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Il tramonto del Comic Business (1989-1997)

Marvel, storia di un’azienda

2.1 Il tramonto del Comic Business (1989-1997)

Il 6 Gennaio 1989 Andrews Group, suddivisione mediale del conglomerato privato MacAndrews & Forbes Holdings di proprietà del miliardario Ron Perelman, acquistò il gruppo Marvel (Marvel Comics e Marvel Entertainment) per appena 82,5 milioni di dollari dallo studio cinematografico indipendente New World Entertainment, pericolosamente vicino alla bancarotta e costretto a vendere alcune delle sue sussidiarie a prezzi abbastanza scontati. Infatti al tempo il mercato fumettistico americano, di cui Marvel rappresentava una grossa fetta, godeva di una più che buona salute, supportato da ottimi indici di vendita legati soprattutto al settore del collezionismo, capace da solo di spingere un ampio numero di lettori a comprare più copie di un qualche particolare albo nella convinzione che in un po’ di anni avrebbe accumulato valore; dal canto suo l’industria cercava chiaramente di sfruttare a proprio vantaggio questo spirito per specularci ulteriormente, proponendo edizioni limitate, copertine speciali o qualsiasi

altro elemento che potesse vendere. Ad esempio nel 1991 il primo numero della collana

X-Force venne distribuito nelle edicole accompagnato da una carta da gioco

collezionabile su una serie di cinque, in modo da portare i fan a compare cinque diverse copie da conservare e una sesta da leggere. Questa banale strategia rese quel particolare volume il secondo più venduto di sempre nella storia del fumetto americano con la cifra record di 5 milioni di copie.

Nello stesso anno Perelman decise di quotare in borsa Marvel, vendendone il 40% delle azioni e garantendo ad Andrews Group un profitto di circa 40 milioni. Lo stesso Perelman, fortemente convinto che il mercato potesse ancora avere margini di crescita significativi, iniziò ad investire importanti capitali per espandere i business Marvel secondo la logica dell’integrazione laterale (sono anche gli anni che hanno visto 57

l’instaurarsi dei grandi conglomerati mediali, dove fusioni e acquisizioni di tipo verticale, orizzontale o laterale erano pratiche molto diffuse): nel 1992 venne acquistata la compagnia di figurine Fleer per 265 milioni di dollari; tra il 1992 e il 1993 venne stipulato un accordo con l’azienda di giocattoli Toy Biz di Isaac Perlmutter il quale prevedeva un’esclusiva sulla produzione di action figures a tema Marvel senza alcun pagamento di royalities in cambio del 46% delle azioni di Toy Biz, determinando in modo tale una fusione di fatto tra le due società.

L’idea di fondo era quella di espandere i canali di distribuzione dell’immaginario Marvel per sfruttare al massimo il valore collezionabile dei propri prodotti e al contempo far aumentare i valori di borsa, che nel 1993 toccarono il picco di 35,75 $ ad azione. Sempre nel 1993 Andrews Group acquisì per intero New World Entertainment, i cui talenti confluirono in parte nella neonata sussidiaria Marvel Film sotto il controllo di Avi Arad, ex capo designer della Toy Biz, per gestire le licenze televisive e cinematografiche dei suoi personaggi di rilievo. Un tentativo simile era già stato compiuto in passato durante gli anni sotto la proprietà della stessa New World con la subordinata Marvel Production per la produzione e co-produzione di prodotti televisivi

Dalle parole di Ron Perelman "It is a mini-Disney in terms of intellectual property, [..] Disney’s got much

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more highly recognized characters and softer characters, whereas our characters are termed action heroes. But at Marvel we are now in the business of the creation and marketing of characters”. Dan Ravin,

(nello specifico quasi esclusivamente serie animate) e un ufficio interno Marvel Film guidato da Stan Lee. Tuttavia il famoso creatore di fumetti non si dimostrò molto abile nella gestione dei diritti cinematografici, tra film alquanto deludenti (Howard the Duck,

The Punisher, Captain America ) e cessione di licenze di alcuni personaggi, tra cui 58

anche Spider-Man, a studi minori risoltesi in un nulla di fatto. Viceversa Arad, forte della sua capacità di capire ed intercettare i gusti dei più giovani espressa negli anni come direttore generale del reparto ideazione della Toy Biz, riuscì in pochi mesi dal sui insediamento a stipulare un accordo con 20th Century Fox per co-produrre una serie animata sugli X-Men e sviluppare anche un film, progetto che tuttavia, inizialmente colto come positivo, venne successivamente messo da parte in seguito al collasso azionario che di lì a poco avrebbe colpito Marvel e tutto il settore dei comics.

