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5. Marchi e indicazioni geografiche: la convivenza

5.4. Indicazioni geografiche semplici

Per completare la panoramica europea sull’istituto delle indicazioni geografiche, si rivela necessario fare un cenno al fenomeno delle indicazioni geografiche semplici.

Le stesse consentono di riflettere sulla natura del rapporto tra il sistema di tutela offerto dalla legislazione comunitaria a DOP e IGP e lo spazio di tutela che, eventualmente, viene riconosciuto ai regimi nazionali.

Con la locuzione “indicazione geografica semplice” si va, infatti, a delineare una categoria che ricomprende tutte le indicazioni geografiche non tutelate o non tutelabili dal diritto dell’Unione e ne deriva la necessità di interrogarsi circa la configurabilità di una loro prote- zione a livello nazionale, da parte degli Stati membri. In altre parole, si tratta di un tertitum

genus di indicazioni non contemplate dal regolamento, e quindi non registrabili a livello eu-

ropeo, in relazione alle quale si possono configurare essenzialmente due situazioni167.

La prima è quella dei segni che non possono essere DOP/IGP perché relativi a prodotti diversi da quelli cui i regolamenti comunitari si applicano oppure perché sono costituite da segni diversi dai “nomi” che possono essere registrati168: in questi casi la protezione nazio-

nale può ritenersi giustificata dall’esistenza di una qualità o di una reputazione derivanti dal territorio di origine169.

La seconda ipotesi è quella delle indicazioni geografiche semplici quali segni che si limitano ad esprimere la provenienza di un prodotto da un determinato territorio, senza che da tale provenienza discendano particolari caratteristiche o qualità del prodotto stesso. In tali fatti- specie, l’indicazione geografica manca del requisito fondamentale per configurare una DOP

167 G. E. SIRONI, Conflitti tra marchi e indicazioni comunitarie di qualità (DOP, IGP, STG), cit., 232.

168 Si pensi alle c.d. denominazioni o indicazioni indirette/tradizionali, ossia segni che, pur non essendo topo- nimi, sono collegati nella mente del pubblico ad una determinata località. Come si è accennato supra, non so- no più registrabili come DOP/IGP dal 2004.

169 G. E. SIRONI, ibidem, 233. Cfr. D. SARTI, Commento al regolamento CE 510/2006 sulla protezione comunitaria

delle denominazioni d'origine e indicazioni geografiche, in Proprietà intellettuale e concorrenza, Padova, 2007, 1036; F. CA-

PELLI, La sentenza Warsteiner in materia di denominazioni di origine: un contributo alla soluzione di un equivoco, in Diritto

o IGP, ma non può nemmeno assurgere a marchio individuale per il divieto imposto dal di- ritto comunitario con riferimento al marchio individuale geografico. In un’ottica di preoc- cupazioni antimonopolistiche, si segnala che, con quest’ultima considerazione, si evita che vengano registrati come marchi dei segni che potrebbero, in un secondo momento, acquisi- re le caratteristiche di una DOP e IGP.

Tale indicazione può solo significare che il prodotto è stato ottenuto nel territorio cono- sciuto con quel nome: unica condizione per l’apposizione del segno è quella della veridici- tà170. Inizialmente, si era dubitato che il sistema comunitario consentisse una simile possibi-

lità171, ritenendo che la disciplina comunitaria sull’origine dei prodotti agroalimentari potes- se essere segnalata unicamente attraverso le norme su DOP e IGP.

Invece, la Corte di Giustizia ha avuto più volte la possibilità di esprimersi sul punto ricono- scendo che le denominazioni prive di registrazione comunitaria possano essere tutelate da una disposizione nazionale nel caso di prodotti per i quali non esiste un nesso particolare tra origine e caratteristiche, a condizione che l’applicazione di siffatta disciplina non com- prometta gli obiettivi perseguiti dalle norme UE sulla tutela di DOP e IGP e non sia in contrasto con la libera circolazione delle merci172.

