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Il diritto alla salute e carcere duro: un bilanciamento difficile

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Academic year: 2021

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IL DIRITTO ALLA SALUTE E CARCERE DURO: UN BILANCIAMENTO DIFFICILE

INDICE

INTRODUZIONE ………....5

CAPITOLO I

DIRITTO ALLA SALUTE DEL DETENUTO NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE E

COSTITUZIONALE

1.1 Il diritto alla salute nell’ordinamento internazionale...10 1.2 L’introduzione delle “Nelson Mandela Rules”…………..12

1.3 La tutela del diritto alla salute dei detenuti offerta dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (cenni) ………..15

1.4 Il concetto di salute umana prima dell’avvento della Costituzione Italiana………18 1.5 …e dopo l’introduzione dell’art. 32 Cost………..20 1.6 La sanità penitenziaria………...24 1.7 Le previsioni di cui agli art. 146 e 147 c.p. quale ulteriore

strumento per la salvaguardia del diritto alla salute dei detenuti………28

CAPITOLO II

IL CONCETTO DI DIRITTO ALLA SALUTE

NELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO: IL REGIME DI DETENZIONE ORDINARIO ED IL REGIME DEL CARCERE

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2.1 La salute del detenuto nell’ordinamento penitenziario………....32 2.2 Focus: una tipica struttura detentiva……….35 2.3 La legge di riforma Penitenziaria 26 luglio 1975, n. 354………...36 2.4 I rimedi risarcitori contro la violazione del diritto alla salute del detenuti: analisi art 35 bis e 35 ter O.P……….38 2.5 Il tentativo, mal riuscito, di colmare le lacune in materia di tutela effettiva del diritto alla salute dei detenuti: D. lgs 2 ottobre 2018, nr. 123 e 124……….41 2.6 (segue) Analisi del D.lgs 2 Ottobre 2018, nr. 123 con riferimento alle modifiche apportate agli artt. 1, 11 e 18 O.P………..….42

 (focus) sulla detenzione femminile: riservatezza, formazione culturale e rappresentanza……….48 2.7 (segue) Analisi del D.lgs 2 Ottobre 2018, nr. 124……50 2.8 La disciplina del regime di detenzione ex art. 41 bis O.P………...52

2.9 Limiti di applicazione del “carcere duro” ………..55 2.10 Le misure applicabili al detenuto ex art 41 bis O.P…..58 2.11 Compatibilità del carcere duro con la tutela dell’integrità psico–fisica del detenuto e con il divieto di trattamenti inumani e degradanti………...60

2.12 Il Decalogo “Veronesi”: i diritti del detenuto malato……….….63

CAPITOLO III

TUTELA DEL DIRITTO ALLA SALUTE E CARCERE DURO AL VAGLIO DELLA CORTE EDU

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3.1 I divieti stabiliti dalla CEDU e la loro applicazione nella

giurisprudenza della Corte di

Strasburgo………..64

3.2 “Soglia minima di gravità” : oltre è violazione dell’ art 3 Cedu………67

3.3 Gli obblighi negativi posti dalla Cedu a carico dello Stato………...70

3.4 La questione dell’onus probandi………71

3.5 Gli obblighi positivi posti dalla Cedu a carico dello stato…...73

3.6 La compatibilità tra il carcere duro e diritto alla salute al vaglio della Corte EDU………... ………77

3.7 Il regime ex 41 bis O.P.: è legittimo applicarlo nonostante le condizioni di salute del detenuto siano precarie?...80

3.8 Analisi dettagliata dei risultati delle ultime sentenze della CorteEDU……….88

3.9 La sentenza Provenzano c. Italia: inversione di tendenza?...91

3.9.1 Le condizioni salutari di Provenzano………...93

3.9.2 Su quali violazioni era impostata la “questione Provenzano”? Il primo motivo di doglianza………..95

3.9.3 Il secondo motivo di doglianza………...97

3.10 Il carcere duro è uno strumento per eliminare i contatti con l’organizzazione criminale oppure una costrizione alla collaborazione?...103

Osservazioni Conclusive……….107

Bibliografia………..110

Sitografia……….………113 Ringraziamenti

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“I detenuti, quando gli si chiede qual è il momento peggiore, rispondono unanimi: la mattina, quando ci si sveglia. Ogni volta ci si accorge di nuovo di dove si è” Adriano Sofri

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INTRODUZIONE

Il presente elaborato si pone lo scopo di esaminare la tutela del diritto alla salute in fase di esecuzione penale con specifico riferimento al regime carcerario speciale previsto dall’art. 41 bis O.P. (legge 26 luglio 1975, n.354).

La questione si rivela quanto mai attuale atteso che le precarie condizioni delle carceri italiane rendono sempre più difficile per lo Stato Italiano garantire quel nucleo fondamentale di diritti, in primis il diritto alla salute, inviolabili costituzionalmente garantiti. Come è stato chiarito dalla Corte Costituzionale, dal principio di umanità della pena, sancito solennemente all’art 27 co.3, ne deriva che “ Chi si trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale”1 .

Il “prezioso residuo di libertà” riconosciuto al detenuto implica dunque che la potestà punitiva statale non possa tradursi in una compressione indiscriminata delle posizioni giuridiche del soggetto detenuto, né in una afflizione eccessiva ed ulteriore rispetto a quella derivante dalla sottrazione della libertà stessa.

A ben vedere, inoltre, “il tipo di sofferenza inflitto attraverso la pena non è soltanto modo e misura della sua umanità ma anche della sua stessa legalità” e ciò in quanto “ se la detenzione è per definizione una limitazione della libertà personale” ne consegue che “la quota di sofferenza che va 1 Corte Cost, sent. N 349 del 1993 in Giur. Cost.,1993,p.2740 e ss

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oltre la compressione del bene libertà, andando a lambire beni altrettanto irrinunciabili quali la salute fisica e psichica, la libertà morale, il diritto all’affettività e quello alla riservatezza, deve essere considerata illegale, prima che disumana”2 .

La centralità dell’individuo, con i suoi diritti fondamentali, si impone dunque come limite all’esecuzione della pena come condizione di legittimità della stessa, essendo, per dirla nuovamente con le parole del giudice delle leggi, la “dignità della persona (art.3, primo comma, della costituzione)[…] dalla Costituzione protetta attraverso il bagaglio degli inviolabili diritti dell’uomo che anche il detenuto porta con sé lungo tutto il corso dell’esecuzione penale”3 .

Come noto, infatti, nonostante la pesante condanna e il monito della Corte EDU nella sentenza Torreggiani 4, il

sistema penitenziario italiano non pare aver intrapreso l’inversione di rotta sperata. L’accertamento della condizione di sovraffollamento strutturale degli istituti penitenziari nazionali da parte di giudici di Strasburgo, che avrebbe dovuto essere l’occasione per una seria rivisitazione dell’anacronistico sistema sanzionatorio carcero-centrico, ha sortito quale unico effetto l’introduzione da parte del legislatore di misure tampone, provvisorie e insufficienti, che si configurano come mere “toppe che vengono continuamente apposte su del tessuto ormai troppo liso e quasi inutilizzabile” 5 .

In una situazione di questo genere, ove la capienza massima di soggetti che gli istituti carcerari possono “ospitare”, viene 2 Corte Cost., sent. N.26 del 1999 in Giur. Cost,1999,I,p.176 e ss

3 Corte Cost., sent n.26 del 1999,I,p.176 e ss

4 Sentenza CEDU Torreggiani c. Italia, con cui la corte ha condannato l’Italia per violazione del divieto di trattamenti disumani e degradanti.

