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IL PIANO DI EMERGENZA NAZIONALE, TRA PREVENZIONE

1. Il passaggio dalla gestione centralizzata della legge 9 Novembre 2001, n.401 alla gestione più “reticolare” attuata con la direttiva della presidenza del Consiglio dei Ministri 3 Dicembre 2008

1.1 La legge 9 Novembre 2001, n.401: una gestione centralizzata

Come abbiamo notato nel secondo capitolo, grazie alla crescita delle conoscenze in campo scientifico e grazie ad una una nuova consapevolezza amministrativa, relativa all'assunzione del principio di precauzione come principio fondante, assistiamo ad evoluzione legislativa indirizzata proprio al nodo della questione, e cioè creare pian di emergenza e sistemi di coordinamento in funzione di una gestione organizzativa del fenomeno emergenziale più efficiente ed efficace44. Se nel 2003 abbiamo avuto la svolta, per quanto riguarda la previsione del rischio sismico sul territorio, due anni prima, con il D.L. 7 Settembre 2001, n.343; convertito nella legge 9 Novembre 2001, n.40145 abbiamo la previsione di “Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile”. Questo provvedimento nasce con l'intento di andare a “tamponare” la situazione dell'amministrazione dell'emergenza italiana, una situazione che registrava uno stallo per quanto riguardava la piena operatività del Dipartimento di protezione civile (in base a delle contestazioni formulate dalla Corte dei Conti). Come si può evincere dalle premesse il legislatore si rende conto della particolare situazione, ma c'è la necessità di dover garantire comunque “la continuità del coordinamento e la concreta funzionalità delle strutture attualmente preposte all'attività di protezione civile, in attesa di una eventuale ridefinizione complessiva del settore” e anche quella di andare a creare una struttura centrale di coordinamento che agisca in maniera unitaria rispondendo 44 I termini efficacia ed efficienza, spesso usati indistintamente come sinonimi, riflettono in realtà due concetti ben distinti. L'efficacia indica la capacità di raggiungere l'obiettivo prefissato, mentre l'efficienza valuta l'abilità di farlo impiegando le risorse minime indispensabili

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Nel nostro caso quindi, come efficacia intendiamo la capacità del sistema di rientrare nelle condizioni di normalità (attività amministrativa ordinaria) in un lasso di tempo consono alla situazione, mentre per efficienza intendiamo la capacità di far ciò utilizzando e distribuendo le giuste risorse nel miglior modo possibile, così da meglio coordinarsi nei lavori.

45 Questo provvedimento è già stato citato nel secondo capitolo a pag.11, riguardo ad una regionalizzazione della materia che però trova nella citata legge una sorta di “controriforma” perché, come vedremo, dipinge invece un sistema più centralizzato.

alle diverse esigenze grazie però ad un organizzazione capillare sul territorio. Questa situazione in cui, in un certo senso, mancando l'amministrazione dell'emergenza, si va a creare di per se un emergenza (perché in caso di fenomeno calamitoso che renda necessario lo svolgimento di un attività di gestione, sarebbe assente quella struttura di coordinamento e organizzazione del sistema di sicurezza), rende necessario e lecito intervenire ricorrendo alla decretazione d'urgenza, per dotarsi di un coordinamento che permetta di affrontare i vari fenomeni calamitosi, saltando completamente la fase di confronto e studio con tutti i vari soggetti che, a vario titolo, avrebbero possibilità di esprimersi al riguardo. La legge n.401/2001 è quindi il primo piano di coordinamento delle attività di protezione civile, in attesa che poi venga formulato quello finale e completo. Il modello che scaturisce dalla legge è un modello a forte impronta piramidale, dove abbiamo un soggetto (in questo caso il presidente del Consiglio dei ministri) che detta la politica di protezione civile in maniera quasi autonoma46. Il presidente del Consiglio dei ministri detta direttamente i piani operativi nazionali di prevenzione e previsione, e anche i piani di soccorso, e gli unici soggetti che interagiscono con lui sono il Servizio sismico nazionale, la Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi ed il Comitato operativo della protezione civile, che operano a livello di consulenza.

