Nel 1929, George e Mildred Burr, descrissero per la prima volta una sindrome causata da una forte riduzione del grasso con la dieta, la quale si manifestava principalmente con sintomi cutanei, come eritema, desquamazione, prurito e aumento della perdita di acqua transepidermica. Divenne chiaro che il grasso perduto avesse un ruolo “essenziale” nella struttura della pelle ed era necessario reintrodurlo con l’alimentazione. Il termine di acidi grassi essenziali è stato creato in riferimento a due acidi polinsaturi (PUFA), acido linoleico (LA) e acido α-linolenico (ALA), rispettivamente omega 6 e omega 3 con effetti antagonistici sulle funzioni metaboliche nell’organismo umano. I PUFA sono di grande importanza a livello nutraceutico in quanto hanno particolari funzioni biologiche indispensabili per la salute cellulare, inserendosi nella composizione lipidica della membrana cellulare e svolgendo funzione protettiva e preventiva nei confronti di moltissime malattie, con potenziale di applicazione nel trattamento delle infiammazioni croniche della pelle più comuni, come la dermatite atopica, la psoriasi e l’acne.
30 Visto che gli acidi grassi essenziali ω-3 e ω-6 hanno effetti
antagonistici sulle funzioni metaboliche dell’organismo umano, è indispensabile riconoscere una eventuale carenza per intervenire in modo mirato ed evitare uno sbilanciamento nel loro rapporto. Ad oggi è possibile studiare la composizione lipidica della membrana cellulare attraverso tecniche di lipidomica, metodologie che forniscono dati importanti per la scelta del trattamento più appropriato.
Tecnica utile, in quanto nella dieta occidentale, prevale spesso la serie ω-6 perché presente in alimenti a base di cereali, oli vegetali e semi, a discapito degli ω-3 che si trovano prevalentemente nelle verdure a foglia verde, semi di lino, noci e soia, mentre i loro derivati, acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico (DHA), sono ottenuti attraverso il pesce azzurro.
La loro assunzione con la dieta avviene per lo più sottoforma di trigliceridi, che vengono sottoposti a digestione nell'intestino tenue con conseguente liberazione di acidi grassi e assorbimento nel flusso sanguigno, per giungere ai tessuti in cui vengono incorporati. L'alimentazione, il metabolismo e lo stile di vita possono provocare stress di tipo ossidativo e provocare conseguentemente dei cambiamenti nell’omeostasi della membrana cellulare.
31 I PUFA più importanti e metabolicamente significativi derivati
da acido linoleico LA (serie ω-6) sono acido gamma-linolenico (GLA), acido diomo-gamma-linolenico (DGLA) e acido arachidonico (ARA). Dall'altra parte, la serie ω-3 ha come capostipite ALA e i derivati più importanti sono EPA e DHA, nonostante la conversione sia particolarmente impegnativa e con una bassa resa, infatti è fondamentale la loro introduzione con la dieta.
In generale i PUFA producono tramite cascate enzimatiche gli eicosanoidi, molecole di segnalazione bioattiva con caratteristiche pro-infiammatorie (se prodotti dalla serie ω-6) e antinfiammatorie (se prodotti dalla serie ω-3). LA e ALA competono nella sintesi di queste sostanze prendendo di mira gli stessi enzimi, desaturasi ed elongasi, determinando una prevalenza di eicosanoidi tipici del substrato quantitativamente maggiore.
Sebbene gli ω-6 e i loro derivati siano generalmente considerati omega "cattivi" principalmente a causa dell'acido arachidonico (ARA) e dei suoi prodotti che innescano l'infiammazione, il substrato di ARA, DGLA, è stato a lungo considerato un potente PUFA antinfiammatorio grazie ai suoi derivati ossigenati, le prostaglandine della serie 1, in particolare PGE1.
32 nella modulazione della risposta immunitaria innata, inibendo i
recettori Toll-like (TLR) presenti sui cheratinociti. Specificatamente sia EPA che DHA inibiscono TLR-4, il recettore del lipopolisaccaridi (LPS), con un effetto inibitorio sul fattore NF-kb indotto da LPS e la successiva produzione di citochine infiammatorie [17] [18].
