La biomedicina contemporanea (ma anche il marketing, la guerra, l’assistenza sanitaria) sono sempre più caratterizzate da un nuovo regime fatto da algoritmi, statistica, visualizzazioni di dati, machine- learning. In questo regime, la visione umana diventa anacronistica e le immagini, invece di avere una finalità informativa, rappresentativa o di intrattenimento, sono parte di un sistema di operazioni, se- condo l’espressione coniata dal regista Harun Farocki che battezzò questo regime l’età delle “immagini operative”, cioè delle immagini create da apparati tecnologici diversi come, per esempio, dai droni o dalle tecniche di imaging medicale: “Nel mio primo lavoro su questo soggetto, Eye/Machine (2001), ho chiamato queste immagini “ope- rative” per distinguerle da immagini che sono di tipo informativo o ricreazionale. Queste immagini non rappresentano un oggetto ma sono invece parte di un’operazione” (Farocki 2004: 17) [Fig. 3].7 Le immagini operative sono create da machine per essere viste da altre macchine prima ancora che da occhi umani: sono immagini
7 Le immagini operative sono diventate paradigmatiche per il campo dei nuovi media poichè, come i nuovi media, sono anch’esse basate sulla logica dell’interfac- cia e del database. Si veda a proposito Manovich (2001).
Fig. 2
Eadweard Muybridge (1887), Se- quenza di uomo che sale le scale, da ‘Animal Locomotion’, stampa Giclée. Creative Commons.
performative capaci di agire nel mondo piuttosto che limitarsi ad aumentare o sostituire la visione umana.
I nostri occhi sono straordinariamente complessi ma fondamental- mente limitati. Non possiamo vedere particelle quantistiche, onde radio, batteri, dinamiche molecolari o luce ultravioletta. Quando la maggior parte, se non addirittura tutto il lavorio della vista umana è sostituita da processi automatici generati da macchine, quale dialogo possiamo stabilire con questi fenomeni e con gli impulsi che deri- vano da essi? La visione tecnologicamente mediata (come l’imaging biomedicale) trascende i limiti del corpo fisico anatomico, nel senso che i dati visualizzati non sono creati né talvolta apprezzabili dalla vista umana. Le lenti vengono sostituite da forme di visualizzazio- ne associate ad altri sensi (ultrasuoni, infrarossi, visualizzazione elet- tromagnetica, termocamere, visione tattile) che rendono il corpo meno familiare all’occhio umano.
L’arte può offrire modalità alternative di navigare attraverso il regi- me delle immagini operative, per esempio riportando il corpo e la voce del paziente al centro dell’attenzione dell’osservatore. Il lavoro della fotografa e artista visuale Liz Orton si avvale di una varietà di fonti, tra cui tecnologie di imaging, le immagini da esse prodotte, manuali radiografici e dati provenienti dai corpi dei pazienti. Orton mette in scena dialoghi con pazienti reali cercando di espandere i confini della nostra comprensione concettuale e percezione di quel che è e, al tempo stesso, potrebbe divenire, la relazione tra paziente e medico, relazione che è sempre più spesso mediata da un’imma- gine non trasparente ma di crescente complessità.