5 Montaldo C., Emergenza Carceri: a tre anni dalla sentenza Torreggiani, gli esiti e l’effettività delle riforme, in www.forumcostituzionale.it , p.3

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abbondantemente superata, è fin troppo facile dimenticarsi del diritto alla salute dei detenuti6 .

I numeri parlano chiaro.

I dati raccolti dall’Associazione Antigone, autorizzata, come ogni anno, dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria a visitare le carceri italiane, hanno rilevato che, a fronte di una capienza massima di 50.500 posti, al 31 dicembre 2018 vi erano ben 10.000 persone oltre la capienza regolamentare, con un tasso di affollamento registrato pari al 118,6 %7.

All’interno di questo “bagaglio” si colloca l’oggetto del presente lavoro, che si propone di analizzare la normativa e la giurisprudenza in materia di diritto alla salute del detenuto. La scelta è ricaduta sull’appena menzionato diritto per molteplici ragioni. Anzitutto in quanto essendo l’unico ad essere definito fondamentale dalla Costituzione, l’analisi della tutela a questo assicurata può costituire una sensibile cartina tornasole tanto del livello di garanzie che sono riconosciute ai diritti del soggetto in vinculis 8, quanto delle più ampie

disfunzioni del sistema9 . In secondo luogo, il riconoscimento

dell’esigenza di tutela del diritto alla salute assume un rilievo fondamentale nel contesto penitenziario attuale, stante che il sovraffollamento e le precarie condizioni di detenzione 6 Nelle carceri dell'Umbria sono rinchiusi 1.434 detenuti a fronte dei 1.329 posti regolamentari, quindi un centinaio oltre la capienza. A fornire i dati è stato il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, Stefano Anastasia ascoltato dalla terza Commissione dell'Assemblea legislativa sull'attività svolta tra giugno 2016 - dicembre 2017 (www.ansa.it/umbria).

7 Al 31 dicembre 2018 la regione più affollata era la Puglia, con un tasso del 161%, seguita dalla Lombardia con una percentuale di affollamento del 137%. Dati estrapolati da: www.antigone.it .

8 FIORIO C., Salute del condannato e strumenti di tutela, in (a cura di) SCALFATI A.,Giurisdizione di sorveglianza e tutela dei diritti, Padova, 2004, p. 48.

9 MASSARO A., Presentazione, in (a cura di) MASSARO A., La tutela della salute nei luoghi di detenzione. Un’indagine di diritto penale intorno a carcere, REMS e CPR, Roma, 2017, p. 19

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risultano essere fattori profondamente incidenti sullo stato psicofisico dei soggetti detenuti, come dimostrato anche dall’elevato tasso di suicidi, di decessi e di atti di autolesionismo10.

Se già il carcere risulta essere un ambiente fortemente patogeno, è chiaro che il peggioramento ambientale non può che tradursi in un contestuale deterioramento dello stato di salute della popolazione detenuta, il cui “rischio di salute” è notevolmente maggiore rispetto a quello della popolazione generale11 .

Nettamente superiore è, infatti, l’incidenza nell’ambiente carcerario di disturbi psichici, di dipendenze da sostanze psicotrope, di malattie infettive (soprattutto HIV ed epatite C) e di alcune patologie croniche, e ciò principalmente per via dell’incuria nella gestione delle malattie pregresse rispetto alla detenzione, per la diffusione di pratiche a rischio e per le possibilità di aggravamento del quadro clinico causato dagli stili di vita e dalle condizioni mentali propri di detto ambiente12.

Cosi, vista la centralità del bene salute, “diritto fondamentale e interesse della collettività” (art. 32 Cost), una ricognizione normativa e giurisprudenziale di detto diritto pare essere fondamentale nell’indagine in generale sui diritti inviolabili, al fine di verificare se gli ostacoli alla realizzazione della piena dignità del detenuto siano ravvisabili solo nel piano “dell’essere” ovvero se già nel piano del “dover essere” siano

10 Al 31 dicembre 2018 sono stati registrati ben 63 suicidi con una proporzione di 1 suicidio ogni 900 detenuti. Dati estrapolati da www.antigone.it

11 Relazione finale del Tavolo 10 (Salute e disagio psichico) degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, disponibile in www.giustizia.it, p.16.

12 Dalle stime degli studi condotti in Italia, circa il 70 % dei detenuti soffre di almeno una malattia cronica. dati estrapolati da www.AdnKronos.com 3ottobre 2018.

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riscontrabili importanti lacune che richiedono un pronto intervento da parte del legislatore.

L’elaborato nel primo capitolo analizzerà il perimetro del diritto alla salute del detenuto tracciato dall’ordinamento internazionale e dalla Costituzione italiana.

Nel secondo capitolo l’attenzione sarà poi focalizzata sulla Legge 26 luglio, 1975, n. 354, sull’ordinamento penitenziario, con particolare riferimento, in punto di tutela del diritto alla salute del detenuto, al confronto tra il regime ordinario e quello speciale di cui all’ art. 41 bis.

Il terzo capitolo riguarderà infine un’analisi sulla effettività della tutela dei detenuti e, in particolare, di quelli sottoposti al regime del carcere duro, tra pronunce giurisprudenziali e prassi applicativa.

A tale riguardo l’attenzione sarà infine focalizzata sulla recente sentenza della Corte EDU del 25 ottobre 2018 "causa Provenzano contro Italia" dove viene espressa una concezione in controtendenza rispetto a quanto fino ad ora ritenuto dalla Giurisprudenza in materia di tutela del diritto alla salute per i detenuti ex art. 41 bis O.P.

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CAPITOLO I

DIRITTO ALLA SALUTE DEL DETENUTO NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE E

COSTITUZIONALE

SOMMARIO: 1.1 Il diritto alla salute nell’ordinamento Internazionale. 1.2 L’introduzione delle “Nelson Mandela Rules”. 1.3 La tutela del diritto alla salute dei detenuti offerta dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (cenni). 1.4 Il concetto di salute umana prima dell’avvento della Costituzione Italiana.1.5 …e dopo l’introduzione dell’art. 32 Cost. 1.6 La sanità penitenziaria 1.7 Le previsioni di cui agli artt. 146 e 147 c.p. quale ulteriore strumento per la salvaguardia del diritto alla salute dei detenuti.

1.1 Il diritto alla salute nell’Ordinamento Internazionale

Il termine “salute” può assumere diversi significati a seconda del contesto storico e sociale a cui fa riferimento ed è anche per questo che molto spesso nei testi legislativi questo termine viene dato per scontato. Una prima definizione esaustiva di tale concetto è data nel Preambolo della costituzione dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)13 dove la salute è interpretata come “uno stato di

completo benessere fisico , mentale e sociale” ed “essa non consiste solo nell’assenza di malattie o infermità ” in vista di ciò diventa focale il benessere fisico ma soprattutto psicologico e sociale della persona. Ma è soprattutto la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, proclamata il 10 Dicembre in seno all’ONU, che, con l’introduzione dell’art 2514, ha aperto le porte alla creazione di

organismi internazionali capaci di tutelare diritti fondamentali come 13 L’OMS è un’agenzia specializzata dell’ONU, fondata nel 1946 ed operativa dal 1948 che ha l’obbiettivo di “portare tutti i popoli al più alto grado di salute

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il diritto alla salute in generale e del detenuto tramite la redazione di convenzioni perché ogni individuo deve essere titolare del diritto alla salute, anche coloro che vengono privati della propria libertà personale.

Invero, la normativa sovranazionale15 ha assunto un ruolo

fondamentale nel processo di umanizzazione della pena e nel riconoscimento di una posizione soggettiva giuridica al detenuto. Invero, sono state le organizzazioni internazionali le prime ad aver dato vita a principi e regole sul trattamento dei detenuti, successivamente recepite dagli ordinamenti nazionali.