Per l'attivazione di questi piani di soccorso la presidenza del Consiglio dei ministri si avvale del lavoro del Dipartimento di protezione civile che, promuovendo continue esercitazioni rivolte alla popolazione (d'intesa con le regioni e gli enti locali interessati) e facendo continua attività d'informazione alle popolazioni interessate, rende pubbliche e più conosciute possibili le tecniche operative che assicurano i primi soccorsi anche su scala nazionale. Questa “educazione” ai primi interventi di protezione civile, in caso di emergenza, della popolazione è un fattore cruciale nel caso si verificasse una reale emergenza, perché una popolazione pronta a reagire diventa un aiuto alla protezione civile che potrà destinare e impiegare tempo e risorse in modo diverso e, si spera, più efficace. Preso atto di questo provvedimento è però facile evidenziare due fattori che, a mio modo di vedere, hanno in un certo senso rallentato l'attività amministrativa.

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Art. 5 legge n.401/2001 “determina le politiche di protezione civile, detiene i poteri di ordinanza in materia di protezione civile, promuove e coordina le attività delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, […] finalizzate alla tutela dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri grandi eventi, che determinino situazioni di grave rischio”.

Il primo punto è quello di un modello troppo accentrato che interessando solo i vertici dell'amministrazione ha portato ad una sorta di de-responsabilizzazione delle amministrazioni locali che attendendo i piani di emergenza dettati dall'amministrazione centrale ha fatto così che per molto tempo il territorio rimanesse in un pericolosissimo limbo dove esistono dei primi indirizzi di attività coordinata a gestione dell'emergenza ma mancano poi all'atto pratico i piani di soccorso. Perché se è vero che la presente legge era innovativa, è vero anche che si limitava a coordinare le amministrazioni e la protezione civile su un piano generale di soccorsi che all'atto pratico risultava ancora poco chiaro. Questo orientamento, per cui le amministrazioni spesso non si fanno carico dei propri doveri, porta ad un importanza sempre maggiore del commissario straordinario di nomina governativa, soggetto che viene nominato per far fronte a situazioni di emergenza ma la cui nomina dovrebbe essere l'estrema ratio dell'amministrazione dell'emergenza; ed è questo il secondo fattore negativo che ha rallentato l'attività amministrativa.

1.2. I commissari straordinari

Parallelamente ad un accentramento di funzioni in capo alla presidenza del Consiglio dei Ministri, si assiste all'aumento di deleghe al Ministro dell'Interno ma soprattutto alla nomina dei commissari straordinari, delegati dal capo del Governo a gestire l'emergenza in un dato mo mento. Anche se ai fini della nostra analisi non rileva la differenza del soggetto che pone in essere i provvedimenti finalizzati alla gestione, è quantomeno opportuno comunque tracciare i tratti essenziali di questa figura. Il commissario straordinario è, per sua natura, figura di carattere speciale, destinata a dispiegare la propria funzione al manifestarsi di un esigenza eccezionale imprevista ed imprevedibile47. Questa figura fa riferimento all'art.5, comma 4, della legge n.225/199248, e viene ormai utilizzata attraverso una lente che ingrandisce la nozione di protezione civile fino a comprendere ad esempio la gestione dei servizi pubblici locali (ad es. emergenza smaltimento rifiuti). Questa pratica costituisce un uso distorto dello strumento commissariale poiché vi si fa ricorso non solo per reali esigenze ma anche per affrontare situazioni di pericolo derivanti

47 [G. Rizza] Commissario straordinario (dir. Pubbl.): II) Commissario straordinario, in Enc. Giur., VII, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1988.

48 Art. 5 comma 4 legge n.225/1992: “Il Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'art.1, comma 2, il Ministro per il coordinamento della protezione civile, per l'attuazione degli interventi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, può avvalersi di commissari delegati. Il relativo provvedimento di delega deve indicare il contenuto della delega dell'incarico, i tempi e le modalità del suo esercizio”.

da un cattivo esercizio dei poteri amministrativi49. Nella pratica, la gestione commissariale, tende a stabilizzarsi e non comparire più come strumento eccezionale in caso di emergenza; questa stabilizzazione diventa spesso motivo di proroghe dello stato di emergenza che comporta un inevitabile penetrazione del regime straordinario all'interno del tessuto amministrativo ordinario, disincentivando il corretto adempimento dei compiti istituzionali dei vari amministratori (tra cui quello di pianificazione) e quindi di prevenzione delle emergenze. Le norme consentono ai commissari di agire in deroga ad ogni disposizione vigente, ma nel rispetto della normativa comunitaria nonché nei principi generali dell'ordinamento, i suoi atti sono espressione di un potere di sostituzione attribuitogli in via generale dalla norma. Possiamo notare come i poteri del commissario siano apparentemente ampi, perché trovano sostanziali limitazioni sia nelle norme nazionali che in quelle comunitarie, anche perché agendo in sostituzione degli organi ordinari ne assumono si i poteri, ma non possono eccederli e non sono nemmeno legittimati ad assumere provvedimenti di contenuto più ampio.

