2: Cenni storici
2.2 Il totalitarismo romeno e la censura letteraria
Il “miracolo dell’89” professato da Gabriele Nissim colpì anche la Romania di Herta Müller, ormai in pieno degrado, per decenni sottoposta a una dittatura che aveva bloccato il paese non solo dal punto di vista economico ma per l’appunto anche culturale.
In quel tempo c’erano tutti i sintomi della decadenza:
Crisi economica, strutture politiche superate e sclerotizzate, energie sociali bloccate, deterioramento catastrofico del tenore di vita (rappresentato tra le altre cose dal razionamento delle derrate alimentari di
92 Ibidem. 93 Ivi, p. 583. 94 Ivi, p. 7.
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base, per ottenere le quali bisognava fare giorni, e notti, di coda), rottura totale tra governanti e masse popolari95.
Se negli anni Settanta – Ottanta del Novecento tutti i Paesi est-europei si avviavano più o meno timidamente verso riforme volte ad avvicinarli ai meccanismi di un’economia di mercato e alla conquista di una maggiore libertà individuale e di parola, sostiene lo storico Ion Bulei, la Romania sembrava lanciarsi nella direzione opposta: “Si lanciava con tutte le proprie forze nella direzione opposta, verso un nuovo stalinismo, che avrebbe gradualmente bloccato gli ingranaggi economici e sociopolitici del paese, gettando la società in una crisi grave e totale96”.
Il 1954 fu l’anno della morte di Stalin, l’anno che segnò la fine di una delle grandi dittature che hanno profondamente segnato la storia del Novecento, il secolo della violenza; e mentre l’Unione Sovietica, non senza fatica, stava percorrendo la via della rinascita, anche in ambito culturale, come si è visto, in terra romena si stava invece affacciando un nuovo dittatore: Nicolae Ceaușescu, che dominerà sulla nazione per ventiquattro lunghi anni.
In Romania l’era comunista ebbe inizio in realtà subito dopo la sconfitta subita nel corso della Seconda guerra mondiale97, quando divenne uno stato satellite della Russia di Stalin. Il 6 marzo 1945 si insediò infatti il governo di Petru Groza, governo imposto alla nazione tramite pressioni sovietiche98 e che operò attraverso un diktat che condannò il paese a modelli di sviluppo economico di basso livello99.
In ambito culturale, il campo che più ci interessa, già in questi anni la libertà di parola iniziò ad essere sempre più ostacolata: validi insegnanti e uomini di cultura vennero allontanati, sottoposti a pressioni, arrestati al minimo segno di opposizione, proprio come era accaduto negli altri Paesi sovietizzati dalla Russia, come la Polonia di Gustaw Herling. Soprattutto, “un’implacabile censura di stampo sovietico soffocava il Paese: nel 1948 erano all’indice 8.000 libri e riviste, i cui titoli furono raccolti in un volume di 522 pagine, intitolato Pubblicazioni
95 I. Bulei, Breve storia dei romeni, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2006, p. 180. 96 Ivi, p. 177.
97 È importante ricordare che la Romania, nella notte tra il 12 e il 13 settembre 1944, firmò l’armistizio con la Russia ma non con gli altri Alleati: era chiaro che gli occidentali stavano abbandonando la Romania nelle mani di Stalin. Allo Stato romeno, oltre al pagamento delle ingenti spese di guerra, venne imposto l’invio in URSS di 100.000 operai destinati ai campi di lavoro forzato, tra i quali i cittadini di minoranza tedesca, come vedremo parlando di Herta Müller.
98 Come asserisce Ion Bulei, il governo era dominato dal partito comunista, che rappresentava solo il 10 percento della popolazione romena; il re Michele, che era ancora a tutti gli effetti in carica, ne chiese le dimissioni, invano. Il governo, infatti, proseguì con la propria opera di “comunistizzazione”. Il 4 febbraio 1946 le potenze occidentali riconobbero il governo Groza; il 30 dicembre 1947 il sovrano fu costretto ad abdicare e la Romania divenne una Repubblica Popolare.
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Proibite100”. Inoltre, un’ondata di arresti si abbatté sulla popolazione e l’opposizione politica
iniziò ad essere liquidata fisicamente:
Qualsiasi opposizione o resistenza fu repressa e schiacciata senza pietà: furono arrestate, e spesso anche soppresse, decine di migliaia di persone: ex politici, giornalisti, militari, avvocati o semplicemente persone che non erano d’accordo con la politica del partito unico. Il paese si riempì di prigioni, lager e campi di lavoro come quello del canale Danubio – Mar Nero, dove i detenuti erano sottoposti a un regime di sterminio, a crudeltà inimmaginabili. (…). Nel 1948 venne creata, a partire da agenti sovietici, divenuti alti ufficiali romeni, la famigerata polizia politica romena, la Securitate, che riuscì ben presto a guadagnarsi una triste reputazione101.