Da una review molto recente sono emersi dati interessanti circa l’uso dei PUFA nelle malattie dermatologiche, tra queste è stata esaminata la correlazione con dermatite atopica, psoriasi e acne. Dallo studio si evince che la dermatite atopica può beneficiare dell'olio di pesce, che contiene specificatamente EPA e DHA, ed è utile per migliorare i sintomi associati alla malattia, con effetto antinfiammatorio complessivo dato dalla capacità di modulare la proliferazione linfocitaria e la produzione di citochine e molecole di adesione. Gli studi elencati hanno dimostrato che l’integrazione con olio di pesce ha dato buoni risultati in gravidanza, per prevenire la dermatite atopica nel neonato e per consentire il corretto sviluppo del sistema immunitario del bambino. C’è infatti correlazione negativa tra consumo di latte materno ricco di grassi saturi e povero di grassi omega 3, per questo motivo anche il latte di crescita viene spesso addizionato specificatamente con DHA [19].
33 In un modello animale, è stato dimostrato che la produzione
epidermica di eicosanoidi, in particolare resolvine, ha ridotto lo sviluppo di lesioni cutanee indotte, simili all'AD, diminuendo la produzione di citochine infiammatorie, l’infiltrazione di mastociti ed eosinofili, oltre alla soppressione dei livelli sierici totali di IgE [20]. Sono stati effettuati anche tentativi di integrazione con PUFA ω-6, principalmente con GLA, derivato da olio di borragine. Questo acido grasso deriva normalmente dall’acido linoleico (LA) e per la sua biosintesi necessita dell’enzima Δ-6 desaturasi, successivamente subisce elongazione tramite elongasi per diventare DGLA, poi rapidamente convertito nei suoi metaboliti con ruolo prevalentemente antinfiammatorio.
Figura 7 – Pathway metabolico di omega 3 e omega 6, tratto da Haggarty P. Fatty acid supply to the human fetus. Annu Rev Nutr. 2010;30:237-255.
34 Uno studio clinico ha coinvolto 30 soggetti con AD lieve a cui
è stato somministrato olio ricco di GLA per un periodo di quattro settimane, tempo necessario per raggiungere concentrazioni adeguate nella pelle. Il risultato ha mostrato un miglioramento della capacità di idratazione transepidermica e un indice di strato corneo più alto rispetto al controllo [21].
Poiché la supplementazione con GLA mostra effetti positivi sulla riduzione dei mediatori lipidici pro-infiammatori e sul miglioramento dei sintomi clinici dei disturbi infiammatori, ci sono strategie promettenti per mantenere questi effetti antinfiammatori senza un conseguente aumento marcato di acido arachidonico (ARA) con il suo potenziale effetto dannoso. Queste strategie si basano sulla integrazione di GLA in aggiunta agli ω-3 (EPA e DHA), perché questi ultimi sono in grado di inibire la conversione del metabolita DGLA in ARA, ridurre al tempo stesso il fattore NF-Kb e la produzione di citochine infiammatorie permettendo anche alle cellule della pelle di arricchirsi ulteriormente di preziosi metaboliti antinfiammatori. Uno degli oli più preziosi è l’olio di Echium, estratto da Echium plantagineum, pianta conosciuta anche come erba viperina, della famiglia delle Borraginaceae, è diffusa in tutto il mondo ed è diventata specie infestante in Australia. I suoi semi contengono un’elevata quantità di GLA
35 (19%), ma anche di ALA (10%) e acido stearidonico SDA
(13%), classificandosi come ottima alternativa per le persone che non tollerano l’olio di pesce o per i vegetariani per beneficiare degli effetti dei PUFA ω-3 e ω-6. [22]
Gli effetti benefici della supplementazione con PUFA vengono mostrati anche nei pazienti affetti da psoriasi. I risultati emersi dallo studio di Quin et al. sono promettenti in quanto la malattia è caratterizzata da iperproliferazione anormale di cheratinociti che si verifica a causa dell’attivazione dei linfociti T, portando successivamente alla produzione di acido arachidonico (ARA) e alla generazione dei suoi mediatori pro-infiammatori e chemiotattici per i neutrofili. In particolare, ha messo in evidenza che gli ω-3 agiscono modulando i recettori TLR2 e TLR4, riducendo la produzione di linfociti Th17 e delle citochine associate, tra cui IL-17, IL-22, IL-23 e stimolato al contempo le cellule Treg per produrre più alti fattori antinfiammatori [23].
