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Il regime ex 41 bis O.P.: è legittimo applicarlo nonostante

Dalle pronunce sul 41 bis in materia di diritto alla salute emerge quindi la questione riguardante la compatibilità in generale del regime del 41 bis con la tutela dell’integrità psico-fisica del soggetto, ed in secondo luogo la compatibilità del regime nel caso in cui il soggetto a questo sottoposto presenti condizioni di salute particolarmente problematiche. In linea generale, dunque, è concesso agli stati di prevedere regimi ad alta sicurezza o equiparabili qualora questi siano necessari per garantire l’ordine e la sicurezza interni agli stabilimenti penitenziari ovvero la sicurezza pubblica in generale. D’altra parte la legittimità di questi regimi è condizionata: devono avere carattere eccezionale, anche alla stregua dell’art. 53 delle Regole penitenziarie europee, e soprattutto devono essere configurati in modo tale da essere comunque rispettosi della dignità del detenuto e da non pregiudicarne la salute fisica o psichica 101. Infatti, come ha

avuto modo di affermare la Corte “persino nelle circostanze più difficili, come nel caso del contrasto al terrorismo o alla criminalità organizzata, la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e i trattamenti inumani o degradanti”102 . La Corte EDU confermò la

compatibilità del regime del carcere duro con l’art. 3 CEDU già all’inizio degli anni 2000 nei casi Labita e Natoli c Italia 103. In tale

pronuncia, la Corte affermava che le misure previste dal legislatore italiano non configurassero in astratto un trattamento inumano o degradante, neppure in caso di applicazione prolungata nel tempo delle restrizioni, ma che ogni situazione dovesse essere analizzata in concreto. Tale orientamento è stato poi confermato dalla Corte EDU nelle numerose pronunce successive e, da ultimo nella Sentenza 101 DELLA BELLA A., Il "carcere duro" tra esigenze di prevenzione e tutela dei

diritti fondamentali. Presente e futuro del regime detentivo speciale ex art. 41 bis O.P., Milano, 2016, p. 316. 151.

102

103 6 aprile 2000, Labita c. Italia, n°26772/85; 9 gennaio 2001, Natoli c. Italia, n° 43612/10

Provenzano C Italia 104. In questo senso, il parametro fondamentale

da cui partire è che lo Stato deve garantire la dignità dei detenuti, soprattutto qualora le loro condizioni di salute siano precarie.

Un’ altra sentenza che ha suscitato interesse e nella quale la Corte ha avuto modo di tornare sulla questione relativa alla compatibilità del sistema carcerario italiano, sotto il profilo della tutela del diritto alla salute, con l’art. 3 della Convenzione, è quella relativa al notissimo caso Riina C Italia. Con la pronuncia in commento, la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza con la quale, a sua volta, veniva rigettava l’istanza di differimento della pena o di detenzione domiciliare per i motivi di salute del Riina. La Corte riteneva che l’ordinanza non fosse stata adeguatamente motivata: in particolare, non provava l’attualità della pericolosità sociale del soggetto, tale da legittimare la proroga del regime del carcere duro, considerando il decadimento fisico dello stesso. I giudici di Strasburgo, seppur confermando “l’altissima pericolosità sociale del detenuto e il suo spessore criminale”, facevano riferimento all’esistenza del diritto ad una morte dignitosa. Quest’ultima sentenza si pone nel solco tracciato dalle diverse pronunce con cui la Corte è intervenuta in materia, riproponendo la questione relativa al rapporto tra criminalità e dignità, tra misure di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali. Un’analisi della giurisprudenza della Corte EDU in materia di diritto alla salute richiede necessariamente un discorso a parte per quanto concerne la tutela di tale diritto nel caso di applicazione del regime previsto dal 41 bis dell’ordinamento penitenziario105 .

104 Provenzano c. Italia, The assessment of this minimum is relative: it depends on

all the circumstances of the case, such as the duration of the treatment, its physical and mental effects and, in some cases, the sex, age and state of health of the victim …the Court reserves a degree of flexibility in defining the required standard of health care, deciding it on a case-by-case basis. Si veda anche la decisione Enea c.