Il 1965 segna l’inizio della lunga dittatura Ceaușescu, che porterà all’estremo l’opera di censura e di privazione della libertà dell’individuo, benché inizialmente avesse un altro sapore. Asserisce lo storico e accademico italiano Antonello Biagini nella sua pubblicazione Storia
della Romania contemporanea:
Nel marzo del 1965Ceaușescu assume la carica di segretario generale del partito imprimendo alla politica romena un carattere ancor più indipendente e dinamico. Si intensificarono le visite dei massimi rappresentanti politici romeni nei maggiori Paesi dell’Europa occidentale ricambiate da alti esponenti e capi di Stato di quei Paesi; si stabiliscono relazioni diplomatiche con la Repubblica federale tedesca (Germania ovest) e riprendono quasi contemporaneamente quelle con lo Stato albanese102.
Chiariamo anzitutto cosa intende Antonello Biagini quando segnala la svolta di indipendenza che il dittatore romeno ha saputo dare al proprio Paese.
Come fa notare Ion Bulei, sul piano politico la Romania proveniva da un lungo periodo di sovietizzazione. Sulla scia del modello sovietico, infatti, negli anni Cinquanta le principali imprese industriali del Paese, minerarie, bancarie, di trasporto, erano state nazionalizzate. I terreni agricoli collettivizzati (in questi anni ottantamila contadini furono arrestati per il rifiuto di iscriversi alle fattorie collettive), il sistema scolastico riorganizzato in piani annuali e quinquennali, equivalenti in tutto e per tutto all’organizzazione sovietica. Si pensi che persino i libri di testo erano stati tradotti in russo, dunque per gli studenti era indispensabile una solida conoscenza della lingua. Nel 1953 venne persino modificata l’ortografia proprio con l’intento di avvicinare ancor più il Paese all’Unione Sovietica; si tentò, infatti, di ‘cancellare’ la latinità
100 I. Bulei, Breve storia dei romeni, cit., p. 168. 101 Ivi, p. 167.
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della lingua, che chiaramente avvicinava la Romania agli altri Paesi occidentali103. Inoltre,
qualsiasi relazione con il mondo occidentale venne interrotta.
Fu con Gheorghiu Dej, predecessore di Ceaușescu, che ebbe inizio il processo di distaccamento da Mosca, poi enfatizzato, come fa notare Biagini, dal suo successore.
Secondo quanto messo in evidenza da Bulei, nel 1963 per la prima volta la nazione romena votò all’ONU diversamente dall’Unione Sovietica; l’anno successivo il governo chiese l’appoggio della Francia per stabilire relazioni con l’Occidente: dunque due mosse che segnarono un primo concreto distacco dalla sottomissione sovietica.
Un’ulteriore affermazione di autonomia e indipendenza può essere considerata la chiusura dell’istituto di cultura “Maksim Gor’kij”; lo studio della lingua russa, fino a quel momento ancora obbligatorio in tutti i gradi di istruzione, venne allora parificato alle altre lingue occidentali, mentre l’alfabeto riottenne l’originaria patina latina.
Questo fu lo scenario che si trovò davanti Ceaușescu una volta salito al potere; il futuro dittatore proseguì su questa strada adottando, già dal 1965, una nuova Costituzione dalla quale veniva eliminata l’obbedienza nei confronti del “fratello liberatore104”, anche se la Romania
non raggiunse ancora la piena indipendenza da Mosca. A partire dal 1967 fu permessa la costruzione di residenze private e dall’anno successivo entrarono in vigore una serie di leggi sui passaporti che andarono a facilitare – benché in misura riotta - la circolazione delle persone oltrefrontiera.
Pertanto Ceaușescu, seguendo il percorso intrapreso dal suo predecessore, aprì ancor più le porte al mondo occidentale, tanto che negli anni 1965-1974 il Paese venne più volte visitato dai presidenti americani Richard Nixon105 e Gerald Ford, dal francese Charles de Gaulle, così come il leader romeno effettuò numerose visite ufficiali all’estero.
