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Il tempio “progettato secondo una foglia di tamarindo”

3. L’ALTERITÀ LUOGHI E OGGETTI MENTALI E SIMBOLICI 1 L’Alterità: un luogo mentale e letterario

3.5. Il tempio “progettato secondo una foglia di tamarindo”

Un altro volto dell’Altrove che affascina in modo peculiare il viaggiatore è quello indiano, in particolare relazione ai templi religiosi, ma non solo. In merito Manganelli asserisce a proposito del tempio di Kailāśa, nei pressi di Bombay:

Il tempio di Kailāśa, che fa mura dei lati del monte appena levigati, che nasce tutto dal sasso, e che insieme è lezioso, maestoso, affollato, taciturno, ovviamente retto da un arcaico legame di simboli, ha

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64 qualcosa di angoscioso, di fondo, il sapore di una nascita da sempre in corso. Forse fu progettato secondo una foglia di tamarindo, ma è lecito, è possibile, è umano un gesto così fatto41?

Si afferma inoltre:

Le foglie di tamarindo sono minuscole più del seme: dunque il tempio di Kailāśa è un capolavoro di virtuosismo, di organicità […]. È stato lavorato interamente scavando la roccia: non è costruito. Gradini, pinnacoli, bassorilievi, minuscole edicole chiuse nel grande tempio, dèi e demoni, l’innumerevole danzatore Śiva e la cara e ambigua sposa Pārvatī sono usciti dal fondo della roccia, dove stavano nascosti, secondo il mito platonico42.

Si tratta di un tempio che forse per eccellenza è indicativo per delineare l’Alterità: se prima si è affermato che l’oggetto nel suo essere minuto riusciva a rappresentare il tentativo di descrivere l’Altro nei suoi minimi dettagli, si noti ora come questo possa accadere per eccellenza in foglie «minuscole più del seme» che sono significative come simboli di una volontà di sondare l’Altrove nelle sue minuzie più nascoste. Si osservi poi anche in questo esempio quel «sapore di una nascita da sempre in corso» che rimanda a quel «prodigio» che continua a «prodursi» relativo all’esercito di terracotta. Anche in questo caso inoltre l’Alterità «ha qualcosa di angoscioso», che scuote l’animo del viaggiatore, come si è già visto in precedenza. In seguito si dichiara:

Un tempio come questo è pressoché impossibile «vederlo»: esso va abitato, da ogni punto vedi qualcosa e qualcosa perdi, sei sommerso in una sommessa esplosione di un linguaggio, in qualunque punto ti collochi senti frammenti di un discorso occulto e intenso, un discorso che mescola danza, ironia, gioco, gioielli, tutto celebrato da esseri polimorfi, demoni del cielo e angeli d’abisso. Quante volte bisogna percorrere questo tempio per essere nel centro di tutto questo linguaggio43?

Da queste parole, emerge chiaramente che l’autore si muove sempre tra ciò che gli è permesso cogliere, e quello che invece, inevitabilmente, non potrà che sfuggire alla sua comprensione. Questo si verifica poiché l’Altro possiede un suo alfabeto simbolico, dei suoi precisi codici, che insieme costituiscono un linguaggio oscuro ed ignoto. Risulta chiaro come il concetto di labirinto sia sotteso a tutto questo. Esso, seppure non nominato, è sempre presente all’interno dei testi, con tutta la sua forza.

Si può notare ora un altro esempio di tempio, anch’esso non ‘creato’, questa volta incontrato in Malesia:

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ID., Esperimento con l’India, cit., pp. 42-43.

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Ivi, pp. 41-42.

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65 Quando si arriva al colmo della scalinata, ci si chiede dove sia il tempio: giacché in primo luogo si nota solo l’imponenza della caverna. Si avanza nella cavità, qualcuno ci racconta che il tempio è recente, come quasi tutto in Malesia; quel luogo è stato riconosciuto come sacro, quando qui, non molti anni fa, nacque una mucca a cinque zampe […]. Una mucca a cinque zampe è un omen: un indizio divino; e allora si comprende che questo tempio non è stato «costruito», è stato «scoperto»; esso era tempio da sempre, e ad un certo momento ha deciso di manifestarsi come tale44.

Si tratta di un tempio che assume la forma di una «caverna», che in quanto tale rappresenta qualcosa di oscuro e quindi di non illuminato. Tale risulta essere la stessa Alterità che si mostra sempre agli occhi del viaggiatore come un’entità il cui significato resta difficile da penetrare. Lo stesso tempio «è stato scoperto», poiché «esso era tempio da sempre»: questo accade in un certo senso anche per quel che riguarda l’Alterità che possiede sempre, all’interno dei testi, una sua peculiare identità, enigmatica e spesso incomprensibile, che prescinde dall’autore e dalla propria volontà di seguirne le vie del labirinto. L’Altro è, esiste da sé e il viaggiatore può solo cercare di interpretare i suoi segni.

È interessante rilevare come la natura simbolica di cui si è parlato finora, che è uno dei nuclei significanti più rappresentativi dell’Alterità, sia presente fin dal resoconto relativo al soggiorno africano. In merito, il viaggiatore riferendosi alla «meraviglia africana ancora appena nota, Lalibela», in Etiopia, dichiara:

Lalibela, intatto villaggio africano di sapore biblico, ospita un sistema di una decina di chiese rupestri scavate nel XVIII secolo, disposte secondo un disegno simbolico che riassume nella pietra e nelle immagini una sorta di Gerusalemme celeste del Vecchio e Nuovo Testamento – tombe di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Giordano, tomba di Adamo, scala della discesa agli inferi, “ponte stretto” dell’ascesa al cielo, e così via45

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Oltre alla natura simbolica delle «chiese rupestri», che collega l’Alterità intesa come umanità a quella concepita come luogo o oggetto, si noti il loro «sapore biblico», il loro riferirsi ad una sorta di «Gerusalemme celeste»: torna ancora una volta il riferimento letterario per tentare di interpretare quell’Alterità che il viaggiatore si trova di fronte, e che rappresenta una sorta di fondamento da cui poter partire per immaginare e poi delineare la sua natura così complessa e provocatoria.

44 G. MANGANELLI, Cina e altri orienti, cit., p. 93.

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