (33-42 µM), mentre la concentrazione maggiore (50-73 µM) è stata osservata sopra il picnoclino. Con l’aumento della stratificazione estiva è stato registrato un accumulo di 0.33 mol di DOC m-1nei primi 50 m della colonna d’acqua. Gli autori pur

evidenziando una elevata variabilità interannuale hanno stimato che il mixing invernale determina

(a) (b)

(33)

un export netto di DOC di 0.27 mol m-1sotto i 50 m e che il DOC esportato è consumato con tassi

(34)

3. Il Mar Tirreno, caratteristiche e circolazione

Il bacino occidentale del Mediterraneo può essere suddiviso in due sub-bacini profondi: quello Algero-Provenzale e quello tirrenico; mentre Il Mediterraneo centro-orientale viene suddiviso in tre sub-bacini: lo Ionio, l’Egeo e il Levantino (Sardà et al.,2004).

Il Mar Tirreno ha una forma triangolare e una batimetria molto complessa (Fig. 18). Esso è delimitato a nord dal Canale di Corsica e a sud-ovest dall'ampio canale che si sviluppa tra la Sardegna e la Sicilia.

La circolazione termoalina del Mar Mediterraneo è influenzata principalmente dalla formazione e circolazione di due masse di acqua: l’Acqua Atlantica (AW), che entra dallo stretto di Gibilterra e fluisce verso est; e l’Acqua Intermedia Levantina (LIW) che si origina nel bacino Levantino e fluisce verso ovest, ritornando nell’Oceano Atlantico. Il Mar Tirreno gioca un ruolo molto importante nella trasformazione di queste due masse d'acqua (Astraldi e Gasparini, 1994; Gasparini et al., 1999; Sparnocchia et al., 1999).

Figura 18. Mappa del Mare Tirreno e la sua batimetria (Rinaldi et al., 2010).

A causa dell’elevata evaporazione che caratterizza il bacino, l’AW entra attraverso lo stretto di Gibilterra e si propaga verso la costa algerina. Arrivata al canale di Sardegna, si divide in

(35)

due vene: (1) una entra nel Tirreno e si propaga lungo la costa occidentale a 0-200 m di profondità; essa è caratterizzata da una salinità di 36.5±1 ed una temperatura molto variabile (Send et al., 1999a); (2) l’altra attraversa il canale di Sicilia e giunge nel bacino Levantino, qui sprofonda in prossimità del giro ciclonico di Rodi a seguito della sua elevata densità, formando la LIW. Essa compie il percorso inverso, attraversando il canale di Sicilia e il bacino ovest, fino a fuoriuscire dallo stretto di Gibilterra. Questa massa d’acqua si posiziona tra i 200 e i 400 m di profondità, presenta temperature di 13.2±0.3 °C ed una salinità di 38.45±0.3 (Smith et al., 2008). Nel Tirreno è stata inoltre osservata un’area di formazione di acque profonde, dove a causa del mescolamento tra LIW e WMDW (acqua profonda del Mediterraneo occidentale) si viene a formare l’acqua profonda del Tirreno (TDW) (Astraldi e Gasparini, 1994). Le maggiori informazioni sulla circolazione del Mare Tirreno sono soprattutto relative all’area settentrionale, mentre la regione meridionale rimane ancora poco esplorata.

A livello superficiale, la parte nord-orientale del Tirreno è dominata dalla presenza di un giro ciclonico denominato NTC (North Tyrrhenian Cyclone) (Marullo et al., 1994 ), indotto da forti venti che soffiano da nord-ovest all’altezza dello Stretto di Bonifacio. A sud di questo gyre si sviluppa un altro anticiclone (Rinaldi et al., 2009). La dimensione (diametro: 100 km) e la posizione del NTC, sembrano essere strettamente legate alle stagioni. Durante l'inverno, questo ciclone si allunga verso la parte sud-orientale del bacino, mentre in estate ha un orientamento zonale (Artale et al., 1994; Astraldi e Gasparini, 1994) e si limita a generare un debole flusso di acqua lungo la penisola italiana. In estate, all'interno dei grandi gyre si originano vortici ciclonici e anticiclonici con caratteristiche scale di lunghezza di 30-40 km (Artale et al., 1994). Nella parte meridionale del bacino, la dinamica superficiale sembra essere condizionata prevalentemente dagli scambi tra lo stretto di Sicilia e il canale di Sardegna (Rinaldi et al., 2010).