Riuscì in tal modo ad ottenere cospicui aiuti economici dai Paesi occidentali, Stati Uniti in testa, inoltre a stabilire relazioni diplomatiche con Bonn e con Israele, oltre a quelle segnalate da Biagini nel passo citato. Nel 1968 si verificò allora quello che Bulei definisce “l’atto più spettacolare di distacco da Mosca106”: la Romania non solo condannò pubblicamente l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia, ma addirittura si
103 L’ortografia, fino ad allora basata sull’alfabeto latino, venne modificata; per esempio la ‘â’ fu sostituita dalla ‘î’ e parole come câine, pâine, cântă persero il suono latino e divennero cîine, pîine, cîntă. Cfr. I. Bulei, Breve storia dei
romeni, cit., p. 168.
104 I. Bulei, Breve storia dei romeni, cit., p. 174.
105 Antonello Biagini sostiene che la visita di Stato del presidente americano Richard Nixon, la prima in assoluto in un Paese socialista, marcò in maniera evidente la distanza con Mosca.
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rifiutò di parteciparvi. Il mondo occidentale non poteva che ammirare i suoi tentativi di indipendenza.
Le dichiarazioni e gli atteggiamenti politici del leader romeno, controbilanciati anche da un’importante crescita industriale sul piano economico, diffusero infatti un “cauto ottimismo107”, come lo definisce Ion Bulei, non soltanto in terra romena ma anche nelle altre nazioni, nonostante non mancassero le informazioni relative alla repressione della dissidenza interna e al carattere dispotico del suo governo.
Come osserva lo storico, proprio quella padronanza nelle relazioni estere che destava tanta ammirazione nei leader occidentali, quindi lo “sbandierato motto della non ingerenza straniera negli affari interni di ciascuno stato108”, erano strategie che “nascevano dalla volontà del dittatore di avere mano libera in casa propria, eliminando qualsiasi interferenza o disturbo esterno109”. E il sostegno che il dittatore riceveva dal così detto “mondo libero” dell’Occidente non poté che consolidare il suo arbitrio e il suo prestigio personale, permettendogli di ottenere il dominio assoluto in seno al Partito, allo Stato e all’intera società con una minuzia, un’intelligenza e una tenacia impressionanti; la sete di potere, che solamente nel secondo periodo del suo mandato si fece davvero evidente, unita all’orgoglio smisurato, alla ricerca continua di ammirazione, di applausi e di omaggi nei saloni nazionali e internazionali non fecero che alimentarne il culto della personalità. Con poche semplici parole Antonello Biagini ha saputo tratteggiare un dipinto della personalità del Conducător romeno:
Ancora una volta il totalitarismo ha prodotto il “mostro” di turno; un personaggio mediocre, senza una grande storia alle spalle e privo dunque di carisma riesce, sfruttando abilmente e in modo spregiudicato uomini e situazioni (intere e internazionali), a impadronirsi di tutti i meccanismi del potere, soprattutto quello della polizia segreta - la tristemente famosa Securitate - creando un regime personale che va ben oltre la pur drammatica esperienza del totalitarismo degli altri Paesi est europei, con il risultato di distruggere complessivamente la società civile. È una fase in cui i romeni debbono scegliere se essere vittime o complici, e poche sono le voci del dissenso non trovando quest’ultime una sponda sul piano internazionale, diversamente da quanto accade in altre realtà compresa quella sovietica110.
È proprio in questo contesto che secondo Antonello Biagini ebbe inizio il regime assolutamente personale di Nicolae Ceaușescu, arricchito dal coinvolgimento diretto della
107 Ivi, p. 174.
108 Ivi, p. 176. 109 Ibidem.
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moglie Elena Petrescu e di altri componenti della famiglia, grazie ai quali aumentò il suo arbitrio dispotico:
Un socialismo dinastico, dove la famiglia presidenziale monopolizzava in pratica tutte le responsabilità e le funzioni chiave dello Stato: il Partito con tutte le sue strutture, l’apparato statale centrale e locale, tutte le organizzazioni culturali finirono per dipendere dai capricci di una sola famiglia. Il capriccio prese il posto della legge111.
Ovviamente il carattere dispotico del governo Ceaușescu intaccò anche l’aspetto culturale del Paese; esattamente lo stesso tipo di censura e di proibizione che aveva caratterizzato in generale la storia culturale dei Paesi dell’Europa dell’Est e che abbiamo visto avere colpito anche la Romania di Petru Groza, si incrementò sempre più durante gli anni della dittatura.
