• Non ci sono risultati.

Teorie dell'inflazione e distribuzione del reddito

Introduzione.

Questo lavoro alimenta, come direbbe Machlup, l'inflazione galop-pante di scritti sull'inflazione strisciante, ma riteniamo nonostante ciò di poter essere giustificati in considerazione del fatto che a fronte di un intensificarsi dei problemi inflazionistici negli anni più recenti, la teoria dell'inflazione non ha compiuto la necessaria opera di chiarificazione delle cause del fenomeno, limitandosi ad accettare un quadro analitico in larga parte insoddisfacente. Per avere un riscontro di ciò, basta osservare i due filoni lungo i quali si è mosso il dibattito nel corso degli anni ses-santa. Da una parte il dilemma cost-push o demand-pull che troppo in-fluenzato dalle politiche a disposizione dei governi per frenare la crescita del livello dei prezzi \ non si è curato nemmeno di distinguere fra le cause dell'inflazione e i meccanismi di trasmissione degli impulsi infla-zionistici, dando l'impressione di essersi posto solo il classico problema dell'uovo e della gallina. Dall'altra parte il dibattito sulla curva di Phil-lips in cui si è passati da una teoria della determinazione dei salari mone-tari ad una teoria dell'inflazione, senza preoccuparsi di verificare le ipotesi che consentono questo passaggio.

1. Come è stato osservato da alcuni autori infatti, se un controllo dei costi è difficile da realizzarsi, anche perché non si capisce da che cosa il loro aumento di-penda, si attribuisce all'eccesso di domanda la causa di tutti i mali per porre mano agli strumenti monetari e fiscali e deflazionare vigorosamente l'economia in nome del superiore interesse nazionale. Se invece un controllo dei costi è politicamente possibile, in quanto la nazione ricerca un capro espiatorio, si comprimono i salari senza indagare se gli aumenti salariali non siano in realtà dovuti a cause a monte. Vedi a questo proposito, D . JACKSON e H . T U R N E R , Inflation strato inflation and social conflict, in: Do unions cause inflation?, Cambridge, University Press, 1972, e H . JOHNSON, Inflation and the monetarist controversa, Amsterdam, 1 9 7 1 .

Il fatto è che, come cercheremo di mostrare, la maggior parte degli autori che hanno studiato l'inflazione non si sono mai preoccupati di esa-minare fino in fondo i rapporti fra questo fenomeno e il loro quadro di riferimento generale, ed hanno cercato di isolare il problema della cre-scita del livello dei prezzi in un capitolo dedicato agli influssi esogeni sul sistema economico, limitandosi ad analizzare le sue ripercussioni.

Nelle teorie dell'inflazione da domanda, non si è quindi quasi mai nemmeno accennato all'ipotesi che l'eccesso di domanda possa essere im-putabile agli stessi meccanismi di funzionamento del sistema economico, e uno dei pochi che abbia cercato di colmare questa lacuna, cioè Wicksell, non è stato in grado di offrire un quadro concettuale adeguato a soste-nere le sue conclusioni. Nelle teorie dell'inflazione da costi invece ci si è trincerati dietro spiegazioni abbastanza rozze, come la rapacità dei sindacati, per evitare di porsi il problema delle origini strutturali della crescita dei salari monetari e non si sono mai discusse a fondo le ipotesi che consentono di legare questo fenomeno alla crescita del livello dei prezzi.

Il nostro lavoro si propone pertanto di esaminare l'origine delle dif-ficoltà nell'individuazione delle cause dei fenomeni inflazionistici, par-tendo dall'ipotesi che esse derivino da un'insoddisfacente legame con la distribuzione del reddito, un'ipotesi che ci consentirà tra l'altro di con-cludere che sono proprio i meccanismi che regolano la distribuzione del reddito in una società capitalistica a provocare tensioni inflazionistiche. Dato che il nostro scopo però è soprattutto quello di porre dei pro-blemi per alimentare un dibattito che sembra essersi arenato, non ci sof-fermeremo in discussioni dettagliate delle singole teorie dell'inflazione, per le quali rimandiamo alle numerose rassegne che già esistono 2. In questo modo il quadro potrà risultare eccessivamente sintetico, ma pre-feriamo correre il rischio di sovrasemplificare piuttosto che sommergere sotto una congerie di temi molto noti o comunque facilmente accessibili, quelli che ci sembrano i principali problemi da risolvere per arrivare ad una più corretta interpretazione delle cause dei fenomeni inflazionistici. 2 . F. D. H O L Z M A N e M. BRONFENBRENNER, La teoria dell'inflazione, trad. it. in: Il pensiero economico contemporaneo, a cura di F. CAFFÈ, Milano, 1968; P.

