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L’Egitto nel primo Ottocento

IV.13. Il tappeto sacro

I lettori delle memorie di viaggio di Amalia Nizzoli sanno che l’autrice, in ogni descrizione, inserisce qualche notizia storica, culturale o sociale, secondo lei utile e interessante da presentare nelle sue memorie. Inserisce ad esempio una notizia che può essere considerata come una fonte storica, culturale e religiosa: quella riguardante il tappeto della tomba del Profeta. Questa preziosa notizia non viene menzionata da nessun altro viaggiatore straniero, ed è menzionata solo da pochi storici arabi. Dal tempo degli antichi Califfi, Il Cairo ha il diritto di mandare ogni anno un tappeto per coprire la tomba del Profeta. Al ritorno, la carovana che ha visitato la casa di Dio porta con sé il tappeto precedente per il viceré d’Egitto, che, dal canto suo, condivide il tappeto con tutti i governatori, i capi religiosi, gli uomini più importanti del governo e i capi degli altri Paesi. I frammenti del tappeto sono considerati un regalo prezioso, per il loro valore religioso e spirituale. Aggiunge anche che i pellegrini musulmani portano con sé anche l’acqua o le scope utilizzate per pulire la casa di Dio:

Gli antichi Califfi del Cairo avevano ne’ tempi scorsi il diritto d’inviare come presente ogni anno un superbo tappeto alla tomba del Profeta. Ora il Pascia d’Egitto riguardandosi come subentrato ai diritti de’ suoi antecessori, adempie egli questa onorevole cerimonia, di cui in certo modo si è arrogato la supremazia. Al ritorno poi della carovana che ha recato alla casa di Dio il tappeto nuovo per servire di coperta al sacro sepolero fino all’anno prossimo, si riporta indietro quello dell’anno antecedente, che è considerato come preziosissima reliquia, cui viene recato in grande pompa alla cattedrale. Ivi, dopo di essere stato ricevuto, baciato e venerato dal governatore, dalle autorità, non che dagli Scheich, Sacerdoti e devoti, viene tagliato a pezzetti e distribuito ai diversi capi, i quali con gran venerazione conservano questi sacri avanzi e v’attaccano il più pregio. In egual modo i pellegrini sogliono altresi procurarsi in questo loro viaggio per poi conservare presso di loro amuleti e preziose reliquie, l’acqua, per esempio, che ha servito per purificare la Kaaba, le scope colle quali fu pulito il pavimento e pezzetti della tela nera che serve a coprire il suddetto santuario.342

Amalia racconta poi la cerimonia con cui si manda il tappeto, con la descrizione precisa del tappeto stesso. Il Pascià d’Egitto ogni anno manda alla Mecca un tappeto. Il tappeto, di colore nero, è lavorato con oro e pietre preziose, decorato con vari tipi d’arabeschi e vasi di fiori dorati. Dai quattro lati scendono quattro globi d’oro, molte frange, fiocchi e piccole decorazioni lavorate intorno al tappeto. Descrive anche la maniera di trasportare questo sacro tappeto. Dice che durante il viaggio il tappetto viene chiuso in un cofano speciale per il trasporto, e viene messo sopra a un cammello bianco scelto appositamente per portare il sacro tappeto, che viene chiamato “il cammello sacro”. Il cammello è coperto di altri tappeti decorati con diverse forme d’oro e dai cui lati pendono frange e fiocchi d’oro e d’argento. Mettono anche un grande campanello d’argento al collo del cammello, con tre banderuole di vari colori sulla testa. La cosa più interessante e più notevole è il modo in cui questo cammello con il tappeto esce dal Cairo per unirsi alla grande carovana che aspetta fuori dal Cairo, ad Abusabel. Il cammello