3.1. Il Golfo di Napoli

3.1.1. Caratteristiche fisiche

(36)

Esso presenta una profondità media di circa 170 m e un’area di 900 km2 (Carrada et al. 1980).

Confina a nord con le isole di Ischia e Procida e i Campi Flegrei, e a sud con l’isola di Capri e la Penisola Sorrentina.

Il Golfo può essere suddiviso in tre sub-bacini marginali: la baia di Pozzuoli nell'area nord-occidentale; la baia di Napoli, situata nella regione nord-orientale, in corrispondenza della città di Napoli; il golfo di Castellamare, nella zona sud-orientale, influenzata dallo sbocco del fiume Sarno (Cianelli et al., 2011).

Esso comunica con il Mar Tirreno attraverso due aperture principali: la prima, chiamata “Bocca Grande”, situata tra le isole di Ischia e Capri è caratterizzata da una profondità massima di 600 e 800 m in corrispondenza dei canyon Magnaghi e Dohrn; la seconda, chiamata “Bocca Piccola”, situata tra Capri e la punta della Penisola Sorrentina (Punta Campanella), rappresenta il collegamento tra il Golfo di Napoli e quello di Salerno, attraverso una soglia di 74 m. La circolazione nel Golfo è fortemente influenzata dalla sua orografia (Fig. 19). Nella regione nordorientale, essa è dominato dal Vesuvio e dalle colline che circondano la città di Napoli, mentre più a sud, tra la regione di Castellamare e la penisola Sorrentina dalla catena dei monti Lattari. La zona occidentale, ad ovest di Napoli, è occupata dal sistema di vulcani dei Campi Flegrei.

(37)

Dal punto di vista oceanografico, il Golfo di Napoli può essere considerato un interessante area costiera, grazie alle sue singolari caratteristiche morfologiche e la presenza di una costa altamente urbanizzata (Gravili et al. 2001). Le prime conoscenze oceanografiche risalgono al 1953, anno in cui F. Wendicke riportò i primi dati idrologici del Golfo, acquisiti nei mesi estivi. Dagli anni 70 sono state condotte una serie di campagne oceanografiche e installate delle stazioni di ricerca fisse, allo scopo di acquisite diverse informazioni sull’idrologia e la dinamica del Golfo. Gli studi più recenti hanno messo a punto dei modelli che hanno chiarito e approfondito aspetti relativi alla circolazione superficiale (Gravili et al.,2001; Grieco et al., 2005; Mattia, 2007) ed ai processi di trasporto ad essa collegati (Roselli et al., 2007).

3.1.2. Masse d’acqua

Il Golfo di Napoli è caratterizzato dalla circolazione delle due masse d’acqua principali, tipiche del Tirreno centro meridionale. L’AW, che modificata lungo il suo percorso, raggiunge la profondità di 50-100 m, con salinità pari a 37.5 e temperatura che segue l’andamento stagionale e diminuisce con la profondità. La LIW, che si trova nelle stazioni più profonde (400-500 m) in prossimità della Bocca Grande. Il risultato del mescolamento invernale è l’Acqua Intermedia Tirrenica (TIW). A causa del riscaldamento estivo la TIW si ritrova a una profondità di circa 75 m, e forma l’Acqua Superficiale Tirrenica (TSW). Infine, si viene a formare un’altra massa d’acqua superficiale simile alla TSW, che a causa delle immissioni nel Golfo delle acque dolci provenienti dai fiumi Sarno e Volturno e degli scarichi urbani e industriali risulta essere meno salata e più calda della TSW (Carrada et al., 1980). In presenza di correnti dirette verso nord-ovest (NW), s’individuano due vene di questa acqua meno salata, una in prossimità del Sarno e l’altra in prossimità dell’area urbana di Napoli, esse vengono trasportate verso il largo a causa dell’azione combinata della topografia del sito, della struttura e della variabilità delle correnti.