Il concetto di emergenza come abbiamo più volte ripetuto, si è evoluto da semplice problema sociale e naturale a problema prettamente giuridico, e ciò ha portato quanto detto fin ora, il potere d'emergenza diventa uno strumento utilizzato anche in situazioni in cui la necessità dell'intervento straordinario nasce proprio dall'inefficienza e l'inefficacia delle amministrazioni e degli strumenti giuridici a loro disposizione, oppure anche dalla incapacità della società di trovare soluzioni a problemi di particolare complessità. Sembra essere di fronte ad un meccanismo per cui le situazioni di emergenza vengano create dalle stesse istituzioni quando non sanno o non vogliono usare correttamente i poteri ordinari loro attribuiti; e gli stessi poteri di emergenza, pure ampi, abbiamo detto, non garantiscono il superamento delle situazioni di crisi.

Il continuo affidamento alla figura del commissario straordinario è un evidente passo indietro rispetto al processo che abbiamo cercato di descrivere anche nel capitolo precedente, e cioè quel cambiamento di mentalità per cui non ci si può limitare alla semplice gestione dell'emergenza con poteri straordinari, ma è necessario invece che la grande parte del lavoro avvenga durante i periodi di normalità con fasi di studio analisi e pianificazione, che interessino il maggior numero di soggetti adibiti a questi compiti e che creino soprattutto un modello più reticolare possibile per quanto riguarda la diffusione e la 49 [A. Fioritto] L'amministrazione dell'emergenza tra autorità e garanzie, il Mulino, Bologna,

piena conoscenza delle informazioni così da ottimizzare al meglio il lavoro durante le situazioni di emergenza di modo che ciò che è previsto come eccezione nel nostro ordinamento rimanga un eccezione.

In ordine a quest'ultima osservazione il legislatore (anche in questo caso sub-primario) si è trovato nelle condizioni di dover definire ancora di più questo aspetto di organizzazione a monte dell'emergenza prevedendo in maniera dettagliata tutte le procedure, come è giusto che sia in base al d.lgs. 112/1998 (la protezione civile è di competenza statale), e dando ad ogni soggetto interessato le proprie mansioni e obiettivi in caso di emergenza. Il provvedimento con cui arriviamo a questo modello è la direttiva del presidente del Consiglio dei ministri del 3 Dicembre 2008 recante: “Indirizzi operativi per la gestione delle emergenze” pubblicata in G.U. n. 36 del 13 febbraio 2009.

2. La d.P.c.m. 3 Dicembre 2008: Il sistema nazionale di gestione dell'emergenza La direttiva in oggetto nasce, come anticipato prima, dall'esigenza di dare alla struttura amministrativa in questione un coordinamento e un organizzazione più condivisa e reticolare cercando di interessare e responsabilizzare più soggetti, così che di fronte ad una situazione di emergenza la risposta sia più mirata ed efficace; e questo viene anche sottolineato nelle premesse della direttiva50. Questa direttiva in particolare va a descrivere quelle procedure che andranno a disciplinare nel dettaglio la gestione del flusso di informazioni tra i vari soggetti coinvolti, con la descrizione di tutti quegli interventi prioritari da eseguire a livello nazionale così da poter mettere in atto una più tempestiva e adeguata risposta della protezione civile a livello locale. Questo piano, come è facile intuire, non è basata sul verificarsi di un singolo e puntuale scenario d’evento; questo fa in modo che il piano possa garantire adattabilità e flessibilità d’azione, quale che sia la situazione contingente derivante dall’evento stesso e dal suo impatto sul territorio. Nel nostro caso specifico quindi andremo ad analizzare inizialmente il piano di emergenza nazionale riferendoci a quello che è il rischio sismico, per poi passare ad un esame incrociato con quelli che sono i piani di emergenza in tre città campione prese in base alla loro collocazione sulla scala di classificazione sismica, che sono Torino (zona 4), Firenze (zona 3) e Potenza (zona 1).

