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Dall'amministrazione emergenziale alla gestione strutturale del rischio sismico

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Academic year: 2021

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Indice generale

INTRODUZIONE...2

CAPITOLO 1 - IL VINCOLO AMBIENTALE NEL DIRITTO URBANISTICO...4

1. Storia ed evoluzione dell'urbanistica in relazione al concetto di vincolo...4

2. Il vincolo, da risposta agli eventi a sistema di prevenzione: il T.U.

dell'edilizia...12

3. Il nuovo art.117 Cost. e il D.Lgs 112/1998, il riparto di competenze fra Stato

e Regioni...20

CAPITOLO 2 – DALLA GESTIONE DELLE EMERGENZE AI CONCETTI DI

TUTELA E PREVENZIONE DEI RISCHI ...29

1. Evoluzione del concetto di emergenza e la gestione dei fenomeni

emergenziali...29

2. Previsione e prevenzione, l'attività dell'amministrazione dell'emergenza. 39

2.1 L'ordinanza p.c.m. 2374/2003 ...46

CAPITOLO 3 – IL PIANO DI EMERGENZA NAZIONALE, TRA PREVENZIONE

E GESTIONE DELL'EMERGENZA...49

1. Il passaggio dalla gestione centralizzata della legge 9 Novembre 2001,

n.401 alla gestione più “reticolare” attuata con la direttiva della presidenza

del Consiglio dei Ministri 3 Dicembre 2008...49

1.1 La legge 9 Novembre 2001, n.401: una gestione centralizzata...49

1.2. I commissari straordinari ...51

2. La d.P.c.m. 3 Dicembre 2008: Il sistema nazionale di gestione

dell'emergenza...53

2.1. Attivazioni in caso di eventi di cui all'art.2, comma, 1 lett c) della legge

225/1992 ...59

2.2. Il piano di emergenza comunale della città di Torino ...65

2.3. Il piano di emergenza comunale della città di Firenze...67

2.4. Il piano di emergenza comunale della città di Potenza...70

2.5. Il piano di Protezione Civile Intercomunale ...73

CONCLUSIONI...77

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INTRODUZIONE

Questo lavoro comincia tutto da una data che, almeno personalmente, rimarrà impressa come una delle date che hanno inevitabilmente segnato la storia di questo paese, una di quei momenti in cui la popolazione è costretta ad aprire gli occhi e non poter più far finta di non vedere un problema semplicemente girando la testa dall'altra parte: 6 Aprile 2009, alle 3:32 un forte sisma scuote tutto il centro Italia e colpisce in particolar modo l'Aquila. Un sisma che si porterà dietro con se 309 vittime, più di 1600 feriti e circa dieci miliardi di euro di anni (secondo le stime). In quei giorni, oltre alla mobilitazione dell'intera popolazione a sostegno delle famiglie colpite, si assistette a dei processi mediatici incentrati sulle cause dei crolli degli edifici e del perché edifici magari costruiti in tempi recenti crollarono su stessi e altri più antichi invece resistettero al sisma o comunque pur subendo danni non crollarono. Successivamente si sono aperti due processi, sul cui merito non sono entrato, ma la sostanza non è cambiata; in occasione dei sismi che in questi anni hanno colpito il nostro territorio, quante volte vediamo edifici costruiti secondo le più moderne e affidabili tecniche di costruzione antisismica crollare alla prima scossa? Bene, anche se la risposta è intuibile da chi si interessa minimamente della materia, questo lavoro voleva essere più che una risposta, un analisi delle criticità del sistema di controlli previsti per tali edifici, dalla legislazione nazionale e da quella locale. La legislazione vigente prevede un sistema di controlli regionali da effettuare con il metodo “a campione”, un metodo che prevede il controllo in base al sorteggio degli edifici, da costruirsi in zona sismica, per i quali è stata rilasciato il permesso a costruire. Questo metodo però non va incontro alla realtà dei fatti; perché in un settore come quello dell'edilizia, che negli ultimi anni è stato teatro di fenomeni legati alla malavita organizzata, e che si occupa di uno scenario delicato, come è quello sismico; a mio avviso esigerebbe un sistema di controlli molto più incisivo e volto a controllare fase per fase l'evoluzione della costruzione. Dimostrare che un sistema del genere però è un sistema fallace richiede dati sui controlli effettuati dall'ufficio tecnico regionale, dati che analizzati e messi in relazione ai crolli verificati avrebbero dimostrato a mio avviso un sistema di controllo troppo “leggero” per una materia così critica. Purtroppo non sono riuscito ad avere questi dati sui controlli a campione nonostante la disponibilità e l'aiuto del prof. Fioritto che ringrazio lo stesso per il tempo che mi ha dedicato, e quindi ho cambiato leggermente l'ottica di questo lavoro. Prendendo comunque lo spunto dal tema del vincolo di area sismica il lavoro offre una

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chiara visione di come la legislazione nazionale si sia evoluta dai casi particolari per andare a creare una normativa generale su un tema che fino ad allora non aveva destato l'interesse politico necessario per essere trattato. Il problema quindi che viene affrontato è quello della creazione di piani di emergenza e l'evoluzione normativa per cui siamo passati da un sistema di intervento post-emergenza, ad uno invece pre-emergenza con operazioni di prevenzione.

Prendendo le mosse da quando detto in precedenza e cioè il passaggio da un sistema di gestione ad uno di prevenzione, il lavoro si è svolto principalmente nell'analisi storico-normativa delle più importanti tappe per quanto riguarda lo studio dei fenomeni emergenziali e in particolar modo di quello sismico, successivamente invece si compara quella che è la previsione a livello nazionale con quelle che sono le reali applicazioni pratiche a livello locale. Fondamentale nello svolgimento è la parte centrale di questo lavoro in cui si tenta di andare ad analizzare ogni singolo aspetto che porta al passaggio di sistema. Un passaggio che non comporta una semplice innovazione legislativa, ma tutto un ragionamento anteriore sulla portata degli atti emergenziali e dei limiti che il nuovo sistema deve avere affinché situazioni straordinarie non diventino la normalità. Importante è stato lo studio del manuale del prof. Alfredo Fioritto: “L'amministrazione dell'emergenza tra autorità e garanzie” che centra perfettamente i temi che in questa Tesi vengono affrontati. Durante lo svolgimento, si capisce come la fase di gestione e quella di prevenzione siano le due facce di una stessa medaglia, e che l'una senza l'altra, rimane solamente carta senza un applicazione pratica. Il continuo studio dei fenomeni emergenziali porta ad una presa di coscienza dell'impossibilità di prevedere qualsiasi evento, ma un conto è prevedere, e l'altro è prevenire, cioè fornire quegli strumenti legislativi che si ritengono più idonei per il ripristino di una situazione di normalità. Un punto importante su cui si sofferma il lavoro è quello poi del flusso di informazioni relativo ad un qualsiasi scenario di danno, ponendo l'accento sul fatto che un sistema di comunicazioni improntato al coordinamento dei mezzi e delle risorse è il miglior modo di affrontare una situazione critica perché migliore è il coordinamento, più efficace sarà anche la risposta fornita dall'amministrazione.

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CAPITOLO 1 - IL VINCOLO AMBIENTALE NEL DIRITTO URBANISTICO

1. Storia ed evoluzione dell'urbanistica in relazione al concetto di vincolo

Il diritto urbanistico è quel ramo del diritto che si compone di un complesso sistema di principi e regole che vanno ad incidere sulla disciplina delle trasformazioni del territorio. In un primo momento, buona parte della dottrina ha voluto porre come base normativa di questa disciplina gli articoli 42 e 41, 3°comma della Costituzione.