BIACABE, Analyses contemporaines de l'inflation, Paris, 1 9 6 2 ; A . J. HAGGER, The theory of inflation: a revieus, Melbourne, 1 9 6 4 ; H . JOHNSON, A survey of theories of inflation, in: Essays in monetary economics, London, 1967.

TEORIE DELL'INFLAZIONE E D I S T R I B U Z I O N E D E L REDDITO 25 La teoria quantitativa.

La prima spiegazione dei fenomeni di lievitazione del livello dei prez-zi viene data, come è noto, dalla teoria quantitativa della moneta3. L'ipotesi è che l'inflazione tragga origine dal gonfiamento della massa di mezzi di pagamento oltre i livelli compatibili con quello che nei termini della moderna contabilità nazionale viene chiamato prodotto reale 4. Es-sendo quest'ultimo dato, per l'assunto di piena occupazione delle risorse, l'aumento della base monetaria, o di quella che i neo-quantitativisti chia-mano moneta ad alto potenziale, data la stabilità della velocità di circo-lazione non può che determinare degli aggiustamenti nel livello dei prezzi.

Queste conclusioni si basavano in larga misura sull'osservazione de-gli effetti inflazionistici provocati dalle massicce importazioni d'oro e di altri metalli preziosi seguite alla scoperta dell'America e al diffondersi del colonialismo 5.

Tuttavia, mentre per gli storici dell'economia, queste osservazioni portavano a concludere che le inflazioni pre-industriali erano state lo stru-mento di una gigantesca redistribuzione del reddito a scapito del lavoro che aveva avviato l'accumulazione originaria, e quindi andavano esami-nate in stretta connessione con il processo di sviluppo capitalistico, gli economisti teorici abbandonavano ogni riferimento al problema della distribuzione per costruire uno schema compatibile con le ipotesi di per-fetta informazione e di comportamento ottimizzante degli operatori, per ricondurre cioè ad assunzioni tipiche di un quadro di equilibrio un fe-nomeno che evidentemente di equilibrio non era 6.

3. Il termine inflazione venne utilizzato per la prima volta per descrivere l'ef-fetto delle abbondantissime emissioni di carta moneta che servirono a finanziare la guerra di Secessione: A . N U S S B A U M , The meaning of inflation, « Politicai Scien-ce Quarterly », L V I I I , 1943, pp. 86-93. La teoria quantitativa, inveScien-ce, viene fatta risalire a Davanzati (sec. xvi) e a P . H U M E , On money, in: Politicai discourses, Edinburg, 1752.

4. Prima dello sviluppo della contabilità nazionale ci si riferiva prevalente-mente a transazioni in termini fisici.

5. Vedi a questo proposito soprattutto le opere di E. J. H A M I L T O N , American treasure and andalusian prices, « Journal of Economie and Business History », XI, 1928, pp. 1-35; American Treasure and the rise of capitalism, « Economica », XI, 1929, pp. 338-357; American treasure and the price revolution in Spain, Cam-bridge, Massachusetts, 1934.

6. In tempi più recenti si è cercato anche di dimostrare, peraltro con scarso successo, che le redistribuzioni analizzate da Hamilton e da C. Mitchell (vedi di quest'ultimo, History of greenbacks, Chicago, 1903) non hanno mai avuto luogo. R. K E S S E L , Inflation caused wealth redistrihution: a test of hypotesis, « American

E c o n o m i e R e v i e w » , X L V I , m a r z o 1 9 5 6 , p p . 1 2 8 - 1 4 1 ; A . ALCHIAN e R . K E S S E L , Meaning and validity of inflation induced lags of wages behind prices, « American Economie Review », L, marzo 1 9 6 0 , pp. 4 3 - 6 6 ; A. ALCHIAN, Inflation and

