• Non ci sono risultati.

Il riconoscimento e i modelli di integrazione

Nel documento Per una filosofia dei flussi (pagine 105-108)

IL MULTICULTURALISMO E IL RICONOSCIMENTO DELLE SPECIFICITÀ CULTURAL

3. Il riconoscimento e i modelli di integrazione

I modelli di integrazione ai quali ci si riferiva poco fa e che non sono stati ancora citati, sono prevalentemente due. Si tratta di due grandi modelli, ai quali poi si sono ispirate quasi tutte le proposte politiche legate all’integrazione. Ci si riferisce prevalentemente ad un modello “angloamericano” e ad uno “francese”. Si tratta di modelli che non a caso sono diventati tra i più influenti negli ultimi secoli. A renderli potenti è stato il fatto che questi si riferiscono ad alcune aree geografiche nelle quali il fenomeno dell’immigrazione, così come i numerosi tentativi di integrazione, sono stati molto importanti. Tanto importanti che le politiche che sono state messe in campo da questi modelli, hanno avuto frequentemente dei risvolti pubblici.

Il modello anglosassone si differenzia da quello francese per diversi aspetti. Innanzitutto, questo ha accolto più facilmente le etnie che poi si sono stabilite in queste aree. Una volta insediate, poi, si è passati frettolosamente a ricondurre tutte le minoranze sotto lo stesso tetto. A tal proposito ci sono due esempi molto importanti. Da un lato, vi è il riferimento alla Corona britannica, che ha raccolto tutte le differenze cultuali che componevano l’Impero, mente, dall’altro lato, vi è il forte esempio degli Stati Uniti, i quali sono stati praticamente popolati da immigrati.

Diverso è invece l’esempio del modello riferito all’area francofona. Secondo questa declinazione, infatti, solo le regole pubbliche hanno il diritto al riconoscimento. Si tratta di un impostazione che viene caratterizzata da una sorta di laicismo che permea di sé tutti gli aspetti della vita sociale. Potremmo dire che questa sorta di laicismo statale si pone ben al di sopra di tutte le differenze culturali. Se di primo acchito, questa impostazione sembra favorire una configurazione sociale nel quale prevale l’equità e l’imparzialità nei riguardi di tutti, proprio perché ognuno dovrebbe esser considerato alla pari di tutti innanzi alla legge dello Stato, tale modello conduce ad un problema non indifferente. Il punto è che, così facendo, tutte le culture presenti non possono in nessun modo essere riconosciute per la loro specificità culturale. Andando più nel dettaglio, la molteplicità culturale è, con il modello francese, qualcosa che viene ascritta alla sfera privata dell’individuo. La dimensione privata dell’individuo è dunque qualcosa che deve cedere spazio alle esigenze dello Stato nazionale. Entrambi questi grandi modelli hanno finito per genere delle profonde lacune sociali, nelle quali le minoranze venivano aizzate le une contro le altre, con il fine di emerge rispetto agli occhi di uno Stato nazionale freddo, oppure di scontrarsi con il governo, proprio perché non si sentivano del tutto partecipi della vita culturale della maggior parte dei cittadini. Come si diceva poco fa, uno degli emblemi dell’intero fenomeno della globalizzazione, è appunto legato a questa contraddizione interna. Infatti, se la globalizzazione ha da un lato collegato il mondo e rese più vicine anche le realtà più distanti del pianeta, dall’altro lato, invece, considerati gli inefficienti modelli di integrazione, sono aumenti vertiginosamente i contrasti culturali. Come si evince dalla lettura del quotidiano, entrambi i modelli di integrazione non riescono a reggere alla forza scaturita dalle dinamiche della globalizzazione. Sia nell’area angloamericana, così come in quella francofona, la convivenza di diverse culture mostra dei segni di scollatura, nei quali emergono moltissimi episodi di intolleranza per tutte le culture che, in genere, vengono considerate minori. Anche il modello

francofono continua a generare conflitti fra le comunità e uno dei principali motivi è legato al fatto che queste realtà richiedono sempre più veementemente una forma di riconoscimento della propria specificità culturale.

Considerate le difficoltà e anche l’importanza di organizzare al meglio i flussi di questo fenomeno, si mostra a pieno la necessità di pensare ad un nuovo grande modello di integrazione, nel quale possano essere ricondotti con equilibrio anche le esigenze particolaristiche delle culture, così come la dimensione universale della comune umanità che ogni cultura esprime. L’obiettivo sarebbe quello di mettere a punto un modello equilibrato in tal senso. A questo proposito, la scelta dell’utilizzo del temine interculturale non è stata casuale. Esso serve appunto per evidenziare il rapporto fra le culture, ossia quell’atto che mette in relazione le varie culture presenti in un determinato territorio. In questo modo, si eviterebbe di correre il rischio di isolare alcune minoranze o, addirittura, di farne oggetto di discrimine.

Una volta che le diverse identità culturali hanno trovato terreno fertile per instaurare nel migliore dei modi la propria relazione riconoscente e di dialogo, bisognerà pensare alla qualità di questa relazione, in modo tale da migliorare ulteriormente il dialogo reciproco. Secondo quanto sostenuto nella pubblicazione di Vigna e Bonan, per trovare un modo per instaurare una relazione di questo tipo, è necessario ancora una volta pensare in termini etici. Infatti, riconoscendo una relazione in quanto eticamente buona, nel senso che sia finalizzata ad una convivenza pacifica e rispettosa fra le differenze culturali, si riuscirà a migliorare la qualità di quella relazione di cui si parlava poco fa. Questo tipo di relazione viene infatti impostata sul riconoscimento reciproco e, nello specifico, sulla dimensione umana che accomuna tutte le realtà culturali nel mondo.

Nel documento Per una filosofia dei flussi (pagine 105-108)