L'art. 42 si occupa di tutelare la proprietà privata assicurandone, allo stesso tempo, la funzione sociale della stessa; mentre l'art.41, generalmente riconosciuto come l'articolo che tutela la libera iniziativa economica privata, al terzo comma stabilisce che: “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.” La legge quindi determina e organizza le attività di programmazione e controllo affinché l'iniziativa economica sia pubblica che privata poggi sempre sulla base dell'utilità sociale. E' importante quindi sottolineare come anche in questo caso le disposizioni costituzionali consentono al legislatore di condizionare la libertà dei privati (e l'utilizzo dei propri beni) a favore della collettività. Da qui nasce evidentemente lo stretto rapporto fra poteri di pianificazione urbanistica e proprietà dei beni immobili. Questa impostazione ha infatti portato per molto tempo a credere che l'oggetto dell'urbanistica si riducesse all'apposizione di limiti alla proprietà privata. Questa tesi è stata portata avanti facendo leva sul fatto che per molto tempo nei vari manuali di diritto amministrativo, i piani regolatori edilizi e i vari regolamenti edilizi erano trattati nella sezione dedicata ai limiti amministrativi al diritto di proprietà. Anche a livello giurisprudenziale questa visione del rapporto fra urbanistica e proprietà privata era confermata da svariate pronunce della Corte Costituzionale (originate dalla sentenza cardine in materia, la n. 6/1966 che prevede il riconoscimento di un indennizzo in caso di esproprio per pubblica utilità) che andavano a riconoscere alla proprietà privata una posizione di privilegio rispetto alle esigenze pubblicistiche della pianificazione del territorio1.

1 Insieme alla già citata sentenza n. 6/1966 le altre pronunce che vanno a incidere in questo senso sono le seguenti: Corte Cost. Sent. n.55/1968 con cui la Corte, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 7 e 40 della legge n. 1150 del 1942, nella parte in cui non prevedono

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Questa impostazione però è risultata riduttiva perché tendeva a far figurare l'intero campo dell'urbanistica come mezzo dell'azione amministrativa per limitare l'autonomia privata, in realtà questo è uno dei vari aspetti su cui incide nella realtà pratica di tutti i giorni il diritto urbanistico. Infatti secondo la più moderna dottrina portata avanti da Stella Richter, oggetto dell'urbanistica non è la proprietà privata, ma il territorio, inteso come luogo in cui vanno a confluire una molteplicità di interessi pubblici. Adottando questa nuova impostazione possiamo capire come il diritto urbanistico non si possa identificare né con la limitazione della proprietà privata, né con la limitazione dell'iniziativa economica, ma anzi, queste limitazioni siano solo un mezzo strumentale con cui il diritto urbanistico possa raggiungere il reale fine di ordinato assetto del territorio. Quindi l'urbanistica non è regolamentazione della proprietà e dell'iniziativa economica sul territorio, ma predisposizione di misure e condizioni ambientali necessarie affinché la proprietà privata e l'iniziativa economica possano normalmente e liberamente esplicarsi.

L’oggetto dell’urbanistica diventa, quindi, quello della potestà conformativa del potere pubblico sui beni immobili, una potestà talmente pervasiva che può arrivare anche alla ablazione del bene stesso ai fini della soddisfazione degli interessi pubblici2. Questa nuova impostazione dà quindi anche una nuova interpretazione delle disposizioni Costituzionali precedentemente richiamate; cambiando il punto di vista, possiamo notare come l'accento quindi non vada più messo sull'aspetto negativo della limitazione della proprietà privata, ma invece vada posto su quello positivo precedentemente sottolineato, cioè sulla funzione sociale della proprietà che per realizzarsi deve necessariamente trovare un punto di sintesi con gli interessi della collettività e con la situazione ambientale del territorio.

La nuova visione della funzione urbanistica alla luce della situazione italiana normativa attuale (che tratteremo in seguito) non sembra essere quella predominante perché la normativa italiana e anche la trattazione sui vari manuali sia di diritto urbanistico che di diritto amministrativo continua a percorrere il filo conduttore dell'urbanistica intesa come limitazione amministrativa alla proprietà privata. Passi in avanti del legislatore volti a un indennizzo per l’imposizione di limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato nei confronti dei diritti reali, quando le limitazioni abbiano contenuto espropriativo; Corte Cost. Sent. n. 5/1980, la sentenza predispone che tale indennizzo, se non deve costituire una integrale riparazione della perdita subita non deve essere comunque irrisorio o meramente simbolico; Corte Cost. Sent. n. 179/1999.

2 [Paolo Urbani] Le nuove frontiere del diritto urbanistico: potere conformativo e proprietà privata; intervento al TAR di Lecce del 21 Giugno 2013.

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cambiare questa impostazione ci sono stati, ma si riscontra ancora un certo ritardo da parte delle Regioni affinché le varie norme vengano effettivamente recepite e questo “vuoto applicativo” si possa finalmente colmare.

In questo senso alcun i impulsi provengono anche dal diritto comunitario, che spinge nella direzione di un processo di integrazione fra i principi nazionali e quelli comunitari in tema di assetto del territorio. In realtà in materia di pianificazione non sono state emanate ancora specifiche norme a livello comunitario, anche perché possiamo affermare con certezza che le politiche europee, in questo periodo, siano molto più incentrate sulla creazione di un mercato unico.

Gli impulsi che finora sono stati dati a livello comunitario sono più incentrati sulle politiche di tutela ambientale ponendosi come primo obiettivo quello dell'armonizzazione delle varie normative dei singoli paesi. Questi interventi amministrativi e specificatamente in tema di tutela dell'ambiente incidono quindi senza dubbio sulle normative statali e vanno a condizionare fortemente anche il diritto urbanistico almeno sotto quattro profili:

a) in primo luogo perché, pur mancando delle specifiche fonti europee, il diritto urbanistico utilizza o comunque si appoggia ai principi del diritto amministrativo, il quale a sua volta, sul piano nazionale, costituisce parte di un più ampio diritto amministrativo europeo;

b) l'applicazione di questi principi caratteristici in settori di intervento comunitario, che sono a contatto con l'urbanistica (ad es. regolamentazione degli appalti pubblici di lavori), vanno evidentemente a modificare aspetti e regole proprie di quest'ultima;

c) l'Unione Europea istituisce appositamente dei fondi a finalità strutturate destinati alle regioni in ritardo nell'adeguamento e nella coesione con gli standard economici, sociali e territoriali europei. Con questo tipo di investimenti si finanziano anche opere e programmi di carattere urbanistico o comunque incidenti sul governo del territorio;

d) a seguito del trattato di Maastricht e del recente processo di avviamento di un Trattato costituzionale europeo, con alla base il perseguimento di determinati valori di stretta attualità come lo sviluppo sostenibile e la coesione socio-economica, inevitabilmente si dovrà passare da un riordino e modificazione anche dei principi in tema di politiche di gestione del territorio.

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Detto quanto precede come premessa, possiamo iniziare a studiare l'evoluzione della relazione fra urbanistica e vincolo ambientale partendo dal 1865, anno in cui vengono emanate le leggi sull'unificazione amministrativa dello Stato che prendono spunto da precedenti normative già vigenti nel Regno di Sardegna, riguardanti regolamenti locali in tema di piano di “ampliazione e allineamento”.

La normativa generale in questo periodo si basa su due principi cardine: a) limitare il godimento e l'utilizzo incondizionato della proprietà del bene se in contrasto con altri interessi rilevanti; b) rimodellare l'ambito dei poteri privati e degli interventi sul territorio all'interno della figura giuridica del piano urbanistico. Questo è dovuto al fatto che lo sviluppo del territorio in maniera cosciente e ordinata è ritenuto un interesse primario e questa linea di pensiero, possiamo notare, evidenzia per la prima volta una necessità di prevedere processi regolatori sia fra i conflitti di interesse fra proprietari che fra interessi dei singoli e della collettività. E' il momento storico in cui c'è il passaggio da città medievale a città come centro di scambi e di produzione con incontro di svariati interessi. I primi interventi in materia urbanistica si hanno in forma di regolamenti che in questo caso vanno ad incidere non tanto sull'assetto dell'intero territorio ma a regolare con un po' più di precisione le attività edilizie e il tessuto urbano. E' proprio dall'impostazione riduttiva delle capacità dell'urbanistica di questo periodo che nasce la convinzione che appunto l'urbanistica si occupi in via principale di limitazioni alla proprietà privata come accennato ad inizio paragrafo.