distribu-Alla base dello schema quantitativo sta dunque l'ipotesi che esista un livello determinato esogenamente ed abbastanza stabile di saldi reali che famiglie e imprese vogliono detenere. L'aumento della quantità di moneta, in questo caso, rompendo l'equilibrio fra quantità deside-rate e possedute di moneta, provoca una eliminazione delle eccedenze che, non potendo dar luogo, per motivi visti prima, ad un aumento del volume fisico di acquisti, viene assorbito mediante l'aumento del livello dei prezzi. In altri termini, poiché la moneta viene domandata solo per transazioni, per non avere fondi inoperosi si cerca di convertire la mo-neta in beni reali, generando inflazione da domanda, data la rigidità nel-l'offerta di questi ultimi. Il ragionamento è fondato sulla sostanziale sta-bilità di circolazione della moneta, per cui, data la classica equazione degli scambi MV — PQ è evidente che un aumento di M non può che provocare un parallelo aumento di P senza peraltro incidere né sul pro-dotto, né sui prezzi relativi di beni e di fattori che vengono determinati da un sistema di equazioni di domanda e offerta indipendenti dal livello dei prezzi.

Fischer a cui si deve la prima sistemazione organica della teoria non ritiene comunque che la costanza della velocità di circolazione sia asso-luta, egli ammette che essa sia influenzata da fattori istituzionali, tutta-via, poiché ipotizza che queste variazioni avvengano nel lungo periodo, non le considera tali da turbare il rapporto di breve periodo fra M e P 7. La successiva versione in termini di scorte liquide della equazione degli scambi è il coerente tentativo neo-classico di modificare la teoria quantitativa sulla base del riconoscimento che la moneta non viene do-mandata solo a scopo transazionale. Però anche se dal punto di vista for-male l'operazione è abbastanza brillante, in quanto consente di sistemare nel modello marshalliano di domanda e offerta anche i fenomeni mone-tari, il fatto che il cosiddetto k di Cambridge sia in pratica una costante parametrica, lascia immutato il criterio di determinazione del livello dei prezzi18. Viene così sistematizzata la divisione fra il settore reale e il set-tore monetario dell'economia, dove il salario reale e i livelli di produzione e di occupazione sono determinati dai soli fattori reali, cioè dalla pro-duttività marginale e dalla disutilità marginale del lavoro, mentre salari monetari e prezzi vengono determinati dai soli fattori monetari.

tion of income and wealth, in: The distrihution of national income, London, 1968; H. SCHERF, Inflation und einkommensverteilung, « Weltwirtschaftliches Archiv », giugno 1968, pp. 258-271.

7 . I . F I S C H E R , The purchasing power of money: its determination and rela-tion to credit, interest and prices, London, 1920.

TEORIE DELL'INFLAZIONE E D I S T R I B U Z I O N E DEL REDDITO 27 Quella che abbiamo fin qui esposta è la cosiddetta versione naive della teoria quantitativa, una versione aggiornata, dovuta a M. Friedman e a D. Patinkin introduce però alcuni elementi di novità per l'attenzione dedicata al ruolo delle aspettative ed al real balance effect9.

Questa nuova versione, pur risolvendo alcune delle incongruenze più gravi della teoria tradizionale, lascia sostanzialmente immutata la spiega-zione che quest'ultima dava della crescita del livello dei prezzi.

Poiché tuttavia non rientra fra gli scopi di questo lavoro l'analisi del dibattito sulla moneta aperto dai neo-quantitativisti ci limiteremo ad esa-minare le poche cose che ci interessano più da vicino, anche se per far questo saremo costretti, a semplificare l'esposizione.

Il grosso cambiamento che viene apportato al quadro tradizionale consiste nel superamento della divisione fra aspetti reali e aspetti mone-tari mediante il real balance effect. In pratica riconoscendo che la moneta ha un valore autonomo (non serve cioè solo a scopo transazionale) si ipo-tizza che la curva di domanda di moneta nominale non abbia elasticità unitaria uniforme rispetto al livello generale dei prezzi e quindi non es-sendoci illusione monetaria una variazione di quest'ultimo influenzi an-che la domanda dei beni e di titoli. L'elemento strategico agli effetti dell'inflazione non è più pertanto la quantità di moneta, bensì il costo opportunità di detenere fondi liquidi, cioè le aspettative circa le varia-zioni nei prezzi10. La quantità di moneta resta comunque importante perché la spinta all'inflazione viene data da un aumento della moneta ad alto potenziale nel sistema, ma ciò che controlla il saggio di inflazione sono le aspettative. Se ci si aspetta che l'inflazione sia temporanea, la ve-locità di circolazione della moneta viene tenuta bassa e i prezzi crescono a saggi inferiori a quelli a cui cresce la quantità di moneta, viceversa, se la quantità di moneta cresce progressivamente la velocità di circolazione aumenta facendo sì che i prezzi aumentino più della quantità di moneta. Questo ragionamento risente nettamente della sua derivazione dal-l'analisi delle iperinflazioni 11 e non potrebbe essere diversamente: l'ac-cettazione di un'ipotesi come il real balance effect implica dei movimenti

9. Fra le opere più significative del nuovo indirizzo vedi soprattutto, M. FRIED-MAN, A program for monetary stability, New York, 1 9 6 0 ; D . PATINKIN, Money, interest and prices, Row Peterson, 1956.