Anche Clark et al. hanno recentemente condotto una metanalisi per valutare l’efficacia degli acidi grassi ω-3 come monoterapia nel trattamento dei pazienti psoriasici. Gli studi inclusi sono stati dieci, per un totale di 278 individui nel gruppo di intervento a cui sono stati somministrati dosaggi a partire da 240 fino a 3600 mg al giorno di EPA. Per valutare l’influenza
36 della supplementazione sulle complicanze della psoriasi, gli
studi sono stati suddivisi in due sottogruppi distinti in base al dosaggio (< o > di 1800mg) e per durata di trattamento (< 8 vs > di 8 settimane). I risultati hanno mostrato riduzioni significative del punteggio PASI, un indice dermatologico che permette di monitorare i miglioramenti del soggetto psoriasico utilizzando come strumenti valutativi alcuni parametri quali,
estensione, desquamazione, eritema, ispessimento e severità delle manifestazioni psoriasiche fornendo poi un punteggio, variabile da 0 (assenza di psoriasi) a 72 (valore massimo,
psoriasi grave). Più precisamente nel sottogruppo in cui i
dosaggi erano maggiori di 1800mg/die e una durata inferiore alle 8 settimane sono stati associati a risultati migliori, con una riduzione del punteggio PASI tra il 50 e il 75%. Nonostante questo, l’integrazione non ha migliorato il prurito e la desquamazione.[24]
Ulteriori benefici della supplementazione di PUFA ω-3 in pazienti con psoriasi sono i loro possibili effetti ipolipidici e la prevenzione dello sviluppo di obesità e insulino-resistenza. Ciò si basa sul fatto che la segnalazione del complesso 1 della rapamicina (mTORC1), cruciale nella segnalazione pro- infiammatoria dei cheratinociti attraverso l'attivazione della via NF-kb viene attivata attraverso un aumento delle citochine
37 infiammatorie correlate all'obesità come TNF-α, IL-6 e
adiponectina rilasciate dal grasso viscerale [25].
L’attività degli ω-3 è stata riconosciuta per decenni e il loro effetto terapeutico, in particolare quello del DHA, è dovuto all’inibizione della dimerizzazione della segnalazione TLR1- TLR2, la cui espressione risulta indotta da C. acnes, portando all’attivazione delle vie NF-Kβ con aumento delle citochine pro-infiammatorie IL-6, IL-8, IL-1, TNFα e produzione di β- defensina2, peptide antimicrobico prodotto in risposta al patogeno che induce il rilascio di citochine e stimola la formazione delle cellule immunocompetenti. [26]
Uno studio di Jung JY et al, condotto in doppio cieco, ha incluso 45 pazienti con acne da lieve a moderata e assegnato questi pazienti a tre gruppi, al primo veniva somministrato 2000mg/die di EPA e DHA, al secondo gruppo veniva somministrato 400mg/die di GLA e infine il terzo gruppo di controllo che non ha ricevuto alcun trattamento. Dopo dieci settimane, sia il gruppo che aveva ricevuto omega 3 che quello trattato con GLA hanno mostrato una riduzione significativa della conta delle lesioni acneiche infiammatorie e non infiammatorie e la valutazione istologica ha rilevato una ridotta espressione della IL-8, causa di ipercheratinizzazione follicolare e iperplasia epidermica. I ricercatori hanno concluso
38 che dosi moderate di ω-3 e GLA potrebbero migliorare le
lesioni dell’acne. [27]
In conclusione, il trattamento combinato di ω-3 e GLA, potrebbe dare benefici nella gestione delle malattie infiammatorie della pelle.