Il diritto internazionale ha infatti promosso il principio di umanizzazione della pena, vietando trattamenti che fossero lesivi della dignità umana ed elaborando degli standard di tutela del soggetto detenuto attraverso direttive che poi gli stati avrebbero recepito ed inserito nella normativa penitenziaria nazionale. In questo senso un ruolo fondamentale lo ha sicuramente svolto la Dichiarazione generale dei diritti Umani, che all’art 5 afferma: “nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumani o degradanti “.

Questa statuizione è stata ripresa nel 1966 dall’Assemblea Generale dell’ONU che all’art 10 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici, sancisce che “qualsiasi individuo privato della propria libertà deve essere trattato con umanità e con il rispetto della dignità inerente alla persona umana” ed aggiunge: “il regime penitenziario deve comportare un trattamento dei detenuti che abbia per fine essenziale il loro ravvedimento e la loro riabilitazione sociale”. In queste disposizioni è semplice percepire come l’obbiettivo principale che il detenuto deve raggiungere è una riabilitazione della 14 Testualmente: “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a

garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari…”

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propria persona e non subire una punizione che non lo aiuti nello scopo che l’ordinamento ha deciso che dovesse soddisfare.

I principi consacrati nell’art. 10 del patto, sono stati recepiti dalla nostra Carta Costituzionale all’art 27 dove viene espressamente sancito il divieto di trattamenti inumani e degradanti e il principio della rieducazione della pena, di cui si parlerà più approfonditamente infra.

1.2 L’introduzione delle “Nelson Mandela Rules”.

Tra i vari tentativi svolti in ambito internazionale di offrire sempre maggior tutela del diritto alla salute dei detenuti, particolare rilievo è dato alle “Regole minime per il trattamento dei detenuti “, approvate nel 1934 dall’ Assemblea delle società delle nazioni.

Tali regole, nate per soddisfare l’esigenza, sentita dall’ordinamento internazionale, di garantire uno standard minimo di tutela, tramite lo strumento delle raccomandazioni, vennero più volte revisionate ed aggiornate fino a quando l’assemblea generale dell’Onu fece si che confluissero nel testo che prende il secondo nome ufficiale di “Nelson Mandela Rules”16 .

Significativa appare la norma di apertura ove si afferma espressamente che: “Tutti i prigionieri devono essere trattati con il rispetto dovuto alla loro sostanziale dignità e valore come esseri umani. Nessun prigioniero potrà essere sottoposto a, e tutti i prigionieri devono essere protetti da, tortura ed altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, per i quali nessuna circostanza può essere invocata come giustificazione. La difesa e la sicurezza dei detenuti, del personale, dei fornitori di servizi e dei visitatori devono essere garantite in ogni momento”. Le Mandela Rules vanno a rappresentare dei concetti standard in termini di 16 Il nome è un tributo al presidente sudafricano Nelson Mandela che ha trascorso 27 anni in carcere per la battaglia sui diritti fondamentali dell’uomo.

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prevenzione del crimine e giustizia criminale. Nel mondo vengono considerate come un modello d’ispirazione per molte legislazioni e una guida pratica per la gestione del sistema carcerario. Il loro principio base è che «non deve esserci discriminazione in termini di razza, colore, sesso, lingua, religione, appartenenza politica o di opinione, di nazionalità o origine sociale, proprietà, nascita o altre tipologie di status». La portata delle rules, pur in assenza di vincolatività, è confermata dal fatto che gli stati, in primis lo Stato italiano, ne hanno tenuto conto ai fini di una riforma che riguarda la vita carceraria infatti si è potuta avere un’integrazione dello straniero, una responsabilizzazione del detenuto ed anche una soddisfazione di specifici bisogni di donne detenute.

Il testo è composto da 122 disposizioni attraverso le quali vengono fissati i principi fondamentali in materia di civiltà e di rispetto della dignità umana che, pur non essendo giuridicamente vincolanti, hanno lo scopo di individuare standard minimi di tutela che ogni Stato dovrebbe garantire ai detenuti nel predisporre ed eseguire il trattamento penitenziario con precipuo riferimento alla tutela psico – fisica dei ristretti. Non a caso, pur nella consapevolezza della diversità che caratterizza i vari ordinamenti nazionali, tali regole prendono in considerazione gli aspetti della vita quotidiana all’interno degli istituti penitenziari individuando le condizioni minime che ogni stato dovrebbe garantire con riguardo alle celle, all’alimentazione e alle condizioni igieniche.

Durante lo “Special event on Nelson Mandela’s Centenary” svoltosi a Vienna il 15 maggio 2018 intervenne l’ormai ex Ministro della Giustizia Orlando ed espresse la sua idea in riferimento alle “Mandela Rules”: << Credo che la cooperazione internazionale e la condivisione di esperienze possano essere il metodo in cui inquadrare l’esperienza italiana lo spirito ed infatti la lettera delle Mandela Rules hanno agito come riferimento costante per l’azione

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di riforma portata avanti in Italia, nella consapevolezza che la dignità e il valore delle persone detenute sono parimenti al centro della Costituzione Italiana >>.

Un ulteriore passo in avanti è stato poi compiuto con l’affermazione, da parte dell’Onu, del principio dell’equivalenza delle cure tra i cittadini e i soggetti detenuti che assume un ruolo cardine, assieme al complementare divieto di discriminazione, nel tentativo di promuovere e di assicurare la parità di trattamento tra chi è sottoposto al sistema penitenziario e chi non lo è.

L’esigenza sempre maggiormente sentita di offrire una tutela più ampia e specifica per la salute dei detenuti, con riguardo al processo di umanizzazione della pena e di individuazione di uno standard minimo di trattamento, ha portato all’adozione della “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo delle libertà fondamentali” redatta e adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa a Roma il 4 Novembre 1950, di cui si parlerà nel proseguo del presente elaborato.

Il 26 novembre 1987 è stata poi adottata a Strasburgo la “Convenzione Europea per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti crudeli, inumani o degradanti”, nel cui preambolo viene espressa l’esigenza e la possibilità di rafforzare la protezione dalla tortura e dalle pene o trattamenti inumani o degradanti delle persone private di libertà anche attraverso un sistema non giudiziario di natura preventiva, basato su sopralluoghi.

Infine, il trattamento penitenziario è stato sviluppato attraverso una serie di “Regole penitenziarie europee” adottate dal Consiglio d’Europa il 12 febbraio 1987 che seppur più volte revisionate ed aggiornate, pongono una serie di obblighi di trattamento volti alla prevenzione delle problematiche concernenti la salute 17 e riservano

alla tematica della salute disposizioni specifiche e dettagliate. Queste 17 Ci si riferisce alle norme relative alle condizioni dei locali di detenzione (art17-18), all’igiene (19), al vestiario e alla biancheria (20), al regime alimentare (21).

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regole sono state integrate nelle legislazioni nazionali e funzionano da punto di riferimento per l’interpretazione della CEDU da parte della corte de diritti dell’uomo18. L’ istituzione principale che si è

occupata della tutela del diritto alla salute dei detenuti è la Corte europea dei diritti dell’uomo e il Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti o delle pene inumani e degradanti, che, ne garantiscono l’effettività.

1.3 La tutela del diritto alla salute dei detenuti offerta dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (cenni).

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo delle libertà fondamentali è stata adottata in seno al Consiglio d’Europa e firmata a Roma il 4 novembre 1950 e rappresenta la pietra miliare in tema di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo, la cui effettività è garantita dalla predisposizione di un apparato giurisdizionale che consente ad ogni singolo individuo, detenuto e non, di attivarsi direttamente per ottenere protezione contro condotte abusive perpetrate dagli stati.