Nel progetto Digital Insides (2019), supportato dal Wellcome Trust e realizzato in collaborazione con Steve Halligan, professore di ra-
diologia presso la University of London College Hospitals (UCLH), Orton collabora con pazienti e un radiologo per esplorare i mec- canismi della fiducia nella triade medico-paziente-immagine.8 Si po- trebbe affermare, quindi, che la categoria della trasparenza assume un significato ancora più complesso poiché legato all’etica nel ne- goziare la relazione con il paziente e le immagini. I dialoghi, condotti faccia a faccia da Orton e i singoli pazienti, vengono messi in scena come se si trattasse di un incontro tra due attori: da un lato, le immagini e i dati medici del paziente; dall’altro, le parole scambiate tra artista e paziente, nel momento in cui le immagini biomedicali, guardate per la prima volta, vengono discusse e interpretate al di fuori di un quadro diagnostico. L’obiettivo che si pone Orton non è di tipo terapeutico, ma è limitato all’idea che il paziente recuperi le proprie immagini mediche:
Il paziente viene sottoposto suo malgrado a un processo di infanti- lizzazione, potremmo dire, dovuto, a mio avviso, anche alla mancanza di un linguaggio quotidiano e non specialistico con il quale poter ap- procciare queste immagini. La medicina è volta alla cura del paziente, ma l’esperienza che spesso i pazienti descrivono è simile a una sorta di disincarnazione e silenziamento dovute all’impossibilità di vedere e parlare delle proprie immagini.9
La mancanza di un linguaggio quotidiano ha un doppio effetto: da un lato, indica come soltanto l’autorità medica possieda il linguaggio necessario per parlare dell’interno del corpo; dall’altro, conferisce alle immagini un potere straordinario di mediazione nella relazione tra medico e paziente, evidenziando il divario comunicativo tra i due. I dialoghi creati dall’artista diventano occasioni per il paziente di parlare di impressioni, ricordi e persino traumi che possono essere esplorati in uno spazio non autoritario.
La triade tra paziente, corpo e immagine è sottoposta da Orton a un’indagine di tipo storico-culturale poiché l’artista attinge a una se-
8 Il progetto Digital Insides è disponibile online: http://digitalinsides.org/. (Accesso effettuato a gennaio 2020).
9 Intervista con Liz Orton, Settembre 2019. Fig. 3
Esempio di immagine operativa: fermo immagine da Harun Farocki Eye/Machine, (2001).
rie di immagini presenti nell’ottava edizione di Clark’s Positioning for Radiography (1939), un libro di testo seminale per radiologi. Orton ri-fotografa le immagini mentre illumina le pagine del libro con una luce di sicurezza (la fonte di luce adatta per essere utilizzata in una camera oscura poiché illumina solo da parti dello spettro visibile a cui il materiale fotografico è quasi o completamente insensibile) [Fig. 4]. Come sostiene l’artista:
La trasparenza della pagina diventa un’eco (o forse una domanda) sulla supposta trasparenza del corpo. La luce rivela aspetti delle fotografie e dei diagrammi che rimangono altrimenti invisibili sull’altro lato della pagina. Quel che si ottiene è una nuova immagine. È il libro stesso ad acquisire una certa capacità di azione rispetto alla composizione di ciascuna immagine che finisce per essere creata da una visione più che umana, al di fuori del mio controllo (Orton 2018).
Per ogni dialogo di Digital Insides, il paziente sceglie circa cinque im- magini: la maggior parte dei pazienti sembra avere una preferenza per le immagini che presentano difetti, forse perché lasciano spazio all’immaginazione. Ogni dialogo sfiora l’evidenza scientifico-medica- le rappresentata dall’immagine ma rifiuta, al tempo stesso, di stabilire una correlazione diretta tra condizione del paziente, diagnosi clinica, immagine e conversazione paziente-artista.
Temi comuni che affiorano durante i dialoghi sono, innanzitutto, la necessità del paziente di ritrovare una proattività che è assente durante la procedura di scansione tramite imaging biomedicale; in secondo luogo, il divario tra le informazioni mediche presente nelle immagini-dati e la loro comprensione da parte del paziente; infine, la difficoltà del paziente di relazionarsi pienamente con le immagi-
ni-dati nonostante la consapevolezza che tali immagini riguardino il suo corpo. Orton crea uno spazio per l’ascolto attivo, un’arte quasi perduta nella medicina contemporanea. Mentre i dialoghi con i pa- zienti vertono principalmente sulla relazione medico-paziente, con il radiologo il dialogo riguarda l’immagine come matrice di dati pro- cessati da una macchina prima di essere visti da un essere umano:
Orton (O): Cosa sono esattamente le immagini medicali? Sono mo- delli o ...?
Radiologo (R): Sono misurazioni. O almeno questa è l’idea. O: Misurazioni visive?
R: Sì. Poiché sono così tante le informazioni acquisite, il modo più sem- plice per presentare i dati è una matrice e quindi la visualizzazione della matrice come immagine. Si tratta di un’immagine non ottica.
