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E’ necessario connettere a questo punto del percorso il pensiero interno con l’ambiente che ci circonda. Come ci spiega Antonio Damasio, noto neurologo, neuroscienziato e psicologo: “L’organismo costituito dall’associazione corpo-cervello interagisce con l’ambiente come un tutt’uno:

l’interazione non è del solo corpo né del solo cervello. Ma organismi complessi quali i nostri non si limitano a interagire, a generare le risposte esterne complessivamente designate come comportamento. Essi generano anche risposte interne, alcune delle quali costituiscono immagini che io suppongo essere alla base della mente. - Condizione necessaria a definire un organismo complesso dotato di mente continua Damasio è - la capacità di dispiegare immagini internamente e di ordinarle in un processo chiamato pensiero”.

In altre parole il pensare è frutto degli stimoli esterni a cui è sottoposto il corpo, che elaborati dal lavoro incessante del cervello generano immagini percettive frutto dell’esperienza sensoriale (es. ascoltare la musica, guardare fuori dalla finestra, scorrere i polpastrelli su una superficie). Tali immagini vengono poi mantenute dalla memoria e rievocate nei nostri

ricordi passati o nella progettazione tramite immagini del futuro:e immagini di qualcosa che non è ancora accaduto hanno la stessa natura di qualcosa che è già stato. Tutto il nostro pensare è per immagini e tutte sono costruzioni del cervello che utilizza “un complesso macchinario neurale di percezione, memoria e ragionamento”.

E’ evidente, dunque, come il nostro pensare sia un pensare attraverso un corpo e che tale corpo sia immerso all’interno di un ambiente sensibile.

Non c’è nulla nella vita ordinaria dell’uomo che non possa divenire cibo per il pensiero e anche le questioni metafisiche che la filosofia nei secoli passati ha affrontato scaturiscono da ordinarie esperienza quotidiane.

“Il pensiero - sintetizza magistralmente la Arendt - implica sempre il ricordo; ogni pensare è un ripensare”.

L’uomo come essere non determinato alla nascita ha infatti la possibilità di rivolgere il proprio interesse a ogni oggetto e argomento, dal più nobile al più insignificante che lo attrae. Lo

strutture metalliche. A volte lo studio insiste sulla struttura, altre mi lascio andare alla contemplazione emotiva del paesaggio. Credo che dipenda dallo stato d’animo del momento, o dalle fasi della vita che ho attraversato, o semplicemente perchè mi interessano entrambe le cose”.

Come accennato in precedenza, nell’analizzare il processo pratico nell’elaborazione di un’opera di Andrea Chiesi vediamo quei passaggi che Damasio in termini scientifici e la Arendt in termini più filosofici individuano nell’attività del pensiero.

L'artista modenese infatti parte da ciò che osserva (esperienza sensibile), di questo contatto col mondo esterno resta un’eco all’interno (elaborazione del dato sensibile in una immagine conservata grazie alla memoria) per poi, attraverso il linguaggio della pittura far nascere una immagine nuova (ri-organizzazione delle immagini mentali in un pensiero).

Come dice lui stesso, infatti: “Io parto da ciò che mi circonda e attraverso la pittura ricreo luoghi di una realtà interiore. La pittura crea mondi nuovi, tra gli infiniti possibili. E’ un atto magico dall’alba dei tempi.”

Andrea Chiesi, “Karma 32” 50x70cm, olio su lino

Andrea Chisi “Karma 31” 50x70 cm, olio su lino

La tillandsia è una pianta che in natura, per vivere, trae acqua e nutrimento direttamente dall’atmosfera (umidità, pioggia, rugiada, nebbia…) tramite le foglie e che dunque nel momento in cui venisse privata di un contatto con l’ambiente morirebbe essiccata. La peculiare caratteristica di questa pianta chiarisce in modo lampante il rapporto inevitabile e necessario che ogni essere vivente coltiva con l’ambiente che lo circonda e del dialogo che interiorità e mondo esterno intrattengono.

Pierfilippo Gatti, “Tillandsia” 70x50 cm, stampa su tela e cotone

Citando il filosofo statunitense Hubert Dreyfus “L’essere dell’uomo è un essere-nel-mondo [...] l’uomo vive autenticamente quando riesce a incontrare il mondo non solo teoricamente, ma anche praticamente”.