342 Amalia Nizzoli, Memorie sull’Egitto e specialmente sui costumi delle donne orientali (1819-1828), cit., pp. 288-289.

sacro con il tappeto è accompagnato da numerose bandiere con disegnata la mezza luna ma anche stelle, serpenti, sciabole e altre figure. Il cammello è accompagnato da soldati che portano pistole, coltelli e altri tipi di armi, al comando di un Keshef che si chiama “principe del pellegrinaggio”. È accompagnato anche dai capi religiosi del Paese e dai capi dei villaggi e delle città. Con l’uscita dal Cairo iniziano i colpi di cannone. Numerosi abitanti aspettano anche fuori dal Cairo: alcuni corrono a toccare il cammello, altri a baciarlo, dopo aver aspettato a lungo in silenzio. Altri cammelli, circa trenta, sono cavalcati da cantanti e musicisti che salutano il tappeto sacro. Inoltre le donne gridano per la felicità e preparano da mangiare. Tutto questo richiede un grande sforzo, per organizzare una tale cerimonia:

Il tappeto che il Pascià d’Egitto invia ogni anno alla Mecca è di velluto cremisi, ricamato in oro con pietre incastrate in bei lavori di rilievo rappresentanti vasi di fiori ed altri arabeschi ornati: quattro globi d’oro massiccio lo contorniano, e molte frangie, fiocchi e finissimi vermiglioni ne formano tutto all’ingiro un bellissimo fregio. Durante il viaggio questo prezioso tappetto sta in un cofano il quale è posato sul dosso al cammello bianco destinato a tale uffizio, e detto comunemente

cammello sacro, per cui viene anche addobbato con altri tappeti che lo

coprono quasi intieramente, e dai cui lati si vedono pendere belle frangie, fiocchi d’oro e d’argento: un grosso campanello pure d’argento pende dal collo del cammello, e tre banderuole variopinte gli sventolano sul capo. Veramente pomposo e degno di attenzione è il modo di processione e di accompagnamento del suddetto tappeto all’uscire del Cairo per unirsi alla gran carovana che lo attende di fuori, nei ditorni di Abusabel, come ho già detto. Viene dunque il cammello bianco col tappeto preceduto dalle compagnie settarie maomettane distinte con altrettante bandiere fregiate in parte colla mezza luna, in parte con stelle, sciabole, serpenti, piume ed altri emblemi e cifre caratteristiche. Molte guardie a piedi ed a cavallo armate di pistole, picche, carabine, mazze, coltelli accompagnano il tappeto sotto il comando d’un Keschef detto Emir-Haggi. Seguono gli Scheich del paese con altre bandiere, indi i devoti secondo i villaggi cui appartengono con banderuole e strumenti musicali. Il convoglio esce dalla cittadella e dal Cairo al tiro del cannone, ed è scortato dal Governatore, Sacerdoti e Grandi in gala coi loro Ciauss, Cavass ed altre guardie e domestici. Un

numerosissimo popolo fin allora, e per molte ore del giorno rimasto tranquillissimo in aspettazione, gli corre affollato attorno baciando e toccando il cammello e gli arnesi del medesimo. Gli tien dietro un altro pure bardato con velluti, banderuole frangie montato da un Santone per lo più nudo e pingue con collare d’argento, e che si attira la venerazione del volgo con atti stranissimi, consistenti in un tentennare continuo del capo ed in contorcimenti convulsivi: segue una trentina di altri cammelli bardati con eleganza e sormontati da Arabi che suonano e battono grandissimi timpani, suonatori differenti e persone recanti grandi cuscini e divani per i signori e per le donne. Tutto questo apparato è disposto con molto sfarzo e buon ordine. Vi si riscontra molta e ricca varietà di ricami e colori nelle bardature dei cammelli, dromedari e cavalli.343