E' solo nel 1942, con la legge fondamentale del 17 Agosto n.1150 (cosiddetta “legge urbanistica”) che viene ad assumere importanza e diventa più incisivo l'istituto del piano urbanistico, con i regolamenti edilizi che mirano a disciplinare quella che diventa la microurbanistica. Il piano urbanistico, che con questa legge assume rilevanza generale, provvede a dividere il territorio comunale in zone tendenzialmente omogenee. A queste zone veniva assegnato una propria disciplina d'uso particolare in base al contenuto tematico di quell'area. Questa tecnica di dividere il territorio in zone e sottoporle ciascuna a discipline particolari che rispondano a interessi specifici si chiama “zoning” (o “zonizzazione”), termine che nasce durante l'esperienza dell'urbanistica americana, dove la città non preesistono ma sono il primo fenomeno di insediamento delle comunità,;che va ad indicare appunto la divisione delle territorio in zone a contenuto tematico specifico in base a interessi pubblici determinati. Questi piani specializzati non vanno a sostituirsi al piano urbanistico, ma lo affiancano per creare un momento di incontro fra i vari interessi

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che possono risultare preminenti in una particolare zona del territorio. La zonizzazione mantiene comuni a tutti i procedimenti le regole procedimentali, che però si diversificano per quanto riguardano le modalità di attuazione e gli effetti giuridici andando a diversificare il rapporto tra il potere pubblico e gli operatori privati per quanto riguarda la concreta edificazione nelle determinate aree. Nel corso degli anni poi vi sono stati altri mutamenti rilevanti della normativa, a partire dagli anni '60, anni in cui sono stati introdotti elementi molto innovativi per la concezione di urbanistica di quel periodo. Con l'istituzione delle Regioni ordinarie nel 1970 ed il loro seguente consolidamento amministrativo, l'urbanistica ha visto allargare i suoi confini passando dal concetto di regolamentazione dell'incremento edilizio dei centri abitati a quello più ampio di “governo del territorio”. Questo passaggio sottolinea in maniera evidente come l'urbanistica diventa il mezzo con cui vengono governate le varie trasformazioni del territorio e gli interessi che su tale territorio entrano in rapporto fra di loro. Quando le prime volte si è iniziato a parlare di urbanistica in questa accezione più ampia e complessa, si è assistito ad un moto di ripensamento e di ritorno ai vecchi concetti, cercando motivazioni che non trovavano però il giusto riscontro nella pratica.

In primo luogo si asseriva che l'urbanistica non potesse essere la disciplina principale riguardo all'assetto e al governo del territorio perché appunto sul territorio vanno ad incrociarsi una moltitudine di interessi che non sono riconducibili all'urbanistica.

Questa prima affermazione per quanto potesse sembrare teoricamente giusta in linea di base non riusciva a cogliere l'idea di fondo dell'urbanistica che è proprio quella di disciplina che riesce a mettersi al di sopra del conflitto di interessi specifici, non fungendo ne da giudice per determinare quale interesse fosse prevalente o meno, e nemmeno come disciplina rigida e settoriale incapace di arrivare ad una sintesi di interessi a lei estranea. L'urbanistica che nasce in questo periodo ha nella capacità di poter mettere a confronto vari interessi, alle volte anche molto distanti fra di loro, la propria forza; l'urbanistica infatti riesce a creare un punto di incontro fra vari interessi cercando di plasmare il territorio a seconda delle necessità principali della collettività. Il piano opera secondo fini di risultato spaziali e temporali, in ciò esplicitando che si tratta di attività procedimentalizzata dei pubblici poteri, la cui dimensione spaziale varia in rapporto alla dimensione degli interessi da curare, avente una portata temporale, ed un’efficacia strumentale e non finalistica3.

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Se la pratica risolveva questa prima questione, la soluzione presto va ad offrire il fianco ad una seconda serie di critiche, e cioè l'incapacità di cogliere dei confini netti in cui collocare l'urbanistica, dove essa si muove ed esplica le sue funzioni principali.

Questa seconda opposizione per un po' di tempo fu avvalorata anche dalla giurisprudenza costituzionale che affermava che ad esempio la tutela dell'ambiente, il paesaggio o la protezione della natura fossero materie distinte dall'urbanistica. Anche se la questione pare anche qui non priva di fondamento sia teorico che pratico si rischia però di ridurre lo studio dell'urbanistica e degli interessi in gioco ad una semplice definizione terminologica, perché sotto il profilo funzionale e scientifico appare dirimente accettare una nozione più estesa di urbanistica, andando non tanto a tracciare i confini della materia, che variano soprattutto in base al punto di vista di partenza che prendiamo e che quindi risultano molto soggettivi, ma ciò che davvero interessa alla scienza giuridica è determinare l'assetto del territorio in un dato momento a prescindere da quale soggetto pubblico vada ad intervenire e con quali mezzi (atti giuridici) esso sia determinato.

Fondamentali in questa chiusura della discussione su quale portata abbiano gli strumenti urbanistici sono alcune pronunce del Consiglio di Stato4 per cui si assume infatti, che il potere di pianificazione urbanistica del territorio attribuito al comune “non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse, ma al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non è limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli, ma che realizzi anche finalità economico – sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonia con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato).

Diventa quindi importante non tracciare il confine ma prendere in considerazione le concrete funzioni amministrative dei vari soggetti e gli effetti giuridici conseguenti ai loro atti, identificandone i profili e gli elementi principali che connotano la disciplina urbanistica come:

• la posizione di regole conformative dell'assetto territoriale, e cioè porre regole generali per le varie zone del territorio da rispettare nella fase poi attuativa dei vari mezzi;

• l'impiego del metodo della pianificazione conformativa dei suoli, modellando 4 Cons. di Stato, sent. 2710/2012 (Cortina) e sent. 6040/2012 (Palo del Colle)

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le varie prescrizioni in base alla ponderazione degli interessi in campo e alla dislocazione di questi interessi pubblici e privati sul territorio.

Questi due elementi sono facilmente rintracciabili sia negli attuali piani regolatori comunali (regole conformative), che mirano in modo indistinto all'assetto ordinato del territorio; sia nei piani paesaggistici o di bacino ad esempio che tutelano un interesse primario evidente, individuato dalla norma (pianificazione conformativa). Questa è la funzione urbanistica che da questo momento in poi viene presa come funzione principale, in cui vi rientrano tutti gli strumenti che vanno a porre regole di uso del territorio. L'apparente complicazione fra regole e pianificazione attuativa è meramente terminologica e deriva dal fatto esistono forme di tutela e di cura di interessi territoriali settoriali che non si possono esprimere attraverso una regolazione generale, ma necessitano di stabilire la qualità di una determinata porzione di territorio e dettare quindi una serie di limiti interni a quella determinata zona. Se questa è la funzione urbanistica, e quindi modellazione del territorio in base all'incontro di interessi pubblici e privati più o meno importanti per la collettività, acquista gradualmente un importanza sempre maggiore la figura della vincolazione di determinate zone a regimi giuridici che rispondono a interessi da tutelare che sono in posizione prevalente rispetto agli altri trattati nel piano urbanistico, e che quindi, come detto in precedenza, necessitano di una qualificazione particolare.

La qualificazione di una determinata zona ad un regime giuridico speciale si ha con la figura del vincolo. Il vincolo dichiara la qualità di una determinata porzione di territorio, senza porre regole di compatibilità sull'uso di quei suoli. Ciò comporta che in quella determinata porzione di territorio per effettuare modifiche fisiche occorrerà imprescindibilmente l'autorizzazione di una specifica amministrazione preposta appositamente alla tutela dell'interesse pubblico in questione (tema del vincolo) e unitamente a ciò servirà anche un intesa fra il Comune e la medesima amministrazione sulla destinazione di quell'area. In questo caso poi la destinazione d'uso del territorio è di solito posta anche dal piano regolatore comunale, che va ad arricchirsi della partecipazione di vari soggetti pubblici a questo punto, ma se così non fosse e che la cura e la soddisfazione di questi interessi pubblici settoriali ma sovraordinati sia demandata ad altri provvedimenti, sono direttamente quest'ultimi che vanno a dettare le regole per la pianificazione urbanistica comunale, tanto è che incidono a tal punto di variarlo o determinare degli obblighi di adeguamento del secondo ai primi. Nel nostro ordinamento

