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Il millenarismo nella rivoluzione inglese: i quintomonarchisti

In un'epoca come la nostra, caratterizzata da una diffusa secolariz-zazione, certe manilestazioni sporadiche alle quali, nelle società industria-lizzate, sembra ormai ridotto il millenarismo, appaiono spesso come una sorta di paccottiglia risibile, buona tutt'al più per un catalogo di curio-sità, assieme ai mostri lacustri e alle varie madonnine che piangono. L'uomo-sandwich, che mitemente passeggia avanti e indietro nei din-torni di Piccadilly Circus, mostrando tra l'indifferenza generale la scritta « Repent. Christ is alive », non riesce a comunicare alcun messaggio de-cifrabile: il suo è un appello che cade nel vuoto. Quest'uomo, ormai, fa parte per chiunque del folklore locale, assieme ai saltimbanchi che im-provvisano scenette in mezzo al traffico londinese: il suo posto è quello che la nostra società assegna ai « diversi », la clinica psichiatrica dalla quale, con ogni probabilità, è appena uscito e in cui, altrettanto presu-mibilmente, farà presto o tardi ritorno. Ma c'è comunque un senso di fastidio, lo stesso che ci coglie quando c'imbattiamo nella letteratura di certi movimenti paracristiani che pongono l'imminenza della fine dei tempi al centro del proprio messaggio, suffragandone l'evidenza attra-verso tutta una serie di « prove » e di calcoli tanto più assurdi, quanto più « scientifici » e complicati.

Il millenarismo, tuttavia, è un fenomeno che ha un ben più ampio respiro e, in questa luce, è giustificato l'interesse che ad esso è stato de-dicato dagli studi storici, particolarmente notevoli in opere, articoli e saggi apparsi negli ultimi anni, per lo più in ambiente anglosassone.

Il termine stesso, tra l'altro, è andato man mano acquistando signifi-cati più vasti, fino a coinvolgere, forse in un'accezione troppo compren-siva, ogni concezione di una futura età dell'oro, di uno stato perfetto

considerato realizzabile h Non è necessario condividere l'ampiezza di questo « taglio » d'indagine, ma è indubbio che il movimento di cui si occupa questo studio, forse maggiormente che altre correnti millenari-stiche, richiede una forte attenzione all'ambiente socio-economico e agli eventi politici del periodo entro il quale si manifesta. Questo appare tanto più evidente quando si consideri proprio questa cornice storica: quel secolo XVII lacerato in tutta Europa da guerre e rivoluzioni che, in Inghilterra in particolare, non costituiscono solo il terreno di uno scon-tro tra le classi dominanti per il conscon-trollo dello Stato, ma vedono anche l'intervento e la partecipazione in prima persona — sui campi di batta-glia prima, nei dibattiti politici e nella ricerca di nuovi assetti istituzio-nali poi — di larghe rappresentanze dei ceti subalterni, finora esclusi dal-l'esercizio anche delegato di ogni forma di potere.

Perché tuttavia sottolineare il ruolo del millenarismo, negando che i millenaristi siano tout court quei pazzi fanatici, relitti tutt'al più di epo-che passate da collocare in un manicomio della storia? È noto, in primo luogo, quale groviglio di motivi religiosi e di interessi materiali fosse alla base dei contrasti che solo nel 1642 sfoceranno in aperto conflitto tra corona e parlamento inglesi. Ogni indagine volta a cogliere i diversi aspetti dei due versanti, nonché i collegamenti esistenti tra di essi, non può che contribuire ad una migliore e più globale comprensione del pe-riodo. Equivoca appare comunque ogni rigida distinzione tra ciò che è razionale e ciò che non lo sarebbe, perché queste due categorie, tanto legate ad una concezione della scienza affermatasi solo negli ultimi due secoli, condurrebbero inevitabilmente a rifiutare in buona parte proprio quel secolo XVII che ci interessa. Mai la storia è stata un processo esclu-sivamente razionale e l'Inghilterra del '600, che per tanti versi anticipa i « lumi » settecenteschi, è illuminata, sì, ma anche da ben altri bagliori: quelli dei roghi delle streghe, per esempio. In questo senso, quindi, il millenarismo non è un fenomeno deviante rispetto ad un presunto nor-male corso della storia; è solo uno degli aspetti, piuttosto rilevante, di una società che è profondamente certa della costanza e della normalità dell'intervento soprannaturale negli eventi umani. Questa convinzione, comune ad ogni ceto sociale pur tra le inevitabili differenze, ha bisogno di trovare delle articolazioni, perché se Dio — e il Diavolo — sono al-l'opera nella storia, questa storia deve avere un senso, ci deve essere un piano divino nel quale possano rientrare tutti gli avvenimenti, sia che

in-1. S. L. THRUPP (ed.), Millennial dreams in action, « Comparative studies in society and history », supplement II, The Hague, 1962.

i q u i n t o m o n a r c h i s t i 63 teressino il piano individuale, sia ogni altro piano in cui venga ad essere coinvolta l'intera società.