50 d.P.c.m. 3 Dicembre 2008, “Considerata l'ineludibile esigenza di ottimizzare le capacità di allertamento, di attivazione e di intervento del sistema di protezione civile a fronte di eventi calamitosi, mediante la definizione di procedure operative”

Alla scala nazionale risulta evidente la scarsa significatività del singolo scenario rispetto al quadro generale della pericolosità. L’approccio alla pianificazione di livello nazionale per rischio sismico non può guardare al singolo evento ma deve essere finalizzato a un intervento efficace ed efficiente a fronte di qualsiasi terremoto che possa verificarsi. È stata presa come base la pericolosità (basata sull’entità di possibili scosse con prefissata probabilità), valutata in corrispondenza di strutture di interesse per la gestione dell’emergenza (punti di accesso, quali porti, aeroporti, linee di comunicazione, strutture strategiche, ecc.), insieme alla vulnerabilità e quindi al rischio di queste ultime. Sulla base di queste informazioni, si possono fare “previsioni” sull’agibilità/disponibilità di queste strutture, e studiare più strategie alternative in relazione a diversi scenari di scuotimento; ed in base a queste premesse, il sistema di allertamento si articola in tre fasi principali:

1. La prima fase è quella finalizzata allo studio e alle previsione. Esiste una rete di centri funzionali che opera con una struttura centrale (Dipartimento di protezione civile) e altre strutture decentrate (regioni dichiarate autonome). Quste strutture che compongono la rete, operano con compiti di previsione, monitoraggio e sorveglianza. In base ai risultati di queste attività vengono redatti degli scenari su zone di allerta51 in base al superamento di alcune soglie complesse;

2. Completata la prima fase di previsione, si passa alla seconda dove, presi i risultati dell'attività della rete dei centri funzionali, si passa alla composizione di tre livelli di criticità, distinti anche per colore. Abbiamo infatti l'ordinaria criticità (giallo), abbiamo quella moderata (arancione) e infine il livello di elevata criticità (rosso). Questi livelli di criticità corrispondono a scenari definiti che si prevede possano verificarsi sul territorio del Comune e che devono attuare la risposta graduale del sistema di protezione civile;

3. La terza fase invece è quella di azione. In base alle informazioni prese dai territori e dai centri di studio, e valutando l'eventuale superamento delle soglie di allertamento locale, vengono previste le fasi operative che comportano la messa in atto delle azioni di prevenzione e gestione dell'emergenza previste nel piano. Queste fasi operative sono tre e si compongono di:

a) Fase di Attenzione b) Fase di Preallarme c) Fase di Allarme

51 Per zona di allerta intendiamo zone del territorio dove gli effetti al suolo sono simili a quelli che nella realtà si possono sviluppare su più larga scala.

A questo punto, dopo aver descritto brevemente il sistema generale di allertamento, possiamo andare ad analizzare nel dettagli la direttiva, passando dal modello organizzativo della gestione dell'emergenza e del flusso delle informazioni, fino ad arrivare alle attivazioni in caso di un evento di cui all'art.2, comma 1, lettera c) della legge 225/199252. Come spesso è stato ripetuto, fondamentale in un modello reticolare su scala nazionale è l'organizzazione del flusso delle informazioni. A questo fine, è stato attivato, presso il Dipartimento di protezione civile, un centro di coordinamento denominato SISTEMA che garantisce la raccolta delle informazioni di protezione civile, e provvede alla verifica e diffusione di queste informazioni, per allertare le strutture operative, del Servizio nazionale di protezione civile, preposte alla gestione dell'emergenza, che sono:

• Vigili del Fuoco; • Forze Armate; • Polizia di Stato; • Arma dei Carabinieri; • Guardia di Finanza;

• Corpo Forestale dello Stato;

• Capitaneria di Porto – Guardia Costiera.