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vi sono una pluralità di provvedimenti che hanno la funzione di atto di pianificazione, preordinati tutti a stabilire regole d'uso del territorio, e che entrano in rapporto fra di loro in modi diversi. Quello che è palese è che tali regole e provvedimenti, a differenza delle norme legislative, non hanno una loro gerarchia e quindi non sono ordinabili su una piramide gerarchica discendente. Nonostante svariati tentativi di dare questa impostazione all'urbanistica la funzione principale di modellazione del territorio in base all'incontro di svariati interessi sia pubblici che privati è il principale limite alla gerarchizzazione netta e rigida dei provvedimenti amministrativi in tema di pianificazione. La figura del vincolo in un certo senso va a superare questo problema ponendosi non come ennesimo strumento di pianificazione ma come mezzo a tutela di un interesse pubblico settoriale sovraordinato che, dando una qualificazione alla porzione di territorio, incide in maniera significativa sul piano urbanistico, andando praticamente a superare l'idea di una gerarchia dei piani e accettando invece un principio di gerarchia degli interessi. Questa nuova impostazione di gerarchia degli interessi e non dei provvedimenti è inoltre avvalorata dalla frequenza dei casi con cui si presentava interferenza della disciplina urbanistica con quella di tutela ambientale. Se avessimo accettato una gerarchia dei provvedimenti gli interessi di tutela dell'ambiente e del paesaggio da una parte, e quelli di modellazione del territorio dall'altra, sarebbero passati in secondo piano, visto che il nodo centrale sarebbe stato stabilire quale dei due piani fosse risultato prevalente. Utilizzando invece la gerarchia degli interessi abbiamo spostato il peso sugli interessi in gioco e spesso il risultato è stato quello in cui si andava a notare una tendenziale affinità degli interessi protetti dalle due discipline, affinità che sfociava in una sovrapposizione in alcuni casi. Questo tendenziale sviluppo della figura del vincolo trova poi in una sentenza della Corte Cost.5 la sua natura di vincolo morfologico e ricognitivo.

Questa sovrapposizione di interessi ha portato parte della dottrina a ritenere che l'urbanistica sia nella realtà dei fatti uno strumento di tutela del paesaggio, inteso nella sua accezione più ampia, e cioè come forma del paese nel suo divenire, e che quindi andrebbe superata la distinzione fra le due materie. Anche se nella pratica spesso le due discipline tendono a sovrapporsi, per la dottrina, ciò che distingue le due discipline sono gli interessi oggetto della loro tutela e al cui soddisfacimento sono tesi; mentre l'urbanistica ha ad oggetto l'armonizzazione di tutti i possibili usi del territorio, la tutela del paesaggio attiene 5 Corte cost. n. 56/1968; specificatamente nel Considerato in diritto, al punto 5, si tende ad evidenziare che le motivazioni per cui il piano paesistico si pone su un piano superiore rispetto alle leggi urbanistiche, non è per una questione di gerarchia dei piani, ma per gli interessi che quest'ultimo tende a proteggere con e proprie disposizioni.

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al perseguimento della salvaguardia ambientale di parti del territorio nazionale in virtù del suo valore estetico-culturale e assume posizione di prevalenza rispetto alla prima. Va osservato, che le discipline qui in esame più che considerarsi sovrapposte, debbano essere considerate parallele, in quanto regolamentano usi dei beni territoriali parallelamente. Questa posizione della dottrina è stata poi confermata anche da alcune sentenze della corte Costituzionale, tra cui una che riguarda specificatamente anche la Regione Toscana6, in cui la corte inoltre precisa anche in che senso sia da interpretare questa distinzione; si tratta di due livelli di tutela che possono (e devono) essere coordinati tra loro in una logica collaborativa.

Nello stesso periodo in cui la dottrina (e anche la giurisprudenza, quella costituzionale) si inizia ad interessare delle differenze e confini esistenti tra urbanistica e tutela dell'ambiente (interesse dettato anche dagli evidenti problemi derivanti da una mancanza di struttura di coordinamento tra i vari provvedimenti) si stava consolidando la necessità di reinterpretare la questione della tutela ambientale in una nuova ottica. Questa reinterpretazione offre la soluzione al problema della mancanza di coordinamento fra urbanistica e appunto tutela ambientale. La tutela ambientale viene vista in un ottica più ampia, e cioè non solo come semplice tutela dell'ambiente, ma come tutela anche del tessuto urbanistico dai vari rischi ambientali che si sviluppano su un territorio come ad esempio sono i rischi sismici o idrogeologici. Questa nuova impostazione si appoggia necessariamente allo strumento del vincolo, uno strumento che nei casi di emergenza a seguito di eventi calamitosi, diventa anche risposta agli eventi oltre ad essere prescrizione per l'urbanistica futura.

2. Il vincolo, da risposta agli eventi a sistema di prevenzione: il T.U. dell'edilizia Come anticipato in conclusione del precedente paragrafo, la nuova attenzione della collettività e poi del legislatore ai fenomeni naturali calamitosi necessitano di uno strumento che possa incidere in maniera energica nell'urbanistica in relazione all'ambiente e al territorio, e questo mezzo è il vincolo. I rischi ambientali che generano questa nuova consapevolezza urbanistica si possono dividere in due grandi categorie: a) rischi ambientali di origine antropica, cioè quei rischi che hanno alla base attività umane che in un certo senso non si curano di quelli che sono i limiti e le condizioni dell'ambiente, 6 Corte cost. n. 182/2006

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oppure che vanno ad incidere negativamente sulla situazione ambientale. Sono i rischi oggetto delle disposizioni di tutela ambientale e di armonizzazione tra gli interessi della collettività e i limiti ambientali; b) rischi ambientali di origine naturale, sono invece quei rischi che trovano ragione nella natura e nella loro più o meno possibilità di verificazione indipendentemente dall'attività umana. Questi rischi generano interventi normativi che inizialmente tendono alla gestione delle emergenze e alla limitazione degli effetti negativi. Quello che più ci riguarda nel nostro caso è il secondo tipo di rischi, cioè quelli di origine naturale, e in special modo l'attenzione posta ai rischi derivanti dal sottosuolo (come terremoti o problemi idrogeologici derivanti da scosse telluriche) e alla sua regolamentazione. Come già accennato, questi rischi, impossibili da prevedere (soprattutto nella prima metà del '900 dove la ricerca non aveva fatto ancora i passi da gigante fatti invece a fine '900 e primi anni del 2000) generavano una grande confusione a livello legislativo perché i mezzi fino ad allora conosciuti si basavano sulla risposta all'evento calamitoso. Il rischio sismico è un rischio che per sua natura presuppone un solo tipo di intervento legislativo, e cioè quello riguardo l'emanazione di regole tecniche particolari da rispettare per la costruzione di edifici situati in zone dichiarate sismiche.

A differenza di altri rischi di cui è possibile oltre che ridurne gli effetti grazie a particolari regole di costruzione, anche prevenirli e diminuire la loro possibilità di verificarsi con appositi interventi fisici sul territorio (ad es. interventi riguardo la tutela dei bacini idrici); quello sismico non può essere oggetto di prevenzione con attività umane, poiché il fenomeno è totalmente indipendente dalle attività umane.

L'attenzione che agli inizi del XX secolo viene data al rischio sismico è dovuta dal verificarsi dei primi terremoti distruttivi di Reggio Calabria e Messina del 28 Dicembre 1908. La risposta amministrativa non è immediata e bisognerà aspettare purtroppo solamente il 1927 per avere i primi interventi riguardo la classificazione del territorio. L'individuazione delle zone sismiche in Italia avviene attraverso lo strumento del regio decreto, che va a dividere le località colpite da sismi in due categorie in base al grado di sismicità ed alla loro costituzione geologica. Pertanto, la mappa sismica in Italia a questo punto non è altro che la mappa dei territori colpiti da sismi dopo il 1908, mentre quelli colpiti prima, non vengono classificati e quindi non saranno soggetti alla futura normativa antisismica fino a nuova classificazione. Se da una parte è necessaria una classificazione dei territori in base al loro grado di sismicità è altrettanto necessaria l'evoluzione delle

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tecniche costruttive degli edifici con specifico riguardo a quelli situati in zone dichiarate sismiche, e che questi studi vadano a comporre una normativa tecnica organica valevole per tutto il territorio.