Apparire a sé stessi, non sarebbe sufficiente a garantire la realtà e ne è un esempio il pensatore che prende commiato dall’universo sensibile, come visto nel capitolo precedente, alla ricerca all’interno di un mondo spirituale di una verità, che però, una volta dis-velata non può manifestarsi se non come un’ulteriore apparenza.

La credenza che una causa (nascosta) debba essere di rango superiore all’effetto che produce (visibile) è una credenza fallace tra le più antiche e radicate. Questo non esclude che l’apparire di qualcosa nasconda qualcos’altro (es. dissimulare della paura e rivelare il coraggio), in ogni apparenza c’è una parvenza ma come riassume magnificamente la Arendt

“L’errore è il prezzo che paghiamo per la verità”.

In linea di massima si può dire, citando A.Portmann che “Ciò che è più esterno parla proprio di ciò che è più interno”

realtà costituisce l’espressione e il riflesso di uno stato interiore dell’essere ben aldilà delle funzione di conservazione, di selezione e di utilità immediata. Il concetto di autopresentazione è descrittivo, è il manifestarsi di un’interiorità nei caratteri esterni: “Non ciò che una cosa è, ma come essa appare costituisce il problema della ricerca”.

Nel video “Vivi e lascia vivere” volevo appunto esprimere questa traccia, questa sorta di sindone dell’anima che si imprime nel foglio tramite il gesto artistico e tramite il corpo.

Tutto ciò che appare, altro non è che una manifestazione dell’interiorità, un rigurgito dell’anima che trova una forma e un colore nel mondo sensibile attraverso un linguaggio, quale è l’arte.

Pierfilippo Gatti “Vivi e lascia vivere”, video, 2018

Ogni elemento tende all’apparire, a manifestarsi, a dis-velarsi al mondo sensibile. E’ compito dell’artista coglierlo e rendere così “Visibile l’invisibile”.

Pierfilippo Gatti, “Senza titolo” 70x45, olio su tela, cotone e mercuro cromo

La domanda, a cui parzialmente si è già data risposta nel corso della trattazione, che viene spontaneo porsi a questo punto è: in che modo l’interiorità si manifesta nel mondo sensibile?

Le attività spirituali, invisibili in sè e rivolte all’invisibile della mente divengono manifeste solo attraverso il linguaggio, tale medium deve annullare quel ritrarsi dal mondo visibile che è la pre-condizione dell’attività del pensiero.“E’ nell’interazione con il mondo esterno che la materia della mente si traduce in agire pratico, in linguaggio e in comportamenti.” La metafora, per esempio, nel linguaggio quotidianamente parlato fornisce un’intuizione tratta dal mondo delle apparenza capace di fungere da ponte tra l’interiorità impercettibile della mente e il mondo delle apparenze svolgendo un ruolo fondamentale nella comunicazione tra esseri umani e nella comprensione altrui Come ci spiega in modo provocatorio e allo stesso tempo originale ed esemplare il filosofo e scienziato cognitivo Daniel Dennet “La storia della filosofia è una storia che fa acqua da tutte le parti , ma è anche costellata di metafore che non dimenticheremo mai. Io le chiamo, rubando un termine

logica di queste idee. Eppure esse sono meravigliose calamite dell’immaginazione, capaci di riorganizzare il pensiero e fecondarlo con nuovi spunti speculativi. [...] Le metafore non sono “solo” metafore; le metafore sono gli strumenti del pensiero.”

Il nostro modo di esprimerci e le strutture ad esso connesse si sono sviluppate naturalmente col tempo andando ben oltre quelle che sono le nostre necessità di sopravvivenza biologica, arrivando a una complessità e a una sintesi incredibile ampliandosi parallelamente al ragionamento scientifico, a quello artistico e a quello utilitaristico-ingegneristico. Lo stesso Damasio afferma che “i fenomeni linguistici possono essere estremamente complessi, in quanto esprimono le nostre capacità di concettualizzazioni astratte, di simbolizzazione della realtà, di descrizioni metaforiche e poetiche del mondo che ci circonda.”

Un ulteriore esempio è dato dalla testimonianza di numerosi antropologi- paleontologi come Ian Tattersall e Giorgio Manzi, che unanimemente intravedono nella capacità di elaborare un pensiero simbolico il punto di svolta fondamentale nello sviluppo e nella sopravvivenza della nostra specie.