In estate si osserva una marcata stratificazione della colonna d’acqua con conseguente formazione del termoclino e uno strato superficiale omogeneo di 20-30 m; in inverno, invece, si ha un forte rimescolamento lungo tutta la colonna d’acqua, con valori di temperatura e salinità abbastanza costanti.

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3.1.3. Circolazione

La circolazione superficiale del Golfo di Napoli è influenzata da numerosi fattori che agiscono a differenti scale spaziali e temporali e dalla loro interazione con la topografia e orografia del bacino (Ciannelli et al., 2011). Le forzanti principali di questa circolazione possono essere identificate come remote, ovvero legate alla circolazione generale del Mediterraneo e locali ovvero legate alla batimetria e alla circolazione atmosferica di piccola scala (Gravilli et al., 2001). Tra le forzanti remote, Il vento risulta essere la più importante (Moretti et al., 1977; De Maio et al., 1985; Menna et al., 2008); seguito dalla circolazione del Mar Tirreno (Pierini e Simioli 1998; Gravilli et al., 2001).

3.1.3.1 Circolazione in inverno

Durante la stagione invernale i venti spirano sul Golfo di Napoli principalmente dal quadrante Nord-Est con un’intensità massima tra 8 e 10 m/s. Le correnti superficiali spinte dal vento, si orientano in direzione sud-ovest, allontanandosi dalla costa e formando una zona di convergenza davanti alla città di Torre del Greco, in prossimità delle due aree adiacenti alla città di Napoli e Torre Annunziata (Fig. 20 ) (Moretti et. al., 1977; Cianeli et al., 2011).

(39)

Questo schema era stato proposto da Gravili nel 2001, che aveva ipotizzato un modello di circolazione barotropica forzata da venti non uniformi, allo scopo di mettere in luce l’effetto schermante del Vesuvio. Secondo questo modello, il centro del Golfo risulta caratterizzato da un area di convergenza mentre e in prossimità della Penisola Sorrentina e della Bocca Grande si hanno rispettivamente un gyre ciclonico e uno anticiclonico (Fig. 21).

Figura 21. Campo di forze che guidano la circolazione del Golfo in inverno (Gravili et al., 2001).

3.1.2.2 Circolazione in estate

In estate, la circolazione superficiale è fortemente dominata dal regime di brezza, che durante gli altri periodi dell’anno risulta meno intenso (Cianelli et al., 2011; Uttieri et al., 2011). Il regime di brezza è caratterizzato da venti che spirano da mare verso terra (sud-ovest) durante le ore più calde della giornata, e da terra verso mare (nord-est) durante le ore notturne e le prime ore della mattinata. In generale, quando il vento soffia da terra, la circolazione si dirige verso est, mentre quando il vento proviene dal mare la circolazione si muove verso la costa (Fig. 22). Le correnti superficiali ruotano di 90°C ogni 6 ore per adattarsi alla direzione del vento compiendo un giro completo in 24 ore (Cianelli et al, 2011). In queste condizioni, i tempi di rinnovamento delle masse d’acqua sono molto lunghi e gli scambi tra il mare aperto e la zona costiera sono ridotti (Buonocore et al., 2010; Cianelli et al., 2011).