La Convenzione in realtà non fa espresso riferimento al diritto alla salute del detenuto o al diritto alla salute in generale19, ma, attraverso

la tecnica di “tutela indiretta” sperimentata dalla Corte EDU, la protezione di questi diritti fondamentali viene effettuata tramite la sussunzione all’interno degli artt. 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti) e 8 (diritto al rispetto della vita familiare e del domicilio).

18 La corte europea ha fatto riferimento molte volte alle regole penitenziarie europee per sancire la violazione del divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti (art 3 CEDU).

19 Un’apposita tutela dei diritti sociali è invece prevista dalla Carta Sociale Europea del 1961. E’ quest’ultimo documento che ha vari riferimenti sul diritto alla salute, ad esempio gli art 11 e 13.

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La ragione principale della mancanza di un espresso riferimento alla tutela del diritto alla salute è dovuta al fatto che, storicamente, la Convenzione è stata adottata in un periodo precedente rispetto agli anni in cui si è cominciata a diffondere a livello internazionale l’esigenza di tutela dei diritti sociali (di cui il diritto alla salute fa parte) e socio economici.

Tale carenza è stata sopperita dalla giurisprudenza di Strasburgo che, attraverso l’utilizzo di un approccio evolutivo e la tecnica di protezione indiretta cui si è accennato, ha inteso il diritto alla salute quale logico corollario del diritto alla vita, del divieto di pene e trattamenti inumani e degradanti e del diritto al rispetto della vita privata.

In questo modo risultano innegabili i traguardi nel campo della tutela della salute raggiunti attraverso questa tecnica di protezione indiretta descritta in precedenza e sembra impossibile rilevarne i limiti. La tutela offerta attraverso la protezione indiretta non ha permesso di riconoscere l’esigenza di protezione del bene salute del detenuto come bene giuridico a sé, essendo la tutela garantita solo di riflesso alle ipotesi in cui la lesione o la messa in pericolo del bene salute si traduca al contempo in un vulnus dei diritti tutelati dalla Convenzione20. Come è stato giustamente notato, ciò non ha

permesso di individuare un “nucleo del diritto alla salute” da garantire incondizionatamente21 ed essendo la salute tutelata solo

ove la condotta dello Stato sia riconducibile alla violazione dell’art. 3, detta tutela deve essere adattata ai caratteri propri di detto articolo, soprattutto per quanto riguarda il superamento della soglia di gravità e di onere probatorio22 .

20 RANALLI D., Nuovi interventi della Corte europea dei diritti dell’uomo in

materia di trattamento carcerario, in Rass. penit. crim., 2013, 2, p. 161.

21 Così come richiesto ad esempio dalla giurisprudenza consolidata della nostra Corte costituzionale. Anche se, come si vedrà, anche la valutazione del rispetto del “nucleo irriducibile” è prettamente casistica, dunque risulta difficile, anche nel contesto nazionale, stabilire a priori un contenuto fisso del diritto alla salute. 22 CECCHINI F., La tutela del diritto alla salute in carcere nella giurisprudenza, cit., p. 8

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Purtuttavia è opportuno cogliere anche un aspetto positivo del fatto che il diritto alla salute dei detenuti sia stato ricondotto, quanto a elementi costitutivi, agli artt. 2 e 3 CEDU.

Invero, l’art. 15 della CEDU, rubricato “deroga in caso di stato d’urgenza”, stabilisce che, a differenza della gran parte delle disposizioni della Convenzione, il rispetto del diritto alla vita ed il divieto di trattamenti inumani e degradanti non sono suscettibili di deroga, neppure in caso di guerra o in caso di pericolo per la nazione23 .

Da ciò se ne può dedurre, in primis, che deve essere garantita la prevalenza di tale divieto anche a sfavore di possibili esigenze di tutela della collettività24 e, secondariamente, che la tutela del diritto

alla salute risulta in questo modo ulteriormente rafforzata godendo, sempre in via indiretta, del privilegio di intangibilità.

Demandando al terzo capitolo l’analisi dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU in materia di tutela del diritto alla salute dei detenuti, è opportuno segnalare che tale protezione potrebbe essere rafforzata se e nei limiti in cui l’UE aderirà alla Cedu in virtù dell’art 6, par. 2, TUE che prevede tale possibilità25 .

23 L’articolo 15, rubricato “Deroga in caso di stato d’urgenza” recita: “1. In caso

di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale”.

24 Come ad esempio in caso di esigenza di lotta al terrorismo o al crimine organizzato. Per la distinzione dei due profili si rimanda a COLELLA A., La

giurisprudenza di Strasburgo 2008-2010, cit., p. 221. È da segnalare altresì che

l’autrice alla nota 1 della pagina citata rileva alcune prassi applicative che comportano una deroga all’assolutezza della norma per quanto concerne il suo secondo profilo.

25Corte Giust.,28 marzo 1996, parere 2/94 “ L’adesione può essere realizzata

unicamente mediante modifica del Trattato”; Corte di Giust., 18 dicembre 2014,

parere 2/13 “ La corte ha ritenuto non compatibile con il sistema dei trattati

l’approccio adottato nel progetto di accordo, consistente nell’equiparare l’Unione ad uno Stato riservando ad essa un ruolo del tutto identico a qualsiasi altra parte contraente, senza tenere in debita considerazione la natura intrinseca dell’Unione”.

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1.4 Il concetto di salute umana prima dell’avvento della Costituzione Italiana.

La salute dovrebbe rientrare tra quei diritti che non devono essere scalfiti nonostante la limitazione della libertà personale del soggetto recluso: non vi dovrebbe essere infatti nessuna differenza tra soggetto libero e detenuto quando si tratta di un diritto tanto importante.

Questo vale in teoria perché, come vedremo, capita che questo diritto venga modulato a seconda del soggetto detenuto.

Prima di affrontare questo argomento, è bene fare un passo indietro e osservare in che modo il concetto di salute viene tutelato e regolato a livello costituzionale. Il concetto di “salute umana”, è al pari del concetto di dignità, difficile da esprimere attraverso una formula unica.

Tale concetto coinvolge diverse materie e ciascuna di queste concorre a formarlo: la medicina, il diritto, la sociologia e la psicologia, sono tutte discipline che si occupano della salute e della sua tutela, anche se con modalità diverse e sotto profili diversi. Di fronte a tale complessità, quando si parla di salute umana fare riferimento al parametro della “normalità”: in riferimento ad esso sarebbe configurabile, attraverso una rilevazione statistica della popolazione, un modello di individuo biologicamente sano.

L’individuazione della salute rinvierebbe ad un sistema di regole biologiche. Ai fini della definizione di salute bisogna anche fare riferimento al suo opposto ossia la malattia; in questo senso la salute viene vista come assenza di malattie, menomazioni o processi patologici. Dal punto di vista giuridico, che poi è la sfera che qui interessa, il concetto di salute è ben diverso da ciò che è stato espresso fino ad ora: in tale ambito, infatti, l’idea di salute si estende non consistendo più nella semplice assenza di malattia, ma assumendo una valenza ulteriore, di benessere biologico e psichico

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dell’uomo, da conservare e da promuovere. La salute quindi diviene un valore fondamentale, fortemente ideale, un parametro verso cui la società deve tendere.

Seguendo tale logica allora è opportuno far coincidere il concetto giuridico di salute con la definizione data dall’ organizzazione mondiale della sanità (OMS), ovvero “ uno stato di benessere fisico, mentale e sociale”26 .