Infatti proprio a partire dal 1993 il mercato dei fumetti in America subì un crollo drastico: gli alti costi necessari al collezionismo iniziarono ad essere sempre meno sostenibili; i fan si stancarono e non compravano più come fino a qualche anno prima, dimostrando così una certa saturazione della domanda che in pochissimi avevano preventivato; dopo che le vendite calarono di oltre il 70% centinaia di edicole specializzate fallirono e furono costrette a chiudere; le quotazioni Marvel raggiunsero in appena tre anni un valore minino pari a 2,37 $ ad azione.

Inizialmente per cercare di rispondere al calo editoriale Perelman puntò su ulteriori acquisizioni di aziende legate ai mercati ancellari, quali Panini nel 1994 per 160 milioni di dollari, SkyBox International nel 1995 per 150 milioni (entrambe ditte produttrici di figurine) e Heroes World Distribution, il terzo maggiore distributore di fumetti in America, nel 1994 per avere un unico canale distributivo interno e ridurre le relative spese. Ma i fatti non diedero ragione alle scelte di Perelman e verso la fine del 1995 Marvel si ritrovò profondamente in debito, tanto che fu costretta a licenziare qualche mese dopo 275 persone. Le figurine Fleer, il cui business era quasi esclusivamente legato alla Major League di Baseball, subirono in prima persona il danno economico provocato dallo sciopero della League per tutta la stagione 1994-1995, mentre la fusione

Howard the Duck (Willard Huyck, 1986); The Punisher (Mark Goldblatt, 1989); Captain America (Albert

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con Heroes World non fece altro che aggravare le già delicate condizioni del mercato fumettistico, da una parte non avendo questa la struttura e le capacità necessarie a gestire i volumi di spedizioni settimanali degli albi Marvel e dunque provocando non pochi problemi ed errori interni, dall’altra obbligando gli altri due grandi distributori (Diamond Comics Distributors e Capital City Distribution), privati di una consistente fetta di entrate derivate dalle opere Marvel ma pur sempre con gli stessi costi operativi, a lottare tra di loro per negoziare contratti in esclusiva con gli altri editori, conflitto che alla fine si risolse con il fallimento di Capital City e l’acquisizione di quest’ultima da parte di Diamond Comics.

Gli ultimi tentativi per provare a rimediare ad una situazione finanziaria sempre più disastrosa giunsero nel 1996 quando vennero fondati i Marvel Studios sempre con a capo Avi Arad, in sostituzione a Marvel Film che assieme a New World Entertainment era stata venduta da Andrews Group a News Corporation (già dal 1994 il conglomerato aveva iniziato ad acquistare diverse emittenti televisive regionali da New World), per continuare l’attività di licenza con Hollywood, ma la debolezza sia economica che di immagine che stava caratterizzando la società poneva questa in una posizione di inferiorità rispetto agli studios, costretta così a svendere le proprie proprietà intellettuali accettando quote minime dei profitti che sarebbero stati generati dai film. Tra il 1993 e il 1997 Marvel aveva ceduto i diritti di Blade e Iron Man a New Line Pictures, X-Men, Fantastici Quattro e Daredevil a 20th Century Fox e Hulk a Universal, per i quali comunque non avrebbe visto generarsi alcuna entrata prima della release dei film.

Oltre a questo Perelman cercò per tutto il 1996 di inventare qualche mossa strategica che avrebbe potuto riportare la società su sentieri più sicuri, arrivando a proporre l’acquisto totale di Toy Biz in modo da creare una forte entità aziendale, idea a cui gli investitori risposero con una certa riluttanza, convinti che il buco finanziario fosse troppo grande per essere sanato con strategie di immagine e nuove acquisizioni. Tra questi emerse in particolare Carl Icahn, imprenditore specializzato nell’investimento in aziende indebitate, che nell’ultimo periodo aveva comprato la maggior parte delle obbligazioni emesse diventando una figura rilevante all’interno del consiglio di amministrazione. La battaglia tra i due portò Perelman nel 27 Dicembre 1996 a

dichiarare bancarotta per poter sfruttare le possibilità offerte dal Chapter 11 ed evitare 59

il veto negativo del consiglio, cosa che Icahn invece cercò inizialmente di contrastare. Tutto il 1997 venne caratterizzato dalla lotta interna (oltre che legale ) tra Perelman, 60

Icahn e Toy Biz, il cui Chief Executive Officer (CEO) Isaac Perlmutter, seguendo i consigli di Arad (entrambi erano entrati nel consiglio di amministrazione della società fin dal 1993), si interessò sempre più all’ipotesi della fusione completa tra le due aziende sotto il suo personale controllo, fatto che si concretizzò l’anno successivo con il via libera da parte della Corte e l’esclusione dal consiglio sia di Perelman che di Icahn.