6. Osservazioni sul sistema europeo
1.3. Il marchio
A differenza di quanto avviene in materia di Ig, nel sistema europeo si ammette la coesistenza del marchio dell’Unione231, così come disciplinato da ultimo dal Reg. n. 2017/1001, con il marchio nazionale, nel rispetto dei principi in materia delineati dalla Dir. n. 2015/2436232, emanata con lo scopo di armonizzare le varie discipline degli Stati membri.
Ritroviamo, dunque, la disciplina nazionale del marchio nel Codice sulla proprietà in- dustriale a partire dall’articolo 7 e seguenti233.
Con riferimento all’esaltazione della origine geografica del prodotto, sussiste anche nel nostro ordinamento il divieto per il marchio individuale di essere costituito da segni idonei a designare la provenienza geografica del prodotto (art. 13). Possono veicolare que- sto messaggio solo il marchio collettivo e il marchio di certificazione/di garanzia.
idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.
228 Art. 6 della Direttiva n. 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali e art. 3 della Direttiva n. 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (art. 18, Codice del Consumo e d. lgs. 145/2007).
229 La tutela del segno qui può aversi solo ove ad esso si associ un quid pluris, che non può che essere un ele- mento qualitativo, al limite reputazionale. F. PRETE, La protezione delle indicazioni geografiche semplici. La saga del
Salame Felino: ultimo atto, cit., guo30ss.
230 G. FLORIDIA, La disciplina del Made in Italy: analisi e prospettive, in Il diritto industriale, 2010, 4, 340. 231 Il marchio dell’Unione è stato oggetto del primo capitolo del presente studio.
232 Direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento
delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa.
233 Artt. 7-28 c.p.i., Capo II (Norme relative all’esistenza, all’ambito e all’esercizio dei diritti di proprietà indu- striale), Sezione I (Marchi).
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Il nostro ordinamento conosce da tempo l’istituto del marchio collettivo234, discipli- nato dall’articolo 11 c.p.i., come segno idoneo “a distinguere i prodotti o servizi dei membri dell’associazione titolare da quelli di altre imprese”. Rispetto alle precedenti direttive, il legi- slatore europeo del 2015 ha imposto un obbligo in capo agli Stati membri di consentire nei rispettivi ordinamenti la registrazione dei marchi collettivi, i quali formano oggetto di arti- colata disciplina comune dettata agli articoli 29 e seguenti della citata direttiva n. 2015/2436235.
Oltre all’obbligo di introdurre il marchio collettivo, una seconda novità introdotta dalla direttiva del 2015 è la previsione di un’autonoma tipologia di marchi, detti di certifica- zione o di garanzia. La direttiva prospetta l’introduzione di questa nuova tipologia come meramente discrezionale, lasciando una facoltà degli Stati membri la decisione di avvalersi o meno di tale opportunità: l’Italia se n’è avvalsa introducendo il nuovo art. 11-bis del c.p.i.236. Il marchio di certificazione è un segno distintivo idoneo “a distinguere i prodotti o i servizi certificati dal titolare del marchio in relazione al materiale, al procedimento di fabbricazione dei prodotti o alla prestazione dei servizi, alla qualità, alla precisione o ad altre caratteristi- che da prodotti e servizi che non sono certificati”237. L’opportunità data agli Stati membri
di introdurre il marchio di certificazione a livello nazionale è arricchita dalla possibilità che lo stesso sia eventualmente veicolo dell’origine geografica del prodotto, al pari di quanto
234 In tal senso si segnala il fenomeno assai esteso di registrazione di un marchio geografico collettivo ad ope- ra dei Comuni (registrazione delle De.Co. quali marchi collettivi territoriali pubblici), delle Province (es. “mar- chio provinciale di origine e qualità a tutela dei prodotti del Trentino” istituito con l. n. 32/1977), delle Re- gioni (es. il marchio della Regione Veneto “Paniere Veneto” istituito con l. reg. n. 11/1988), delle Camere di Commercio (es. marchio “terre alessandrine”, registrato dalla Camera di Commercio, Industria, Agricoltura ed Artigianato della Provincia di Alessandria).
235 In precedenza, la Direttiva 2008/95/CE si limitava a prevedere che qualora la legislazione di uno Stato membro consentisse la registrazione di marchi collettivi, essa poteva contemplare anche cause di esclusione dalla registrazione, di decadenza o di nullità “per motivi diversi da quelli di cui agli articoli 3 e 12, nella misura in cui la funzione di detto marchio lo richieda” (art. 15, par. 1). Analogamente, la citata disposizione consenti- va (ma non imponeva) agli Stati membri di stabilire che la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi potesse costituire oggetto di marchi collettivi (oltre che di marchi di garanzia o di certificazione) (art. 15, par. 2). Diversa, come noto, la scelta operata sin dalla origine del Regolamento 40/94/CE sul marchio comunita- rio, il quale già conteneva agli articoli 64 e seguenti un’autonoma disciplina dei marchi comunitari collettivi. Vedi G. OLIVIERI, Riflessioni a margine della nuova disciplina europea sui marchi di garanzia o di certificazione, in AI-
DA, 2017, I, 44-45.