La salute cosi si arricchisce di nuove sfumature, relative ai rapporti sociali, comprendendo non solo funzioni biologiche ma anche capacità logiche, affettive e relazionali: la salute diventa “stato di benessere fisico e morale che proviene dall’equilibrio di tutti gli organi e di tutte le funzioni del corpo umano, tale da permettere il normale svolgimento della vita umana in relazione alle diverse condizioni di ambiente nel quale l’uomo vive”27 .

Dal punto di vista temporale, la nascita del diritto alla salute ha origini relativamente recenti: solo con l’illuminismo assume un significato moderno e si indirizza verso il singolo cittadino. Soltanto dopo la Rivoluzione francese sorge l’intervento pubblico a difesa di questo diritto. Questa impostazione è stata seguita anche dall’Italia post unitaria e fascista: l’assistenza sanitaria era affidata all’azione delle Opere Pie, istituti religiosi di assistenza ed enti privati posti sotto il controllo dello stato.

1.5 …e dopo l’introduzione dell’art. 32 Cost.

Nella situazione appena delineata, l’avvento della Costituzione con l’imposizione dell’art 32 ha rappresentato un momento di svolta e di 26 Palermo Fabris E., Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema penale. Profili problematici del diritto dell’autoregolamentazione, Cedam 2000,2. Tale definizione, aggettivando il benessere come “completo” contiene un’evidente superamento del parametro della medietà, mentre qualificandolo come “sociale” introduce il tema della salute come condizione per la realizzazione della personalità dell’individuo

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rottura rispetto al passato. Attraverso la Costituzione, la salute è stata annoverata tra i beni primari dell’uomo, condizione indispensabile e imprescindibile affinché ogni individuo si possa esprimere liberamente e compiutamente; è un diritto fondamentale della persona ed è presupposto per il raggiungimento di una migliore qualità di vita 28.

Cosa stabilisce precisamente l’articolo 32 della Costituzione?

Tale articolo sancisce che “La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Una prima precisazione riguarda i soggetti titolari del diritto alla salute: esso, in quanto diritto riguardante la persona umana, compete a tutti, non solo ai cittadini, ma anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello stato. Esso dovrà essere assicurato in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.

È stato fondamentale il passaggio da una lettura “isolata” del diritto alla salute ad una “integrata” con gli altri articoli costituzionali infatti questo deve essere letto in relazione agli articoli 229 e 330

della costituzione cosi da essere pienamente compreso.

28 Fiorio C. Libertà personale e diritto alla salute; Cedam 2002, 37

29 Art 2 Cost. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo,

sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”

30 Art 3 Cost “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali

davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali.

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”

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Dalla lettura complessiva della carta costituzionale deriva che il diritto alla salute non è un bene a sé stante ma concorre con altri valori fondamentali in un rapporto di integrazione e reciproco condizionamento.

In relazione agli articoli 2 e 3 della costituzione, la salute rivela la sua doppia natura: di diritto inviolabile fondamentale perché esplicazione della personalità umana, e di diritto sociale, che attua nel settore sanitario il principio di uguaglianza, quindi da una parte vediamo la salute come libertà e dall’altra come diritto sociale. Nel primo caso quello che si chiede allo stato è di astenersi dall’intervenire e garantire altresì che non vi siano altre interferenze da parte di soggetti terzi, di modo che il singolo abbia massima libertà nell’esercizio del proprio diritto. Nel secondo caso si chiede allo stato l’opposto cioè di intervenire, al fine di garantire un servizio, una prestazione come l’assistenza sanitaria. Come affermato in precedenza il diritto alla salute spetta anche ai soggetti sottoposti a detenzione. Non si tratta solo di buon senso perché ne abbiamo un esplicitazione nella sentenza 414/1990 della Corte Costituzionale: “il diritto alla salute , cosi come garantito dalla costituzione italiana, è anche il diritto della persona detenuta “31 . Quando si parla del

diritto alla salute dei detenuti, è inevitabile fare riferimento non soltanto ai trattamenti sanitari, ma anche al fatto che, sempre più spesso, in carcere si muore e di carcere si muore.

Le condizioni di invivibilità delle carceri, infatti, aggravati dalla piaga del sovraffollamento, incidono negativamente sulla frequenza di suicidi nelle carceri e sulla diffusione delle malattie al loro interno, che spesso accadono proprio in quegli istituti dove le condizioni sono peggiori, strutture particolarmente fatiscenti, con poche attività e con scarsa partecipazione del volontariato.

31Corte costituzionale sentenza 414/1990 reperibile in www.rassegnapenitenziaria.it

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I dati aggiornati al 31 dicembre 2018 hanno visto crescere il numero dei suicidi avvenuti dietro le sbarre. Sono stati 63 (4 nel solo istituto di Poggioreale a Napoli): il primo avvenuto il 14 gennaio nel carcere di Cagliari e l’ultimo il 22 dicembre in quello di Trento. Era dal 2011 che non se ne registravano cosi tanti. Ogni 900 detenuti presenti, durante l’anno, uno ha deciso di togliersi la vita, venti volte di più che nella vita libera32.

Decisamente troppi.

I motivi che spingono al suicidio possono essere il perdere la speranza: la speranza di trascorrere in modo utile il tempo della detenzione, di tornare ad una vita normale o di guadagnare di nuovo la propria rispettabilità.

Di fronte ad un così elevato numero di suicidi il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, afferma: “abbiamo promosso una proposta di legge per prevenire i suicidi”. La proposta si articola di tre punti: maggiore accesso alle telefonate, maggiore possibilità di passare momenti con i propri famigliari, inclusa l’opportunità di avere rapporti sessuali con le proprie compagne o con i propri compagni, una notevole diminuzione dell’utilizzo dell’isolamento 33.

È inoltre inevitabile che ad oggi in carcere ci sia un problema di salute: i carcerati sono maggiormente esposti al rischio di contrarre HIV, di essere affetti da tubercolosi o da altre gravi malattie, da problemi di salute mentale e da dipendenze da sostanze stupefacenti; questo a causa di strutture inadatte ai loro scopi.

Di fronte a queste considerazioni è ovvio che la tutela alla salute dei detenuti non consiste solo nella cura delle malattie di cui soffrono, ma anche nella prevenzione di quelle malattie che potrebbero contrarre a causa delle inadeguate condizioni igieniche e di salubrità

32 I dati relativi ai suicidi nelle carceri sono diffusi da www.antigone.it

33 “Carceri, che anno è stato il 2018? Lo ripercorriamo con i nostri dati” pubblicato il 31 dicembre 2018 www.antigone.it

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dell’ambiente in cui sono costretti a vivere. In che modo allora la salute viene tutelata dallo stato?

Nonostante l’articolo 32 proclami il diritto alla salute come diritto fondamentale dell’individuo, nel caso di persone private della propria libertà personale l’attuazione di questo principio costituzionale è resa più difficile. In questi casi, infatti, diviene necessario armonizzare la protezione del diritto alla salute con le finalità di sicurezza imposte dal diritto penitenziario: per questo la persona in vinculis ha maggiore limitazioni di una persona libera. Tuttavia, se alcune limitazioni, motivate da ragioni di sicurezza, appaiono comprensibili e ragionevoli, esse non possono riguardare tutti i profili in cui si sostanzia il diritto alla salute. Parlando di tutela alla salute e di prevenzione nella trasmissione di malattie, viene immediatamente all’attenzione quella che sembra essere una delle letture più recenti riguardo il concetto di diritto alla salute ossia vivere in un ambiente salubre.

Anche il detenuto si deve considerare come titolare del diritto alla salubrità ambientale con riferimento al carcere, luogo in cui si deve eseguire la pena e trascorrere le proprie giornate. In questo caso quindi il diritto ad un ambiente salubre sarebbe da intendersi che sia “degno” per una persona umana.