O: Per permettere all’occhio umano di interpretarla, giusto? Si tratta di una delle funzioni dell’immagine? Se i computer fossero in grado di svolgere qualsiasi compito nell’ambito diagnostico, avremmo ancora bisogno delle immagini?
R: Suppongo che dipenda da cosa intendi per immagine. Qual è la definizione? L’implicazione è che sia solo un’immagine se qualcuno la sta guardando. Quindi potresti chiamarla matrice, se dovesse essere elaborata per scopi computazionali.
O: Che cosa succede ai dati grezzi, intendo i dati acquisiti prima che siano stati elaborati?
R: Quando dici dati grezzi cosa intendi? Per esempio, hai visto questi sinogrammi [Fig. 5]? Questi mostrano i dati in due dimensioni delle proiezioni di raggi X. Ma, davvero, anche un sinogramma è una rappre- sentazione visiva dei dati. I dati sono bit e byte.
O: Insomma, non si può fare a meno delle visualizzazioni.
R: Sto pensando al fatto che dobbiamo fare un passo indietro e defini- re i nostri termini. Il modo in cui penso alle immagini è che alla fine quel termine copre tutti i dati disposti in modo significativo in una struttura regolare bidimensionale. Se sono numeri in una griglia normale, allora è un’immagine, può essere riconosciuta come immagine.
O: È un’immagine potenziale?
R: Puoi dire che diventa un’immagine solo dopo che è stata acquisita durante l’elaborazione dell’immagine: contrasto, risoluzione, ridimen- Fig. 4
Liz Orton (2018), http://digitalinsides. org/works/parallels-for-the-body-1/, (accesso: febbraio 2020). Immagine tratta dal manuale Clark’s Positioning for Radiography (1939). Immagine gen- tilmente concessa da Liz Orton.
sionamento, ecc. Prima di allora, sono soltanto dati in una matrice.10
Anche se le immagini biomedicali sono dati, come emerge chiara- mente dallo scambio tra l’artista e il radiologo, il paziente conside- ra le immagini medicali come ritratti fotografici che danno accesso all’intimità del corpo e del sé. Il divario tra queste due interpreta- zioni è al centro del tentativo di Orton di sviluppare un linguaggio quotidiano e visuale per affrontare la tematica dell’interazione tra visibilità e invisibilità, trasparenza e potenzialità. Spesso, il paziente fatica a riconoscersi nell’immagine medicale a causa del carattere traumatico del ricordo legato all’immagine. In un caso, per esempio, una paziente che era stata sottoposta a mastectomia vede prima un’immagine del suo corpo con i due seni e poi un’immagine che mostra come ne sia priva.11 Il tentativo fatto da Orton, attraverso la stampa delle immagini, è di vedere se la sensazione di strania- mento (il confrontarsi del paziente con una immagine che sembra rimandare a un corpo altro da sé in cui non ci si riconosce) possa attenuarsi. Trattando le immagini come fossero stampe, il paziente le personalizza [Fig. 6] segnandole e ricontestualizzandole con mappe e altre immagini appartenenti alla sua infanzia. Attraverso il controllo delle immagini, il paziente può riappropriarsi della propria storia ed esperienza medica.
Le immagini biomedicali sono regolate da sistemi operativi che, usan-
10 Mia traduzione in italiano di una conversazione estesa tra Liz Orton e John Hipwell, Computational Medical Imaging scientist. Si veda: http://digitalinsides.org/ visualdialogues/7-john-hipwell/. (Accesso: Novembre 2019).