(40)

Figura 22 Circolazione indotta da venti influenzati dal regime di brezza: a)a 06:00 AM; b) a 06:00 PM (Cianelli et al., 2011)

3.1.3. Qualità ambientale

Negli ultimi anni, Il Golfo di Napoli (Fig. 23), a causa dell’intensa pressione antropica dovuta all’incremento delle attività agricole ed industriali e all’elevata densità demografica è stato soggetto ad un forte degrado ambientale. Questo ha accentuato numerosi problemi come l’erosione costiera, la diffusione di batteri patogeni, l’input di sostanze tossiche da parte del fiume Sarno (Ribera d’Alcalà et al., 1989). Inoltre, esso sembra essere la causa della presenza di specie di fitoplancton come Ostreopsis ovata, o altre specie del genere Pseudo-Nitzschia che rilasciano tossine altamente dannose per la salute degli organismi viventi (Zingone et al., 2006).

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È stato recentemente riportato che la cattiva qualità delle acque del Golfo di Napoli deriva principalmente dal problema degli scarichi urbani non opportunamente trattati, che incidono negativamente su numerosi fattori ambientali tra cui la trasparenza delle acque (Ribera D'Alcalà, 2010).

Per quanto riguarda la presenza di agenti inquinanti, Tornero e Ribera D'Alcala' (2014) hanno recentemente effettuato uno studio che mette in luce la presenza di elevati livelli di contaminanti organici di origine antropica. Tale contaminanti presentano concentrazioni ben al di sopra dei limiti legislativi e degli standard di qualità ambientale, soprattutto nelle aree industrializzate e alla foce del fiume Sarno, indicando una situazione di serio pericolo per la zona costiera e le sue risorse viventi. In particolare la situazione sembra essere molto allarmante per i metalli in tracce (Hg, Pb, Zn), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e gli idrocarburi policiclici bifenili (PCBs).

3.1.3.1. Idrocarburi policiclici aromatici (IPA)

Gli IPA rappresentano una vasta classe di composti idrocarburici costituiti dall’unione di due o più anelli benzenici e contenenti esclusivamente atomi di carbonio e d’idrogeno. Essi rappresentano un gruppo di contaminanti liposolubili ampiamente diffuso nell’ambiente. Per le loro proprietà cancerogene e mutagene (Lehr e Jerima, 1977; Yan, 1985; White, 1986), questa classe di composti è stata oggetto di numerosi studi (Neff, 1979; Mcelory et al., 1989; Tolosa et al., 1992). Gli IPA possono essere naturali o di origine antropica (Yang et al., 1998). Le principali fonti naturali sono rappresentate dagli incendi boschivi, eruzioni vulcaniche (Xu et al., 2006), biosintesi da parte di batteri e piante (Krauss et al., 2005) e processi di diagenesi a bassa temperatura di materiali organici sedimentari, che portano alla formazione di combustibili fossili. Invece le maggiori fonti antropiche degli IPA sono rappresentate dal traffico veicolare (Schauer et al., 2003), dalle attività industriali (Yang et al., 2002), dal cracking di prodotti contenenti petrolio e carbone coke (Gridin et al., 1997).

Lo studio degli IPA in ambienti costieri riveste grande importanza poiché queste aree ricevono notevoli quantità di inquinanti attraverso scarichi urbani ed input fluviale. Grazie alle loro proprietà fisico-chimiche (scarsa solubilità, alta liposolubilità, etc.), gli IPA possono essere accumulati nella rete trofica rappresentando un pericolo per gli organismi viventi (Kennish, 1992). Ad esempio possono essere accumulati nei pesci (Hellou et al., 1995) e in numerosi organismi

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acquatici comunemente mangiati dall’uomo, rappresentando un elevato rischio anche per la salute umana. In generale, i pesci hanno una maggiore abilità a metabolizzare gli IPA ad esempio rispetto ai molluschi, dove i composti tendono a persistere più a lungo (Meador et al., 1995).

Tutti questi motivi gli IPA sono stati inseriti nella lista di sostanze da monitorare con priorità da parte della US Federal Water Pollution Control Act e da Environmental Protection Agency (EPA).