Figura 8 – Meccanismi attraverso i quali gli acidi grassi influenzano i quattro principali fattori nell’acne. Tratto da Balić, Anamaria et al. “Omega-3 Versus Omega-6
Polyunsaturated Fatty Acids in the Prevention and Treatment of Inflammatory Skin Diseases.” International journal of molecular sciences vol. 21,3 741. 23 Jan. 2020, doi:10.3390/ijms21030741
39
4.2 VITAMINA D
La vitamina D è una vitamina liposolubile che si presenta in due forme principali: ergocalciferolo (vit. D2) prodotta dalle piante, e colecalciferolo (vit. D3) presente inalimenti di origine animale. La fonte principale è rappresentata dalla sintesi cutanea in presenza di luce solare, e si forma a partire dal 7- deidrocolesterolo con la formazione della provitamina D, un intermedio che deve subire due idrossilazioni, prima nel fegato per formare 25-idrossicolecalciferolo e quindi nel rene per formare il metabolita attivo, l’1,25-diidrocolecalciferolo, con emivita molto breve. I livelli di vitamina D nel siero sono regolati da un meccanismo di feedback di calcio, fosforo, ormone paratiroideo, fattore di crescita dei fibroblasti e vitamina D stessa. Una sua carenza è definita in un range di intervallo che sta al di sotto dei 20 ng/ml e la sufficienza compresa tra 21 e 29 ng/ml.
Le funzioni della vitamina D sono da sempre state rappresentate da quelle del metabolismo fosfocalcico, ma negli ultimi decenni sono diventati evidenti gli effetti extra scheletrici e i suoi ruoli nella proliferazione cellulare, differenziazione e modulazione immunitaria. Queste azioni sono mediate dal recettore della vitamina D (VDR), che dopo l’attivazione interagisce con il recettore X del retinoide (RXR)
40 per formare un complesso etero dimerico VDR-RXR, capace
di legare specifici elementi potenziatori presenti nella regione promotrice di geni, denominati VDRE (elementi di risposta alla vitamina D), attivando così l’espressione di specifici geni target. La VDR si trova anche nella membrana plasmatica e legandosi alla vitamina D, attiva una trasduzione di segnalazione intracellulare non genomica coinvolta in molte azioni fisiologiche.
Prove emergenti indicano che questa vitamina può svolgere un ruolo importante nella modulazione dell’infiammazione e che un adeguato livello nel sangue è cruciale per mantenere la risposta antinfiammatoria ottimale nell’uomo [28]. Il meccanismo alla base del controllo infiammatorio è la capacità di modulare i TLR2 e TLR4 ed inibire la via NF-kβ, di conseguenza evitare che questo fattore di trascrizione riesca a traslocare nel nucleo dove promuove l’espressione di citochine pro-infiammatorie e del fattore di necrosi tumorale TNFα, noto per promuovere la disfunzione endoteliale. E’ stato anche dimostrato che la vitamina D può indurre direttamente la produzione di importanti peptidi antimicrobici come le catelicidine e le β-defensine nei monociti e nelle cellule epiteliali umane.
41
della pelle, e questo è stato dimostrato in molti studi che hanno riportato una carenza o insufficienza sierica inferiore a 14 ng/ml nei pazienti affetti. Una metanalisi recente mostra che nei soggetti con dermatite atopica vi sono livelli significativamente ridotti di vitamina D, specialmente nel campione pediatrico; e che la supplementazione di 1500-2000 IU per tre mesi è stata clinicamente rilevante in termini di riduzione dello SCORAD e
nella produzione delle citochine infiammatorie. Negli studi di
intervento, l’indice utilizzato per valutare la misura di efficacia è chiamato Minimal Clinical Important Difference o MCID, ovvero il più piccolo cambiamento che il paziente può ritenere importante ai fini della sua patologia, offrendo un valore soglia oltre il quale il risultato è vissuto da quest’ultimo come rilevante. Nel trattamento della dermatite atopica, l'MCID minimo deve essere di almeno 9 punti per essere significativo, e difatti c’è stata una riduzione dello SCORAD di 21 punti dalla media per gli studi di intervento in cui si utilizzava una dose di 1500 IU/al giorno, e una riduzione di 11 punti in quelli randomizzati dove erano utilizzate invece 1600 IU [29].
