4.1 Impostazione delle tematiche
Nelle parti precedenti del presente studio abbiamo visto che all’interno della saggistica shaftesburiana la trattazione della nozione indicata dalla diade terminologica fancy/imagination non delinea un complesso argomentato di esplicite formulazioni teoretiche. Le idee di Shaftesbury concernenti questo territorio sono piuttosto rintracciabili nell’opera filosofica in generale e, in particolare, nella dottrina morale. La funzione immaginativa, concetto che il filosofo evoca assai più di quanto non spieghi, è il più delle volte lasciata in una forma di latenza nella quale è tuttavia frequente il ricorso alle sue manifestazioni: le immagini e le rappresentazioni mentali.
Si è sottolineato inoltre come l’atteggiamento di Shaftesbury nei confronti dell’imagination sia improntato a un duplice registro: un’attitudine fortemente negativa e indirizzata alla denuncia degli aspetti ingannevoli e illusori dell’immaginazione, facoltà che deforma la
conoscenza, convive con aperture di interesse che, se analizzate a fondo, indicano un implicito riscatto della fancy. Riprendiamo sinteticamente questa dialettica.
Il rapporto tra facoltà immaginativa e verità, terreno classico sul quale la filosofia ha sviluppato il tema dell’immaginazione, e su cui lo stesso Shaftesbury incentra i suoi commenti, è indagato dal saggista meno dal punto di vista noetico che da quello prettamente morale. L’immaginazione identifica non tanto una specifica e distinta facoltà mentale, quanto gli aspetti emotivi della coscienza che presiedono al nascere della credenza e dell’opinione. In quest’ambito il filosofo evidenzia un atteggiamento di sospetto e di denuncia radicali verso un potere ritenuto ingannevole ai fini della vera conoscenza di sé e del proprio bene. Facoltà dell’apparenza illusoria, responsabile di false rappresentazioni etiche, nel Soliloquy la fancy è, tra le potenze dell’animo, una forza perturbativa dell’equilibrio affettivo e una guida inaffidabile dell’azione pratica. La rappresentazione è posta sullo stesso piano dell’immagine fantastica e del miraggio: ritenuta prevalentemente menzognera, l’immagine è un’opinione che deriva dai sensi. Malsicura, più spesso falsa, il giudizio e l’intelletto si faranno carico di svelarne il carattere fallace. Il problema della immaginazione in Shaftesbury è dunque sostanzialmente avulso da quello della conoscenza, radicandosi innanzitutto sul terreno del comportamento; prima ancora di essere questione metafisica (la natura della struttura psichica detta “immagine”, nella sua differenza da altri fatti psichici quali percezioni, ricordi, allucinazioni etc.), o epistemologica, essa attiene alla morale e ai suoi giudizi. Immaginare è ignorare la vera natura del bene; una sorta di
versione morale – questa – della affermazione secentesca per cui immaginare è ignorare la natura delle cose, per la conoscenza della quale è preposto il solo intelletto. Di questa accezione morale, per la sovrapposizione dei piani speculativi tipica della filosofia shaftesburiana, risentono anche le affermazioni relative all’immaginazione artistica, il cui spazio di azione si gioca tutto all’interno di un razionalistico e normativo methodic style, piuttosto che su accezioni di tipo creativo e produttivo.
Per i motivi appena esposti, si è visto come nel Soliloquy il termine fancy contenga in sé una valenza negativa tale da non risolversi senza residui nella semplice traduzione della nozione stoica di phantasia come “rappresentazione sensibile”, o “rappresentazione percepita”. Il termine stoico indica infatti la semplice apparizione, o manifestazione, di ciò che appare, di un rappresentato oggettivo che – appunto – si manifesta (phantaston), senza implicare una originaria e costitutiva falsità, o irrealtà dell’apparenza. La nozione indicata da Shaftesbury con il vocabolo fancy, invece, pur tenendo ferma la derivazione dalla rappresentazione-impressione stoica, specie nella accezione datane da Epitteto, è meglio identificabile accostandovi la nozione platonica di phantasma, o quella inglese – a essa collegata – di phantom, cioè di contenuto irreale e fittizio, parvenza cui è inerente l’errore, che tradisce e altera il reale, fonte di idee false che convertono il non vero nel suo contrario e viceversa.
Se è vero quindi che, in senso stretto, l’immaginazione non viene ricondotta tanto nell’ordine della conoscenza, quanto in quello del comportamento, della scelta morale e dell’etica, è anche vero che l’aspetto etico della teoria
shaftesburiana dell’immaginazione è il riflesso di una più generale posizione noetica ed epistemica che vede il moralista allinearsi alla diffusa svalutazione della phantasia già presente in Platone e nei neoplatonici. Forma secondaria del conoscere legata essenzialmente alla rappresentazione riproduttiva, associata anticamente a contesti gnoseologici relativi a un sapere costitutivamente incerto e confuso quale quello sensibile, per Platone l’immaginazione è strettamente legata a un apparire che assume la valenza negativa del parere, del sembrare, della percezione illusoria contraria a ciò che è reale, opposta al vero. Ricompresa fin dai tempi antichi all’interno di un’ontologia che ne fa una mera riproduzione della cosa che rappresenta, l’immagine, proprio per questo suo statuto di copia, è affetta da una sorta di inferiorità metafisica
rispetto a ciò che rappresenta: essa è una “cosa minore”373.
Nel corso del Seicento, la severità di questo atteggiamento speculativo nei confronti dello statuto gnoseologico dell’immaginazione è almeno in parte ripresa dai filosofi razionalisti, e in particolar modo da Cartesio, per il quale l’immaginazione è, nella migliore delle ipotesi, una facoltà irrilevante dal punto di vista conoscitivo, mentre, nella peggiore, a causa della sua natura passiva nei confronti della sensibilità, si rivela inattendibile, causa
di errore, irrealtà e inganno374. Le attestazioni rivelative
di una implicita ripresa nella trattazione shaftesburiana della fantasia di temi come questi, ampiamente diffusi nel corso dei secoli XVII e XVIII, sono state materia della
373 J. P. Sartre, L’immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni, cit., p. 8 e S. Natoli, Apparenza e
realtà, in Parole della filosofia o dell’arte di meditare, Milano, Feltrinelli, 2004, pp. 29-41.
374 Il legame tra “affezione del nostro corpo” e immaginazione è presente – fra gli altri – anche nella teoria della facoltà immaginativa di Spinoza. Si legge infatti in Etica, II, XVIII: “La Mente immagina un certo corpo per il fatto che appunto il Corpo umano è affetto e disposto dalle tracce di un corpo esterno nello stesso modo in cui è stato affetto quando alcune sue parti hanno ricevuto un impulso da quello stesso corpo esterno”, a c. di R. Cantoni e F. Fergnani, Torino, Utet, 1997, p. 153.