Quando l'esistenza dell'individuo, resa dura e penosa da condizioni materiali che possiamo solo immaginare, è scandita da un quotidiano che decreta, apparentemente a caso, successi o fallimenti, e la stessa società, tra carestie, guerre e pestilenze, vive una dimensione del tragico che tan-to è più difficile sopportare quantan-to non trova spiegazioni, le risposte non si possono che cercare là dove sembrano disponibili. Uno strumento c'è, infatti, ed è la Bibbia. La parola di Dio non è solo un appello, né tan-tomeno un ricettario di precetti morali: da essa si può ricavare una vi-sione del mondo. I libri profetici e, naturalmente, VApocalisse, con i loro passi oscuri, ma anche con la loro forte carica emotiva, chiariscono infatti il senso della storia: il mondo è il teatro della lotta tra Dio e Satana, tra il Cristo e l'Anticristo. Rimane il problema di trovare la chiave che riveli appieno il piano di Dio, ma questo non è nuovo per la cristianità; nuovi sono semmai i mezzi con cui nell'Inghilterra del secolo XVII ci si accinge all'opera o l'entusiasmo che in essa si pone. Riforma protestante e orgo-glio nazionalistico, letteralismo biblico e dottrina calvinista dell'elezione vengono così a fondersi in una sintesi che è spesso ingenua e assai poco organica, ma che sta comunque alla base del millenarismo inglese. Que-sto, fra l'altro, non è affatto unitario e il quintomonarchismo, di cui si occupa questo lavoro, ne costituisce solo una parte. Ma i quintomonar-chisti ebbero un ruolo abbastanza singolare all'interno di tutte quelle correnti che con essi condividevano la certezza di un imminente inizio del regno di Dio. Il loro millenarismo fu infatti militante, e radicale in loro l'affermazione che il millennio, èra di giustizia e di pace, non an-dasse pazientemente atteso, ma che ai santi, agli eletti, fosse demandato il diritto-dovere di avvicinarlo, di renderlo visibile, attraverso la lotta, fosse questa politica o armata, contro ogni tipo di istituzioni esistenti e di autorità costituite. Essi, che nelle guerre civili « forgiarono la loro causa col fuoco e con mari di sangue » 2, formularono anche programmi politici, sociali, economici e, per una breve stagione, nel 1653, ebbero reale potere all'interno dell'establishment inglese, tanto che la loro suc-cessiva sconfitta ed emarginazione non fu certo dovuta al loro millenari-smo, quanto alla traduzione che di questo facevano nell'agire civile. Se quindi il momento cruciale di questo tipo di millenarismo cade negli anni della rivoluzione che spazza via istituzioni politiche, assetti di potere e « vie medie » ecclesiastiche, non è possibile limitarsi ad affermare

l'esi-2. ANON., The cause of God and of these nations..., London, 1659 (pref.),

stenza di diffuse aspettative messianiche precedenti, senza esaminarne più da vicino il ruolo e la consistenza; gli stessi quintomonarchisti sottoli-neranno sovente il debito e il filo che li unisce a dei genitori che, po-tendo, avrebbero rinnegato ogni legame di parentela con una progenie così turbolenta.

Il millenarismo prerivoluzionario.

L'attesa di una Quinta Monarchia in cui Cristo avrebbe regnato in compagnia dei suoi santi « d'eternità in eternità » deriva dalla lettura del libro di Daniele che, fra l'altro, mostra notevoli rassomiglianze con alcune parti dell 'Apocalisse 3. L'identificazione dei quattro regni rispet-tivamente con gli imperi assiro-babilonese, medo-persiano, greco-mace-done e romano si deve a S. Girolamo e troverà autorevoli assertori quali S. Giustino Martire, Tertulliano ed Ireneo 4.