Il primo intervento legislativo un po' più organico, o che comunque cercava di fare chiarezza in materia (dopo la prima classificazione del 1927) fu quello realizzato nel 1962 con la legge 25 Novembre n.1684 recante appunto “Provvedimenti per l'edilizia, con particolari prescrizioni per le zone sismiche”. Questo primo intervento viene completamente ripreso dodici anni dopo, dalla legge 2 Febbraio 1974, n.64 che sostituisce integralmente la legge del '62 e getta le basi per la legislazione antisismica italiana, costituendo l'apparato normativo su cui si basa l'attuale legge antisismica vigente. Solamente con la legge 64/1974 quindi viene approvata una nuova normativa antisismica nazionale che ha stabilito il quadro di riferimento per le modalità di classificazione sismica del territorio nazionale, oltre che di redazione delle norme tecniche. La legge in esame delegava il Ministro dei Lavori Pubblici

• all'emanazione di norme tecniche per le costruzioni sia pubbliche che private. Queste norme dovevano essere fatte di concerto con il Ministro per l'Interno, sentito il parere sia del Consiglio superiore ai lavori pubblici e il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche);

• all'aggiornamento della classificazione sismica con successivi decreti ministeriali.

In particolar modo possiamo notare già all'art.1 come stia cambiando la mentalità alla base degli interventi in materia del legislatore, infatti la legge non si preoccupa solo di elencare una serie di norme tecniche, ma va a toccare oltre ai criteri generali tecnico-costruttivi, anche i criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e la predisposizione di indagini sui terreni e sulle rocce coordinate al collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione.

Questo cambio di mentalità è dovuto al fatto che nell'affrontare le emergenze dovute ai precedenti eventi sismici, lo Stato si trova sfornito dei mezzi idonei (soprattutto legislativi) per contenere i danni, ma soprattutto a far si che in occasione di un qualsiasi evento sismico di notevole importanza, debba assistere impotente alla distruzione e poi dover intervenire successivamente solo con piani di ricostruzione. C'è la presa di coscienza del fatto che edifici molto antichi, durante grandi scosse di terremoto, restino in piedi e subiscano danni più lievi rispetto a edifici di nuova costruzione che dovrebbero in linea teorica garantire una maggior stabilità e quindi sicurezza. Per ricercare le cause di

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questo fenomeno bisogna fare un piccolo passo indietro. Come già detto in precedenza intorno ai primi del '900 abbiamo i primi interventi in materia di antisismica, legati in particolar modo alla regolamentazione della costruzione di nuovi edifici e al consolidamento di quelli già esistenti. Il sistema a quel momento, però si rivela inadatto a quello che sarà il “boom edilizio” italiano di fine anni '50 e primi anni '60 dove assistiamo ad un espansione economico/edilizia che il sistema normativo non riesce a controllare. Nel dopoguerra il volume edilizio sul territorio aumenta vertiginosamente, questo porta nel giro di vent'anni circa al raddoppio del numero delle sole abitazioni. Questo aumento edilizio è causato dall'aumento demografico del paese e dallo spostamento di migliaia di persone che dal Mezzogiorno si spostarono al Nord, e da una situazione economica caratterizzata da bassi tassi d'interesse che garantivano alla maggior parte della popolazione l'accesso ai crediti e ai mutui fondiari ed edilizi. Il boom edilizio però crea dei problemi evidenti perché ogni crescita veloce ed inattesa conduce alla nascita di nuovi squilibri ed il boom edilizio degli anni sessanta in Italia non fu da meno, viste anche le condizioni di arretratezza del paese e soprattutto la rapidità con il quale questo si sviluppò. Il primo grosso problema è quello della speculazione edilizia: le città crescono rapidamente, ed il territorio nazionale muta la sua fisionomia; da un paese essenzialmente rurale ed agricolo l'Italia si trasforma in una estensione di grandi sobborghi urbani ed industriali dove il cemento è il nuovo comune denominatore. Non vengono risparmiate nemmeno le coste ed i piccoli villaggi, che si trasformano in centri balneari o turistici per far fronte alle nuove domande (seconde case, alberghi ecc.), che la nuova società industriale ed urbana impone. Il secondo problema è quello che veniva accennato precedentemente, è cioè la mancanza di una disciplina urbanistica adeguata a far fronte ad un espansione urbanistica di questo tipo. La mancanza di una legislazione urbanistica efficiente ed anche il mancato rispetto delle norme in molti casi consentì di costruire praticamente ovunque anche senza tener conto delle prescrizioni edilizie ed antisismiche. Da stime del Censis vengono considerati di scarsa qualità tecnica ed a rischio circa 680.000 alloggi risalenti a quell'epoca. Il paese si era sviluppato troppo velocemente, tanto che i suoi legislatori la sua cultura, le sue amministrazioni non riuscirono a tenerne il passo. La speculazione a cui si stava assistendo, e la mancanza di una disciplina che prevedesse una fitta rete di controlli, favorì inevitabilmente fenomeni di corruzione che prosperarono in quel periodo dato anche il mancato adeguamento dei regolamenti edilizi. Il fenomeno della corruzione unito agli scarsi controlli (dovuti sia ad inadeguatezza normativa, che all'impossibilità di controllare puntualmente una mole di lavori così estesa) permise la costruzione quindi di edifici si in poco tempo, ma in zone molto pericolose

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(zone sismiche, o soggette a rischi idro-geologici) e senza il rispetto di standard di sicurezza affidabili. Questo periodo porta quindi alla nascita di numerose abitazioni che però risultarono inadatte quando le scosse di terremoto le distrussero.

L'evidenza delle lacune normative quindi risulta palese, ma il legislatore, con l'intervento del 1974 (come con quelli successivi) riesce solo a riparare ad una delle lacune, e cioè quella dell'adeguamento delle norme tecniche e dell'aggiornamento della classificazione del territorio, senza intervenire in maniera radicale nel sistema dei controlli. Infatti la legge n.64 prevedeva un doppio binario di aggiornamento delle norme tecniche di costruzione e dei fenomeni.

Per aggiornare le prime era semplicemente necessario che ciò fosse giustificato dall'evolversi delle conoscenze sui fenomeni sismici e sul loro impatto sulle costruzioni, mentre per aggiornare la classificazione del territorio si continuava ad operare come in passato attraverso l'inserimento dei nuovi comuni colpiti da terremoti, andando a fornire una specie di anagrafe territoriale dei terremoti. Quest'ultimo punto, riguardo la classificazione in base all'accadimento o meno di fenomeni sismici è quello che desta maggiori dubbi perché risultava contro il senso dell'aggiornamento delle norme tecniche invece in base a studi mirati. Queste riflessioni portano, all'indomani dei terremoti del Friuli Venezia Giulia del 1976, e dell'Irpinia del 1980, all'investimento nel progetto del CNR “Geodinamica” votato all'aumento delle conoscenze sulla sismicità del territorio nazionale. Questi studi centrano il risultato prefissato e consento la formulazione di una nuova proposta classificazione sismica presentata al Governo, che si sarà tradotta in una serie di decreti del Ministero dei lavori pubblici approvati tra il 1980 e il 1984, ma che andranno a costituire la classificazione del territorio non prima dell'emanazione dell'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri (OPCM) n.3274 del 2003. La proposta del CNR si basava, per la prima volta in Italia, su indagini di tipo probabilistico della sismicità del territorio, con la divisione di quest'ultimo in tre categorie sismiche, e il coordinamento di ogni categoria sismica a determinate norme tecniche per la costruzione. Partendo dall'impianto normativo vigente al 1974, abbiamo avuto, dal 1975 al 1996, una serie di decreti Ministeriali che andavano a fissare le principali norme tecniche valide per le costruzioni nelle zone sismiche. Con questa nuova spinta e attenzione ad un edilizia che non fosse solo disciplina della trasformazioni dell'abitato, ma anche tutela e disciplina delle varie trasformazioni del territorio, si riesce a dare attuazione ad alcune circolari ministeriali e fare dell'urbanistica non solo una risposta tardiva agli aventi ma anche una soluzione preventiva di alcuni effetti. A compimento di questo percorso oltre alla OPCM

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del 2003 (che verrà trattata nel secondo capitolo) si hanno due interventi legislativi molto importanti: uno è il decreto legislativo n.112 del 1998 che dispone il riparto di competenze sul tema di costruzioni in zone sismiche e classificazione delle stesse fra Stato e Regioni (vedi paragrafo “c”); e un altro è il Decreto del Presidente della Repubblica 6 Giugno 2001 n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” (detto anche “Testo Unico dell'edilizia”).