236 Si tratta di un nuovo articolo aggiunto al Codice dal d. lgs. del 20 febbraio 2019, n. 15 di “Attuazione della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa nonché per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, recante modifica al regolamento sul marchio comunitario” (in vigore dal 23 marzo 2019). 237 Definizione dell’art. 27, lett. a, della dir. UE 2015/2436. La definizione riprende quella fornita per il mar- chio di certificazione dell’Unione all’art. 83 del reg. UE 2017/1001, ma presenta una differenza fondamentale dal momento che la direttiva non vieta che la certificazione possa avere ad oggetto la provenienza geografica del prodotto/servizio certificato (manca, infatti, l’inciso “a eccezione della provenienza geografica” riscontrabile solo all’art. 83 del reg. 2017/1001).
avviene per il marchio collettivo nazionale; si tratta di una scelta politica opposta a quella operata con riferimento al marchio di certificazione dell’Unione238.
L’approccio definitorio utilizzato dal legislatore europeo, e ripreso da quello italiano, presuppone l’attribuzione di funzioni diverse al marchio collettivo e di certificazione, non- ché differenti regole applicabili alle due categorie, in modo coerente con le rispettive carat- teristiche funzionali239. L’elemento comune ai due segni, che gli consente di essere even-
tualmente veicolo dell’origine geografica del prodotto, sta nella loro capacità di trasmettere un messaggio al consumatore: tale informazione deve aprioristicamente essere definita per mezzo della sua incorporazione nel regolamento d’uso, che viene allegato al momento della richiesta di registrazione all’autorità competente240. Nel nostro ordinamento la distinzione
tra marchio di certificazione e collettivo sarà ora legata anzitutto alla diversa legittimazione alla registrazione, che per i marchi collettivi è d’ora in poi riservata ai soli enti di diritto pubblico e a quelli costituiti in forma associativa, con esclusione delle società lucrative e so- prattutto con la codificazione del principio della “porta aperta”, che impone di consentire l’adesione all’associazione (e non solo l’uso del marchio) a tutti i produttori “i cui prodotti o servizi provengano dalla zona geografica in questione” e “soddisfino tutti i requisiti di cui al regolamento”. Anche in questo caso la nuova disciplina, se offre nuove opportunità, al con- tempo richiederà un’attenta revisione dei regolamenti vigenti e la verifica caso per caso del- la possibilità di mantenere un marchio collettivo o della necessità di trasformarlo in mar- chio di certificazione.
Come già sottolineato con riferimento ai marchi dell’Unione, la disciplina di questi segni è anche nel nostro c.p.i. essenzialmente privatistica: sul piano della tutela non sono, coerentemente, sottoposti a forme di controllo pubblico sulle caratteristiche indicate né sul- la attuazione del regolamento e quindi sull’effettiva sussistenza e permanenza delle qualità o caratteristiche promesse. Spetta al titolare provvedervi, nei termini del regolamento, ed as-
238 L’art. 28, par. 4 della dir. 2015/2436 prevede: “[…] gli Stati membri possono disporre che i segni o le indi- cazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi costituiscano marchi di garanzia o di certificazione”. Coerentemente, il legislatore italiano ha introdotto un’omologa dispo- sizione all’art. 11-bis, co. 4: “[…] un marchio di certificazione può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi” (enfasi aggiunta). 239 La scelta del legislatore italiano di introdurre un tertium genus di marchio (m. di certificazione) è molto im- portante. Così facendo è intervenuto sull’articolo 11 c.p.i. ridimensionandone l’ampia portata e riconducendo il marchio collettivo all’interno della definizione comunitaria. Inoltre, ciò consente di fornire un inquadramen- to sistematico e normativo ad una prassi ormai ampiamente diffusa, sia di evitare la creazione di uno scalino normativo difficilmente giustificabile tra diritto nazionale e diritto comunitario (che già prevedeva un’apposita sezione dedicata ai marchi di certificazione). G. OLIVIERI, Riflessioni a margine della nuova disciplina europea sui
marchi di garanzia o di certificazione, cit., 46.
240 Per il marchio collettivo: ex art. 11, co. 2 c.p.i. Così come per il marchio di certificazione: ex art. 11-bis, co. 2 c.p.i.
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sumere le opportune iniziative sanzionatorie legali (ad es. per uso decettivo) o contrattuali a pena, altrimenti, di decadenza dai diritti sul segno (art. 14, co. 2, lett. c) c.p.i.). Alcuni auto- ri241, di conseguenza, rilevano come il marchio collettivo e di certificazione potrebbero rap-
presentare, di fronte ad una alternativa secca fra un regime molto pervasivo come quello delle indicazioni geografiche e il semplice ricorso agli istituti di repressione della concor- renza sleale, un desiderabile livello intermedio di protezione dell’origine geografica.