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2. IL NARRATORE DI 2666

2.4. Una filiazione problematica

Lo sguardo sul mondo di Lalo Cura è molto simile a quello di Belano, in un comune destino di innocenza ed erranza che non li contrappone, e anzi li accomuna, anche nel sangue e così incrociando la questione dell’identità lationamericana. Diamo innanzitutto uno sguardo al rapporto tra padri e figli nella letteratura di Bolaño, su cui ha scritto L. Mecozzi182: l’idea bolaniana della letteratura come esilio viene anche dal legame tra esi-lio come fenomeno generazionale e l’orfanità dalle figure dei grandi padri poeti, critici, e politici. Un’orfanità di legame tra letteratura e politica che deterritorializza molti per-sonaggi bolaniani. Molti sono mossi da un rapporto col padre in absentia. I pochi padri presenti, come Quim Font e Amalfitano, impazziscono nel tentativo di proteggere i figli e, consapevoli di non poter più essere centro regolatore e di controllo del mondo, abdi-cano a quella che la letteratura psicoanalitica indica come la funzione di legge assunta dal padre, e così preludendo alla loro fuga e, allo stesso tempo, all’esplosione della for-ma narrativa:

In questo senso la fuga come forma del contenuto prelude alla la fu-ga intesa come forma dell’espressione: a narrazioni incentrate su singoli per-sonaggi (il diario di García Madero, le parti dei critici, di Amalfitano e di

182 L. Mecozzi, «Esilio ed orfanità. Padri e figli nella narrativa di Roberto Bolaño», ENTHYMEMA, (12), 2015 pp. 389-41. Web, 20 gennaio 2020 riviste.unimi.it/index.php/enthymema/article/view/4752.

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te) seguono sezioni in cui l’orizzonte del romanzo si amplia fino alla perdita di un centro organizzatore, se non presente in absentia: da una parte i fanta-smatici Lima e Belano, dall’altra gli assassini di Santa Teresa. Oggetto delle narrazioni diventa dunque la polimorfa molteplicità del reale e l’«agitazione molecolare» di un mondo ormai privo di Legge. […] la seconda parte dei De-tective selvaggi e la “Parte dei delitti” in 2666 rappresentano il momento in cui i ro- manzi di Bolaño si aprono verso una proliferazione potenzialmente interminabile: una proliferazione che allo stesso tempo produce un effetto di liberazione della tensione accumulata precedentemente attraverso illimitate linee di fuga individuali. Non si tratta necessariamente di una liberazione po-sitiva, quanto piuttosto degli effetti di un’ammissione di innocenza: Joaquín ed Amalfitano non possono tenere sotto controllo la realtà: il Male ed il peri-colo che insidiano le loro figlie li trascendono; di fronte al protettore di Lupe, di fronte ai misteriosi assassini di Santa Teresa, i padri non hanno colpe per-ché non hanno potere. Al limite della follia, accettano di tirarsi indietro.

Il ruolo di Amalfitano nella fuga di sua figlia (fare il ‘palo’ mentre Fate e Rosa fuggo- no in auto) nasconde in realtà la natura del suo gesto: ab-dicare alla propria funzione legislatrice sul mondo, indietreggiando di fronte all’orfanità di sua figlia.

Nell’abdicare alla propria funzione di legge, i pochi padri presenti condividono l’innocenza dei figli. Secondo la psicoanalisi il rapporto edipico regola il passaggio all’adultità di un soggetto mediante il conflitto con la figura paterna. In questo contesto però, secondo Mecozzi, il rapporto con la figura genitoriale non è più regolabile in chiave edipica, già disinnescato dalla morte di Cesárea come critica formale alla ricerca retrospettiva che i realvisceralisti avevano condotto nel tentativo di «territorializzarsi»: un «errore di prospettiva». Lo studioso rintraccia quindi nella figura di Ulisse uno degli archetipi che meglio rappresentano i personaggi bolaniani:

costretti al movimento non si guardano indietro paralizzati; nono-stante la nostalgia che spesso li pervade continuano nel loro viaggio senza meta, consapevoli della vanità e dello sperpero cui sono condannate tutte le vite. […] È interessante, allora, che Bolaño scelga come nome per l’alter ego di Mario Santiago quello di Ulisse. L’orfanità è vissuta dai personaggi di Bo-laño sempre con coraggio, in senso romantico, senza mai permettere che la solitudine generazionale che li caratterizza possa paralizzarli o condurli verso una folle disperazione. Invece di Telemaco, quindi, è Ulisse l’archetipo per-fetto per descrivere i personaggi dei Detective selvaggi e degli altri ro- manzi bolaniani: individui in cui il desiderio del ritorno, lungi dall’inibire la volontà di scoperta e la spinta del viaggio, sembra al contrario potenziarli. Se non esi-ste un orizzonte capace di garantire un senso ultimo – o come nel caso di Ulisse se quest’orizzonte sembra allontanarsi man mano che ci si avvicina – per Lima e Belano non resta che dare ascolto ai multiformi desideri che la vi-ta propone loro: trasformare l’orizzonvi-talità del loro movimento in esperienze verticali, in fughe in intensità.