In questo senso assumono importanza le norme dettate nell’ordinamento penitenziario in ragione dei locali di soggiorno e pernottamento, alle loro condizioni igieniche, all’ areazione ed illuminazione, all’uso dei servizi igienici, all’alimentazione e alla permanenza all’aria aperta per un determinato tempo ogni giorno. Inutile dire che di fronte al drammatico sovraffollamento di cui si tende a parlare, tutte questa prescrizioni, vengono disattese: tuttavia sarebbero fondamentali per far si che il detenuto viva in un ambiente salutare34 . Parlando poi del generale diritto alla salute tutelato

34 Ruotolo M., Dignità e carcere, 2002, Dello stesso autore Diritti dei detenuti e

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all’articolo 32 della nostra Costituzione, abbiamo visto come un profilo sia quello di ricevere i trattamenti sanitari necessari alla tutela della salute stessa; abbiamo detto anche come tale diritto ad essere curati si traduca nella pretesa, da parte dell’individuo, di cure a carico della collettività o comunque a costi limitati, pretesa che nella società libera ha ricevuto l’attivazione del Servizio Sanitario Nazionale.

Per quanto in linea di principio intoccabile in riferimento alle persone detenute, in concreto l’attuazione al diritto di essere curati è stato un po’ più travagliato; di seguito le tappe principali.

1.6 La sanità penitenziaria.

La “sanità penitenziaria” vede la luce grazie alla legge 9 Ottobre 1970, n. 740, nata con l’obbiettivo di adeguare il servizio sanitario penitenziario all’articolo 27 35della Costituzione, è concepita come

intervento legislativo provvisorio, in un periodo in cui erano in gestazione sia la riforma penitenziaria che quella sanitaria.

Con tale legge si prevedeva per la prima volta che il cittadino detenuto avesse il diritto di ricevere, qualora ve ne fosse stata la necessità, cure mediche all’interno del carcere. In seguito è intervenuta la legge 354/1975 il cui articolo 11 enunciava i principi generali riguardanti tutti gli interventi medici e paramedici finalizzati a garantire la conservazione delle buone condizioni di salute del detenuto e assicurare le cure opportune in caso di infermità. Così, in materia sanitaria si sono previsti a favore dei detenuti: la sottoposizione a visita medica generale al momento dell'ingresso in istituto e a successivi intervalli periodici; la presenza in carcere di un servizio medico e farmaceutico rispondente alle esigenze Torino, 2002, 105-106.

35 Art 27 Cost. “La responsabilità penale è personale. L'imputato non è

considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato [cfr. art. 13 c. 4].Non è ammessa la pena di morte”.

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profilattiche e di cura della salute dei detenuti; la possibilità di "trasferimento" in ospedali civili o luoghi di cura esterni qualora siano necessarie cure o accertamenti non fruibili nei servizi interni al carcere; la possibilità di richiedere di essere visitati, a proprie spese, da un sanitario di fiducia; la predisposizione di un rapporto di collaborazione con i servizi pubblici sanitari locali, ospedalieri ed extra-ospedalieri, per l'organizzazione e il funzionamento del servizio sanitario per i detenuti36 .

Solo negli ultimi anni, infatti, il legislatore ha cercato di porre rimedio, riordinando la materia al fine di garantire un migliore utilizzo dell'assistenza sanitaria per i detenuti.

Con la legge 419/98 si sono attribuite al Governo quattro distinte deleghe legislative "per la realizzazione del sistema sanitario nazionale e per l'adozione di un testo unico in materia di organizzazione e di funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale": fra tali deleghe c'era anche quella volta al riordino dell'assistenza sanitaria in carcere.

Proprio in forza di questa delega è stato promulgato il D. Lgs. n. 230 del 1999, che riorganizza la medicina penitenziaria nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale.

I principi chiave della riforma sono: il riconoscimento della piena parità di trattamento, in tema di assistenza sanitaria, degli individui liberi e dei detenuti e internati, la necessità di una piena e leale collaborazione inter-istituzionale, e la garanzia, compatibilmente con le misure di sicurezza, di condizioni ambientali e di vita rispondenti ai criteri di rispetto della dignità della persona 37.

L'art. 1 del decreto, prevedendo esplicitamente la parità fra persone libere e detenute, nell'erogazione delle prestazioni preventive,

36 RUOTOLO M., Diritti dei detenuti e Costituzione,2002, cit., 143 - 144.

37GIACOMINI S., La nuova salute: una riforma che attraversa il carcere, in

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diagnostiche, curative e riabilitative, altro non fa che ribadire il precetto costituzionale dell'articolo 3238 .

Il diritto alla salute dei detenuti, in base alla riforma, si dovrebbe realizzare nell'ambito del S.S.N., in modo tale da poter assicurare livelli di prestazione analoghi a quelli garantiti ai cittadini liberi e dovrà attuare gli interventi necessari a rendere effettivo tale diritto. Novità importantissima è che il diritto alla salute è riconosciuto non solo ai detenuti cittadini italiani, ma anche ai detenuti cittadini stranieri, che vengono quindi presi in carico dal S.S.N. per tutto il periodo della detenzione, indipendentemente dalla regolarità del permesso di soggiorno; dal punto di vista economico, poi, i detenuti ricevono un regime più favorevole, essendo esonerati dal sistema di compartecipazione alle spese, e quindi esenti dal pagamento del c.d. "ticket sanitario".

La riforma ha quindi indicato la necessità, per il sistema sanitario e giudiziario, di collaborare fra loro in nome dell'obbiettivo comune di garantire il diritto alla salute alle persone detenute.

la riforma della sanità penitenziaria è "esigente": essa richiede un cambiamento che non sia solo burocratico, ma che rappresenti una vera e propria "rivoluzione culturale", una modifica delle posizioni culturali e politiche del sistema penitenziario per superare, in maniera decisa, l'impostazione afflittiva del carcere.

Questo perché assicurare il godimento del diritto alla salute favorisce il rientro della persona nella sfera della legalità.

Per fare questo non basta un "cambio di etichetta", ma è necessaria una trasformazione globale del sistema penitenziario, del Servizio Sanitario Nazionale e del modo di lavorare degli operatori.

38 Così l'art. 1 del D. Lgs. 230/99, che stabilisce che le persone detenute ed internate "hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione

delle prestazioni di prevenzione, diagnosi cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali". Secondo tale principio la salute è un

diritto umano in sé, che deve quindi essere garantito anche ai soggetti ristretti all'interno degli istituti di pena, in quanto persone.

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Si deve considerare, inoltre, che l'applicazione disomogenea della riforma tra le varie Regioni non rappresenta più solo un rischio, ma è ormai una triste realtà: si cominciano, cioè, a notare significative differenze nel trattamento sanitario a seconda della Regione in cui i detenuti sono reclusi 39.

È palese allora, che serve qualcosa di più, non essendo sufficiente l'intervento riformatore, che pure ha compiuto un primo passo nella direzione giusta, dato che ha segnato il superamento di un modo di concepire la posizione del detenuto di sottoposizione esclusiva all'amministrazione penitenziaria, anche rispetto ai trattamenti sanitari, che di certo non rientrava nel disegno costituzionale. La dimostrazione della necessità di un'azione più incisiva si ha guardando un semplice dato numerico: ogni anno continuano a morire più di 100 detenuti di "cause naturali".

A volte la morte dei detenuti arriva a causa di un malanno trascurato, o curato male, altre volte a seguito di un lungo deperimento, dovuto a malattie croniche: in ogni caso è evidente che qualcosa nella sanità all'interno delle carceri non funziona.