10. M. FRIEDMAN, The quantity theory of money, in: A. A. W A L T E R S ed., Money and Banking, Harmondsworth, 1973; M. FRIEDMAN, Inflation: causes and consequences, Bombay, 1963; D . PATINKIN, Sulla non neutralità a breve termine della moneta nella teoria quantitativa, « Moneta e credito », XXV, marzo 1972, pp. 3-21.

11. P. CAGAN, The monetary dynamics of hyperinflations, in: M. FRIEDMAN

talmente ampii delle variabili nominali da far perdere ad una economia monetaria il suo principale vantaggio rispetto ad una economia di baratto, cioè l'aspettativa di un valore abbastanza stabile nella moneta che con-senta di utilizzarla come serbatoio di valore fra gli atti di acquisto e di vendita. Dall'altro lato questa ipotesi non rappresenta un grande pro-gresso rispetto alla vecchia teoria quantitativa dell'inflazione, perché anche qui ciò che genera l'aumento dei prezzi è l'eccessiva espansione della base monetaria.

Le critiche keynesiane e neo-keynesiane alla teoria quantitativa, sono troppo note perché meriti qui riprenderle 12, è necessario tuttavia sof-fermarci su un punto che non è stato sufficientemente approfondito e che a nostro avviso rappresenta il principale elemento di debolezza della teo-ria quantitativa dell'inflazione: cioè l'assenza nella versione naive ed in quella aggiornata di una qualsiasi spiegazione sul come l'aumento della base monetaria si distribuisca nel sistema. Probabilmente si accetta il cosiddetto paradosso di Hume secondo il quale tutti si sveglierebbero una mattina con gli scellini raddoppiati in tasca; ma evidentemente questo non è sufficiente, perché l'aumento di moneta non viene uni-formemente distribuito fra tutti i possessori di saldi liquidi: se così fosse, infatti, non si giustificherebbero le tesi degli storici delle inflazioni pre-industriali secondo i quali l'aumento della quantità di moneta finì quasi totalmente nelle tasche di poche persone, le quali non si lamenta-vano certo di avere un livello di saldi monetari superiore al livello di saldi reali desiderati, per il semplice motivo che l'aumento di saldi monetari corrispondeva ad un aumento dei saldi reali e quindi a una redistribu-zione del reddito a loro favore.

Con questo resterebbe però confermato il ruolo della quantità di mo-neta. In realtà se è vero che nel lungo periodo esiste una correlazione positiva tra quantità di moneta e livello dei prezzi, una osservazione di questo genere non giustifica un legame causale fra i due fenomeni perché entrambi possono a loro volta dipendere da qualche altro fattore. È ab-bastanza noto a questo proposito, che molto spesso le banche centrali allargano la base monetaria con l'esplicito scopo di ristabilire gli « equi-libra fra costi e ricavi delle imprese » o in altri termini per finanziare il recupero dei margini di profitto in periodi di forte crescita dei costi di lavoro. In questo caso, dunque, la causa dell'inflazione va cercata non tanto in un generico aumento della base monetaria, ma nell'alterazione della distribuzione del reddito.

12. Tra i contributi più recenti, vedi in particolare, N. KALDOR, The new

TEORIE DELL'INFLAZIONE E D I S T R I B U Z I O N E DEL REDDITO 29 Su questo punto però torneremo in seguito, per ora ci basta aver sottolineato come molte difficoltà della spiegazione quantitativa dell'in-flazione nascono proprio dalla mancanza di un legame con questo ele-mento.

L'inflazione da domanda in Wicksell13.

Il primo che si accorge di questa lacuna nella teoria quantitativa è K. Wicksell, il quale giunge a formulare la propria teoria dell'inflazione da domanda proprio attraverso la critica del paradosso di Hume.

