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Il sessismo e il pericolo dell‟essenzialismo

2. Antisessismo e antirazzismo

2.1. Il sessismo e il pericolo dell‟essenzialismo

In questo capitolo ci occuperemo della connessione che intercorre tra le pratiche morali che abitano questo spazio di lavoro. Poiché il nostro scopo non è presentare una discussione sociologica della questione che, per quanto utile, può incorrere il rischio di apparire già sentita, tenteremo invece di apportare delle decostruzioni anche al senso comune che considera il sessismo, il razzismo e lo specismo, pratiche assolutamente distinte l‟una dall‟altra.

Nell‟introduzione abbiamo accennato alla definizione del termine “sessismo”, come un atteggiamento di discriminazione tra gli esseri umani per la differenza di genere sessuale. La definizione generale non prevede posizioni predefinite di dominio e di sottomissione: si può parlare di sessismo anche ammettendo la superiorità, e quindi il dominio, del genere femminile su quello maschile. Nel nostro percorso, però, abbiamo scelto di evidenziare la dinamica contraria, il predominio, cioè, del genere maschile sul genere femminile. La nostra scelta è dettata da motivi prettamente storici: nel corso della storia, infatti, sono state le donne le vittime di un potere

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maschile, spesso schiacciante e limitante. Siamo consapevoli che la questione non è così facile da delineare, non in maniera universale: esistono dei gruppi etnici, per esempio, il cui potere economico, politico e sociale è in mano alle donne. Purtroppo, però, il nostro lavoro necessita di un preciso e circoscritto taglio teorico. Ci limiteremo, dunque, all‟analisi della concezione sessista che ricopre la parte occidentale del mondo. La nascita stessa del termine “sessismo” è da ricondurre all‟Occidente, al nord dell‟America precisamente, durante i suoi anni sessanta e il suo movimento studentesco.

Anche per questo termine, Annamaria Rivera ci mette a disposizione una definizione alquanto completa. Definisce in questo modo l‟atteggiamento mentale sessista:

«sessismo» designa l‟insieme di idee, credenze e convinzioni, stereotipi e pregiudizi, norme giuridiche e pratiche sociali, comportamenti individuali e collettivi, che concorrono a perpetuare e legittimare la gerarchia e la disuguaglianza fra i sessi.43

Inoltre, prosegue più a fondo nell‟analisi, delineando alcune caratteristiche del sessismo. Lo pone sullo stesso piano del razzismo, in quanto «sistema di dominio complesso e dalle dimensioni molteplici: ideologica, simbolica, discorsiva, sociale, politica»44; vede nella naturalizzazione o biologizzazione il suo dispositivo ideologico principale; non lo riduce alla misoginia, all‟antifemminismo o allo sciovinismo maschile, considerati al più semplici componenti.

Presentata, a grandi linee, la natura del sessismo, rivolgiamo ora la nostra attenzione all‟atteggiamento mentale che ha lo scopo di decostruirne ogni potenziale

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A. Rivera, La Bella, la Bestia e l’Umano, cit., p. 29 44

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fondamento. Con il termine “antisessismo”, vogliamo assumere, nella nostra analisi, un comportamento morale che non si arroghi il diritto di acquisire posizioni dominanti (in svariati ambiti) in virtù di una semplice differenza sessuale.

Il nostro processo di decostruzione, come abbiamo spiegato nell‟introduzione del nostro percorso, deve avviarsi a partire dalla considerazione di quei binarismi indistruttibili che danno vita a dinamiche di sottomissione, di sfruttamento, di violenza, causate dall‟appiattimento delle differenze appartenenti a ciascun soggetto, con lo scopo di creare un unico grande insieme singolare generale in cui inserire, di volta in volta, gli individui “altri” rispetto all‟esteso gruppo del “noi”. Oltre ai binarismi già accennati, ci preme considerarne un altro, le cui implicazioni si ramificano e trovano terreno in diversi ambiti. Il binarismo che cerchiamo di esaminare è frutto pienamente della cultura occidentale: si tratta di una duplice dicotomia, i cui due termini di ognuna trovano un‟annessione (logica?) rispettivamente con gli altri due. Per una più precisa spiegazione, ci affidiamo alle parole di Janis Birkeland, docente di architettura sostenibile all‟università di Auckland, in Nuova Zelanda. Birkeland così scrive:

In the dominant Patriarchal cultures, reality is divided according to gender, and a higher value is placed on those attributes associated with masculinity, a construction that is called “hierarchical dualism”. In these cultures, women have historically been seen as closer to the earth or nature. … Also, women and nature have been juxtaposed against mind and spirit, which have been associated in Western cosmology with the “masculine” and elevated to a higher plane of being. … [I]t is clear that a complex

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morality based on dominance and exploitation has developed in conjunction with the devaluing of nature and “feminine” values.45

La classica ed eterna distinzione maschio/femmina trova il suo corrispettivo nella distinzione spirito/natura: la maschilità viene associata allo spirito, alla mente (dunque alla soggettività); la femminilità alla natura, all‟oggettività, se vogliamo. Inserendo una terza distinzione, quella tra soggettività/oggettività, appunto, possiamo richiamare alla nostra attenzione ciò su cui abbiamo già riflettuto, cioè la distinzione tra Bene e Male, che prevede il primo come spazio del soggetto e il secondo come spazio dell‟oggetto. Appare chiaro, a questo punto, il nostro schema dicotomico: il Bene racchiude la soggettività, lo spirito, la mente, e quindi l‟Uomo; il Male racchiude l‟oggettività, la materia, la natura (che include anche gli animali non umani), e quindi la Donna. Sembra logicamente inattaccabile. E l‟apparente inattaccabilità che notiamo, è causata dall‟inclinazione a naturalizzare determinate gerarchie mediante gli argomenti legati alle differenze, nel nostro caso sessuali. Non è un caso, infatti, se «il rifiuto di ogni naturalismo ed essenzialismo è tutt‟oggi uno dei temi basilari della critica del sistema sessista»46. Si è portati a credere che le differenze, per esempio sessuali (ma anche quelle legate alla razza, come vedremo più avanti), debbano portare “naturalmente” anche ad una distinzione gerarchica. Questo è il pensiero da decostruire, per quel che ci riguarda. Infatti, non esiste nessuna “essenza” o “natura intrinseca” alla donna tale che possa divenire oggetto di un atteggiamento sessista. Rivera sostiene quest‟idea, affermando che

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J. Birkeland, “Ecofeminism: Linking Theory and Practice” in G. Gaard, Ecofeminism: Women,

Animals, Nature, Philadelphia, Temple University Press, 1993, pp. 18-19, cit. in D. Nibert, Animal Rights Human Rights, Lanham, Rowman & Littlefield Publishers, Inc., 2002, p. 204

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Fra l‟altro, a dimostrare come non siano né il sesso femminile in sé né una sua qualche

essenza o sostanza intrinseca ad essere oggetto delle pratiche del sessismo sta la

considerazione che non solo gli omosessuali, ma anche i maschi eterosessuali fragili, miti, dolci, «effeminati» siano stati e siano simbolicamente assimilati al genere femminile e trattati di conseguenza. Il che mette in luce non solo che in certi casi anche i rapporti fra gli uomini possono riprodurre il modello gerarchico dei rapporti di genere, ma anche che una delle forme in cui viene espressa l‟inferiorizzazione dei «diversi» è la femminilizzazione.47

Potremmo dire, in un altro modo, che il sessismo non scaturisce direttamente dalla particolare sostanza, o essenza, che contraddistingue il sesso femminile, ma da ben altre motivazioni e interessi. Secondo l‟antropologa Françoise Héritier, per esempio, il comportamento sessista deriverebbe «dai processi di appropriazione delle donne – nel corpo e nello spirito – finalizzati in primo luogo a controllarne la funzione riproduttiva»48. D‟accordo o no con Héritier, resta il fatto che le cause che portano all‟origine e alla permanenza di concezioni sessiste della realtà, non possono essere attribuite all‟intrinseca natura, all‟essenza originaria, alla particolare sostanza del sesso femminile.