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L’IMPATTO DI CRASH SUL PANORAMA ITALIANO

Tratto dall‟omonimo romanzo1 di J. G. Ballard del 1973, Crash esce nelle sale nel 1996,

diretto dal cineasta canadese David Cronenberg. Presentato a Cannes, la pellicola vince un premio che sembra creato ad hoc: «for audacity and daring», elogiando la carica sovversiva e la temerarietà provocatoria del film. L‟accoglienza che il film ottiene a Cannes non è la stessa che incontra tra critici e pubblico, tanto da trasformare Crash in un oggetto di battaglia e di discussione. Nelle maggiori testate giornalistiche i critici si dividono tra chi è pro censura e chi contro, rispolverando così «il vecchio e terrificante fantasma della censura» contro il «caro vecchio fantasma della libertà».2 Crash viene considerato

scandaloso e bandito come depravato, pericoloso e morboso.

In Italia, a Napoli, si firma un esposto contro il film per richiederne il sequestro, anche se poi la volontà di rappresentazione. In Gran Bretagna l‟allora ministro della cultura, Virginia Bottomley, chiede agli enti locali di impedirne la proiezione e di fatto il West End londinese vieta Crash nelle sale.3 La scelta viene giustificata dal timore che i giovani, impressionabili

per natura, possano emulare le azioni riprodotte nel film. Coloro che si sono schierati a favore della censura non hanno compreso il merito che va sicuramente riconosciuto a Cronenberg, ossia la capacità di mettere su pellicola quello che autori come J. G. Ballard e Burroughs hanno saputo raccontare nei loro scritti, in maniera cruda e senza moralismi. Ciò che accomuna queste tre personalità è il tentativo di decodificare la perversione che soggiace alla realtà, che vive in ogni essere umano. Cronenberg porta in superficie quegli istinti dell‟individuo che vengono condannati dalla società, per questo repressi e relegati nel subconscio più intimo.

1 James Graham Ballard, Crash (1973), trad. di G: P. Colombo, Milano, Feltrinelli, 2004. 2

Irene Bignardi, Fermate Crash sesso e violenza, in “La Repubblica”, 1996, 12 novembre. 3

Cfr. Alessio Altichieri, Maria Volpe, Scontri d’auto con sesso: Londra ferma “Crash”, in “Il Corriere della sera”, 1996, 12 novembre.

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La sovversione di Crash sta proprio in questo e il regista, perfettamente conscio di ciò, dichiara: «L'arte è sovversiva perché fa appello all'inconscio. […] Più un film è collegato con l'inconscio, più è sovversivo. Come lo sono i sogni».4

Negli anni Novanta si verifica la tendenza a suddividere la narrativa e la cinematografia in categorie ben distinte e i prodotti artistici vengono classificati in base a una linea cattivista di contro a una buonista. I portabandiera di questi schieramenti sono due film usciti nello stesso anno, nel 1994, ossia Pulp Fiction di Tarantino e Forrest Gump di Robert Zemeckis. Se dovessimo collocare Crash in questa ipotetica suddivisione sicuramente figurerebbe tra i cattivisti. In questa schiera sono stati relegati anche i cannibali italiani, i quali sono stati spesso confrontati con il film di Cronenberg. La rivista «La Bestia», nata a supporto del fenomeno cannibale, spende parole di elogio nei confronti di Crash:

L‟ossessione di Crash si espande, è “cinema espanso” che ingloba lo spettatore e lo scuote. […] Crash si avvicina all‟abisso e guarda giù insieme lo spettatore. E la sua freddezza – iconografia umoristica – è ancor più spiazzante. Fuori genere, è inclassificabile, anche per questo suscita ulteriore ilarità. O un rifiuto. O un‟incontenibile attrazione.5

In alcuni quotidiani si riscontra la tendenza a utilizzare il confronto con Crash con lo scopo di svalutare i cannibali italiani, criticati per non essere “abbastanza horror” o abbastanza profondi nel trattare le nevrosi e le perversioni, qualità invece riconosciute al film di Cronenberg. Michele Serra in “La Repubblica” prende spunto dal film di Cronenberg per fare una riflessione sullo stato di salute della narrativa italiana, massacrando gli “spaghetti splatter” italiani, con chiaro riferimento ai cannibali italiani:

4

Gianni Canova, David Cronenberg, Milano, Il Castoro, 2000, p. 6.

111 Considerato il ritmo parossistico con il quale si succedono le tendenze culturali, è oramai una old wave quella che allaga di sangue, sperma e droga il cinema e la letteratura recente, continuamente aggiornata, come le pagine gialle, da nuove voci e rantoli. Ultimo il film di Cronenberg (gran regista, tra l'altro) sul disastro automobilistico come suprema opportunità d'orgasmo, una specie di Impero dei sensi indifferente all'air-bag. I critici, i lettori e gli spettatori avranno il loro bel daffare a distinguere i bravi (ce ne sono parecchi) dai furbi (ce ne sono tantissimi), gli innovatori dai manieristi, perché naturalmente Cronenberg non è Brizzi che non è Trainspotting che non è la Santacroce, né gli incubi da indigestione di ragù di alcuni tra i minori splatters nostrani hanno a che fare con le asciutte nevropatie, mettiamo, di uno Stephen King. (Certe spensierate turbe della recente narrativa italiana fanno pensare più ai peti di Alvaro Vitali che ai volti allucinati di Anthony Perkins o Jeremy Irons).6

Anche Natalia Aspesi sempre in “La Repubblica” menziona i cannibali italiani in riferimento al film di Cronenberg, il metro di paragone è l‟horror, quello giudicato vero in Crash e quello definito fasullo del pulp italiano :

Lo sconsiglierei anche ai nuovissimi giovani scrittori italiani pulp, tipo Santacroce, Ammaniti, Campo, Caliceti, e i loro seguaci, che con tutti i loro stupri e scopate e splatter, non sopporterebbero forse il vero horror: sia quello atroce di Ballard, dal cui romanzo di culto del ‟73 il film è tratto […], che quello levigato e ironico di Cronenberg.7

Definire Crash «levigato e ironico» è sicuramente errato. Al di là dei punti di contatto tra il film di Cronenberg e la narrativa cannibale, c‟è una sostanziale differenza e riguarda il fatto che in Cronenberg non vi è alcuna traccia di ironia: per tutta la durata infatti il film mantiene un tono severo e grave. Ed è per questo che il film è stato marchiato come pericoloso, manca infatti di quell‟ironia e di quel tono farsesco di cui sono abbondantemente muniti i cannibali italiani. Va invece condivisa l‟idea di Aspesi nel considerare Crash un «vero horror», in quanto il film stesso ha la pretesa di esserlo, mentre l‟horror dei cannibali è fondato sull‟autoironia e sulla comicità tragi-comica.

6

Michele Serra, Dacci oggi il nostro sangue quotidiano, in “La Repubblica”, 1996, 13 novembre. 7 Natalia Aspesi, Consigli per vedere Crash, in “La Repubblica”, 1996, 18 novembre.

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