Se già nel 1948 una censura che, non casualmente, Ion Bulei ha definito di stampo
sovietico stava soffocando il Paese e tutti coloro che osavano violare le leggi imposte dal
governo venivano arrestati, deportati nei campi di lavoro forzato o più semplicemente lasciati morire in prigione, il fenomeno toccò l’apice nell’era Ceaușescu, quando vennero completamente meno il rispetto per i diritti dell’uomo, tra i quali la libertà di pensiero, di parola e di movimento: una tematica che ritroveremo tra le pagine scritte da Herta Müller.
Già l’anno 1949 aveva visto nascere il primo organo ufficiale di controllo politico e ideologico, indicato con la sigla GPPP (Direzione generale della stampa e delle pubblicazioni), nel 1975, in piena era Ceaușescu, ribattezzato CPP (Comitato della stampa e delle pubblicazioni)112. Modellato sull’esempio sovietico, secondo quanto affermato da Liviu Malița si trattava di un comitato che riuniva diverse istituzioni di controllo ideologico e politico sotto un’unica entità centralizzata che operava secondo un regolamento applicato con il massimo rigore. Di fronte a un’opera che non rispettava determinati canoni, la soluzione prediletta era, afferma Emilia David ricorrendo al lessico della chirurgia, “l’amputazione del testo”; solo in questo modo veniva garantita l’esclusione dei discorsi alternativi a quello ufficiale113.
Scopo della censura, difatti, era quello di vietare contenuti ritenuti sovversivi dal regime, quindi di promuovere solo ed esclusivamente le opere che rispondevano perfettamente alle ideologie del governo. Come osserva Liviu Malița, non era assolutamente possibile mettere in
111 Ivi, p. 178.
112 L. Malița, The Self-portrait of Censorship in Socialist Romania, in “Caietele Echinox”, vol. 39, 2020, p. 23. 113 Appunti rilasciati dalla Prof.ssa E. David agli studenti per il suo corso di Letteratura Romena, nell'a.a. 2018- 2019.
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discussione i principi fondamentali del sistema politico comunista, né tantomeno denunciare il regime come totalitario. Qualsiasi critica sistematica veniva punita, anche qualora fosse stata presente nelle traduzioni tratte da originali di altri autori114.
È alla luce di tutto ciò che, all’interno della storiografia letteraria romena, il periodo degli anni Cinquanta, e in particolare il lasso di tempo che ricopre gli anni 1949-1954, conosciuto come la “prima fase” della censura, è noto sotto la denominazione di “ossessivo decennio”115.
La situazione sembrò conoscere una svolta negli anni Sessanta, non a caso conosciuti come gli anni del “disgelo”. Certamente la censura non venne meno, tanto che la critica individua proprio in questi anni la sua “seconda fase” (1954-1969), tuttavia sembrò dare un poco di respiro agli intellettuali del tempo. Dopo un decennio di totale oppressione, un decennio che aveva prodotto quasi un deserto nel campo letterario romeno, osserva Emilia David, per la prima volta gli scrittori percepirono una certa apertura da parte della censura, che sembrava così perdere una parte del suo carattere repressivo116.
Ma si trattò di un’illusione; come afferma Mircea Martin, è vero che gli scrittori gradualmente acquisirono una certa autonomia dalle direttive del Partito, ma ciò non significa che l’ideologia comunista abbia cessato di esistere e soprattutto di dominare; non significa che il controllo ideologico della cultura e della letteratura nazionale sia scomparso. Semplicemente le aree tematiche sono cambiate e in particolare hanno assistito alla nascita di una letteratura che non mirava più alla dissidenza, bensì ad eludere la realtà; una letteratura (e vi includiamo anche una poesia) orfica, metaforica, certamente lontana dall’impegno etico ma anche dal realismo socialista.
Per gli intellettuali degli anni Sessanta, infatti, l’arte doveva essere spogliata di qualsiasi intento morale o politico, anzi doveva alleviare le pressioni della vita sociale e rappresentare un’evasione dalla pressante quotidianità, dal marasma della propaganda. Talvolta veniva percepita come una compensazione del destino, capace di dare un nuovo significato alla vita quotidiana, come uno spiraglio di libertà. Parliamo allora di Estetismo socialista117, un concetto che si pone in aperta contrapposizione rispetto al Realismo socialista, secondo il quale l’arte e la letteratura dovevano rappresentare gli atti dell’ideologia per eccellenza.