L’innocenza comune alla generazione che li precede disinnesca la conflittualità con la figura paterna, la quale, in un comune destino di follia con i figli, li spinge alla fuga,

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come fa Amalfitano con Rosa in 2666. Una fuga vissuta con coraggio nel piacere della scoperta che dà forma al «loro desiderio».

Mecozzi evidenzia il ritrarsi della figura paterna impossibilitata a garantire un ordine – e per questo, abdicando a essere figura di legge, innocente – e la consapevolezza dell’orfano circa la propria condizione. Su un altro versante scrive invece G. Bizzarri. Lo studioso conserva l’aspetto problematico di una filiazione riconducibile all’occupante straniero e sottolinea, piuttosto, l’aspetto della rinuncia dei figli alla ricer-ca del padre, per abbracciare un destino erratico e irrisolvibile che accomuna i fratelli. L’articolo è incentrato sulla deterritorializzazione come configurazione della nuova identità pensata da Bolaño per l’America Latina, ed è utile per testare la possibile filia-zione di sangue tra Belano e Lalo Cura alla prova della questione dell’identità latinoa-mericana come pensata da Bolaño. Se il Lalo Cura di “Prefiguración de Lalo Cura” in Putas asesinas rinuncia alla ricerca del padre, accettando il suo destino di frontiera, d’orfanità e policentrico, se cioè esorcizzava

los vergonzosos fantasmas de su mancha identitaria, al romper el círculo delictuoso de la soledad, al abrazar lo irremediable de su condición ilegítima y al arrimarse virilmente a la hermandad solidaria de los “bastar-dos” que, generación tras generación, luchan por afincarse en un centro de satisfacción identitaria y apagar la tensión de un deseo quemante183

questa prolifica orfandad viene salvaguardata dal fatto che anche il Lalo Cura di 2666 non conosce l’identità paterna (e forse anche per questo i due poeti messicani non vengono nominati chiaramente). Inoltre viene paradossalmente rafforzata nel ristabilire una nuova filiazione genetica, e cioè tra Lalo Cura e Belano, questa volta in chiave iro-nica. Arturo è infatti una figura errante e orfana «per vocazione», cui Bolaño ha conse-gnato la rappresentazione della precarietà esistenziale amorosa lavorativa e politica, tutti effetti che si profilavano sulla vita delle persone negli anni Novanta in un mondo go-vernato del tardo capitalismo globale e che Bolaño rappresenta, come ha illustrato C. Bolognese. Dunque anche per questo Lalo Cura vale la considerazione per cui il proces-so di

aprendizaje de lo inestable […] central para entender una opera-ción –la fundaopera-ción de una ciudad llamada Santa Teresa- que […] vuelve a

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proponer la necesidad de “reflexionar vanamente” sobre el sentido y el rol de lo latinoamericano en la corriente osmótica de lo global184

Alla riflessione sulla svolta globale dell’identità latinoamericana è possibile che si leghi in questa relazione tra i due personaggi anche il peso che il passato periferico con-segna a un futuro che sembra condannato in partenza: significa che questa filiazione di Lalo Cura con un poeta errante, condannato ad attraversare le porte dell’incubo sapendo che verrà sconfitto, forse rafforza l’immagine di Santa Teresa come luogo di

prefiguración de futuro que padece el peso del pasado como una condena anunciada, […] un umbral simbólico especialmente denso, atra-vesado por tensiones contradictorias, donde los recuerdos irresueltos del discurso periférico dialogan sin voluntad de síntesis con los simulacros del lavado identitario de la globalización […]. Santa Teresa, […] se pre-sentacomo un espacio en perenne movimiento y transición constante entre las estaciones (textualizadas) de su pasado y la hipótesis de un futuro de desprovincialización185

Queste tensioni tra centro e periferia vengono marcate da questa filiazione di comu-ne erranza, suggellando ironicamente il progetto «identitario» bolaniano con un nuovo legame di sangue, quello con un padre delocalizzato e irrintracciabile come Belano (così come è irrintracciabile Arcimboldi). Non solo. Il suggello del progetto è dato anche dal fatto che, non lo si è detto prima, in verità i padri di Lalo Cura sono due, entrambi gli studenti, oppure Ulises, insomma il progetto si chiude col sottolineare che il legame è dato con una figura paterna non solo irrintracciabile, non solo erratica geograficamente e tra sogno e realtà, ma anche dissolta e irriconducibile all’uno, rendendo il figlio dop-piamente orfano. Il sangue, come marca di un legame ineluttabile e ineluttabilmente inutile e improponibile, lo è qui del destino mcondista dei suoi figli.

Un ultimo spunto sulla questione identitaria. Si è detto anche che questa filiazione rafforza la conoscenza che Lalo Cura ha del male «precisamente por herencia de la san-gre»186. Il destino di questa trinità si gioca in contraddizione tra lo sforzo di riscattarsi dalla violenza e il preconizzare un nuovo flusso di male (con la filiazione tra Belano e Lalo Cura, e con la rottura del vaso di Pandora da parte di María, la madre, che simboli-camente fa deflagrare il male dalla localizzazione nella sua famiglia all’accumulazione caotica di femminicidi). Ebbene, questa contraddizione forse rafforza anche «el fatal

184

Ivi, p. 27.

185 Ivi, pp. 28-29.

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desarraigo (existencial y literario) del sujeto colectivo hispanoamericano, […] adiestra-miento a una cosmovisión policéntrica»187.