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Il ruolo dello Stato nelle ricostruzioni del primo

CAPITOLO I: Le origini della subordinazione

3. Barassi e le dottrine prebarassiane

3.1 Il contrasto tra Barassi (prima edizione) e Carnelutti

3.1.1 Il ruolo dello Stato nelle ricostruzioni del primo

Carnelutti

Le posizioni dei due Autori non solo divergono per gli aspetti già indicati210, ma anche – come è stato limpidamente sottolineato in dottrina – per la diversa riconduzione del diritto del lavoro a origini pubblicistiche o a origini privatistiche211.

Premesso che entrambi gli Autori riconoscevano la necessità dell’intervento dello Stato tramite le leggi sociali, diverso era il posto che attribuivano a queste ultime nella classica ripartizione tra pubblico e privato. Barassi era fermamente convinto che il diritto del contratto di lavoro dovesse rientrare nell’alveo del diritto privato, e in particolare dovesse essere regolato dal codice civile. Tuttavia, riconoscendo la sussistenza di un’esigenza sociale di tutela della classe operaia, riteneva che fosse necessario l’intervento dello Stato attraverso l’emanazione di leggi sociali

208 L. Barassi (1901), p. 165.

209 L. Gaeta (2001), p. 175, riporta il fatto che Barassi «per dar torto a Carnelutti» in

merito alla non separabilità delle energie dal lavoratore «è ben felice di utilizzare l’autorità di L. [Lotmar]», il quale non riteneva che le energie lavorative potessero diventare una cosa nel momento in cui venivano esteriorizzate.

210 La polemica sulla riconducibilità del contratto di lavoro alla vendita o alla

locazione è stata definita «di basso profilo» da U. Romagnoli (1989), p. 479. L’Autore sostiene che «non si trattava in definitiva d’altro che di scegliere tra una maschia adesione alle regole del pionierismo industriale [Carnelutti] e il femminile pudore di nasconderle [Barassi]».

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che, avendo natura pubblicistica, e non interferendo con la costruzione giuridica del contratto di lavoro, non avrebbero potuto (né dovuto) inficiare la natura squisitamente ed esclusivamente privatistica. Le tutele speciali accordate al lavoratore in ragione della sua posizione di debolezza dovevano quindi essere collocate nell’ambito delle leggi sociali e non nel codice civile, poiché nel codice civile dovevano essere contenuti i soli principi e le disposizioni immutabili della materia civilistica, mentre le norme destinate a disciplinare gli aspetti mutevoli e contingenti della realtà dovevano essere contenute nelle leggi speciali, assoggettabili a revisioni e cambiamenti212. Barassi aggiungeva che sarebbe stato inutile e controproducente cercare di fissare la realtà «transeunte» nel codice civile perché nel momento in cui questa venisse disciplinata, essa muterebbe nuovamente, non essendo quindi suscettibile, per natura, di sistemazioni normative definitive213.

Queste affermazioni in ordine alla necessità di tenere ben separato il diritto pubblico da quello privato assumevano importanza specie in riferimento ad un dibattito dottrinale molto acceso al momento in cui scriveva: quello relativo alla responsabilità per infortuni214. Barassi infatti riteneva che la legge sugli infortuni fosse necessaria e di indubbia utilità, ma che non sostituisse o integrasse le categorie civilistiche della responsabilità contrattuale o extracontrattuale e perciò dovesse considerarsi da queste concettualmente separata. Egli sosteneva che la controprova della bontà della sua tesi potesse cogliersi ragionando sul caso della parziale responsabilità dell’industriale per l’incidente occorso al lavoratore. Tale circostanza, pur ricadendo nella disciplina prevista dalla legge sull’assicurazione obbligatoria, avrebbe dovuto dare luogo a un risarcimento integrale del danno secondo le regole generali previste per la responsabilità civile. Infatti in questo caso era il datore di lavoro, a seguito dell’azione di regresso intimata dall’istituto assicurativo, a dover risarcire in ultima istanza il danno subito dal lavoratore. Quest’ultimo infatti avrebbe avuto diritto ad un risarcimento integrale da parte dal datore di lavoro sulla base delle regole della responsabilità civile, a

212 L. Barassi (1901), p. 11. Ricostruisce l’opinione di Barassi B. Veneziani (2002), p.

45, il quale afferma che secondo Barassi «la purezza del diritto civile non poteva essere contaminata da alcun elemento estraneo alla logica mercantile dello scambio di beni tra uguali».