114 L. Malița, The Self-portrait of Censorship in Socialist Romania, cit., p. 26.
115 Appunti rilasciati dalla Prof.ssa E. David agli studenti per il suo corso di Letteratura Romena, nell'a.a. 2018- 2019.
116 Ibidem.
117 M. Martin,
De l’esthétisme socialiste On socialist aestheticism, in “Caietele Echinox”, vol. 40, 2021, intitolato
Sovversioni e censure. Il rapporto tra lo scrittore e il potere durante il secolo delle dittature, volume in corso di stampa,
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Tornò in voga anche il ricorso all’io soggettivo che il regime aveva sempre condannato poiché fondato sull’ intimità proibita, ci informa Malița; quest’ultimo aspetto, infatti, era considerato piuttosto pericoloso, in quanto poteva celare contenuti e allusioni proibiti, mentre il sé avrebbe dovuto essere esposto agli sguardi esterni e annientare la differenza con il pubblico.
Avvenne anche il recupero della letteratura modernista e d’avanguardia che la censura prima di allora non aveva mai tollerato, considerandola scomoda per il suo contenuto talvolta irrazionale e pertanto percepita come uno stratagemma diversivo sul quale si potevano riversare contenuti sovversivi, pericolosi per il regime. La produzione letteraria di questi anni fu quantitativamente importante, soprattutto in poesia, tanto da raggiungere pari valore a quella del periodo interbellico proprio in virtù del respiro che, ribadiamolo, si rivelò in realtà apparente; nonostante questa fase di apertura, infatti, eventuali opere di denuncia non erano consentite. Non è mai stato negato il ruolo del Partito come principale fattore decisionale sia nel campo letterario che in società, pertanto gli intellettuali continuarono ad essere sottomessi al potere, con il quale sembrava avessero stretto un patto non ufficiale. Come se molti scrittori di quel decennio, osserva Emilia David, si fossero semplicemente accontentati del piacere di fare arte, mettendo tra parentesi l’impegno etico118.
La fase del “disgelo” si concluse definitivamente nel 1971, l’anno delle “tesi di luglio”. Durante quell’estate Ceaușescu si recò in visita in Cina, in Mongolia, nel Vietnam del nord, quindi nella Corea del nord, dove rimase affascinato dalla figura di Kim II- sung, oltreché da quella del dittatore cinese Mao Zedong. Tornato in Romania, Ceaușescu volle emulare il
sistema nordcoreano, dunque pubblicò le cosiddette “tesi di luglio” stilate in diciassette punti; tra questi compariva il progetto di manovrare i programmi televisivi e radiofonici, le case editrici e tutto ciò che riguardava la sfera artistico-intellettuale. Entriamo allora nella cosiddetta “terza fase” della censura che ricopre gli anni 1971-1977, nella quale venne meno la relativa liberalizzazione caratteristica del decennio precedente.
Laurențiu Ulici ha definito questo processo più che un ritorno al passato “un’evoluzione ‘a spirale’, un’ipostasi perfezionata, perché infinitamente più perfida del totalitarismo119”. Il
regime, accentuando alcune caratteristiche tipiche del “decennio ossessivo”, imponeva infatti un ritorno al passato, un ritorno ai severi vincoli di tipo stalinista, nonché all’esaltazione nazionalistica che includeva la celebrazione delle grandi conquiste del socialismo così come
118 Appunti rilasciati dalla Prof.ssa E. David agli studenti per il suo corso di Letteratura Romena, nell'a.a. 2018- 2019.
119 L. Ulici, Letteratura e potere: l’”esempio” romeno degli anni Settanta e Ottanta, in “Europa Orientalis”, n. 13, 1994, p. 133.
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odi e inni al Partito, quindi una letteratura propagandistica. Chiaramente continuava ad esistere anche una letteratura che rispondeva alla libertà del suo autore e che per questo veniva costantemente ostacolata dalla censura, ma che, tuttavia, qualche volta trovò abili difensori.
A tal riguardo Mircea Martin osserva che, nonostante in molteplici occasioni gli scrittori siano stati costretti a tessere le lodi del dittatore, in generale possiamo riconoscere che la letteratura ha mantenuto una certa autonomia. Sempre il critico asserisce che il mondo letterario, più di tutte le altre arti, ha saputo approfittare dell’apertura degli anni Sessanta per riprendere in mano le varie specificità del settore: poesia; prosa; critica; storia letteraria. Ma ad ogni modo, come oramai più volte è stato ribadito, questa sorta di “rivoluzione culturale”