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GLI INTERVENTI CENSORI DEGLI ESECUTORI CONTRO LA BESTEMMIA

4.2 La repressione dell’oscenità

4.2.3 Immagini scandalose

Come è stato già affermato in precedenza, non erano solo i libri a rientrare tra le competenze degli organi censori ma tutti i materiali che grazie all’introduzione della stampa ebbero più facile diffusione e distribuzione. Uno dei settori che è stato ancora limitatamente analizzato è quello relativo alla censura delle arti visive: in età moderna infatti non circolavano solamente immagini stampate, ma anche piastre in rame, figure in legno, sigilli e medaglie.

Una prima forma di regolamentazione di queste opere era stata fatta nelle regole premesse all’Indice clementino ma erano ormai già diversi anni che in seno alla Congregazione dell’Indice si progettava la stesura di un Indice delle immagini proibite,

131 P. Sarpi, Scritti giurisdizionalistici, a cura di G. Gambarin, Laterza, Bari, 1958, p. 173.

132 A tal proposito si vedano le considerazioni di De Vivo sulla comunicazione nella repubblica di

elenco tuttavia che non venne mai compilato133. Per la stessa Inquisizione infatti «non pare che la sorveglianza sull’iconografia fosse una delle principali preoccupazioni»134, mentre molto più importante venivano considerate le immagini dei santi ed i simboli visivi della santità.

Gli Esecutori contro la Bestemmia invece si mostrarono inflessibili nei confronti di tali immagini e, quando riuscirono ad individuarle, ne ordinarono immediatamente il sequestro e la distruzione.

Il primo dei quattro procedimenti che gli Esecutori formarono per questo tipo di reato, venne istruito contro l’illustratore Domenico Zenoi colpevole, assieme allo stampatore Giovan Francesco Camocio, di aver ricopiato e pubblicato le edizioni dei disegni che Giulio Romano ideò per i Sonetti di Pietro Aretino135. I magistrati tuttavia si mostrarono miti con i due imputati e, dopo aver sequestrato tutte le figure, decisero di multare il primo di 10 ducati ed il secondo di 5 ducati. La clemenza dei giudici appare giustificata dalla reputazione dello stampatore e del disegnatore, i quali, famosi editori di cartografie e mappe geografiche, vivevano un momento difficile e di precarietà economica, tant’è vero che due anni dopo Domenico Zenoi fu costretto a lasciare la laguna cercando fortuna altrove.

Il secondo processo invece venne formato nel 1610 contro gli intagliatori Francesco Valesio e Cattarino Doino per la stampa di una piastra in rame intitolata Misura del piede della Madonna136. Sebbene di quest’opera non si sia conservata alcuna copia, gli studi di Michael Bury ci hanno permesso di ricostruirne il significato: si trattava di un’immagine che raffigurava due angeli inginocchiati sopra una nuvola con in mano un oggetto che assomiglia alla suola di una scarpa, mentre dietro di loro la Madonna stende le braccia in segno di preghiera. Si trattava perciò di un simbolo della pietà popolare: baciando per tre

133 Si veda V. Frajese, La revoca dell’Index sistino e la Curia romana (1588-1596), «Nouvelles de la

Republique des Lettres», I, 1986, pp. 15-51.

134 M. Cavarzere, La prassi della censura, cit., p. 49.

135 ASV, Esecutori, b. 56, II, c. 41. 9 settembre 1568. Domenico Zenoi si distinse soprattutto nella

produzioni di mappe geografiche per le quali ottenne un privilegio di stampa dal Senato nel 1566. Collaborò a lungo con Giovan Francesco Camocio, il quale divenne uno dei più grandi editori a Venezia di carte geografiche. Per ulteriori informazioni sullo Zenoi si veda C. Witcombe, Copyright in the Renaissance: Prints and the Privilegio in Sixteenth Century Venice and Rome, Brill, Leida, 2004, p. 159 e 251-252, mentre su Camocio si veda la voce curata da Cosimo Palagiano nel v. 17 (1974) del DBI.

136 ASV, Esecutori, b. 61, II, c. 172. 11 luglio 1610. Su questo procedimento si veda: M. Bury, The

measure of the Virgin’s foot, in Images of medieval sanctity: Essays in honour of Gary Dickson, a cura di D. Higgs Strickland, Brill, Leida, 2007, pp. 121-134. Su Doino si veda la voce curata da Maria Sframeli nel v. 40 (1991) del DBI, dove vengono elencate le numerose opere create in collaborazione con il Valesio. Sui tre venditori invece non ho trovato alcuna indicazione.

volte un oggetto sacro ed invocando per tre volte l’aiuto divino, il fedele avrebbe ottenuto l’appoggio di Dio137. Per stroncare queste forme di religiosità, sgradita alle autorità religiose come a quelle secolari, i due intagliatori vennero condannati a pagare un’ammenda di 10 ducati ciascuno mentre per gli stampatori Donato Graziosi e Giacomo Paulini e per il libraio Giacomo Penesi, che ne avevano vendute alcune copie, la multa fu di un ducato a testa. La piastra invece venne distrutta e non riappare più nei documenti del fondo della magistratura.

Il terzo procedimento venne invece composto contro un certo «Camillo Bagato milanese» accusato di aver fabbricato, e probabilmente venduto, «diverse qualità di figure inhoneste in cera», per le quali venne condannato a scontare tre anni nei camerotti di Palazzo Ducale138.

Il quarto ed ultimo caso infine venne formato contro l’intagliatore Paolo Maria Abbiati per aver prodotto delle «figure scandalose sopra scatole da tabacco», per le quali venne condannato a due anni di prigione139. Tra XVII e XVIII secolo scatole con raffigurazioni di carattere pornografico o licenzioso, spesso riproduzioni di Aretino, circolavano abitualmente non solo nelle stamperie ma anche in altre botteghe delle città, creando cosi un mercato clandestino per riuscire a procurarsi questi tipi di oggetti140. Come gli speziali descritti da Filippo De Vivo acquistavano porcellane con cui addobbare le mensole o rarità esotiche da poter sfoggiare con i clienti per incuriosirli e rendere più piacevole l’attesa141, cosi nel caso di Abbiati furono cinque peteneri ad essere puniti al pagamento di 15 ducati ciascuno per il possesso di queste scatole.

Come si può notare da questi due ultimi procedimenti, con il passare degli anni gli Esecutori divennero sempre più severi nella censura di queste opere. Il panorama offerto da questi casi, materiali e soggetti diversi dei quali purtroppo non si è conservato alcun esemplare né alcuna illustrazione, dimostra come non fosse una categoria ad esser particolarmente controllata dagli Esecutori ma le arti visive in generale.

137 L’intera spiegazione di questa credenza viene descritta nel già citato saggio di M. Bury.

138 ASV, Esecutori, b. 62, II, c. 55. 24 maggio 1651. L’identità di questo artigiano è sconosciuta. A

differenza degli altri interventi in questo caso il Bagato fu l’unico ad essere accusato dagli Esecutori. Probabilmente era egli stesso un commerciante e si occupò lui della vendita di queste immagini.

139 ASV, Esecutori, b. 64, II, c.149. 5 aprile 1683. Anche Abbiati, cosi come il Bagato, proveniva dalla

città di Milano.

140 Sulla natura di queste immagini si veda la raccolta di saggi The invention of pornography. Obscenity and

the origins of modernity, 1500-1800, a cura di Lynn Hunt, Zone Books, New York, 1993.