Eppure il nostro ordinamento, oltre a garantire l'assistenza sanitaria, mette a disposizione ulteriori strumenti che potrebbero evitare queste drammatiche morti.

Abbiamo accennato che, quando le condizioni di salute di un detenuto siano tali da non poter essere adeguatamente affrontate né dai servizi sanitari interni all'istituto dove è recluso né attraverso il trasferimento ad altro istituto dotato di apposito servizio sanitario, l'ordinamento penitenziario prevede il trasferimento in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura.

39 GIACOMINI S., La nuova salute: una riforma che attraversa il carcere, cit., 62 - 67: l'autrice ha tracciato un quadro molto diverso per le varie Regioni, distinguendo fra "virtuose" (cioè quelle che si sono adoperate per attuare il decreto e per garantire un avanzamento nella tutela delle persone detenute, come Piemonte, Toscana, Veneto, Emilia Romagna e Lombardia) e "silenti" (in cui, invece, le procedure per realizzare il passaggio di competenze sono state realizzate solo in minima parte, come Umbria, Molise, Campania e Calabria). Grande disomogeneità è riscontrata anche nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome.

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Tuttavia, se neppure il trasferimento a strutture extracarcerarie si rivela sufficiente per non pregiudicare la salute del detenuto, l'ordinamento conferisce una possibilità in più, che non consiste nell'erogazione di cure o prestazioni sanitarie, ma che comunque mira alla tutela della salute della persona, andando ad incidere direttamente sull'esecuzione della pena detentiva.

1.7 Le previsioni di cui agli artt. 146 e 147 c.p. quale ulteriore strumento per la salvaguardia del diritto alla salute dei detenuti.

Gli articoli 146 e 147 del codice penale disciplinano, rispettivamente, il rinvio obbligatorio e facoltativo della pena detentiva.

La ratio di queste norme si fonda sul fatto che esistono delle situazioni in cui l'esecutività della sentenza incontra un limite basato sull'esigenza di salvaguardare alcuni valori inalienabili della persona, come la salute.

Nell'opera di bilanciamento fra la generale inderogabilità dell'esecuzione della pena detentiva e il fondamentale diritto alla salute, quest'ultimo deve prevalere ogni volta in cui la grave infermità fisica del condannato finisca per costituire trattamento contrario al senso di umanità e diventare, perciò, incompatibile con le condizioni di detenzione 40.

In questa prospettiva, l'art. 146 C.P. prevede il rinvio obbligatorio della pena in alcune situazioni specifiche, mentre l'art. 147, 1° 40 RUOTOLO M. in Diritti dei detenuti e Costituzione,2002, cit., 150 - 151, sottolinea come una corretta applicazione delle esigenze costituzionali sottese al differimento della pena sia riscontrabile nella sentenza della Corte di cassazione del 27 novembre 1987, dove si afferma che l'esecuzione non può incidere sul diritto alla salute, al punto che il condannato che non possa essere curato nella struttura penitenziaria o in ospedale civile o in altri luoghi esterni ha diritto al differimento ove non possa essere ammesso alla detenzione domiciliare. Afferma la Cassazione che se così non fosse, l'esecuzione della pena non solo inciderebbe illegittimamente sul diritto alla salute costituzionalmente riconosciuto a tutti, ma si risolverebbe anche in un trattamento contrario al senso di umanità, a cui invece la pena deve ispirarsi ai sensi dell'art. 27 Cost.

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comma, n. 2, C.P. prevede il rinvio facoltativo della pena nei confronti di chi si trova in "condizione di grave infermità fisica": in questi casi sarà il tribunale di sorveglianza a dover accertare l'incompatibilità con il regime detentivo ordinario tenendo conto di una serie di fattori esposti nella relazione sanitaria del personale medico 41. L'incompatibilità con la pena detentiva, inoltre, può essere

rilevata anche nel caso in cui la patologia da cui è affetto il detenuto possa creare pericoli per gli altri detenuti o per il personale penitenziario.

È quanto è accaduto negli anni '90 in riferimento alla diffusione del virus dell'HIV negli istituti di reclusione.

L'estrema drammaticità delle statistiche su tossicodipendenza e sieropositività all'interno della popolazione carceraria, unita alla consapevolezza che il carcere è un luogo in cui, a causa di sovraffollamento e promiscuità, la diffusione del virus può essere maggiore, aveva indotto a limitare quanto più possibile l'ingresso in carcere di tali soggetti: attraverso la legge 222/1993 era stata perciò introdotta una presunzione assoluta di incompatibilità con lo stato di detenzione nei casi di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria.

Il legislatore, cioè, aveva creato un automatismo di scarcerazione, che non ammetteva eccezioni: era vietata la custodia cautelare in 41 Per quanto riguarda l'art. 146 C.P., il rinvio obbligatorio è previsto nel caso di donna incinta, madre di figli di età inferiore a un anno e soggetti affetti da AIDS o altra grave malattia. Per quanto riguarda, invece, l'art. 147, oltre ai casi di grave infermità fisica, il rinvio facoltativo è previsto per i soggetti che abbiano presentato domanda di grazia e per le madri di prole di età inferiore ai 3 anni. Si sottolinea, inoltre, in dottrina, la mancanza nella legge di una specificazione del concetto di "grave infermità fisica": esso viene perciò rimesso all'interpretazione giurisprudenziale, che però si dimostra contraddittoria. In ogni caso, nelle ipotesi di rinvio facoltativo il giudice potrà disporre, a seconda che il soggetto in questione sia un imputato o un condannato, la revoca della custodia cautelare in carcere o la sostituzione di essa con la misura degli arresti domiciliari, oppure il differimento dell'esecuzione della pena o l'applicazione della detenzione domiciliare (in quest'ultima ipotesi il giudice prescinde del tutto dai presupposti propri della detenzione domiciliare, dato che utilizza questa misura come sostituto del differimento della pena). V. FIORIO C., Libertà personale e diritto alla salute, cit., 151 - 156; PENNISI A., Diritti del detenuto e tutela giurisdizionale, cit., 92 - 93

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carcere per gli imputati malati di Aids ed era previsto il differimento obbligatorio della pena detentiva nel caso dei condannati ogni volta in cui si era di fronte a un soggetto affetto da HIV.

Sul punto era arrivata a pronunciarsi la Corte Costituzionale, con le sentenze 438 e 439 del 1995, sancendo l'illegittimità costituzionale di tale automatismo: secondo la Corte si rivelava irragionevole non prevedere la possibilità di verificare quando l'esecuzione della pena o l'applicazione della misura cautelare potessero "avvenire senza pregiudizio alla salute del soggetto e di quella degli altri detenuti". In osservanza a tali dicta, della Corte, il legislatore ha adottato le leggi 231/99 e 40/2001: non potrà essere applicata la custodia cautelare in carcere e dovrà essere obbligatoriamente rinviata l'esecuzione della pena per quei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, o da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le loro condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione42 .

Con questa normativa si finisce quindi per dare una nuova carta in mano ai detenuti per la tutela della loro salute.

Il quadro legislativo complessivo che emerge da questa ricostruzione dovrebbe far pensare a una tutela ampia ed effettiva del diritto alla salute per le persone recluse: sulla carta, essi godono di un'assistenza sanitaria di base all'interno di ogni istituto, di un'assistenza sanitaria specialistica in singoli istituti nei quali possono essere trasferiti in caso di necessità, di un'assistenza sanitaria extracarceraria quando 42 Con il riferimento a ogni "altra malattia particolarmente grave", il legislatore ha eliminato la disparità della precedente normativa, per cui il malato di AIDS poteva godere del rinvio obbligatorio, al contrario dei detenuti affetti da altre gravi patologie (come neoplasie, cirrosi, ecc..). Inoltre per le persone condannate che sono affette da AIDS conclamata, o da altra grave deficienza immunitaria, e hanno in corso o intendono intraprendere un programma di cura o assistenza all'esterno del carcere, il Tribunale di sorveglianza potrà disporre l'affidamento in prova al servizio sociale o la detenzione domiciliare. V. PRATELLI D., Incompatibilità tra

condizioni di salute e stato di detenzione, in www.ristretti.it; ARDITA S.