11 Il dialogo visual con la paziente Ida Levine è disponibile al seguente indirizzo web: http://digitalinsides.org/visualdialogues/lenny-levine/?images. (Accesso: Di- cembre 2019).
do le parole di Orton, “consentono l’assenza del corpo del paziente, che diventa silenzioso, emarginato, perché le immagini raggiungono un livello di complessità e completezza che è come se stessero parlando per il corpo, al posto di esso, sostituendosi ad esso”.12 La diagnosi può avvenire a livello esclusivo di dati, che devono essere trasformati in immagini solo quando devono essere visti da occhi umani. Ad esempio, in Gran Bretagna (dove Orton ha svolto le sue ricerche per i Dialoghi) nelle riunioni dei gruppi di lavoro multidisci- plinari (MDT) del National Health Service (NHS), professionisti di diverse discipline cliniche (oncologia, radiologia, ecc.) discutono le immagini di ciascun paziente per raggiungere un consenso sul tratta- mento individuale da raccomandare. Solo dopo l’incontro MDT, l’in- tervento scelto viene proposto al paziente. Un medico di medicina generale del NHS che ha contribuito al progetto di Orton spiega:
Molte immagini biomedicali vengono interpretate con dettagli scarsi o nulli sul paziente o sui suoi sintomi. Soltanto una piccola parte è discussa durante queste riunioni multidisciplinari. Più scansioni eseguia- mo, meno tempo dedichiamo alla loro interpretazione. La tendenza è sempre di più quella di definire il paziente seconde categorie binarie iper-semplificate – malattia / assenza di malattia (Tomlison 2018: 78). Le immagini biomedicali servono interessi operativi poiché attraver- so di esse vengono prese decisioni sulla necessità o meno di effet- tuare un intervento. Le immagini operative, dunque, non agiscono come finestre sul mondo, come interfacce trasparenti, ma piuttosto come dati che innescano decisioni e azioni.
12 Intervista con Liz Orton, Settembre 2019. Fig. 5
Liz Orton, Sinogramma, rappresentazione bi- dimensionale di dati grezzi (paziente anonimo). Immagine gentilmente concessa da Liz Orton.
Fig 6
Liz Orton e Ida Levine, Dialogue #3, stampa e fotografia di mammografia, 2016. Immagi- ne gentilmente concessa da Liz Orton.
La prossima rivoluzione in medicina si basa sull’utilizzo dell’intelli- genza artificiale e delle tecniche di machine learning che vengono introdotte per assistere i radiologi nell’interpretazione delle immagi- ni, al fine di migliorare la diagnosi e la pianificazione della terapia.13 Il
machine learning è uno dei settori della ricerca medica in crescita più rapida, anche se poche applicazioni hanno già raggiunto il mercato (Shah et.al 2019). I computer oltrepassano i limiti della percezione umana nell’utilizzo e comprensione dei dati algoritmici: questi dati, tuttavia, anche quando sono trasformati in immagini-dati, mancano spesso delle informazioni contestuali che dipendono dalla capacità dei medici di seguire l’istinto per decidere se intervenire chirurgica- mente o meno, quando l’evidenza delle immagini-dati non permetta di esprimersi in modo univoco. Questo istinto viscerale, che è una forma di conoscenza soggettiva implicita, basata sulle nozioni acqui- site, l’esperienza e la casistica, non può essere facilmente incorpora- ta o insegnata agli algoritmi di machine learning (Trafton 2018). Il divario tra esperienza corporea ed esistenza biologica, che Orton fa emergere nei suoi dialoghi, è al centro delle riflessioni di stam- po foucauldiano sul biopotere nella contemporaneità. Nel suo libro The Politics of Life Itself, il sociologo Nikolas Rose (2007) discute di come le nostre molecole, i nostri geni e i nostri neuroni siano il nuovo obiettivo delle industrie farmaceutiche: gli elementi della no- stra esistenza biologica sono presentati come correlati delle nostre condizioni di salute, personalità, emozioni, desideri. Come sostiene lo storico della medicina Roger Cooter nella sua interpretazione del testo di Rose, “Il corpo diventa un nuovo oggetto di ricerca e produzione di conoscenza che si ricostituisce incessantemente attraverso nuove relazioni di potere” (Cooter 2010: 401). Queste relazioni sono mediate anche attraverso le immagini prodotte da tecnologie di imaging biomedicale.
13 Il machine learning è una branca dell’Intelligenza Artificiale e si pone l’obiettivo di far apprendere in modo automatico alle macchine attività che sono svolte dagli esseri umani (Mitchell 1997).
IV. Dal corpo molare a quello molecolare, dalla traspa-