Le parole di Amalia dimostrano senza dubbio che lei può essere considerata come una testimone viva, per le diverse fonti da lei presentate nelle sue memorie: storiche, culturali, religiose, sociali e politiche. Per questo le sue memorie di viaggio costituiscono un testo prezioso sul Paese nel primo Ottocento. Amalia ci dà un quadro completo di un evento religioso importante per gli abitanti del Paese, senza aggiungere commenti che rispecchino il suo punto di vista. Le sue parole confermano che lei è una testimone sincera, non usa l’immaginazione per abbellire la descrizione di qualsiasi aspetto della vita egiziana. La descrizione inizia con una presentazione storica per mostrare l’origine di questo evento religioso. Aggiunge anche che, all’arrivo del vecchio tappeto sacro, esso viene diviso in pezzi e regalato ai capi religiosi dell’Egitto e ai capi degli altri Paesi. Si nota che lei mette in luce l’importanza spirituale del tappeto, senza giudicare o commentare al di là delle descrizioni. Amalia presenta numerose immagini: i dettagli del tappeto, il cammello che lo porta, la cerimonia dell’uscita del tappeto dal Cairo, i personaggi importanti del Paese che sono presenti alla cerimonia, le bandiere con diversi simboli, la gente, le donne che gridano in segno di felicità e, infine, la fatica di organizzare ordinatamente la grande cerimonia. Queste sono le immagini che Amalia presenta con dettagli precisi. La sincerità nella presentazione e la passione che si percepisce nelle sue parole rendono la descrizione vivace e apprezzabile per

tutti i tipi di lettori.

IV.14. I Dervisci

In Egitto sono diffusi vari gruppi religiosi, sia musulmani che di altre religioni. Uno di questi è quello dei dervisci, che sono diffusi in gran numero in Egitto e vengono menzionati nelle tre opere di viaggio. Forni definisce i dervisci come una specie di frati musulmani, più credenti degli altri musulmani. Vivono in gruppo, con un sistema rigido e poco tollerante. Qualche volta smettono di mangiare e di bere per lungo tempo, in modo da avvicinarsi a Dio e chiedere perdono. Portano un lungo turbante di forma conica, indossato solo da loro. Hanno il diritto di entrare in qualsiasi casa e di mangiare con la famiglia senza chiedere il permesso al padrone di casa, e li si lascia mangiare in qualsiasi posto senza che debbano pagare nulla (apparentemente in segno di rispetto per questo gruppo, perché la gente crede che siano più importanti dei capi religiosi del Paese, dal punto di vista religioso e spirituale). Vivono in tre grandi conventi, uno a Bolacco e gli altri due al Cairo, con un grande giardino. I conventi sono ricchi e pieni di cose donate dai credenti:

I dervis sono una specie di frati turchi, vale a dire Musulmani più devoti che il comune de’ loro correligionarj: vivono in comunità non astretti da veruna regola, ed in apparenza son celibatarj per elezione, si professano mortificati ed astinenti mangiando tuttavia e bevendo quanto ne cape nel ventre. Codesti dervis portano un turbante diverso da quegli altri, somigliante ad un berretto conico non inviluppato nello sciallo: hanno privilegio di sedersi a mensa in qualunque casa, dov’entrano senza chieder permissione e senza che loro sen chieda conto: campano delle offerte de’ credenti, ed alcuni lor chiostri godono una rendita lauta; uno ve n’ha in Bulac, un altro ben grande con giardino nel Cairo vecchio, un terzo nel gran Cairo rimpetto alla contrada Cantaret Sungur. Ben lungi dall’esser costoro uomini

esemplari, oppongonsi direttamente in molte pratiche a’ precetti di lor religione.344