Sin da prima dell’entrata in vigore del primo regolamento in materia, n. 2081/92, nel caso

Exportur173 la Corte riconosce la necessità di tutelare simili indicazioni, riconoscendo che

possono “godere di una grande reputazione presso i consumatori e costituire per i produttori un mezzo

essenziale per costituirsi una clientela”174. Soprattutto, in assenza di una tutela comunitaria, rico-

170 A. GERMANO’, Manuale di diritto Agrario, Torino, VIII ed., 2016, 230-231.

171 La Commissione stessa, soprattutto nei primi anni di vigenza del regolamento 2081/92, si era espressa nel senso di non ammettere protezioni ulteriori rispetto a quelle del regolamento. Si veda in tal senso F. CAPEL- LI, La sentenza Wairsteiner, cit., 290-291. Inoltre, alcuni autori segnalano come la durevole prassi della Com- missione (poi “travolta” dalla Corte di Giustizia) si è formata a far data dalla direttiva 70/50 del 22 dicembre 1969, la quale vieta, appunto, “le misure che favoriscono i prodotti nazionali o accordano loro una preferen- za” (art. 2) che finiscano con il costituire una misura avente effetto equivalente alle restrizioni quantitative vie- tate dall’art. 34 del TFUE. In particolare, rientrano in tale categoria le misure che “riservano al soli prodotti nazionali denominazioni che non costituiscono né denominazioni di origine né indicazioni di provenienza” (art. 2.3, lett. s). Vedi A. GERMANO’, E. ROOK BASILE, Diritto agrario, in (a cura di) G. AJANI, G. A. BENACCHIO, Trattato di diritto privato dell’Unione europea, Torino, 2006, 282.

172 F. PRETE, La protezione nazionale delle indicazioni geografiche semplici. La saga del Salame Felino: ultimo atto, in Riv.

Dir. Alim., aprile-giugno 2014, fasc. 2, 30-43.

173 Corte di Giustizia 10 novembre 1992, Exportur Sa c. Lor Sa e Confiserie du Tech Sa, causa C-3/91 (in partico- lare, punto 11).

174 Punto 28 della sentenza Exportur: “La posizione assunta dalla Commissione, che concorda con quella difesa dalla

LOR e dalla Confiserie du Tech, va disattesa. Essa si risolverebbe infatti nel privare di qualsiasi tutela le denominazioni geogra- fiche che siano usate per dei prodotti per i quali non si può dimostrare che debbano un sapore particolare ad un determinato terre- no e che non siano stati ottenuti secondo requisiti di qualità e norme di fabbricazione stabiliti da un atto delle pubbliche autorità, denominazioni comunemente chiamate indicazioni di provenienza. Queste denominazioni possono ciò nondimeno godere di una grande reputazione presso i consumatori e costituire per i produttori, stabiliti nei luoghi che esse designano, un mezzo essenziale per costituirsi una clientela. Esse devono quindi essere tutelate.”

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nosce che possa essere accordata alle stesse una tutela nazionale senza cadere in contrasto con la libera circolazione delle merci, poiché proteggere simili denominazioni “mira a garan-

tire la lealtà della concorrenza” e, dunque, “può essere considerato compreso nella salvaguardia della pro- prietà industriale e commerciale”175. In virtù di tale appartenenza, la protezione delle indicazioni geografiche semplici consente di derogare alle disposizioni in materia di libera circolazione delle merci, in quanto eccezione prevista dall’art. 36 del Trattato CEE (ora art. 36 del TFUE).

Anche nella pronuncia Warsteiner176, la Corte afferma la compatibilità con il diritto comuni-

tario di norme nazionali che assicurino la protezione delle indicazioni geografiche al di fuo- ri dei casi contemplati dal regolamento comunitario177.

Coerentemente, negli anni seguenti la Corte si è pronunciata due volte sul caso della birra

Bud178. In primo luogo, la Corte ha confermato la questione inerente all’ammissibilità della

tutela delle indicazioni geografiche semplici a livello nazionale, anche se, nel caso di specie, si estendeva oltre il rischio di inganno179. La protezione di queste indicazioni viene ritenuta,

nuovamente, non in contrasto con il principio di libera circolazione delle merci perché giu- stificato da ragioni di tutela della proprietà industriale e commerciale180.

Oltre a ciò, nella sentenza Bud II la Corte prende posizione su un punto particolarmente importante nella definizione delle DOP e IGP (c.d. indicazioni geografiche qualificate). Nella citata sentenza, infatti, si afferma la natura “esaustiva” della disciplina dettata dai re- golamenti comunitari, introdotta, appunto, con lo scopo di sostituire i precedenti analoghi istituti nazionali, integrando le procedure decisionali nazionali e comunitarie in un unico strumento181. Solo attraverso i mezzi predisposti dall’Unione si può dunque esprimere il le-

175 Punto 37 della sentenza Exportur.

176 Corte di Giustizia 7 novembre 2000, Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV. Warsteiner Brauerei Haus

Cramer GmbH & Co. KG, causa C-312/98.