Ad ogni modo, anche il filone danielico del millenarismo, assieme alla spinosa dottrina nel suo complesso, era stata racchiusa fin dal quinto se-colo nella gabbia dorata delle disquisizioni teologiche che la Chiesa ri-servava unicamente ad un clero privilegiato, al quale, assieme alla let-tura della Sacra Scritlet-tura, era affidato il monopolio esclusivo dell'inter-pretazione. Il secondo avvento di Cristo, che pure era stato descritto co-me imminente dai primi padri, e lo stesso Regno di Dio, visto spesso così in concreto, erano andati man mano sfumandosi nell'insegnamento uf-ficiale della Chiesa, fino ad assumere una fisionomia solo spirituale e, in ultima analisi, assai edulcorata. Le preoccupazioni della Chiesa non erano infondate, e questa politica di contenimento voleva intiepidire in primo luogo le aspettative, non sempre pacifiche, di masse cristianizzate che erano portate facilmente a vedere nel materiale compimento delle profe-zie un riferimento fin troppo esplicito ad un diffuso stato di ingiustizia e di subordinazione dal quale Dio, qui e fra poco, le avrebbe liberate. Se a volte l'ansia di riscatto e le attese di moltitudini di diseredati pos-sono venire incanalate, volgendone i contenuti negatori e violenti verso obbiettivi indicati dalle istituzioni stesse — gli appelli alla liberazione del Santo Sepolcro — più spesso, anche in connessione alle crisi ricor-renti, la vena clandestina del millenarismo tende ad uscire allo scoperto e a travolgere gli argini che la Chiesa cerca di imporre; tutto il tardo Medioevo ribolle di fermenti sociali e religiosi che le strutture feudali

3. Cfr. Daniele, cap. 7, e Apocalisse, cap. 20.

4 . S. J. C A S E , The millennial hope, Chicago, 1 9 1 8 ; R . F U L O P - M I L L E R , Leaders, dreamers and rehels, London, 1935.

i q u i n t o m o n a r c h i s t i 65 in disfacimento riescono con difficoltà a controllare, ma non a placare: da Valdo a Wyclif e Hus, da fra Dolcino ai Taboriti, da Gioachino da Fiore alle frequenti sollevazioni di plebi rurali infiammate dai messag-geri della Nuova Gerusalemme 5. Con grande allarme delle classi domi-nanti, inoltre, la configurazione del regno messianico che Cristo avrebbe inaugurato si tingeva volentieri di richiami a età precedenti in cui, testi-mone la Bibbia, esisteva la comunanza dei beni.

È un motivo, questo, che anche in Inghilterra, per tornare all'am-bito più proprio a questo studio, è piuttosto comune. Predicatori, peral-tro ortodossi, citano S. Ambrogio a questo proposito, e ne parla John Wyclif (1330-1384), anche se una volta sola e per di più in latino, nel suo De civili dominio, composto ad Oxford nel 1374. Ma già prima, agli inizi del secolo xiv, ne aveva scritto Henry Parker, un carmelitano il cui Dialogue of Dives and Pauper ebbe parecchie edizioni fra il 1493 e il 1536: « Dice la sacra Scrittura che nel principio della santa Chiesa tutte le cose erano comuni alla moltitudine dei cristiani, non solo agli apo-stoli; ma a tutti i cristiani... » 6.

La Chiesa stessa, d'altronde, pur con intenti niente affatto rivoluzio-nari, ed anzi opposti, faceva del ricco l'oggetto dell'ira divina, anche se il giudizio e la condanna venivano lasciati all'astoricità del giorno del giu-dizio; e i poveri, infatti, i contadini separati violentemente dalla terra, le plebi cittadine escluse dalle gilde, i soldati e i disertori di tante guerre, gli emarginati e i vagabondi perennemente sull'orlo della morte per fa-me, non sono sempre disposti alla paziente attesa di una giustizia che sarà resa loro solo nell'aldilà.

Ma il medioevo è ormai in agonia, sotto la spinta di forze economiche e politiche in sempre più rapida ascesa, che necessitano di spazi meno ri-gidi ed angusti di quelli feudali; uno dei vuoti lo riempie la Riforma, ma questa non è cattolica. In altri termini, la Chiesa, che sta infatti per-dendo la propria presa sulla società civile, non riesce più a dirigere e ad assorbire il dissenso, risolvendo ogni contraddizione al proprio interno; né tantomeno è più possibile circoscrivere l'epidemia e venire a capo dei ribelli con la forza. La Riforma è quindi rottura del corpo cristiano, che viene vissuta traumaticamente non solo dalle coscienze dei riformatori,

5. Cfr., tra la numerosa bibliografìa esistente, specialmente N. COHN, The

pur-suit of the millennium, London, 1957; 2a ediz., 1970 (trad. ital. I fanatici

dell'Apo-calisse, Milano, 1965); M. E . R E E V E S , The influence of prophecy in the latter Middle Ages, London, 1969.