Oltre a queste strutture esistono poi altri soggetti che con compiti diversi interagiscono con SISTEMA durante le fasi di emergenza, ed è proprio per la molteplicità dei soggetti presenti che questo sistema di coordinamento rappresenta un esempio unico nel suo genere. L'attività più importante di SISTEMA non è tanto quella di coordinare le azioni durante l'emergenza, ma quella di monitoraggio e sorveglianza, con un continuo lavoro di ricezione, raccolta, richiesta ed elaborazione di notizie e dati riguardanti eventi calamitosi già avvenuti, in corso o addirittura previsti, creando così un quadro generale delle situazioni critiche. Nel momento in cui poi si verifichino eventi emergenziali che richiedono mezzi e poteri straordinari SISTEMA si configura come una struttura di supporto a quello che è poi il centro dell'amministrazione dell'emergenza e cioè il Comitato operativo di protezione civile. E' facile intuire che l' efficacia di SISTEMA dipende dalla capacità delle altre strutture di attivarsi con tempestività nella comunicazione dei dati che devono essere attendibili e puntuali nei contenuti; infatti quando i centri operativi sparsi sul territorio sono attivati, operano in sinergia con la sala

52 “calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”. Fanno parte di questa casistica quei fenomeni che richiedono oltre l'attivazione del sistema di gestione, anche la dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi dell'art.5 della legge 225/1992.

centrale comunicando: notizie sull'evento previsto o appena verificato, gli interventi previsti o in corso d'opera e le risorse disponibili.

Oltre al coordinamento nazionale del Comitato operativo della protezione civile, l'organizzazione della gestione emergenziale si compone di due livelli fondamentali e imprescindibili ad una pronta reazione. A meno di eventi catastrofici che annullino completamente la reazione da parte dello stesso territorio colpito, la prima risposta all'emergenza (di qualunque natura essa sia) deve essere garantita dalla struttura comunale, attraverso l'attivazione di un Centro Operativo Comunale (C.O.C.) al cui interno sono rappresentati i vari soggetti che operano nel settore locale. A livello strettamente comunale, il Sindaco assume la direzione ed il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione53, provvede a individuare la sede più idonea del centro operativo comunale e delle situazioni di pericolo più stringenti, consentendo così la messa in sicurezza della popolazione optando, eventualmente, anche per l'evacuazione. Oltre al livello comunale di gestione dell'emergenza, a seconda del modello adottato da ogni regione, esiste anche un livello provinciale di gestione, con l'attivazione del Centro di Coordinamento dei Soccorsi (C.C.S.); una struttura che non è una fotocopia dell'attivazione comunale, bensì una struttura superiore che funga da centro di coordinamento e indirizzamento degli interventi dei Sindaci dei comuni colpiti. Il C.C.S. Sono rappresentati la Regione, la Prefettura e le strutture operative funzionali alla gestione dell'emergenza con compiti di valutazione delle esigenze, definizione e impiego razionale delle risorse disponibili a livello regionale e nazionale. Nel caso in cui il modello adottato dalle Regioni non indichi quale autorità sia responsabile del C.C.S. si ritiene che tale funzione spetti al Prefetto della provincia che in qualità di rappresentante dello Stato sul territorio, che quindi assume anche la funzione di sussidiarietà nei confronti dei Sindaci. Tutta questa attivazione dipende poi essenzialmente dalla dichiarazione dello stato di emergenza di cui all'art.5, comma 1 della legge 225/1992 da parte del Consiglio dei ministri con cui si affida l'intero coordinamento dell'attività al Presidente del consiglio dei ministri e ai sui eventuali commissari delegati (vedi paragrafo 1.2), nel caso in cui si sia di fronte al preannunciarsi o al verificarsi di un evento che richieda l'impiego di mezzi e poteri straordinari, da valutarsi in relazione al grave rischio di compromissione dell'integrità della vita.

E' facile intuire come nel trattare il modello organizzativo dell'amministrazione emergenziale si ripresenti sempre il problema dell'opportunità politica di una dichiarazione dello stato di emergenza, considerando che negli ultimi venti anni abbiamo avuto innumerevoli dichiarazioni di questo tipo. Il caso, assieme agli stati di emergenza dichiarati e prorogati di anno in anno in molti settori dell'ordinamento, contribuisce a rappresentare in modo emblematico la politica della “perenne emergenza” condotta dai recenti Governi: una politica che trova linfa vitale nelle stesse ambiguità della legge sulla protezione civile, come una pianta in crescita che dovrebbe essere “raddrizzata”54. Un

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