Italia, no. 74912/01, 2009

105 Come noto, l’art. 41 bis fu introdotto nell’ordinamento penitenziario a seguito delle stragi di Capaci e di via D’Amelio nel 1992 come prima risposta dello Stato all’intensificarsi della minaccia mafiosa. Detto articolo prevede la possibilità di sospendere in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per una serie di gravi delitti

Accertata, infatti, la legittimità del trattamento appare quasi scontata in virtù di una valutazione di proporzionalità delle restrizioni rispetto all’esigenze di prevenzione che emergono nel caso di detenuti appartenenti alle associazioni mafiose, specie se ricoprenti posizioni apicali106. La prevalenza del fattore pericolosità sociale nel

bilanciamento tra questa e le contrapposte esigenze di considerare le condizioni soggettive del detenuto appare chiara, nelle pronunce della Corte, anche qualora si aggiunga alla valutazione un elemento ulteriore e di rilevanza estrema: il tempo, fattore ovviamente amplificante gli effetti pregiudizievoli dei regimi speciali sulla salute psico-fisica del detenuto107 . Il rapporto direttamente proporzionale

che esiste tra il tempo trascorso in regime speciale e la gravità delle conseguenze sull’integrità psicofisica non è mai stato messo in dubbio dai giudici di Stasburgo, che, anzi, hanno in molti arresti sottolineato che “all forms of solitary confinement without appropriate mental and physical stimulation are likely, in the long term, to have damaging effects, resulting in a deterioration of mental faculties and social abilities”108. Anche nei casi di sottoposizione

prolungata al regime di 41 bis, però, la Corte non si è comunque discostata dal suo orientamento costante in materia e si è pronunciata (tra cui i delitti di terrorismo, eversione e criminalità organizzata) le regole di trattamento e degli istituti previsti dalla legge sull'ordinamento penitenziario in contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza, in presenza di elementi tali da far ritenere la persistenza di collegamenti con l'associazione criminale, terroristica o eversiva. Previsto originariamente come rimedio di natura emergenziale a carattere temporaneo, l’art. 41 bis fu successivamente mantenuto nell’ordinamento grazie ad una serie di proroghe ed infine è stato introdotto in via stabile e definitiva nel nostro ordinamento con le leggi 23 dicembre 2002, n. 279 e 15 luglio 2009, n. 94. 106 DELLA BELLA A., Il "carcere duro" tra esigenze di prevenzione e tutela dei

diritti fondamentali., cit., p. 325

107 L’influenza del fattore tempo sulle valutazioni circa gli effetti psico-fisici dell’applicazione del regime di “carcere duro” appare di particolare interesse in questo momento storico, stante il rilevante numero di soggetti sottoposti a tale regime dalla data del suo inserimento all’interno dell’ordinamento penitenziario nel 1992 o comunque in regime di 41 bis da più di dieci anni. Per amplius DELLA BELLA A., Il "carcere duro" tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 328 e ss.

108 Corte EDU, 11 marzo 2004, Iorgov v. Bulgaria, ric. n. 40653/98; Corte EDU, 8 luglio 2014, Harakchiev and Tolumov v. Bulgaria, ric. nn. 15018/11, 61199/12; Corte EDU, 30 giugno 2015, Khoroshenko v. Russia, ric. n. 41418/04.

in ogni caso per l’assenza di violazione del divieto di tortura e trattamenti disumani e degradanti. In particolare, sin dalla sentenza Gallico109 del 2005, i giudici di Strasburgo, pur rilevando

preliminarmente che l’applicazione di regimi fortemente restrittivi per lunghi periodi può certamente integrare una violazione dell’art. 3, hanno al contempo ripetuto innumerevoli volte l’impossibilità di individuare in astratto una soglia temporale superata la quale si abbia in re ipsa un’ipotesi di trattamenti disumani e degradanti. Da ciò ne deriva, secondo la Corte, che in questi casi il controllo da effettuare sia quello in merito alle ragioni che hanno giustificato, nel caso concreto, il rinnovo o la proroga delle restrizioni. È chiaro che, così ragionando, gli effetti del regime sulla salute passano in secondo piano ed è proprio per questo che la Corte conclude solitamente per l’assenza di prove in merito al superamento della sofferenza fisica e psichica intrinsecamente connessa con il regime trattamentale speciale110. Un atteggiamento simile a quello ora riportato si rinviene

altresì nelle pronunce in merito alla compatibilità del regime speciale con le precarie condizioni di salute del soggetto. Esemplificative in questo senso sono due pronunce: la sentenza Enea c Italia 111e la

sentenza Stolder c Italia112, entrambe del 2009. Nella prima, il ricorrente, noto boss di Cosa Nostra sottoposto prima al regime del 41 bis ed in seguito trasferito in un settore E.I.V. (elevato indice di vigilanza)113 , si doleva di aver subito un trattamento disumano e

degradante per via dell’applicazione di detti regimi nonostante le sue 109 Corte EDU, 28 giugno 2005, Gallico v. Italy, ric. n. 53723/00

110Corte EDU, Musumeci v. Italy, 11 gennaio 2005, ric. n 33695/96; Corte EDU, 29 giugno 2006, Viola v. Italy, ric. n. 8316/02;Corte EDU, 27 novembre 2007, Asciutto v. Italy, ric. n. 35795/02. Per un arresto più recente negli stessi termini si veda Corte EDU, 1 settembre 2015, Paolello v. Italy, ric. n. 37648/02.