-BRUNETTI B. - STARNINI G. - BABUDIERI S., Incompatibilità con lo stato di

detenzione dei pazienti con infezione da HIV, in Rassegna penitenziaria e

criminologica, 2005, n. 3, 165 - 167; FIORIO C., Libertà personale e diritto alla

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quella interna non basti, ed infine anche di una possibilità di sospensione della pena quando le loro condizioni di salute siano del tutto incompatibili con la detenzione.

Nonostante tutte queste previsione legislative, però, abbiamo visto che ancora oggi in carcere ci si ammala e si muore.

Sulla mancata tutela della salute dei detenuti nel nostro paese è intervenuta anche la Corte europea dei diritti dell'uomo che ha utilizzato il parametro dell'art. 3 CEDU per condannarci di fronte a situazioni intollerabili.

CAPITOLO II

IL CONCETTO DI DIRITTO ALLA SALUTE

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DETENZIONE ORDINARIO ED IL REGIME DEL CARCERE DURO.

SOMMARIO: 2.1 La salute del detenuto nell’ordinamento penitenziario 2.2 Focus: una tipica struttura detentiva 2.3 La legge di riforma Penitenziaria 26 Luglio 1975, n. 354 2.4 I rimedi risarcitori contro la violazione del diritto alla salute del detenuto: analisi art 35 bis e 35 ter O.P. 2.5 Il tentativo, mal riuscito, di colmare le lacune in materia di tutela effettiva del diritto alla salute dei detenuti: D. lgs 2 ottobre 2018, nr. 123 e 124. 2.6 (segue) Analisi del D.lgs 2 Ottobre 2018, nr. 123 con riferimento alle modifiche apportate agli artt. 1, 11 e 18 O.p.. focus sulla detenzione femminile: riservatezza, formazione culturale e rappresentanza 2.7 (segue) Analisi del d.lgs 2 Ottobre 2018, nr. 124. 2.8 Disciplina del regime di detenzione ex art. 41 bis O.P. 2.9 Quali sono i limiti nell’applicare il regime detentivo ex 41 bis? 2.10 Le misure applicabili al detenuto ex art 41 bis 2.11 Compatibilità del carcere duro con la tutela dell’integrità psico – fisica del detenuto e con il divieto di trattamenti inumani e degradanti 2.12 Il Decalogo “Veronesi”: i diritti del detenuto malato.

2.1 La salute del detenuto nell’ordinamento penitenziario

L’ordinamento giuridico prevede una serie di norme preposte a garantire il diritto alla salute delle persone in vinculis, offrendo loro risposte differenziate a seconda della fase del procedimento penale nel quale si manifesta (o si acutizza) una condizione di salute tale da richiedere un livello di cure superiore a quello ordinario, nonché a seconda del particolare stato in cui le persone detenute si vengono a trovare. All’interno dell’ordinamento penitenziario sono presenti infatti delle particolari norme volte alla tutela della maternità, della paternità e quelle relative alla salvaguardia del detenuto ultra settantenne ovvero infra diciottenne, fino a contemplare norme volte

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a regolamentare l’esecuzione della pena detentiva nei confronti dei soggetti tossicodipendenti. In questo contesto è opportuno vagliare quali siano i presupposti, le procedure, i termini, i limiti e le forme attraverso cui la legge dell’ ordinamento penitenziario unitamente con le previsioni del codice penale e di procedura penale, garantiscono la tutela del diritto alla salute nelle sue diverse modulazioni, a favore delle singole categorie di persone coinvolte nel circuito penitenziario, le quali, a vario titolo, vengono giudicate dalla legge come soggetti meritevoli di una particolare attenzione conseguente alle esigenze sanitarie da questi manifestate.

A tale proposito bisogna premettere che quando si parla di diritto alla salute in carcere bisogna tenere presenti due diversi profili: il diritto a mantenere una buona condizione di salute per coloro che sono sani, e il diritto alla salute per i detenuti malati, come i tossicodipendenti o i sieropositivi, attraverso misure che garantiscano il diritto all’informazione sul proprio stato di salute, sui trattamenti che il medico vuole effettuare e il diritto a cure garantite questo perché sia nell’un senso sia nell’altro siamo sempre di fronte ad un diritto fondamentale, che, per tale motivo, seppure sotto profili diversi, attiene alla dignità della persona umana e sollecita i poteri statuali a garantirlo mediante il massimo degli sforzi possibili.

In tale ottica l’ordinamento penitenziario contempla alcune disposizioni stabilite con la finalità di salvaguardare il diritto alla salute, tutelato, in via generale e primaria, dall’art. 32 della Costituzione, che implica il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la sua tutela ed è garantito ad ogni persona, e, in via indiretta e con specifico riferimento all’esecuzione penale, dall’art. 27 co. 3 della Costituzione, che vieta l’adozione di pratiche contrarie al senso di umanità nel corso dell’esecuzione delle pene. Nel diritto penitenziario tali principi si sviluppano in diversi corollari: il diritto

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all’integrità psico-fisica, il diritto ai trattamenti sanitari e all’autodeterminazione sanitaria, il diritto ad un ambiente salubre. Tra questi, mentre il diritto ai trattamenti sanitari, all’autodeterminazione sanitaria e ad un ambiente salubre andrebbero collocati tra i diritti sociali, il diritto all’integrità psico-fisica (confermato a più riprese dalla Corte Costituzionale) 43 è

configurabile quale diritto direttamente azionabile, quindi con una struttura simile ai diritti di libertà. Come già detto il diritto alla salute del detenuto è tutelato tanto nel diritto internazionale quanto in quello nazionale secondo una duplice accezione: come diritto alla conservazione dell’integrità psico-fisica da un lato e come diritto a prestazioni sanitarie dall’altro. Per quanto concerne il primo profilo, la tutela di detto diritto implica, come visto, la necessità del divieto di atti lesivi della altrui integrità fisica da parte di terzi; divieto questo che assume un ruolo centrale nel contesto penitenziario, storicamente caratterizzato da dinamiche di violenza sui detenuti. In relazione a tale aspetto, non si può non constatare che nonostante i grandi passi avanti compiuti nel percorso verso la riconduzione dell’ambiente penitenziario alla legalità, le ipotesi di maltrattamenti sui soggetti ristretti costituiscono ancora oggi in Italia, come in altri paesi, una grave problematica degli istituti carcerari. Altro aspetto fondamentale, non sempre posto nella giusta evidenza è l’esigenza, sempre per la tutela del diritto alla conservazione dell’integrità psico-fisica, del rispetto di standard in materia di condizioni detentive, 43 La Corte Costituzionale con Sentenza nr. 356 e nr. 485 del 1991, ha affermato che “il principio costituzionale della integrale e non limitabile tutela risarcitoria

del diritto alla salute riguarda prioritariamente ed indefettibilmente il danno biologico in sè considerato”, ha ribadito che quest’ultimo va riferito alla integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica sè stessa nella propria vita: non soltanto quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità, e cioè a tutte “le attività realizzatrici della persona umana”. Ancora: “La tutela della salute comprende anche la pretesa dell’individuo a condizioni di vita, di ambiente e di lavoro che non pongono a rischio questo suo bene essenziale” – Corte Cost. Sentenza n. 218 del 1994.

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