177 Punto 54 della sentenza Warsteiner: “il regolamento n. 2081/92 non osta a una normativa nazionale che proibisca

l'uso ingannevole di una indicazione di origine geografica che non implica nessun rapporto tra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica”.

178 Corte di Giustizia 18 novembre 2003, Budejovický Budvar, národní podnik c. Rudolf Ammersin GmbH (detta “Bud I”), causa C-216/01 e Corte di Giustizia 8 settembre 2009, Budejovický Budvar, národní podnik c. Rudolf

Ammersin GmbH (detta “Bud II”), causa C-478/07.

179 Punto 78 della sentenza Bud I: “Il regolamento n. 2081/92 non osta all'applicazione di una disposizione di un trattato

bilaterale, concluso tra uno Stato membro ed uno Stato terzo, che attribuisce ad un'indicazione di origine geografica semplice e indiretta del detto paese terzo una

tutela nello Stato membro importatore che è indipendente da qualsiasi rischio d'inganno e consente di impedire l'importazione di un prodotto regolarmente commercializzato in un altro Stato membro.”

180 Punti 99-102 della sentenza Bud I e punti 77-85 della sentenza Bud II.

181 Punti 114-129 della sentenza Bud II, dove la Corte elenca gli elementi che fanno comprendere come il legi- slatore abbia inteso imprimere una natura esauriente al regolamento, che non lascia spazio per diversi regimi nazionali sulle indicazioni geografiche qualificate.

game qualitativo essenziale con la zona d’origine, così come rappresentato dalle DOP e IGP.

Non sono mancate le voci critiche182 ad una siffatta presa di posizione, le quali portano a

concludere che, tanto sotto il profilo formale quanto sotto quello sostanziale, gli Stati membri non hanno mai rinunciato alla propria competenza in materia e per questo vari au- tori auspicavano che il legislatore del reg. 1151/2012 chiarisse definitivamente il punto con- troverso.

Nel più recente regolamento, invece, permane un’incertezza sulla questione della ripartizio- ne della competenza tra Unione e Stati membri.

Infatti, nonostante la posizione della Corte, il regolamento non è fondato su norme che at- tribuiscano all’Unione una competenza esclusiva in materia di indicazioni geografiche: sono infatti richiamati gli artt. 43183 in materia di politica agricola e l’art. 118, primo comma184, in

relazione alla creazione di titoli di privativa europea. Si tratta, in entrambi i casi, di una at- tribuzione all’Unione di una competenza “concorrente”, ovverosia come materia per la quale esistono due livelli di governo (nazionale ed europeo) con eguali possibilità di inter- venti normativi e per la quale vige il principio di sussidiarietà. L’Unione ha dunque predi- sposto degli strumenti che consentono di tutelare i diritti di proprietà intellettuale in tutti gli Stati membri, ma non significa (sottolineano alcuni autori185) che gli Stati membri vengano espropriati del loro potere di tutelare i diritti di proprietà intellettuale mediante la propria normativa interna, nel rispetto, chiaramente, del principio della prevalenza del diritto co- munitario.

Se la registrazione in sede comunitaria è l’unica in grado di garantire la tutela della denomi- nazione protetta all’interno di tutto il territorio del mercato unico, una parte della dottrina italiana continua ad interrogarsi circa la configurabilità di una coesistenza con un alternativo regime nazionale, che abbia appunto efficacia solo all’interno dello Stato in questione. Que- sta esigenza sembrerebbe nascere dalla sovrabbondanza di DOP/IGP, registrate a livello europeo, dovuta all’affermarsi di una competenza esclusiva dell’Unione e che conduce ad

182 Cfr. V. RUBINO, Indicazioni geografiche indirette e denominazioni di origine dei prodotti alimentari nella sentenza BUD

II, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2010, 225; F. CAPELLI, Il Regolamento (UE) n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agro-alimentari: luci e ombre, in Riv. Dir. Alim., gennaio-marzo 2014, fasc. 1, 52-60.

183 L’art. 4 TFUE precisa che “agricoltura e pesca” rientrano tra le competenze concorrenti spettanti all’Unione.

184 L’art. 118 TFUE, abbiamo già accennato alla nota (77), costituisce la base giuridica anche per la disciplina comunitaria del marchio UE. In questo settore l’Unione disciplina direttamente il marchio europeo attraverso il reg. UE 2017/1001 che coesiste con i sistemi dei marchi nazionali armonizzati dalla direttiva sui marchi commerciali (direttiva UE 2015/2436 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa).