111 Corte EDU (Grande Camera), 17 settembre 2009, Enea v. Italy, ric. n. 74912/01

112 Corte EDU, 1 dicembre 2009, Stolder v. Italy, ric. n. 24418/03.

113 Stante che la Corte nella sentenza in questione applica principi non difformi con riferimento all’ipotesi del regime del 41 bis e del circuito E.I.V., la sentenza Enea è generalmente ricordata anche come arresto che ha esteso i principi giurisprudenziali in materia di carcere duro anche al circuito E.I.V.

condizioni di salute particolarmente gravi. Egli era, infatti, tetraplegico ed aveva subito, durante lo stato detentivo, due interventi per un tumore al cervello e ad un rene. Nel caso di specie, la Corte di Strasburgo ha ritenuto anche in questo caso non esservi una violazione dell’art. 3, non essendo rimproverabile il comportamento dell’amministrazione che aveva garantito al ricorrente le cure mediche adeguate. Inoltre, ha notato la Corte che “le restrizioni imposte al ricorrente a seguito dell’applicazione del regime speciale di detenzione erano necessarie per impedire all’interessato, socialmente pericoloso, di mantenere contatti con l’organizzazione criminale alla quale apparteneva”, ma soprattutto che il ricorrente non avesse fornito alla Corte “elementi che le consentissero di concludere che la proroga di queste restrizioni fosse manifestamente ingiustificata”114 . Come è stato notato, dalla lettura delle argomentazioni della Corte appare che l’importanza data alle condizioni soggettive sia estremamente marginale 115 e ciò pare

essere corroborato pure dalla dissenting opinion dei giudici Kovler e Gyulumyan, che considerando la soglia superata, hanno valutato come integrata la fattispecie dei trattamenti disumani e degradanti proprio per via delle precarie condizioni di salute del soggetto116.

Un’altra pronuncia, forse ancor più simbolica della difficoltà della Corte a valutare le effettive condizioni di salute nel caso di forte pericolosità del soggetto è, come anticipato, la sentenza Stolder. In questo caso, il ricorrente condannato, per associazione a delinquere e altri reati, all’ergastolo e sottoposto al 41 bis, presentava un quadro clinico complesso ed in particolare soffriva, tra l’altro, di diabete, cardiopatia, epilessia e di una invalidità del 50% che lo costringeva a poter deambulare solo con l’ausilio delle stampelle. Oltre a ciò, e qui 114 Corte EDU (Grande Camera), 17 settembre 2009, Enea v. Italy, cit., § 65. 115 DELLA BELLA A., Il "carcere duro" tra esigenze di prevenzione e tutela dei

diritti fondamentali, cit., p. 326.

116 CECCHINI F., La tutela del diritto alla salute in carcere nella giurisprudenza, cit., p.28

si badi, il signor Stolder presentava diverse patologie di carattere psicologico che, nonostante le cure farmacologiche e le continue visite psichiatriche, lo portarono financo a pratiche di automutilazione. Anche in questo caso, la Corte ha dichiarato non violato l’art. 3 per il mancato raggiungimento della soglia di gravità ed in particolare per non avere il ricorrente provato “che le limitazioni a cui è stato soggetto abbiano avuto come conseguenza un peggioramento del suo stato di salute” 117 . Dalla mancanza di tale

prova, infatti, ne è derivato l’impossibilità per la Corte di “concludere che l’applicazione prolungata del regime speciale detentivo previsto dall’articolo 41 bis abbia causato al ricorrente effetti fisici o mentali rientranti nella sfera di competenza dall’articolo 3” 118. Dalle sentenze riprese appare chiaro che la

pericolosità sociale agisce sulla valutazione della gravità delle condizioni di salute attenuandone, anche di molto, il rigore. Nonostante il consolidato orientamento in materia, però, vi è chi ha notato che la giurisprudenza in materia potrebbe mutare nel breve periodo119 e tale rilievo appare rafforzato anche da un’ulteriore