Wicksell conduce l'analisi a due livelli: il primo consiste nel rifiuto della teoria quantitativa naive in seguito al riconoscimento che la velo-cità di circolazione è fortemente instabile e dipende soprattutto dal grado di sviluppo del sistema bancario e dalla politica del credito 14. Il secondo consiste nel dimostrare che fenomeni inflazionistici possono sorgere an-che indipendentemente dall'aumento della base monetaria.

Contro Hume, Wicksell sostiene che un aumento della quantità di oro non si riversa nel sistema economico direttamente, ma solo attraverso la intermediazione del sistema bancario, cioè attraverso la diminuzione del tasso di sconto da parte delle banche centrali e del tasso di interesse attivo praticato dalle banche commerciali, questo provoca un aumento degli investimenti e quindi un aumento di domanda sul mercato dei fat-tori che essendo pienamente occupati reagiranno con aumenti nei prezzi.

È interessante osservare che l'esistenza di un « liquidity trap » a bassi livelli del saggio di interesse era riconosciuta anche dall'autore sve-dese. Ma il fatto che il saggio di interesse non possa essere spinto sotto certi livelli se impedisce all'eccesso di domanda sul mercato dei fattori di raggiungere valori molto elevati, provoca un eccesso di domanda sul mer-cato dei beni perché coloro i quali avranno ritirato i loro depositi dalle banche, al posto di tenerli liquidi in attesa che i saggi di interesse tor-nino ad aumentare, li convertiranno in beni.

13. K . W I C K S E L L , Interest and prices, London, 1936; ID., Lectures on poli-ticai economy, London, 1934. Per un commento alle tesi di Wicksell, vedi quello classico di P. R O S E N S T E I N RODAN, The coordination of the general theory of money and prices, « Economica », III, agosto 1936, pp. 257-280, e l'esame critico com-piuto da C . B O F F I T O , Teoria della moneta, Torino, 1973.

14. Il fatto che questo serva a Wicksell soprattutto per spiegare il paradosso di Gibson, cioè la tendenza del saggio di interesse, contrariamente a quanto impli-cherebbe la teoria monetaria, a mostrare lo stesso segno delle variazioni dei prezzi, non giustifica l'inserimento di Wicksell, da parte di Patinkin: Wicksell's

cumula-tive process in theory and practice, in D . PATINKIN, Studies in monetary economics,

N. Y., 1972, nella tradizione quantitativa. Evidentemente bisogna intendersi su cosa sia quest'ultima.

Ricordiamo che parlando di saggio di interesse ci siamo riferiti a quello che Wicksell chiama saggio di interesse nominale, in realtà esiste un altro saggio di interesse, ben più importante del primo e cioè il sag-gio di interesse naturale, che è dato dalla produttività marginale del ca-pitale ed è quello che assicura l'eguaglianza fra risparmi e investimenti.

È la differenza fra i due che genera inflazione, ma mentre una logica quantitativa presupporrebbe che gli scostamenti dell'equilibrio avven-gano sempre per movimenti autonomi del saggio di interesse nominale, Wicksell sostiene invece che il caso più frequente è proprio il contrario, e cioè il movimento autonomo del saggio naturale. Questo può avvenire sia per la diminuzione assoluta o relativa dell'ammontare del capitale, sia per la dinamica dello sviluppo tecnologico.

Poiché esistono delle vischiosità sul mercato del credito tali da ritar-dare l'adeguamento del saggio nominale al saggio naturale, la profittabi-lità degli investimenti resta per un certo periodo elevata, generando un eccesso di domanda sul mercato dei fattori che si tradurrà alla fine in un eccesso di domanda sul mercato dei beni. Questo effetto diffondendo aspettative favorevoli nel sistema economico potrebbe chiudere il loop in quanto la pressione della domanda per crediti avrà rialzato il saggio di interesse nominale. Intanto però c'è stata una modificazione settoriale della struttura produttiva a scapito della produzione di beni di consumo, che se ha determinato una diminuzione del saggio naturale per effetto della aumentata disponibilità di capitali, ha esasperato l'eccesso di do-manda sul mercato dei beni di consumo. L'inflazione potrebbe perciò anche continuare innescando un processo esplosivo.

Al pregio di essere una delle uniche spiegazioni dell'eccesso di do-manda che non introduca l'attività dello stato, quella di Wicksell unisce tuttavia un grave vizio logico nella teoria della distribuzione che impe-disce di accettarla, almeno nei termini in cui era stata proposta dall'au-tore svedese 15.

Documenti correlati