6 . W . H . G . ARMYTAGE, Heavens beloiv: utopian experiments in England, 1560-1960, London, 1 9 6 2 , p. 4; N. COHN, The pursuit of the millennium, op. cit., p. 200.

5-ma tanto più profondamente da una società che ha scoperto nuovi mondi, ma che farà pagare ai propri membri un prezzo assai duro nella ricerca di nuovi equilibri.

I n Inghilterra la Riforma di Enrico V i l i è un atto di alchimia poli-tica che rivela il disegno moderato di mantenere uno stretto controllo sul processo avviato con la separazione da Roma, evitando ogni brusco sob-balzo. Il piano, però, si rivela insufficiente: se il re intende mantenere la Riforma in un alveo asettico, impiccando ogni volta che occorra cattolici o protestanti indifferentemente, gentry e borghesia, che hanno benefi-ciato della confisca delle terre ecclesiastiche, andranno sempre maggior-mente identificando i propri interessi con la causa protestante, mentre il volto economico della nazione subisce profonde e durevoli trasforma-zioni. Su un piano parallelo avviene la riscoperta della Bibbia da parte di umanisti e riformatori, ai quali la stampa offre ora la possibilità della diffusione delle traduzioni in volgare ben oltre il cerchio limitato del chiostro, appagando le aspettative di masse popolari sulle quali la pre-dicazione dei lollardi ha lasciato una traccia profonda e che sono disposte a passare le notti a leggere e a discutere la Scrittura. La lettura della Bib-bia, comunque, non è sempre indifferenziata, e anzi sono proprio Danie-le e l'Apocalisse che attirano spesso l'attenzione dei protestanti, anche inglesi, che hanno ereditato dagli umanisti, con l'interesse per il greco e l'ebraico, anche quello per la filologia. Alla parola di Dio non si chie-dono solo delle risposte a bisogni individuali, ma in essa si ricercano pa-zientemente i significati degli avvenimenti che stanno sconvolgendo la società. Se si è distrutto, bisogna anche ricostruire; se l'apparato feudale sta crollando in frantumi assieme alle sue collaudate certezze, è necessa-rio fornire nuovi valori ad un mondo che altrimenti sarebbe completa-mente smarrito. C'è indubbiacompleta-mente un'ansia di legittimazione, nella ri-lettura di certe parti della Bibbia, ma identificare il papa di Roma e l'isti-tuto papale con l'Anticristo, cosa di per sé non nuova, anche se ora la convinzione ha una diffusione mai vista, è qualcosa di più di un semplice espediente propagandistico. Nella Bibbia, il termine « Anticristo » com-pare solo nell'epistola di Giovanni, ma altrove, sotto altri attributi, ap-paiono delle figure che sono simili e che lentamente diventano suoi sino-mini. L'« uomo del peccato », il « figliolo della perdizione » nella I I let-tera ai Tessalonicesi, la Bestia dell'Apocalisse, le bestie mostruose do-tate di corna del libro di Daniele sono tutte raffigurazioni non già di un concetto, ma di un'entità visibile, che ha caratteristiche precise e che svolge delle funzioni. L'Anticristo non è solo il Nemico per eccellenza,

i q u i n t o m o n a r c h i s t i 67 ma è anche colui che è dotato di potere politico 7, l'usurpatore che si po-ne al di sopra di Dio « fino al punto di porsi a sedere po-nel tempio... mo-strando se stesso e dicendo che egli è Dio » 8; davanti a lui, che oppri-merà i santi, si prostreranno re e imperatori, e la sua apparizione, ac-compagnata da avvenimenti terribili, sarà solo effimera, ma costituirà uno dei segni dell'imminenza di quel regno millenario in cui Cristo regnerà con i suoi santi. Quest'ultima parte è anche più rilevante dell'identifi-cazione specifica dell'Anticristo, perché, se costui è all'opera, il mondo ha i giorni contati, le profezie si stanno compiendo, come testimoniano le divisioni, il disordine, la crisi materiale e spirituale di questo secolo, che pare non avere alcun precedente storico. È appunto questa mancanza di riferimenti che diviene insopportabile; e sono solo le profezie a ga-rantire che la presenza di Dio non è mai venuta meno e che la storia è magari imperscrutabile, ma fa parte di un piano divino che avrà un giu-sto compimento. Ma l'uomo ha un ruolo in quegiu-sto piano di Dio e il pro-blema, d'ora innanzi, sarà di interpretare la volontà del Creatore per agire nel mondo.