42
Inoltre, la revisione sistematica della letteratura ha indicato che
la maggior parte degli studi di intervento documenta una riduzione dell'infezione cutanea dopo l'integrazione di VitD, suggerendo anche un'associazione tra basse concentrazioni di 25 (OH) D e un aumento della colonizzazione secondaria cutanea di S. aureus, suggerendo che possa favorire la riduzione e la prevenzione di infezioni cutanee, anche se questo si basava su un numero limitato di studi e non c'erano dati sufficienti per eseguire una meta-analisi. [29]
Figura 9 – Meta-analisi degli studi di intervento sulla vitamina D nella dermatite atopica: confronto dell'indice clinico SCORAD al basale e integrazione post-vitamina D [29].
43
4.3 Probiotici e Prebiotici: Asse intestino-pelle
Da un punto di vista microbiologico, la pelle è un luogo affollatissimo e pieno di vita, riserva naturale di ospiti tutt’altro che indesiderati. Il termine microbiota cutaneo si riferisce quindi all’insieme dei microrganismi che popolano la cute e gli annessi cutanei ed è possibile identificarli in tre principali habitat: umido, sebaceo e secco. La pelle sebacea comprende il viso, il torace e la schiena e presenta una comunità batterica relativamente semplice, composta da diverse specie di Cutibacterium (precedentemente Propionibacterium), batteri Staphylococcus e lieviti Malassenzia [30].
L’escrezione di sebo sembra essere la principale forza trainante nello sviluppo e nella maturazione del microbiota sebaceo, poiché il loro equilibrio cambia drasticamente durante la pubertà, periodo in cui queste secrezioni aumentano o cambiano di composizione.
Siti di pelle secca come braccia e gambe sono dominati dalle specie Cutibacterium acnes (C.acnes) e Staphylococcus, ma con presenza di Gammaproteobacteria e Betaproteobacteria.
I siti umidi invece presentano una maggiore variabilità, ad esempio la pianta dei piedi, che costantemente umida favorisce la crescita del Corynebacterium e degli Stafilococchi [31].
44 Il microbiota cutaneo è importantissimo nel mantenere
l’omeostasi cutanea, soprattutto attraverso la modulazione del sistema immunitario locale. Il microbiota dell'acne è stato
studiato per diversi decenni, e C
acnes (precedentemente Propionibacterium acnes) è probabilmente l’agente causale dell'acne vulgaris. Mentre Staphylococcus epidermidis (S.epidermidis) è noto come patogeno opportunistico dei tessuti molli, e il suo ruolo potenziale nella patologia dell'acne è stato ignorato per molto tempo nonostante numerosi studi dimostrano che è più abbondante nei soggetti con lesioni attive, innescando la produzione di interleuchina IL-17 attraverso la via NF-kβ [38]. Anche le specie Malassezia, e più recentemente le specie Candida, sembrano essere implicate nella patologia dell'acne ma necessitano ancora di ulteriori studi [39].
Nel caso della dermatite atopica invece le citochine prodotte inibiscono la produzione dei peptidi antimicrobici β-defensina e catelicidina entrambe le quali vietano la colonizzazione di organismi patogeni come S. aureus, mantenendo l’omeostasi, ma nel corso della malattia la flora cutanea viene alterata, colpendo siti che normalmente ospitano comunità microbiche simili al patogeno come gambe e braccia e riducendo così anche la diversità complessiva in quella zona.