3.1.4. Caratteristiche biologiche

Da un punto di vista biologico, il Golfo di Napoli può essere suddiviso in due sub-sistemi: uno eutrofico ed uno oligotrofico. Il primo caratterizza la costa nord-orientale e risulta fortemente influenzato dagli apporti terrigeni (discariche urbane e industriali) provenienti da un’area fortemente sovrappopolata. Inoltre, la costa settentrionale è influenzata dalle acque dolci del fiume Volturno, mentre il fiume Sarno, fortemente inquinato, sfocia nella parte meridionale del Golfo. Il secondo sistema è situato nella parte centrale del Golfo, e presenta caratteristiche simili alle acque oligotrofiche tirreniche (Carrada et al. 1981; Ribera d’Alcalà et al. 1989). Gli scambi tra queste due sub-sistemi sembrano essere favoriti dalla circolazione locale (Casotti et al. 2000).

Uno dei maggiori studi effettuati nel Golfo di Napoli riporta i pattern stagionali delle comunità planctoniche, registrati dal 1984 al 2000 (Ribera D'Alcalà et al., 2004). Questo studio è stato condotto nella stazione LTER “Marechiara” (MC) situata a due miglia nautiche dalla città di Napoli.

La stazione di campionamento MC è caratterizzata da acque superficiali dominate per tutto l’anno da diatomee e nanoflagellati. In estate si registrano bloom di piccole specie che si susseguono e si sovrappongono le une alle altre (Scotto di Carlo et al. 1985; Zingone et al. 1990; Ribera d'Alcalà et al. 2004). In generale, il 90 % del fitoplancton della stazione MC è costituito da cellule < 5μm. Il ciclo annuale del plancton è caratterizzato da una prima fase di crescita in inverno, una seconda nella tarda primavera/inizio estate e una terza in autunno (Fig. 24). Lo sviluppo di queste tre fasi è strettamente associato alle caratteristiche ambientali del sito (Ribera d'Alcalà et al., 2004).

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Figura 24. Media stagionale della clorofilla a nella stazione MC, nel 1984-2000 (Ribera d’Alcalà et al., 2004).

Il primo bloom fitoplanctonico è stato osservato a Febbraio-Marzo, prima del periodo di stratificazione primaverile. Esso è dominato da grandi colonie di diatomee e piccoli fitoflagellati che si distribuiscono uniformemente lungo tutta la colonna d’acqua (Ribera d’Alcalà et al.,2004; Zingone et al., 2010). Generalmente, Il bloom invernale è osservato in tutto il Mediterraneo, molto probabilmente a causa delle condizioni meteorologiche molto stabili associate allo spostamento verso ovest del sistema di alta pressione Siberiano (Duarte et al., 1999). In questo periodo si registrano bassi valori di biomassa sia dei ciliati che del mesozooplancton. Viene quindi probabilmente predata solamente una piccola frazione del fitoplancton, favorendo il suo accumulo.

La maggior parte dei predatori hanno dimensioni piccole (≤1 mm) e non sono quindi in grado di predare le grandi colonie di diatomee. In tarda primavera-estate (Marzo-Aprile) si registra il maggiore bloom fitoplanctonico, legato soprattutto all’apporto di nutrienti da terra. In questo periodo i picchi di biomassa fitoplanctonica si alternano a valori molto bassi. Questa situazione riflette la discontinuità della disponibilità di nutrienti per l’alternarsi di acque che vengono trasportate prima dal Tirreno e poi dalla costa (Modigh et al., 1985).

In estate, la struttura della colonna d’acqua confina il bloom fitoplanctonico nello strato superficiale (0-10 m) (Scotto di Carlo et al., 1985). Si osserva inoltre un gradiente di biomassa del fitoplancton dalla zona nord-orientale della baia di Napoli verso le zone costiere meridionali e la parte più esterna del Golfo (Zingone et al., 1990). La comunità fitoplanctonica risulta altamente diversificata, sono state identificate quantità notevoli di diatomee in forma solitaria e di

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dinoflagellati, entrambi di piccole dimensioni; Mentre lo zooplancton risulta essere composto principalmente da cladoceri (Ribera d'Alcalà et al., 2004) che grazie alla riproduzione per partenogenesi formano grandi comunità (Fig. 25).