Su scala europea il millenarismo segue due rotte divergenti, che se-gnano d'altronde il confine tra l'ala radicale e l'ala moderata della Ri-forma: a Lutero interessa maggiormente sottolineare la polemica con Ro-ma, e il suo millenarismo, sempre piuttosto cauto, è principalmente in funzione antipapale; Thomas Miintzer (c. 1490-1525) e i carismatici del-la Nuova Gerusalemme di Munster in Westphalia sono invece gli espo-nenti di un millenarismo bellicoso, che affronta radicalmente i problemi della società civile.

In Inghilterra gli echi di Munster arrivano piuttosto affievoliti, men-tre invece la polemica antiromana è in pieno svolgimento. Come nelle zone della Germania in cui il luteranesimo è subito diventato religione di Stato, anche qui prima esigenza è quella della legittimazione, e una lettura moderata delle profezie rassicura del proprio buon diritto e dà nuova rispettabilità a delle dottrine un tempo considerate patrimonio esclusivo delle eresie. Assai rapidamente il diritto di cittadinanza di que-sto millenarismo è pienamente acquisito all'interno delle più alte gerar-chie ecclesiastiche inglesi e da queste diffuso in tutto il paese. N e sono ad esempio esponenti i tre futuri martiri della repressione mariana, i vescovi Hugh Latimer (1485-1555), John Hooper (P-1555) e Nicolas Rydley (P-1555). D'altronde la strada era già stata preparata da William Tyndale (P-1536) e Miles Coverdale (1488-1568), i due « eretici »

tra-7. Cfr. Daniele, cap. 7, vv. 23-28.

duttori della Bibbia, già irriducibili assertori del binomio papa-Anticristo. Esistono poi numerose traduzioni di commentari sia luterani che calvi-nisti, dovuti all'opera di coloro che avevano dovuto abbandonare l'In-ghilterra per le persecuzioni di Enrico V i l i prima e di Maria in seguito. George Joye pubblica a Ginevra nel 1545 The Exposicion of Daniel the Prophete, gathered oute of P. Melanchton, J. Ecolampadius..., che è ap-punto una traduzione degli scritti dei due riformatori; del luterano An-dreas Osiander (1498-1552) lo stesso Joye traduce anche, sempre negli anni '40, il trattato Coniecturae de ultimis temporibus, che era apparso nel 1544.

Di Martin Butzer (1491-1551), il riformatore di Strasburgo rifugia-tosi nel 1549 a Cambridge, viene ivi pubblicato postumo nel 1557 il De regno Christi, che contiene un appello a Edoardo V I perché si sot-toponga al volere divino: dovere dei sovrani è non solo promuovere nei propri sudditi l'obbedienza agli insegnamenti cristiani, ma vigilare e con-trollare l'operato del clero, che l'autore vede subordinato di fatto al po-tere civile, prendendo evidentemente atto della situazione inglese. Anche nel De regno Christi la Chiesa cattolica è irrimediabilmente perduta ed è il regno dell'Anticristo 9.

Passata la breve bufera del regno di Maria la Sanguinaria, un altro importante sviluppo avviene col ritorno dei cosiddetti Marian exiles, e tutto il regno di Elisabetta è segnato da innumerevoli opere che procla-mano il compiersi delle profezie e l'avvicinarsi del millennio. In que-st'epoca si compie quella saldatura tra aspettative messianiche e naziona-lismo, che darà ai puritani inglesi quel senso così forte di una missione divina da portare a compimento. Opera di eccezionale rilevanza a questo proposito è il libro di John Foxe (1516-1587), colui che diventerà il più noto dei rimpatriati dopo l'esilio. Intitolato The actes and monu-ments of these latter and perilous dayes, ma più conosciuto come The hook of martyrs, questo libro, che vede la luce nel 1563 a Londra in edi-zione integrale, godrà di una popolarità e di una diffusione inferiori forse solo alla Bibbia. Generazioni di protestanti vengono così preparati a mar-ciare idealmente e materialmente contro le orde dell'Anticristo da un'o-pera che non è millenaristica in senso stretto, ma che, esaltando negli eretici medioevali i « veri cristiani », affida agli Inglesi da Wyclif in poi,

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