Mentre il primo verrà trattato nel prossimo paragrafo che si andrà ad occupare puntualmente del rapporto fra Stato e Regioni è invece importante inquadrare il secondo provvedimento in cui confluisce per buona parte il testo della legge n.64/1974 con alcune modifiche.

Il Dpr in questione al Capo IV reca: “Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”, con disposizioni specifiche riguardo alle norme tecnico-edilizie, e riprendendo una serie di articoli dedicati in maniera dettagliata alla vigilanza e alla repressione delle violazioni; ed è su quest'ultima parte che si pone l'accento del legislatore, riprendendo le norme già previste anche dalla normativa precedente che vengono riordinate in un contesto più ordinato e dettagliato cercando di dargli nuova linfa, visto che nel primo periodo di vigenza furono in parte disattese. Nella prima sezione (che va dall'art.83 all'art.92), abbiamo un insieme di norme tecniche, mentre è nella seconda e terza sezione (dall'art.93 all'art.106) che si deve andare a posare la nostra attenzione, sono queste le sezioni che si occupano dei meccanismi di vigilanza e di repressione delle eventuali violazioni.

Il procedimento stabilito da questo decreto centra perfettamente il cambiare della concezione del vincolo, cioè da risposta all'evento sismico a sistema di prevenzione in coordinamento con le norme tecniche e gli studi del suolo. Intanto il procedimento comincia come in tutti i casi di trasformazioni dell'abitato (costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni) con una denuncia dei lavori da comunicare allo sportello unico del comune in cui si intende costruire e inviarne copia all'ufficio tecnico della Regione, indicando le informazioni di base come domicilio di chi denuncia l'inizio dei lavori, e poi il nome e la residenza del progettista, del direttore dei lavori e dell'appaltatore. A questa domanda deve essere allegato anche il progetto in questione (in doppia copia, firmato da direttore dei lavori e dall'ingegnere). Oltre a stabilire varie condizioni minime richieste affinché il progetto sia valido, è scritto che, ogni Comune è obbligato a tenere “un registro

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delle denunzie dei lavori di cui al presente articolo” (art.93, comma6) riguardo quindi alle costruzioni in zone sismiche e che questo registro “deve essere esibito, costantemente aggiornato, a semplice richiesta, ai funzionari, ufficiali ed agenti indicati nell'art.103. I funzionari qui richiamati sono:

• Ufficiali di polizia giudiziaria;

• ingegneri e geometri delle amministrazioni statali e degli uffici tecnici regionali provinciali e comunali;

• le guardie doganali e forestali;

• ufficiali e sottufficiali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; • in generale tutti gli agenti giurati al servizio delle Stato.

Su questi soggetti ricade il dovere di accertare che chiunque inizi modificazioni dell'abitato (così come descritte dall'art.93) sia in possesso dell'autorizzazione rilasciata dal competente ufficio tecnico della regione. Possiamo già notare come questa legge preveda si un obbligo nei confronti di questi soggetti a fronte di una mole di lavoro notevole, ma il legislatore, cosciente della facilità con cui alle volte si riesce a mascherare queste modificazioni, fa ricadere quest'obbligo su una vasta gamma di soggetti che hanno un ruolo di rilevanza pubblica, chiudendo con una clausola inclusiva (“in generale tutti gli agenti...” tesa a garantire il miglior controllo sotto questo punto di vista. Questi soggetti, come descritto dall'art.93, hanno la possibilità, tramite una semplice richiesta, di esaminare il registro comunale delle denunzie di inizio lavori in zone sismiche (definite all'art.83 dello stesso decreto).

Questi semplici controlli sulla regolarità dei lavori, descritti in precedenza, tendono alla ricerca del possesso dell'autorizzazione rilasciata entro sessanta giorni dal deposito della richiesta dall'ufficio tecnico della regione, che viene poi comunicata al comune per i provvedimenti di sua competenza. In questa caso vale il principio del silenzio-diniego perché nel caso di mancata risposta, non si può cominciare i lavori ma è possibile proporre ricorso al presidente della giunta regionale che decide con provvedimento definitivo. L’art. 93, imponendo l’obbligo positivo della preventiva denuncia dell’opera, sanziona l’impossibilita` dell’amministrazione di controllare la costruzione antisismica nel momento della sua progettazione mentre l’art. 94, sanzionando l’inizio dei lavori senza autorizzazione, garantisce il controllo amministrativo nella fase esecutiva del manufatto.7

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Nel caso in cui uno dei soggetti prima elencati, ravvisi un anomalia nell'autorizzazione e quindi l'irregolarità dei lavori, o la completa mancanza di autorizzazione, è obbligato a compilare immediatamente un processo verbale da trasmettere all'ufficio tecnico regionale. Il dirigente di questo ufficio, ricevuto il processo verbale, può compiere ulteriori accertamenti di carattere tecnico se ritenuti necessari dalle circostanze e quindi trasmettere il processo all'autorità giudiziaria competente allegando le proprie deduzioni8. Contemporaneamente all'attivazione del procedimento giudiziario (art.96), il dirigente dell'ufficio tecnico regionale deve ordinare, tramite decreto motivato, l'immediata sospensione dei lavori (la cui copia sarà trasmessa all'ufficio comunale competente) che avrà valenza fino alla data in cui la pronuncia dell'autorità giudiziaria non sia irrevocabile (art.97). Questa comunicazione è inoltrata sia al proprietario che al direttore dei lavori, e nel caso sia necessario, il dirigente dell'ufficio tecnico regionale può prevedere l'intervento della forza pubblica per eseguire tale ordine di sospensione dei lavori (art.97, comma 3). Gli articoli successivi si occupano di dare una regolamentazione al processo penale che si va a instaurare su richiesta dell'ufficio tecnico regionale, specialmente per quanto riguarda le sanzioni che si compongono di un ammenda e dell'immediato ordine di distruzione delle opere già iniziate a spese del proprietario (con possibilità di esecuzione d'ufficio). La particolarità è data dal fatto che nel caso che il reato sia estinto per una qualsiasi causa, rimane ferma comunque la previsione di demolire le costruzioni, o eventualmente, di provvedere a modifiche che possano mettere in regola la costruzione, ove possibile. Il nodo centrale di tutto l'impianto del dpr n.380/2001 non è solo la previsione di una normativa organica esclusivamente volta alla regolamentazione delle costruzioni e dei meccanismi di vigilanza, ma è il fatto che tutto questo assetto normativo sia coordinato e legato ad una prima parte in cui vengono descritte le zone sismiche per cui sono valevoli tali prescrizioni, indicando all'art.83 le “opere disciplinate e gradi di sismicità”. Le opere disciplinate sono infatti tutte quelle le cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità, da realizzarsi in zone sismiche individuate ai sensi dei due commi successivi che riguardano appunto i criteri di dichiarazione di sismicità:

• comma 2] Il Ministro per le infrastrutture ed i trasporti, di concerto con il Ministro per l'interno, sentito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la Conferenza unificata (Stato-Regioni) e il CNR, provvede con decreto alla 8 Sul punto: Tribunale di Cosenza, 20 Aprile 2009, Giud. Branda (Corriere del Merito n.7/2009). Il punto della sentenza in esame è il contrasto tra la Legge regionale 7/1998 e il dPR 380/2001, ma nel giudizio l'attenzione si sposta anche sul fatto di poter procedere ai lavori in assenza dell'autorizzazione a costruire in zona sismica, in virtù del fatto che l'imputata ne era sprovvista.

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definizione dei criteri generali per l'individuazione delle zone sismiche e dei relativi valori differenziati;

• comma 3] le Regioni, sentite le province e i comuni interessati provvedono all'individuazione materiale delle zone secondo i principi individuati dal decreto ministeriale. Provvedono inoltre alla formazione e all'aggiornamento di un apposito elenco delle medesime zone e dei gradi attribuiti.