Rosellini, invece, descrive i dervisci come un gruppo di credenti musulmani, che vivono secondo alcune leggi religiose rigide e assomigliano a dei monaci cristiani. Non si sposano, tranne il loro capo, che ha il diritto di sposarsi ma non di portare la sposa nel loro convento. Rosellini conosce il loro capo grazie al signor Mac-Ardle, che è amico del capo dei dervisci. Rosellini, insieme al signor Mac- Ardle, fa visita al capo dei dervisci nel loro convento. Dapprima entrano in un cortile, una piazza grande di natura bellissima, piena di galline, montoni bellissimi e piccioni. Uno dei dervisci li accompagna in una stanza bassa con le sedie di marmo coperte da pelli di montoni e offre loro il caffè. Rosellini e il signor Mac- Ardle salgono a vedere il loro capo, che dà il permesso di entrare nella sua stanza. In attesa dell’incontro vedono il loro convento e la maniera di vivere dei dervisci. Visitano la sala della preghiera, che è una sala rotonda con in mezzo un candelabro, diversi libri e per terra delle pelli di montoni, mentre in disparte ce n’è una di tigre per il capo dei dervisci. Al muro è appeso anche un grande stivale di pelle, che si dice fosse del fondatore dei dervisci: Al Cairo fummo a vedere i Dervisci, specie di monaci musulmani che vivono secondo certi riti somiglianti a quelli dei nostri monaci. Non prendono moglie, eccetto il loro capo che può prenderla, ma non tenerla nel convento. Vi andai con alcuni dei miei accompagnato dal sig. Mac-Ardle che ha conoscenza col capo loro. Entrammo dapprima in una specie di cortile-pollaio, ricco di galline e bellissimi montoni: i piccioni li nutriscono ma non se ne cibano. Si venne quindi, accompagnati da uno dei servi dei Dervisci, in una sala a basso, dove su sedili di marmo erano stese pelli di montoni, e qui ci fu servito il caffè. Avvertito del nostro arrivo, il capo derviscio ordinò che ci pregassero di salire da lui. Intanto eravamo a vedere la loro chiesa, o luogo di preghiera; stanza rotonda e a cupola, in mezzo a cui è un candelabro, una bassa scaletta, un libro, alcune tavole scritte appese alle pareti, e intorno pelli di montone stese a terra, e in disparte una di tigre per il

capo derviscio. Da un lato verso la porta è appeso al muro un grande stivale di cuoio da servire ad un piede più lungo di un braccio, e dicono aver appartenuto al loro fondatore, che era grande a proporzione di quel piede.345

Il loro capo, invece, secondo la descrizione di Rosellini, è un uomo vecchio di sessant’anni. Appare in forma, giovane, con una bella fisionomia e una barba bianca e lunga. Indossa un lungo abito bianco, contornato di pelle. Siede su un divano basso e molto semplice, ma sul lato del Nilo, con un panorama magnifico. Ogni cosa nel convento appare modesta e semplice, ma comoda. Il capo, “il buon vecchio” come lo descrive Rosellini, è molto ospitale e generoso. Chiede i loro nomi, che Rosellini gli scrive in arabo; offre loro il caffè e la colazione, composta da focaccia, formaggio, fichi e acqua. Quindi dà loro l’acqua per lavare le mani:

Salimmo dal capo derviscio: uom vecchio di 60 o più anni, di giovialissima fisionomia, con una lunga e bianca barba, con una bianca veste guarnita di pelle ai lembi, seduto su di un basso divano di un gabinetto estremamente modesto ma situato sul Nilo in una posizione ammirabile. In generale tutto qui spira apparenza modesta, e i commodi reali sono immensi. Questo buon vecchio ci ricevè graziosissimamente, desiderò i nostri nomi; glieli scrissi in arabo, su di una carta. Diede a me pipa, caffè a tutti, e dopo fe’ servire una colazioncella di focaccia, fichi, formaggio salato e acqua. Quindi fu data acqua alle mani. – I dervisci furono soppressi dal gran Signore, perché molto erani giannizzeri sostenuti dal Pascià.346

Delle parole di Forni nelle descrizioni dei dervisci possiamo capire che lui non incontra questo gruppo religioso, perché scrive che loro hanno il diritto di entrare in qualsiasi casa senza il permesso del padrone e che mangiano il loro pasto senza pagare. La realtà è che è vero che erano più credenti di tutti i musulmani, ma, secondo la legge religiosa, non si poteva entrare in qualsiasi casa senza il permesso della famiglia. Questo non corrisponde con le descrizioni di

345 Ippolito Rosellini, Giornale della spedizione letteraria toscana in Egitto negli anni 1828-1829, cit., p. 45.

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