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L’apporto di Greco all’elaborazione della nozione d

CAPITOLO I: Le origini della subordinazione

4. L’apporto di Greco all’elaborazione della nozione d

4. L’apporto di Greco all’elaborazione della nozione di subordinazione

Qualche decennio dopo la disputa dottrinale tra Barassi e Carnelutti entra in scena un altro Autore di cui si deve necessariamente tenere conto: Paolo Greco. L’importanza di tale Autore è duplice. In prima battuta, le sue opere sono estremamente utili per ricostruire le posizioni della dottrina dell’epoca. In seconda battuta, la sua opera del 1939 sul contratto di lavoro – e in particolare, per quanto interessa in questa sede, le parti di essa dedicate all’oggetto del contratto di lavoro, è imprescindibile per verificare quanto delle idee della dottrina sull’oggetto del contratto di lavoro e sulla nozione di subordinazione sia confluito nella disposizione del 2094 c.c.243.

È bene premettere che Greco non è classificabile tra gli istituzionalisti244. Egli infatti criticava, non condividendole, le posizioni di chi riteneva che il rapporto di lavoro non potesse mai trovare la fonte nel contratto di lavoro. Nello stesso tempo, però, egli non era nemmeno un convinto contrattualista: sosteneva infatti che il contratto fosse la fonte principale, ma

241 B. Veneziani (2002), p. 42.

242 M. Pedrazzoli (2002), p. 264, usando una metafora, afferma che Barassi aveva

avuto il merito di identificare la funzione della subordinazione con quella di un «rubinetto delle tutele». Allo stesso tempo Pedrazzoli sottolinea che «il limite di tale risposta stava, e sta, nel fatto che il rubinetto dovrebbe essere non solo aperto o chiuso, ma anche regolabile nel flusso, e cioè idoneo a graduare i trattamenti, diversificandoli per classi di casi secondo un qualche criterio plausibile e costante».

243 E. Ghera (2001), p. 155. 244 P. Greco (1939a), pp. 164-165.

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non l’unica possibile, del rapporto di lavoro245. Tuttavia si può affermare che

secondo Greco «il contratto è dunque lo strumento scelto dall’ordinamento per determinare, mediante l’inserzione nell’impresa-istituzione, l’effetto della costituzione del rapporto di lavoro». Greco quindi sottolineava la funzione costitutiva del rapporto di lavoro del contratto, ma ne sminuiva la «funzione regolamentare»246.

Greco, come detto prima, aveva ben presente il dibattito in materia: egli infatti aveva letto, lo si deduce anche dalle note, le dottrine che si erano espresse in materia, riservando particolare attenzione a quanto scritto da Barassi e da Carnelutti. Al pari di Barassi non condivideva le idee di Carnelutti sulla separabilità delle energie dal prestatore di lavoro. Greco, infatti, sosteneva che il lavoro, o l’energia lavorativa, non si potesse distaccare e, di conseguenza, non potesse vivere isolatamente dalla persona del lavoratore. Il lavoro, secondo tale Autore, «cessa e si esaurisce nell’atto stesso che viene compiuto; quel che rimane non è l’energia, ma l’effetto di essa»247. Greco, contestando la possibilità di separare il lavoro dalla persona che lo presta, indirettamente non condivideva neanche l’idea di Carnelutti di ricondurre il contratto di lavoro al contratto di compravendita248.

L’opera di Greco si apprezza inoltre per il contributo alla distinzione tra prestazione di risultato e prestazione di energie lavorative. Tale Autore sottolineava il fatto che a queste due figure «corrispondono quei due tipi di rapporti che la tradizione romanistica ha tramandato sotto i nomi della locatio

operis e della locatio operarum». Ripercorrendo gli elementi essenziali

dell’una e dell’altra fattispecie, Greco individuava quali elementi tipici della prima «la direzione del processo produttivo» e «il rischio dello stesso», mentre assegnava un rilievo preminente nell’identificazione della seconda alle energie di lavoro, e non al risultato249. Questo ovviamente non voleva

dire, specificava l’Autore, che anche nella locatio operarum il lavoratore non dovesse portare a termine una sorta di risultato, quale ad esempio eseguire la propria mansione: «è chiaro che l’estraneità del prestatore di energie

245 P. Greco (1939a), p. 159-163. R. Scognamiglio (2005), p. 698, sostiene che la tesi

di Greco sull’inserzione «del rapporto di lavoro nell’ordinamento a struttura gerarchico- comunitaria dell’impresa-organizzazione preesistente al rapporto, che, pur derivando normalmente dal contratto, si colloca all’esterno dello stesso» è «una concessione d’obbligo, in quell’epoca di pieno vigore del regime corporativo».

246 E. Ghera (2001), p. 159. 247 P. Greco (1939a), p. 11. 248 P. Greco (1939a), pp. 12-13. 249 P. Greco (1939a), pp. 16-23.

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lavorative rispetto al risultato riguarda non il risultato della propria personale attività, ma bensì quello complessivo del processo produttivo»250.

Greco in particolare sposava l’idea di Barassi di individuare nel potere direttivo il discrimine tra le due fattispecie, che oggi chiameremmo lavoro autonomo e lavoro subordinato251. Egli infatti sottolineava il fatto che «la caratteristica essenziale della differenza fra autonomia e subordinazione va soprattutto ricercata nella posizione personale che il prestatore di lavoro assume rispetto alla sfera di dominio del creditore»: se il debitore di lavoro doveva sottostare al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro allora si sarebbe trattato di lavoro subordinato252. Ovviamente Greco ammetteva che «le forme e il grado di questa sottomissione» potessero variare a seconda dei casi253.

Ai fini dei ragionamenti che seguiranno nel prossimo paragrafo, è importante sottolineare che l’Autore in esame legava la sottoposizione al potere direttivo del datore di lavoro alla condizione di sottoposizione del lavoratore nella «sfera di dominio» o «sfera ambientale» del datore stesso254. Ne conseguiva che il potere direttivo del datore di lavoro doveva circoscriversi nell’ambito dell’impresa255.

Greco inoltre sosteneva che il potere «gerarchico» del datore di lavoro si potesse manifestare in due forme diverse, intrinsecamente collegate tra loro: il potere direttivo e il potere disciplinare. Del resto «un potere direttivo non collegato col potere disciplinare costituirebbe una manifestazione incompleta del rapporto gerarchico e del principio autoritativo, che di quel rapporto forma l’essenza caratteristica, in quanto non è concepibile un’autorità che non possegga i mezzi, o almeno un minimo di mezzi, per farsi valere»256.