Figura 25. Media stagionale delle abbondanze dei differenti gruppi tassonomici nella stazione MC, nel 1984-2000 (Ribera d'Alcalà et al. 2004).

L'ultimo e il meno pronunciato bloom fitoplanctonico si presenta in autunno (Ottobre-Novembre), esso è supportato da diatomee, soprattutto dalle specie tipiche di questa stagione (Fig. 25). Questo bloom sembra essere favorito dall'apporto di nutrienti terrestri, come durante l’estate. È stato infatti osservato che la profondità del nutriclino è maggiore rispetto a quella interessata dal mescolamento autunnale (Carrada et al., 1980). Anche in autunno si registra una diminuzione della biomassa fitoplanctonica spostandoci dalla costa verso il mare aperto (Zingone et al., 1995). A differenza dell’estate, la maggior dispersione dei nutrienti, dovuta al tipo di circolazione e alla maggiore profondità del mixed layer, determina una distribuzione più estesa della comunità fitoplanctonica in tutto il Golfo. In questo periodo le condizioni metereologiche note come “l’estate di San Martino”, favoriscono la produzione primaria con tassi simili a quelli osservati in estate, nonostante la disponibilità luminosa sia minore (Zingone et al., 1995). In questo periodo la biomassa del mesozooplancton è caratterizzata da una generale diminuzione, ad eccezione dei copepodi che raggiungono livelli simili a quelli osservati in primavera (Ribera d'Alcalà

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et al., 2004). Inoltre la biomassa dei coccolitofori, aumenta notevolmente rispetto le stagioni precedenti.

Il comparto fitoplanctonico ha mostrato un cambiamento quali-quantitativo tra l’inizio della serie storica (1984) e gli anni più recenti. Si osserva una diminuzione in termini di biomassa e un aumento in termini di abbondanza (Ribera d'Alcalà et al. 2004). In questo scenario il ruolo del microzooplancton nel Golfo di Napoli sembra acquisire sempre una maggiore rilevanza.

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SCOPO

Lo scopo primario del presente lavoro di tesi è lo studio della dinamica stagionale ed interannuale della DOM nella stazione costiera di ricerca ecologica a lungo termine “Marechiara”(MC), situata nel Golfo di Napoli.

In sintesi, le domande a cui questo studio ha cercato di rispondere sono le seguenti: 1) Il DOC e le proprietà ottiche (assorbimento e fluorescenza) della CDOM presentano un

chiaro ciclo stagionale?

2) Si possono osservare differenze significative nei tre anni di studio?

3) La struttura fisica della colonna d’acqua influenza la distribuzione del DOC e della CDOM? 4) Il DOC e le proprietà ottiche (assorbimento e fluorescenza) della CDOM presentano una

variabilità interannuale sia nei valori/concentrazioni che nella distribuzione verticale? 5) Esiste una correlazione tra proprietà ottiche (assorbimento e fluorescenza) della CDOM e la

distribuzione del DOC?

6) L’impatto antropico influenza la dinamica della DOM (e il ciclo del Carbonio) nel Golfo di Napoli?

Tale obiettivo è stato raggiunto mediante l’analisi della distribuzione del DOC e delle proprietà ottiche della CDOM, che rispettivamente forniscono importanti informazioni di tipo quantitativo e qualitativo sul pool della DOM.

Questi parametri sono stati inoltre correlati con i parametri fisici (temperatura e salinità) per identificare i principali processi che determinano la concentrazione e la distribuzione della DOM.

È da sottolineare l’importanza di questo di questo studio in quanto presenta la prima serie storica di dati di DOC e CDOM nel Mediterraneo.