Lo stesso concetto di simbolo (dal greco “σύμβολον”) implica il concetto di un’unità ritrovata, di un riconoscimento reciproco delle due parti. Nel mondo ellenico infatti il termine veniva utilizzato per indicare una lastra o una tessera o anche un anello che veniva consegnato a ognuna delle due componenti coinvolte in un patto. Quell’oggetto, quel ” simbolo” era sinonimo di riconoscimento e ospitalità implicito tra le parti che lo possedevano. Come ci spiega Donald Davidson, filosofo analitico statunitense “Ciò che è peculiare della razionalità umana è innanzitutto la sua capacità di interagire con il mondo esterno. [..] Noi identifichiamo infatti i nostri stati mentali tramite il loro relazionarsi al mondo esterno. E tale relazione semantica tra pensiero e mondo, è una relazione di tipo causale: sebbene le nostre credenze, intenzioni, desideri, paure siano stati privati e soggettivi, essi possono essere identificati soltanto attraverso il loro legame causale con il mondo esterno, soltanto in quanto fanno riferimento ad oggetti ed eventi

Macerata, dove tutt’ora vive e dove al lavoro di artista è costretto ad alternare “il lavoro da impiegato grafico di m.” e infatti quando accetta gentilmente di rispondere a qualche domanda, specifica che dovremo chiamarci durante la pausa pranzo, momento in cui l’ufficio è vuoto.

Nicola Alessandrini non apprezza chi associa la sua arte a un surrealismo pop- contemporaneo e ci tiene a specificare: “Ciò che faccio - mi spiega - è reale e mantengo sempre la realtà come riferimento. Si tratta semmai di smascherare una visione differente dell’uomo stesso.”

Mi cita per spiegarsi meglio “Anatomia umana” di Carol Chernov. Nel racconto dello psicanalista e scrittore argentino, un uomo si sveglia a Buenos Aires e scopre di essere l'ultimo maschio in vita sul pianeta. Questa condizione paradossale lo trasforma in preda, prezioso strumento di procreazione al fine di ripopolare la terra e lo priva inoltre del controllo sul proprio corpo e gli impone un'esistenza da fuggitivo camuffato perennemente da donna. A un certo punto del racconto però Chernov inizia una riflessione circa la natura dell’uomo

teoricamente mostrerebbe tutto: ciò che ingerisce, ciò che lo macchia, che lo decora… “Allo stesso modo nelle mie opere io ricerco un realtà che sia più reale del reale e per arrivare a ciò utilizzo la fantasia, l’arte, che resta pur sempre un filtro visivo - cotinua Alessandrini.

“Non può esserci un’arte non storica, che non si riferisce al suo tempo” e il campo di battaglia in cui la storia si manifesta nelle opere dell’artista marchigiano è il corpo umano, inteso come corpo politico in cui si scontrano tensioni sociali, culturali, economiche e legislative. E’ impossibile esimersi dal confronto con ciò che viviamo e il corpo è la cartina tornasole delle manipolazioni che subiamo.

Nicola Alessandrini, “I guardiani” 120x220 cm / 110x210 cm, inchiostro e grafite su carta

Nicola Alessandrini, “I guerrieri” 100x140cm, inchiostro su carta

Nicola Alessandrini nel proseguire la chiacchierata mi dice che legge molto e si nota e parla con riferimenti a libri, fatti di cronaca, politica, arte… Quando però deve descrivere il suo lavoro si limita a scrivere poche parole, neanche sue, ma della fidanzata: “Questo è il mio lavoro. Nonché la mia natura.

Invisibile e pieno. Di un pieno perfetto.” Analitico e poetico.

Poi in un’altra intervista scopro altre parole a supporto di questa definizione dicendo che è “il monologo di un vasetto per conserve stipato sullo scaffale di un magazzino che rivendica la propria interezza in quanto il suo lavoro di chiudere, sigillare, essere pieno ne costituisce l’intima natura. In realtà non mi sento propriamente così… credo al contrario che il senso di completezza ed autosufficienza sia qualcosa di transitorio, ed ho un bisogno costante di sentirmi sempre più “intero”, poiché penso che la reale completezza non sia quella della chiusura e del limite ma quella dell’estrema apertura e della continua ricerca”.

Se infatti “come artista sento, assorbo, vivo, divengo spugna e puttana della realtà” e lo conferma nello spiegarmi i suoi metodi di lavoro fondati sempre sullo scatto fotografico, allo stesso tempo dice “ cerco di epurare le mie opere dal mero autobiografismo e da un sentimentalismo eccessivamente autoreferenziale, cercando di donare loro una vita indipendente

che abbia valore e si nutra costantemente anche e soprattutto di sguardi non miei”.