213 L. Barassi (1901), p. 7.

214 L. Barassi (1899b), p. 218, non negava l’opportunità di una legislazione sociale,

ma negava che essa potesse arrivare a modificare il codice civile. Secondo Barassi, la legislazione sociale comprendeva «istituti di natura loro transeunti, basati prevalentemente su motivi di interesse o di ordine pubblico, in cui non è facile né fecondo il cercare la giustificazione giuridica, pel puro diritto».

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prescindere dal meccanismo previsto dalla legge sull’assicurazione obbligatoria del 1898215. In tal caso, secondo Barassi, si sarebbe rientrati «nei

limiti del vero diritto privato, nel diritto comune; da cui la legge sugli infortuni esorbita[va] come quella che è piuttosto un esempio di legislazione sociale»216.

Diversamente Carnelutti riteneva che la distinzione tra pubblico e privato non avesse più ragione di esistere ove si considerasse la (nuova, per l’epoca) legislazione sociale. Egli, infatti, sosteneva che fosse tempo «di snebbiare quella comoda imprecisione intorno al carattere privatistico o pubblicistico» della legislazione sugli infortuni. Imprecisione «che permette[va] ai pubblicisti di non occuparsene col pretesto che si tratt[asse] di diritto privato, e agli altri di metterla al bando col pretesto … del viceversa»217. Del resto, Carnelutti sosteneva che le leggi sociali, in particolare la legge sull’assicurazione obbligatoria, servissero per colmare le lacune del codice e che, per tale motivo, i principi in esso contenuti dovessero essere letti congiuntamente e alla luce di quanto previsto dalle leggi speciali. Indirettamente, Carnelutti riconosceva l’insufficienza delle sole regole del codice a risolvere le questioni relative alla responsabilità per l’infortunio dell’operaio, negando quell’autosufficienza e completezza del codice civile che invece era premessa ideologica dei ragionamenti di Barassi.

In particolare, Carnelutti riteneva altresì – diversamente da Barassi – che la legge sugli infortuni del 1898 non fosse da annoverare nell’alveo degli interventi di diritto pubblico. Il sottostante obbligo del datore di lavoro di sopportare “il costo” per gli infortuni occorsi ai dipendenti, era da considerarsi infatti, a parere di Carnelutti, alla stregua di un obbligo rientrante nel diritto privato equivalendo, nella sostanza, ad un supplemento della retribuzione del lavoratore. Egli sosteneva infatti a tale proposito che «la natura privatistica dell’obbligo dell’imprenditore e del diritto nel lavoratore ne acquista pieno risalto: è tanto poco di carattere pubblico cotesto diritto quanto quello di percepir la mercede!». Quindi, l’obbligo di assicurarsi non era visto in altro modo se non come un obbligo secondario per garantire “il pagamento” da parte del datore di lavoro del costo dell’infortunio218.

Sicuramente entrambe le teorie hanno lasciato un’importante eredità. Tuttavia, con specifico riferimento alla questione della responsabilità per

215 L. Barassi (1901), pp. 583-587. 216 L. Barassi (1901), p. 588. 217 F. Carnelutti (1913a), p. VIII. 218 F. Carnelutti (1913a), pp. IX-X.

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infortuni, usando le parole di un noto giuslavorista, si può dire che «vince Barassi, ancora una volta»219: la “questione degli infortuni”, e oggi potremmo

affermare lo stesso, per estensione, in relazione al diritto della previdenza sociale, è relegata alla periferia del diritto del lavoro220. Come è stato scritto, «le conseguenze della vittoria dell’opzione barassiana sono evidenti per lo sviluppo futuro di una materia sempre più nettamente «tripartita» in diritto sindacale, previdenziale e del rapporto individuale, distinzione entrata ormai a far parte del DNA di ogni giuslavorista»221. Sul senso della “vittoria” occorre bene intendersi. Il tempo ha dato ragione a Carnelutti: l’obbligo assicurativo ancora oggi scaturisce dal rapporto di lavoro.

Peraltro, l’eredità lasciata da Carnelutti, sotto diversi e ulteriori profili, non è di minor valore. Infatti, pur uscendo perdente per quanto concerne la questione della responsabilità per gli infortuni, l’intuizione che il diritto pubblico dovesse in parte contribuire a integrare il diritto privato ha avuto seguito – soprattutto per quanto riguarda il diritto del lavoro – a partire dalle discipline degli anni ’20 del XX secolo relative all’orario di lavoro, e in maniera ancora più ampia, con la legge sull’impiego privato n. 1825 del 1924. Si può affermare infatti che il confine tra diritto privato e diritto pubblico si sia spostato nel corso del tempo, finendo per configurarsi un diritto dei contratti che contempla ampi meccanismi di eterointegrazione del regolamento contrattuale (artt. 1374, 1339 c.c.).