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MATERIALI E METODI

1. Area di studio e sito di campionamento

Il presente studio è stato condotto sui campioni prelevati nella stazione di ricerca ecologica a lungo termine Marechiara (MC, 40°48.5’N, 14°15’E) (Fig. 26), situata a due miglia dalla linea di costa e con una profondità massima di 75 m.

I campionamenti sono stati effettuati a bordo della motobarca “Vettoria” della Stazione Zoologica A. Dhorn di Napoli, mediante un sistema CTD-rosette. Questo sistema è composto da un campionatore automatico Carousel della Seabird dotato di 12 bottiglie Niskin (10 L), una sonda multiparametrica “CTD SBE 911 plus” e un fluorimetro subacqueo. Esso è inoltre interfacciato ad un computer che permette di monitorare in tempo reale i profili verticali di temperatura, salinità ed ossigeno misurati dalla sonda.

I dati CTD sono stati gentilmente forniti dal gruppo del Dott. Saggiomo dell’area MECA della Stazione Zoologica A. Dhorn di Napoli.

Figura 26. Area di studio e sito di campionamento nella Stazione “Marechiara” (MC) nel Golfo di Napoli (Ribera d’Alcalà et al., 2004).

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2. Prelievo e trattamento dei campioni

I campioni sono stati prelevati con cadenza quindicinale dal 2010 al 2012, alle seguenti profondità: 0, 5, 10, 20, 40 e 60 m.

Dopo il prelievo, effettuato con bottiglie Niskin, i campioni sono stati raccolti in bottigliette di vetro scuro da 200 ml, precedentemente avvinate tre volte con il campione e subito congelati.

Prima delle misure, i campioni sono stati scongelati e filtrati attraverso un filtro in Nylon di porosità 0.2 µm (Fig. 27). I campioni filtrati sono stati analizzati presso il laboratorio dell’Istituto di Biofisica (IBF) del CNR di Pisa.

In totale sono stati raccolti ed analizzati 333 campioni.

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3. Analisi dei campioni

3.1. Carbonio Organico Disciolto (DOC)

Le misure del DOC sono state effettuate mediante un analizzatore di carbonio ”Shimadzu, Mod. TOC-VCSN“ (Fig. 28), utilizzando il metodo di ossidazione catalitica ad alta temperatura

(HTCO). Tale metodo permette di misurare, mediante un rilevatore a raggi infrarossi, la quantità di CO2prodotta dall’ossidazione ad alta temperatura dei composti organici presenti nel campione.

Prima della combustione, i campioni vengono acidificati e fatti gorgogliare per 3 minuti con un flusso di aria ultrapura per rimuovere tutto il carbonio inorganico, quindi 150 µl del campione vengono iniettati, mediante una microsiringa, nel tubo di ossidazione catalitica, dove si raggiunge una temperatura di 680 °C. Tutto il sistema viene lavato tre volte con il campione prima della misura. Il tubo di ossidazione contiene sferette di alluminio rivestite di platino per aumentare l’efficienza dell’ossidazione. La CO2prodotta dall’ossidazione catalitica del DOC, viene convogliata

tramite una corrente di aria ultrapura verso il rilevatore a raggi infrarossi. Lo strumento misura l’area del picco prodotto dalla CO2misurata. Questo valore viene convertito in moli di carbonio per

litro, tramite una retta di calibrazione ottenuta usando soluzioni standard di ftalato di potassio nello stesso range di concentrazione del campione.

Figura

Figura 1. Ciclo del carbonio in mare. La pompa biologica (sinistra) è controllata dalla rete trofica marina;
Figura 3. Le subfrazioni del pool di DOC: labile e recalcitrante (Hansell, 2013).
Figura 4. Profilo verticale delle concentrazioni delle frazioni del DOC nel a) Mar dei Sargassi e b) nel Mar Rosso (Hansell, 2013).
Figura 6. Spettri di assorbimento della CDOM di acqua di fiume (- -);di mare aperto(-) ; di mixing (..) (Gonnelli et al., 2013).
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