Per fare ciò, per essere altro da sè, per andare oltre al proprio sguardo Nicola Alessandrini cerca nei suoi soggetti quell’uomo invisibile di cui parla Chernov, che nella sua invisibilità si afferma come il più appariscente grazie alla fantasia chirurgica, magnifica ed essenziale che rende le sue opere più reali del percettive che esso svolge nell’ambiente che conferiscono il materiale all'immaginazione produttiva per creare immagini costituenti il pensiero stesso.

Il prodotto delle attività mentali poi, vista la nostra condizione di esseri viventi portati all’autopresentazione, si manifesta nel

al nostro stesso pensiero. Nessuno di noi infatti sa esattamente fino in fondo ciò che dice, sono gli altri, in parte, che danno un senso al nostro esprimerci.

In parole semplici per stabilire delle connessioni è necessario vivere dentro e fuori di noi. Vivere nel mondo esterno in cui siamo nati e che ci educa a una serie di nozioni fondamentali alla sopravvivenza sociale, senza scordarsi però di abitare quel luogo interiore che Caterina da Siena intuitivamente e magnificamente aveva chiamato “la camera della mente”, dove ognuno di noi è in grado, così come fece Caterina, di rifugiarsi, di ascoltarsi e di conseguenza di guardare il mondo che ci circonda dalla serratura della porta della nostra camera interiore.

Se si perdesse l’equilibrio precario tra i due mondi, sia che il

“mondo vero” abolisca “quello apparente” o viceversa, l’intero sistema di riferimento entro il quale il nostro pensiero si era abituato ad orientarsi va in pezzi. A questo punto, nulla sembra più avere alcun senso.

Anna Madia, “Aletheia” 100x100 cm, olio su tela

Anna Madia, “ Sleeping beauty” 27x19 cm, olio su tela.

Anna Madia è un’artista, oggi insegnante all’accademia Albertina di Belle Arti di Torino, nella quale fu anche studente, che lavora attraverso la creazione di immagini nelle quali realtà e fantasia, visibile e invisibile si intrecciano dando vita a un’atmosfera unica, sospesa, dolce e allo stesso tempo violenta che ti colpisce senza che nemmeno ti sia concesso di capire il perchè.

“L’essere umano - spiega l’artista torinese in un’intervista per Hong Kong Art Touring - è fatto per immaginare e i piani intermedi del pensiero, dell’immaginazione, delle funzioni psichiche, del reale e del surreale, si intrecciano e si alimentano tra loro così da creare enigmi e domande circa la mente umana.” Nel parlare del suo lavoro infatti, così tanto fondato sull’inconscio soprattutto attraverso l’analisi degli stati in cui esso emerge (sonnambulismo, coma, allucinazioni), non riesce a non rievocare ricordi passati della sua infanzia: “Una volta all’anno nella mia famiglia c’è l’abitudine quasi rituale di lavare la lana dei materassi. Ogni angolo della casa era ricoperta di questo soffice materiale colore panna conferendo a

Anna Madia, “Silencio I” 73x60 cm, olio su tela

Conclusione

fatto mio solo recentemente che l’esperienza desolante della solitudine e quella impalpabile della noia cadevano sconfitte di fronte alla potenza del pensare.

Mi spiego meglio per non suonare retorico: il pensiero, come abbiamo visto, ci costringe ad abitare quel luogo spesso ignorato che è “la camera della mente”, mettendo in contatto il nostro essere interiore con il resto del mondo. Attraverso questo atto sovversivo è dunque possibile percepire una connessione e avvertire lo schema invisibile che ci circonda, dentro il quale noi siamo immersi. Prendendo coscienza dell’esistenza della struttura di questa sorta di ragnatela e della sua grandezza ci è data l’occasione di scoprire dove siamo situati noi, quale è il nostro ruolo e quale è il nostro progetto,

così da ricreare quelle unità e riscoprire la viridità del mondo.

Con questo termine Ildegarda di Bingen designa la forza vitale presente in tutti gli elementi in natura e scrive così nel suo Libro Delle Creature “Tutti gli elementi erano al suo servizio poiché percepivano che era vivo e collaboravano con lui in tutte le sue attività, e lui con loro. La terra forniva la sua viridità”.

