3. LA PARTE DEI DUELLI
3.5. Arturo VS Iñaki
3.5.4. Il superamento del male
Veniamo all’interpretazione dell’episodio, tirando le somme di quanto già visto spe-cificatamente sul rapporto tra il protagonista e il male. Innanzitutto, bisogna notare che le differenze con lo scontro tra Udo ed el Quemado sono significative. Lì i personaggi si contendevano la vittoria in un gioco che piegava la realtà alle sue regole, ma senza vio-lenza fisica, che veniva solo minacciata e temuta. Qui la viovio-lenza fisica è reale. Un’idea di letteratura viene difesa non sulla carta, ma sconfinando dal suo terreno di competenza per impattare su e con la realtà, in uno scontro fisico reale.
Il duello viene osservato a distanza da Susana Puig e, da vicino, da Jaume Plannes. C. Andrews osserva che non possiamo sapere se nel momento del duello Belano
era un engorro. El general Von Berenberg prefirió no expresar su opinión, lo mismo que los dos oficiales de Estado Mayor.» Bolaño, op. cit., p. 923; nella trad. di Ilide Carmignani in Bolaño, 2666, Milano, Adelphi, 2008, p. 417.
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giunga una particolare consapevolezza260. L’epifania è riservata a Jaume, che percepisce la loro comune «inutile innocenza». Tuttavia, quel duello è l’ultima espressione del ma-le radicama-le perpetrato dai protagonisti del romanzo. Infatti, nel prosieguo del romanzo abbiamo la fiera del libro, cui i due realvisceralisti non partecipano, il ritorno in Messi-co di Lima, l’inMessi-contro in Catalogna tra Belano e María Teresa, che lo redarguisce sulle sue inconcludenti disperazioni amorose parlando di responsabilità paterne. Belano sta scrivendo un libro e sparirà un giorno lasciando lì la macchina da scrivere e un mucchio di fogli scritti. Infine, lo ritroviamo in Africa, nella vicenda raccontata da Urenda, con la sua uscita di scena, e dove veniamo informati dallo stesso protagonista che a seguito del duello è nata un’amicizia con il critico:
Aunque cuando lo vi estaba contento porque acababa de recibir me-dicinas desde Barcelona. ¿Quién te las envió?, le pregunté, ¿una mujer? No, un amigo, me dijo, un tal Iñaki Echavarne con el que una vez tuve un duelo. ¿Una pelea?, dije. No, un duelo, dijo Belano. ¿Y quién ganó? No sé si yo lo maté a él o él me mató a mí, dijo Belano. ¡Fantástico!, le dije. Sí, fantástico, dijo él.261
L’amicizia potrebbe basarsi anche sulla stessa rivelazione ottenuta da Jaume. Arturo avrebbe inteso prima o dopo il duello che il desiderio di rispettabilità suo come di Iñaki era un modo come un altro per muoversi, una maschera che nascondeva altro, come dirà il narratore de La parte de Arcimboldi. Inoltre, quel senso di vacuità percepita rafforze-rebbe la scelta finale di seguire Lobo. Si tratta di congetture, ma accostando i due episo-di, appunto, e cioè interpretando l’esito del duello alla luce di quanto detto sulla scelta di Arturo di accompagnare Lobo, non si può escludere che la rivelazione di Jaume sia in qualche modo condivisa dal poeta. La percezione dell’insensatezza di quelle aspirazioni avrà, cioè, rafforzato la possibilità di seguire l’amico lontano dai riflettori del mondo letterario. Arturo contemplerebbe la possibilità di morire incurante di non poter poi rac-contare quell’esperienza ultima, e così dando a intendere di aver abbandonato ogni so-gno di gloria. Con quella scelta, Belano sancirebbe la fine del suo apprendistato poetico anche epurandosi dal male radicale. Da qui, il personaggio può procedere al suo inabis-samento con uno sguardo sul male assoluto non più appannato dalla propria partecipa-zione al male radicale. Non è una nota di poco conto per questo studio, perché ne va della sostanza del processo di scrittura: avere uno sguardo compromesso col male
260 Cfr. C. Andrews, op. cit., p. 135.
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presentato anche da un punto di vista psichico, nel caso della partecipazione al male ra-dicale, è differente dal depurarsene. Superarlo permette di avere una distanza dal mate-riale narrato proficua a guardarlo oggettivamente. In questo secondo caso il nostro pos-sibile narratore sarebbe compromesso col male solo da un punto di vista tecnico, del farsi della letteratura, per le dinamiche che abbiamo esplorato in questo capitolo. Ne va quindi, direi, non solo di ciò che la scrittura dice di sé, ma anche di ciò che può dire del male. La docente di Caracas riserva il privilegio del distacco dal male radicale solo ad Arcimboldi, un personaggio, dice, costruito interamente a contatto con la violenza, e quindi l’unico a non poter sopportare su di sé anche il peso del male radicale.
En él, parece compactarse todo el material que Bolaño había tra-bajado en sus anteriores sujetos, como si los hubiera estructurado en una única piel, la cual pespuntea una voluntad por parte del autor de crear una zona simbólica que eche por tierra tanta mediocridad y derrota, y que so-breexponga tanto el mal absoluto como el radical.