Quello che così descritto può sembrare un buon impianto, completo e teso a rendere la materia regolata in materia uniforme nascondeva purtroppo una piccola lacuna per cui si renderà necessario un nuovo intervento nel 2003. Se dal punto di vista giudiziario la normativa è precisa e puntuale, il problema sta nella definizione delle zone sismiche che compete si alle regioni ma in concerto con comuni e province e quindi creando anche possibili contrasti tra le varie amministrazioni, e tutto ciò senza un impronta nazionale generale di riferimento per cui una porzione di territorio che si divide fra due regioni rischiava di trovarsi con grandi di sismicità e norme tecniche diversi.

Questi rischi, che nella pratica non hanno causato grossi problemi applicativi ma che in linea teorica potevano, non passarono inosservati al legislatore che decise pochi anni dopo di re-intervenire cercando di mettere un punto deciso sulla materia. Questo intervento si ha con l'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri (o.p.c.m.) 3274/2003 che va a dare un nuovo assetto in combinato con il decreto legislativo n.112/1998. Questo decreto si occupa (in attuazione della prima legge Bassanini) del conferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni e agli enti locali, e che al Titolo III fa specifico riferimento al territorio, all'ambiente e alle infrastrutture, andando quindi a definire il rapporto di competenze Stato-Regioni su una materia così delicata.

3. Il nuovo art.117 Cost. e il D.Lgs 112/1998, il riparto di competenze fra Stato e Regioni

Quando si deve approcciare alla materia urbanistica e specialmente ai temi di ambiente territorio e infrastrutture, la parte a cui bisogna dare molta attenzione è quella della divisione di competenze fra lo Stato e le Regioni (ed eventualmente anche gli enti locali), che interagendo fra loro vanno a determinare l'assetto urbanistico territoriale. Conviene partire dall'analisi del testo Costituzionale per poi passare ad una più attenta analisi del decreto legislativo 112/1998, che recita appunto: “conferimento di funzioni e compiti

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amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali”.

La più grande novità del nuovo art.117 della Costituzione riguarda non tanto il II° comma (materie di competenza esclusiva dello Stato), ma più il III° comma che riguarda invece le materie di legislazione concorrente (materie in cui la potestà legislativa è riservata alle Regioni che legiferano secondo i principi fondamentali che devono essere emanati invece dal legislatore nazionale). Fra le materie elencate all'interno del III° comma non compare più l'urbanistica ma il governo del territorio. In ottica di un art.117, 3° comma di più ampio respiro, può sembrare riduttivo prevedere appositamente la specifica voce dell'urbanistica9. Questo è dovuto al processo illustrato nei precedenti paragrafi, per cui negli ultimi anni abbiamo avuto la propensione a superare il confine rigido di urbanistica, ampliandolo in maniera tale da attribuirgli un contenuto simile all'attuale governo del territorio, derivante da una sentita esigenza di considerare l'urbanistica come “funzione ordinatrice ai fini della reciproca compatibilità degli usi e delle trasformazioni del suolo nella dimensione spaziale e nei tempi ordinatori previsti”10. Questa molteplicità di interessi che vanno tutti ad intersecarsi nella redazione dei vari piani di assetto territoriale poi si riflette anche nel momento dell'attuazione dei piani, ed è proprio in questa delicata fase di redazione-attuazione che si cogli il nuovo senso di urbanistica nel senso che l’attività gestionale di attuazione del piano attiene al governo dell’uso del territorio, senza che possa rilevare in base a quali moduli privatistici o pubblicistici, l’attività si svolga perché ciò che conta è che i modelli attuativi sono connotati dall’essere funzionali alla realizzazione concreta della pianificazione11.

Un punto importate di questa vicenda è sicuramente il significato e la portata della sentenza della Corte Cost. n. 239 del 29 Dicembre 198212 che essendo emanata nel 1982 si fra precorritrice di quella che è stata l'evoluzione del concetto di urbanistica nell'ordinamento italiano. Possiamo ritenere quindi che il legislatore costituzionale, inserendo nell'art.117, 3°comma il governo del territorio, abbia operato: non ricorrendo al 9 Sul punto: Corte cost. n.303/2003; la Corte afferma che anche se “la parola urbanistica non compare nel nuovo testo dell'art.117, ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell'elenco del terzo comma: essa fa parte del governo del territorio”.

10 Corte cost. n. 151/1968, questa espressione della Corte assume una valenza particolare in relazione all'art. 80 del DpR n.616/1977 che attribuisce all'urbanistica, oltre il tradizionale compito di disciplina degli assetti, anche quello ordinale della gestione.

11 Decisione Cass. S.U., 14 Luglio 2000, n.494 (punto 6.2 dei motivi della decisione)

12 “che ogni dubbio, se pur poteva giustificarsi in passato, non ha ormai ragion d'essere e si deve quindi ritenere che l'urbanistica comprende tutto ciò che concerne l'uso dell'intero territorio e non solo degli aggregati urbani ai fini della localizzazione e tipizzazione degli insediamenti di ogni genere con le relative infrastrutture”.

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metodo storico-normativo che tende a cristallizzare le definizioni nel linguaggio legislativo, ma quello storico-evolutivo che per dare una definizione, invece, parte si dal significato legislativo originale, cosciente però del fatto che l'evoluzione porta quello stesso termine ad assumere significati diversi e dare una nuova determinazione anche a definizioni giuridico costituzionali.

L'ambito materiale del governo del territorio attiene quindi alla disciplina dei vari utilizzi possibili del territorio, come l'originario concetto di urbanistica, ma allarga poi lo sguardo ad a tutti gli interessi meritevoli di tutela che si intrecciano appunto sul territorio e che soprattutto ineriscono con ambiti di materie diverse che spesso sono ricomprese in un quadro di disciplina differenziata, la competenza esclusiva dello Stato. Il governo del territorio, quindi, non si riduce all’urbanistica, semmai la ricomprende, ma si apre allo spettro degli interessi plurimi che comunque vanno ricomposti in un sistema armonioso relativo alla compatibilità degli usi del territorio con i diversi interessi pubblici degni di cura e tutela. L'apertura, nel nuovo Titolo V, alla valorizzazione e tutela di materie come l'ambiente, l'ecosistema e i beni culturali, la cui disciplina non può far altro che riconnettersi all'urbanistica e all'utilizzo compatibile del territorio, fa appunto dell'urbanistica una “grande coperta”, ciò però non cambia che tali materie non possono essere ricomprese nella disciplina legislativa concorrente del governo del territorio, rimanendo riservate allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale. La stessa Corte Cost. nelle sentenze in cui si è trovata a esprimersi su conflitti riguardanti la tutela del territorio, si è sempre espressa ricordando si la trasversalità del concetto di urbanistica (governo del territorio) ma tenendo fermo anche il concetto che tali materie però, e la loro disciplina, rimangono di competenza esclusiva dello Stato.13

In questo scenario, il termine «governo del territorio» induce anche ad una diversa lettura sotto il profilo del suo significato ermeneutico. Va infatti osservato che questa è l’unica «materia» che il legislatore costituzionale caratterizza con una locuzione unitaria. Per altre materie o settori ciò non accade (ad es. porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto oppure nel testo precedente «agricoltura e foreste» o «cave e torbiere»), mentre in altri 13 La Corte, con due sentenze abbastanza vicine e successive al 2001 (anno di modifica del Titolo V), ribadisce i concetti espressi in precedenza. Con la sentenza n.307/2003 ricorda che “il

governo del territorio comprende, in linea di principio, tutto quello che attiene all'uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività”, e successivamente con la n.198/2004 ricorda che questo (il governo del territorio) “concerne l'insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio.”

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casi svariate materie vengono attribuite non tanto con la menzione di oggetti definiti ma con riguardo alle finalità. È il caso dell’«ambiente», dei «beni culturali», del «lavoro», della «salute», del «risparmio», della «concorrenza», caratterizzati con il termine «tutela», con ciò determinando gli obiettivi cui deve attenersi la disciplina ordinaria. Tra queste vi è appunto il governo del territorio.