185 Tra cui F. CAPELLI, Il Regolamento (UE) n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agro-alimentari: luci ed

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un rischio di banalizzazione del messaggio veicolato da tali strumenti186.

In un simile contesto si inserisce la sentenza resa in data 8 maggio 2014, nella causa C- 35/13 (sul “Salame Felino”), dove la Corte di Giustizia dell’Unione europea è tornata a pro- nunciarsi sul tema dell’interrelazione tra il sistema di tutela stabilito a livello comunitario e i sistemi nazionali.

La Corte ribadisce, per un verso, la natura esauriente del sistema di tutela comunitario e, tuttavia, ammette entro certi limiti la possibilità che le indicazioni geografiche non registrate in sede europea possano costituire oggetto di tutela a livello nazionale187. In particolare,

configura la possibilità di tutelare a livello nazionale Ig astrattamente rientrabili nel campo di applicazione del regolamento europeo, ma che non siano state iscritte nel registro comu- nitario: purché si applichi il regime di tutela previsto per le indicazioni semplici188. Ciò è

possibile nel rispetto di due condizioni189: (i) la tutela apprestata non deve compromettere gli obiettivi del regolamento comunitario e (ii) non deve essere in contrasto con il principio di libera circolazione delle merci.

Astrattamente tali indicazioni configurano una misura di effetto equivalente a una restrizio- ne quantitativa alla libera circolazione, ma potrà ammettersi se giustificata da esigenze im- perative di interesse generale attinenti in particolare alla tutela della leale concorrenza tra le imprese ovvero alla tutela dei consumatori, richiamando in proposito le condizioni che, se- condo il consolidato orientamento della stessa Corte, rendono legittimo il ricorso alla clau- sola dell’interesse generale190. Qui la Corte, invece che ricorrere alla eccezione costituita da motivi attinenti alla proprietà intellettuale (art. 36 TFUE), ricorre alla clausola dell’interesse generale, la quale era stata richiamata, in precedenza191, relativamente alla ipotesi concernen-

te quelle denominazioni che non designano, né direttamente, né indirettamente, alcuna zo-

186 Crf. F. CAPELLI, La Corte di giustizia, in via interpretativa, attribuisce all’Unione europea una competenza esclusiva in

materia di riconoscimento delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche…, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, Napoli, 2010, vol. 49, 401-455.

187 Punto 28 della sentenza Salame Felino: “Per quanto riguarda, quindi, il regime da applicare sul mercato di uno Stato

membro, dalla giurisprudenza risulta che, benché il regolamento n. 2081/92 abbia lo scopo di prevedere un sistema di tutela uniforme ed esauriente, detta esclusività non osta, tuttavia, a che si applichi un regime di protezione delle denominazioni geografi- che il quale si colloca al di fuori del suo ambito di applicazione.”

188 Punto 31 della sentenza Salame Felino: “Pertanto, il regime di protezione che può applicarsi, eventualmente, sul mercato

di uno Stato membro, a una denominazione geografica priva di registrazione comunitaria è quello previsto per le denominazioni geografiche concernenti i prodotti per i quali non esiste un nesso particolare tra le loro caratteristiche e la loro origine geografica.”

189 Punto 33 della sentenza Salame Felino.

190 Punto 37 della sentenza Salame Felino: “Benché una restrizione del genere possa essere giustificata da un’esigenza impe-

rativa di interesse generale di protezione della leale concorrenza o da quella della tutela dei consumatori, una data disciplina na- zionale, per risultare compatibile con il diritto dell’Unione, deve applicarsi in modo non discriminatorio, essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non eccedere quanto necessario per il raggiungimento dello stesso.”

na geografica particolare. In sostanza, il carattere esclusivo del sistema di protezione comu- nitario comporta un divieto di tutelare come diritti di proprietà industriale indicazioni geo- grafiche che, pur essendo astrattamente riconducibili all’ambito di applicazione del regola- mento di base, non siano state registrate in sede europea.

L’esplicita presa di posizione sul punto da parte della Corte appare particolarmente impor- tante nella misura in cui contribuisce a rendere più chiaro il quadro giuridico di riferimento, senza però, è dato ritenere, chiudere il dibattito una volta per tutte, specialmente per quanto concerne le modalità attraverso le quali tali indicazioni possono in concreto trovare prote- zione nei singoli ordinamenti nazionali192.