Construido desde el horror puro, es el más completo que textua-liza la intersección entre el mal y la literatura –viene de la propia génesis del nazismo- y sólo se separa de Ramírez Hoffman en el sentido de no ha-cer el mal por el plaha-cer de su propia mano, sintiendo morbosidad, pero sí participa de él y, a partir de esta experiencia, decide su vocación de es-critor. […]
Bolaño comienza a sobreexponerlo al horror […], para ir carto-grafiándolo en una perspectiva que semeja un ojo panóptico sobre la de-gradación y el hundimiento moral de Alemania, y, más allá, acerca de la historia sobre escombros de Europa. […] y que le abren la posibilidad pa-ra elabopa-rarlo, posteriormente, a partir de otro contexto: el de la litepa-ratupa-ra. […] Decide retirarse del juego literario y […] concibe la escritura de la li-teratura sin el falso brillo de su entorno, en un intento de que permanezca sólo la obra, como única referencia posible, sin simulacros.
De esta perspectiva, un sujeto en disensión con todos los sujetos
de la narrativa bolañista (exceptuado a Cesárea Tinajero, pero en otra
circunstancia). Arcimboldi (bajo la piel de Reiter) vivió el horror y, […]. Porque no podía dar cabida a lo que consideraba un segundo horror, ahora radical, como la apariencia y la fama, evidentes “en las almas de la gente y también en sus gestos, en la voluntad y en el dolor” […]; no más lugar para otra catástrofe, y se produce la huida ante el vacío paradójico del re-conocimiento que lo va encerrando y del tiempo insustancial que lo aplaude, que lo cosifica.262
Arcimboldi costituisce uno spazio simbolico di intimo contatto con la violenza e di rifiuto della mediocrità. Dopo la guerra, infatti, non sarà disposto ad accettare altro ma-le, la reificazione della fama. Non per niente, come evidenzia la studiosa, il romanzo si chiude con l’episodio del gelato Pückler, dal nome della figura eclettica che lo creò e che viene ricordata solo per il gelato: si tratta di una riflessione sulla vanità e l’assoluta
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fatalità della fama. Sintesi e superamento delle precedenti figure, Arcimboldi, emerso dal massimo del male, sarebbe l’unico personaggio a sottrarsene.
Invece, Bolaño esprime nella parabola di Arturo un processo di apprendistato molto simile a quello di Reiter, cosa non inusuale, perché lo abbiamo ritroviamo anche ne El terzer reich, dove il protagonista, Udo, che non era uno scrittore, ma un giocatore, espandeva la sua volontà di potenza fino al limite di un incontro/scontro con la realtà che lo portava ad abbandonare il gioco e a maturare. La struttura è molto simile a quella del processo di formazione di Belano, e non è dissimile da quella individuata da Gon-záles per Arcimboldi, per il quale il male della guerra e del nazionalsocialismo si espan-de nei suoi exempla, negli episodi di violenza cui partecipa il soldato, e quindi negli oc-chi del soggetto che li attraversa e che, esausto, vi pone fine con il suo unico omicidio, quello del burocrate nazista Leo Sammer. Alla fine della guerra, lo scrittore, forgiato nella violenza, ha occhi solo per rielaborare quei traumi nello spazio loro dedicato, la letteratura, fatta dello sguardo che la compone, quindi a contatto con il male: alla fine della guerra, lo si è detto, Reiter prosegue la violenza di cui è fatto nel suo reverso, e cioè nel farsi della letteratura, e non può sopportare di ricevere su di sé lo sguardo reifi-cante del successo, del male radicale, in qualche modo smettendo di produrre altro male che la letteratura in sé. Possiamo rilevare in tutti e tre i romanzi tre momenti decisivi: l’espansione dell’asse letteratura/gioco/male su tutto, l’impatto con la realtà che pone un vieto a quella espansione in un episodio decisivo, la rielaborazione di quel momento che fa sì che il soggetto non si faccia più strumento del male – non lo sappiamo dal perso-naggio stesso ma dal prosieguo della storia. Ne El terzer reich il processo, lo si è visto, è stilizzato, compattato in un unico scontro. Per Arcimboldi e Arturo, invece, è diluito. Nella vicenda di Belano il momento decisivo viene raddoppiato, perché gli esiti del duello con Iñaki si rivelano e si rafforzano nella decisione ultima di seguire Lobo. Lette-raturalizzare la vita lontano dai riflettori. Niente di più lontano dal male radicale.
Riassumendo, si è visto che Arturo è legato al male assoluto da un omicidio, ma che l’orrore gli permette l’accesso a una consapevolezza dove il male comincia a non essere più necessario. Via via, infatti, il personaggio abbandona anche il male radicale, di cui l’ultimo episodio è il duello con Iñaki, dove, come dirà ad Urenda, uno dei due, o forse entrambi, in qualche modo sono morti. Da lì il personaggio si appresta a compiere il suo destino e a portare a regime il progetto realvisceralista con un occhio limpido, con paura
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e gioia feroce, pronto a sacrificare la propria vita lontano dai riflettori per non lasciare solo un amico nel momento della morte, e pronto a guardare con lucidità il male, perché lo conosce, in quanto lo ha vissuto in tutti i modi sulla propria pelle, e perché non ne è più invischiato. Adesso, come Pepe el Tira (personaggio di un racconto de El gaucho insufrible), Arturo Belano è uno che ha imparato a muoversi nel buio, e da lì può parlar-ci del buio di Santa Teresa.