In breve, il territorio non andrebbe più visto sotto il solo profilo dell’assetto e della sua gestione – come indicava il d.P.R. n. 616/1977, ma anche del “suo” governo. Con tale locuzione s’intende che la disciplina della materia ha sempre al centro il territorio, sotto l’aspetto degli usi più diversi (in ciò riprendendo l’originaria urbanistica intesa come disciplina degli usi, produttivi, residenziali, della mobilità, ambientali, naturalistici), ma ai fini della loro governabilità (intesa come guida, direzione, amministrazione), concetto che implica da parte dei pubblici poteri (per la molteplicità degli usi e degli interessi in campo) un’azione coordinata ed equilibrata, ma anche dinamica. La governabilità diviene ancor più il fine cui deve tendere la disciplina degli assetti quando ci si trova di fronte alla tutela di particolari beni che ne impongono un uso misurato.14 Oltre quindi ad un primo presupposto legislativo più materiale, c'è anche un presupposto politico dietro questa concezione di “governance” del territorio, che è il riconoscimento del fatto che l'ordinato sviluppo del territorio attuato su un doppio binario, così da garantire da un lato un modo di vita adeguato agli standards richiesti dalle moderne società occidentali e, dall’altro, di preservare quei beni da iniziative economiche incompatibili con la loro conservazione e tutela, implicante il potere delle istituzioni pubbliche di imporre limiti alla proprietà conformandola a finalità sociali, rientra nella sfera degli interessi primari dello Stato.

Messa in chiaro la portata innovatrice del nuovo art.117 Cost., bisogna calare questo nuovo concetto di governo del territorio in quello che era l'impianto normativo delle competenze in materia amministrativa secondo il d.lgs 31 Marzo 1998 n.112 recante appunto “conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali”15. Il programma del Ministro Bassanini era davvero ambizioso: attuare una rivoluzione amministrativa in senso autonomistico “a costituzione vigente”. Operando con i soli strumenti della legislazione ordinaria, senza attendere la tanto conclamata riforma della Costituzione, si voleva anticipare il “federalismo” attraverso un radicale 14 [Paolo Urbani] “voce Urbanistica”, www.Pausania.it

15 Per un analisi del decreto in questione: AA.VV., Le nuove funzioni degli Enti Locali. Commento al d.lgs. n. 112/1998, Maggioli, Rimini, 1998.

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trasferimento di funzioni dal centro alla periferia. Gli strumenti di cui il Governo si è dotato sono eccezionali: una delega legislativa, concessagli dal Parlamento con la legge 59/1997, la cui ampiezza non ha precedenti. Il Governo è stato delegato a trasferire alle regioni ordinarie e agli enti locali tutte le funzioni amministrative di cui era titolare salvo quelle appositamente elencate dalla legge di delega: le funzioni escluse erano soltanto quelle tipiche di uno stato federale. Parallelamente, il Governo è stato delegato a por mano ad una radicale riforma delle strutture ministeriali, in modo da chiudere quegli uffici e quegli enti le cui funzioni venivano trasferite in periferia, conferendo alle regioni e agli enti locali le risorse umane, materiali e finanziarie relative; ed infine è stato delegato a disciplinare nuovamente alcuni settori chiave, quali il commercio, gli ausili all’industria, il lavoro nella amministrazioni pubbliche, l’organizzazione scolastica. L'ambizione del progetto di questo decreto si traduce quindi in una processualità che tende ad una “rivoluzione” dell'impianto amministrativo che deve essere seguita dalle leggi regionali di conferimento agli enti locali delle funzioni di non esclusivo interesse regionale, e dall’emanazione di una serie di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri rivolti al trasferimento delle risorse umane, materiali e finanziarie rese “libere” dal trasferimento delle funzioni. Questi ultimi devono essere a loro volta seguiti da regolamenti governativi di riordino delle strutture amministrative centrali, ormai alleggerite; infine disposizioni correttive e integrativa possono essere emanate dal Governo per riassestare il sistema. Nel complesso non si poteva che dare una valutazione positiva all'impianto teorico della riforma, in particolare, il decreto 112 (che conta ben 164 articoli) rappresentava (e rappresenta tutt'ora) un trasferimento di funzioni che non ha precedenti, almeno per dimensioni quantitative. Il grosso problema della riforma operata dal Ministro Bassanini però è una velata incompiutezza; la processualità delineata non è stata pienamente rispettata nell’attuazione. L’aspetto più negativo è che il decreto delegato 112 non ha assolto ad uno dei suoi compiti fondamentali: cioè sopprimere, trasformare o accorpare le strutture centrali e periferiche interessate dal conferimento di funzioni, ed indicare i criteri di ripartizione tra le regioni, e tra queste e gli enti locali, dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative. È a tutti chiaro che su questo punto si gioca gran parte della partita: la storia patria ci insegna che mai un trasferimento di funzioni sarà effettivo se non si sradicano le strutture burocratiche che le detenevano, perché se no giorno dopo giorno le stesse funzioni saranno ricuperate dal centro16. A confermare quanto detto possiamo prendere ad esempio per quanto ci riguarda l'art.94 16 [Roberto Bin] Lo Stato dopo la “cura” Bassanini.

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dPR 380/2001 (T.U. dell'edilizia) che prevede l'autorizzazione ai lavori in zone dichiarate sismiche. Secondo il d.lgs 112/1998 queste autorizzazioni dovevano essere stabilite non in maniera universale dalla normativa nazionale, ma sarebbe stato compito della normativa regionale stabilire quale metodo di utilizzare, e dato che molte regioni (o in altri casi Province) prevedono una semplice dichiarazione di inizio attività e un eventuale controllo successivo con metodo a campione, ci viene da pensare che se ci fosse stata una completa attuazione del decreto, il sistema di autorizzazioni e controlli non sarebbe stato uniforme. Ma quello a cui abbiamo assistito nella realtà, alla luce della affermazione precedente, è che appunto, la legislazione nazionale con il dPR 380/2001 (alla luce dell'art.117, 3°comma Cost.) si è ripresa la competenza di determinare il sistema di autorizzazione e controlli e imporlo a tutte le regioni, e ciò vale sia per il sistema di autorizzazioni e controlli che per altri aspetti specifici.

Si può notare come questa riforma mancata crei problemi a livello giuridico, con più tribunali che si sono dovuti esprimere sull'argomento17.

17 Corte Cost. n. 182/2006, questione di legittimità di alcune norme della legge della Regione Toscana 3 Gennaio 2005 n.1, tra le varie questioni poste a giudizio di legittimità, occorre segnalare la terza: “la norma censurata (art. 105, comma 3) prevede che per gli interventi in zona sismica deve darsi preavviso scritto alla struttura regionale competente, allegando progetto dell’opera, relazione tecnica e relazione sulla fondazione (commi 1 e 2), senza che per iniziare i lavori sia necessaria l’autorizzazione della struttura regionale.” […] “in attuazione dell’art. 20 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 (Ulteriori norme per l’accelerazione delle procedure per l’esecuzione delle opere pubbliche), che in materia di interventi in zona a rischio sismico abilitava le regioni a sostituire il sistema di monitoraggio connesso al regime autorizzatorio, di cui all’art. 18 della legge 2 febbraio 1974, n. 64 (Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche), con modalità di controllo successivo. Questo principio è però venuto meno a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 94 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), il quale prevede l’autorizzazione regionale esplicita. L’intento unificatore della legislazione statale è palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali.”

Tribunale di Cosenza, 20 Aprile 2009, Giud. Branda; Il caso riguarda la realizzazione di costruzioni in zona sismica che necessitano dell’autorizzazione preventiva di cui all’art. 94, D.P.R. 380/2001, in difetto della quale è integrato il reato di cui all’art. 95 D.P.R. 380/2001: e` implicitamente abrogata la legge Regione Calabria n. 7/1998 nella parte in cui prevede che le costruzioni in zone sismiche possano essere realizzate previa dichiarazione di inizio attività, con forme di controlli successivi da effettuarsi con il ‘‘metodo a campione’’.

Corte Cost. n.309/2011, “In conclusione, l’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, come interpretato dall’art. 22 della legge della Regione Lombardia n. 7 del 2010, nel definire come ristrutturazione edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma, è in contrasto con il principio fondamentale stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di governo del territorio. Parimenti lesivo dell’art. 117, terzo comma, Cost., è l’art. 103 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, nella parte in cui, qualificando come «disciplina di dettaglio»

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