45 Il microbiota cutaneo nella rosacea è stato oggetto di numerose
ricerche scientifiche, sappiamo infatti che Demodex folliculorum, un acaro che vive normalmente nelle ghiandole sebacee della pelle sana, in condizioni favorevoli può moltiplicarsi, colonizzando il follicolo pilifero creando infiammazione cutanea. Inoltre, nella pelle affetta è stata riscontrata anche la presenza di S. epidermidis nella variante beta-emolitica con possibile aumento della sua virulenza [42]. Attraverso lo studio del microbiota cutaneo è stato possibile analizzare anche il ruolo della disbiosi cutanea nella psoriasi [44]. È interessante notare che Chang et al. hanno trovato un'abbondanza di S. aureus nella pelle lesionata, e per comprendere il significato, hanno usato un modello murino per esplorarne gli effetti sulla differenziazione delle cellule T scoprendo che i topi colonizzati da questo batterio mostravano una sovra regolazione di Th17 rispetto ai topi colonizzati con S. epidermis [45].
Infine, per quanto riguarda la dermatite seborroica, i cambiamenti ormonali e la produzione di sebo svolgono un ruolo attivo nella sua patogenesi. E’ normalmente associata al genere Malassezia, funghi che normalmente fanno parte del microbioma della pelle umana. In uno studio di pazienti con dermatite seborroica (SD), hanno scoperto che questi avevano
46 una colonizzazione significativamente più alta di S.
epidermidis rispetto a quelli senza SD [46].
Recentemente sta emergendo anche il coinvolgimento della flora batterica intestinale nel mantenere lo stato di salute della pelle. E’ altresì noto che diverse patologie dermatologiche possono variare il loro decorso in relazione alle condizioni di salute dell’appartato digerente [32].
Il tratto gastrointestinale e la sua flora batterica svolgono diverse funzioni, tra cui la modulazione del sistema immunitario, infatti molti dei prodotti derivanti dal metabolismo dei batteri commensali agiscono tramite l’inibizione della via NF-kβ regolando i pathway infiammatori. [33]. In riferimento a questo aspetto, i prebiotici introdotti con l’alimentazione, quando fermentati da parte del microbiota intestinale, possono produrre gli SCFA, ovvero acidi grassi a catena corta capaci di modulare il sistema immunitario e la risposta infiammatoria regolando la produzione di citochine, chemochine e l’espressione di molecole di adesione con proprietà antinfiammatorie e antiallergiche [34]. Nella revisione di Schley et al, viene mostrata la capacità immunomodulatorie di inulina e oligofruttosio, due tipologie di fibre alimentari solubili che attraverso la loro fermentazione ad opera della flora batterica intestinale, sono in grado di produrre
47 SCFA [35]. Questo particolare aspetto è noto in uno studio di
Gibson e Roberfroid del 1995, dove è dimostrato che una dieta arricchita di 15g al giorno di oligofruttosio o inulina e protratta per 45 giorni ha modificato significativamente la produzione degli SCFA e ha fatto diventare il Bifidobacterium il genere numericamente predominante nelle feci [36].
Il microbiota intestinale quindi è importante per la modulazione del sistema immunitario e può avere indirettamente benefici sulla pelle riducendo l’infiammazione sistemica. Quello che emerge dalla letteratura è, non solo la capacità di produrre metaboliti a partire da fibre solubili, ma la sua variabilità in termini qualitativi piuttosto che quantitativi tra le popolazioni e le culture umane. Varia significativamente nel tempo nei soggetti sani lungo l’arco di tutta la vita; ad esempio cambia nei primi tre anni dopo la nascita ed è altamente influenzato dai fattori ambientali come l'allattamento al seno e l’uso di antibiotici [37].
Negli adulti si nota una predominanza di due phyla, Bacterioidetes e Firmicutes, mentre la porzione più piccola è rappresentata da Actinobacteria e Proteobacteria. Recentemente è stata evidenziata un’associazioni tra pelle e microbiota intestinale e un ruolo significativo di quest’ultimo nelle condizioni dermatologiche, come dermatite atopica, acne,
48 rosacea e psoriasi [32].
Ad esempio, nonostante la DA sia considerata un disturbo della pelle, si ritiene che anche il microbiota intestinale abbia un ruolo nella patogenesi della malattia. I ricercatori hanno