117 Corte EDU, 1 dicembre 2009, Stolder v. Italy

118 Corte EDU, 1 dicembre 2009, Stolder v. Italy, cit., § 26

119 In particolar modo, grazie ad un rafforzamento dell’importanza del fattore temporale nelle valutazioni della Corte. A sostegno di tale possibilità sono portati due esempi di sentenze in cui la Corte ha valutato in maniera preponderante la durata delle restrizioni, effettuando un bilanciamento in questo caso non squilibrato a favore delle esigenze di difesa. La prima sentenza in cui si rinviene tale atteggiamento è la pronuncia sul caso Ramirez Sanchez v. France, riguardante il terrorista venezuelano, considerato “uno dei più pericolosi al mondo”, sottoposto in Francia ad un regime particolarmente rigoroso per otto anni (ma per espressa ammissione della Corte, comunque non maggiormente restrittivo del 41 bis). Nonostante in questo caso la Corte abbia poi concluso per l’assenza di violazione dell’art. 3 il profilo di rilevanza è contenuto nella dissenting opinion i cui 5 giudici su 10 hanno sottolineato che “A period of more than eight years cannot stand up to

any objective examination. Whatever the physical condition, such a lengthy period is bound to aggravate the prisoner’s distress and suffering. Neither his physical robustness nor his mental stamina can make a period of solitary confinement in excess of eight years acceptable.” (Cfr. Corte EDU, 4 luglio 2006, Ramirez

Sanchez v. France, cit.) La seconda sentenza è quella resa nel caso Öcalan v. Turkey, riguardante il noto leader del PKK. Quest’ultimo era detenuto da solo su un’isola e nonostante fossero consentite visite settimanali, nella pratica queste potevano avvenire di rado, essendo molto spesso l’isola irraggiungibile per via delle condizioni avverse del mare. Anche se è chiaro che le condizioni del caso in esame fossero molto più restrittive rispetto a quelle previste dal 41 bis, tale

sentenza in materia di compatibilità del regime detentivo con le condizioni di salute. Il riferimento è alla sentenza Contrada (n.2) 120,

che pur non riguardando il tema specifico del 41 bis è rilevante in quanto affronta la problematica del bilanciamento tra le precarie condizioni di salute del detenuto e la sua pericolosità sociale. Nel caso ora detto, il ricorrente era affetto, fra l’altro, da cardiopatie, ischemia, diabete, depressione, ipertrofia della prostata. Per questi motivi, egli aveva ripetutamente (ben otto volte in pochi mesi) richiesto la concessione della sospensione dell’esecuzione della pena o in alternativa l’applicazione della detenzione domiciliare, vedendole rigettate nonostante i referti medici sia di parte che non, che evidenziavano l’incompatibilità della detenzione con il suo stato di salute. Alla base dei rigetti- oltre alla contestazione della gravità delle patologie del Contrada- vi era, per l'appunto, la pericolosità sociale del soggetto, a cui era infine stata concessa la misura di cui al 47 ter O.P. in seguito ad un peggioramento dello stato di salute. I giudici europei, in questo caso, mettono in discussione l’opinione dei giudici italiani in merito alla gravità delle condizioni di salute del ricorrente, sottolineando come esse emergano pacificamente da svariati documenti 121 e continuano sostenendo che la misura della

detenzione domiciliare sia stata eccessivamente tardiva, essendo stata concessa solo nove mesi dopo la prima istanza 122. La conclusione è

dunque quella di ravvisare nel caso di specie una violazione del divieto di trattamenti degradanti proprio per via del mantenimento pronuncia è rilevante in quanto la Corte ha condannato la Turchia nonostante fosse assolutamente assodata la permanenza della pericolosità sociale del soggetto (Cfr. Corte EDU, Grande Camera, 12 maggio 2005, Öcalan v. Turkey, ric. n. 46221/99). 120 Corte EDU, 11 febbraio 2014, Contrada c. Italia (n. 2), ric. n. 7509/08. Contrada, condannato a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa ad esito di una vicenda processuale molto complessa, ha presentato tre ricorsi alla Corte di Strasburgo, e le pronunce rese hanno anche in questo caso avuto vari e rilevanti effetti sul nostro ordinamento.

121 Corte EDU, 11 febbraio 2014, Contrada c. Italia (n. 2),cit., § 82 e § 84 in cui si legge .che le conclusioni delle autorità interne sulla gravità delle patologie sono da prendere con beneficio di inventario.

dello stato detentivo nonostante la gravità delle patologie di cui il Contrada era affetto. Dunque, mentre nelle sentenze sopra riprese in materia di compatibilità la pericolosità sociale derivante dall’appartenenza ad associazioni criminali è stata considerata quale condizione ostativa alla concessione di misure diverse dalla detenzione e quale giustificazione al mantenimento in carcere nonostante le condizioni di salute, nella sentenza in parola i giudici prescindono da tale elemento123 , facendo prevalere, nel

bilanciamento tra salute e pericolosità, la salute.

3.8 Analisi dettagliata dei risultati delle ultime sentenze della

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