Con un termine differente ma sempre parallelo mi risponde alla domanda Andrea Chiesi “La vacuità è’ uno dei punti centrali del pensiero buddhista: ogni fenomeno non esiste in sé, ma in relazione a tutto il resto. E’ un concetto confermato anche dalla fisica quantistica, tutto nell’universo è connesso, ogni azione produce conseguenze in tutto il cosmo che ritornano a noi. Il battito d’ali della farfalla che provoca tempeste”.

Compito dell’arte, compito dell’artista e compito di chiunque di noi, è dunque quello di unire visibile e invisibile, di ascoltarci e guardare il mondo attraverso gli occhi della mente e non più unicamente solo quelli del corpo, per ricreare l’unità nascosta che sia noi che la natura celiamo sin dall’origine.

visione potentemente unitaria del mondo, una visione fondata sulla piena attività sensoriale e nella quale questa attività viene esperita come significativa e pienamente valida. [...] L’intera struttura che sta alla base dell’esperienza primaria non offre solo un criterio di orientamento e di obiettivo di inserimento nel mondo, essa è, ancora di più, una struttura per coordinare all’interno degli stimoli che ci provengono dal mondo, per sviluppare creativamente le forze che sono in noi; è infine, una struttura che ci permette di accrescere, per mezzo delle possibilità creative della nostra attività spirituale, il contenuto fantastico del mondo, così come i poeti e i cantori. Si tratta di conservare al mondo, mediante la libera creazione artistica il suo pieno significato di mondo appartenente alla nostra interiorità”. Solo attraverso tale maniera indicata da Portmann si preserveranno quelle dinamiche e quei fenomeni capaci di far accedere l’uomo a una più ampia e comprensiva realtà vitale.

“Tutto nell’universo è bello perché simbolo dell’universo”, per essere partecipi di questa bellezza ci è richiesto di essere noi stessi, soltanto noi stessi. Per diventarlo, cosa non semplice, è fondamentale imparare ad ascoltarsi, a percepire le nostre priorità, i nostri gusti e il nostro progetto di vita, abbandonando, per un attimo, il programma che gli altri ci impongono.

Come scrive Fabio Revello nella elegantissima postfazione dell’opera Il bene e Il Bello di Simone Weil: “Con il nostro agire siamo chiamati a realizzare un’unità sempre maggiore, a razionalizzare la verità secondo le leggi della scienza e ad affermare i valori morali.”

La Weil ritiene puerile l’atteggiamento sdegnoso di chi pensa sia folle credere che in una particella di materia possa essere racchiusa l’immensità della natura divina. “L’anima è legata al corpo e, attraverso il corpo, a tutto l’universo. Quando essa contempla il cielo stellato, non vi è un solo astro la cui presenza non agisca su essa; non vi è uno solo dei movimenti che essa imprime al corpo che non modifichi il corso delle stelle. [...] Poiché tutto agisce su tutto, nell’universo esistente;

il corpo subendo l’azione dell’universo tutto intero, trasmette in qualche maniera questa azione umana. L’anima è così unita

a tutto l’universo, avendo intermediario il corpo, un corpo determinato.”

Così, in conclusione, riassume e mette in guardia la Weil i suoi lettori: “essere o non essere, sè e ogni cosa, si deve scegliere”.

Bibliografia

La vita Della Mente di Hannah Arendt.

Le Forme Viventi di Adolf Portmann.

L’Errore Di Cartesio: Emozione, Ragione e Cervello Umano di Antonio Damasio

Cervelli Che Parlano: il dibattito su mente coscienza e intelligenza artificiale a cura di Eddy Carli

Il Bello e Il Bene di Simone Weil

Il Castello Interiore di Teresa d’Avila

Libro Delle Creature di Ildegarda di Bingen

Sitografia

NOTE

1. Parole attribuite da Cicerone a Catone nel De Reoubblica, 1,17.

2. Pindaro, Istmica IV.

3. Pindaro, Nemea e istmica IV.

4. Charles Baudelaire, Les Aveugles, 1860.

5. Aristotele, Protreptikos.

6. Metafora di Walter Benjamin.

7. Metafore di Martin Heiddeger.

8. Paul Valery, Discours aux Chiurigiens.

9. Gerald Edelman, Cervelli Che Parlano: il dibattito su mente coscienza e intelligenza artificiale a cura di Eddy Carli.

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