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Iniziando con il delineare la situazione che si palesava ai nostri occhi nel periodo ante- crisi, facendo dunque un throwback temporale che spolveri un periodo ormai lontano e quasi dimenticato, surclassato da mille vicende e vicissitudini che ci hanno portato a concentrarci su presente e futuro alla ricerca continua di arginare problemi economici e finanziari talvolta incolmabili, pensiamo ora al periodo che va dal 2000 al 2007.

In Italia la situazione era buona, PIL nominale in costante crescita annua per tutti sette gli anni e una stabilità interna che portava sicurezza e tranquillità senza recare alcun timore per quello che si sarebbe rivelato un avvenire minaccioso. La base della nostra economia era solida ed era appoggiata da una sostanziosa domanda interna e da un basso aiuto derivante dalle esportazioni nette.

Passando ora al periodo successivo, le cose cambiarono drasticamente, in una maniera così repentina che la situazione sfuggì di mano e ci fu un improvviso tracollo economico. Questo portò, chiaramente, a un’evoluzione negli equilibri economici nazionali che videro uno stravolgimento della situazione sopra descritta con un adattamento alle economie estere a dir poco fondamentale.

Nel periodo della crisi 2007-2012 furono proprio le esportazioni nette a guidare l’economia italiana, a fronte di un PIL nominale con variazioni nulle di anno in anno e di una domanda interna prima onnipresente e poi in costante crollo.

Anche gli equilibri e i pesi percentuali sul totale dei beni esportati dall’Italia sono cambiati secondo le destinazioni e con la crisi finanziaria si sono aperti canali di sbocco delle nostre merci sempre più lontani e complessi.

Analizzando la situazione generale delle spedizioni nazionali, con l’inizio del nuovo millennio l’export italiano intra-UE è diminuito per far spazio a destinazioni nuove con margini di profitto maggiori e flussi di ricavi in costante incremento (37% nel 2012). Chiaramente il mercato comunitario continuerà sempre a ricoprire un ruolo basilare per le nostre esportazioni perché si tratta, per semplicità, di un’estensione del mercato interno comoda per le imprese, senza limitazioni normative, né dazi doganali che ne impediscano o frenino gli scambi.

Oltre al mercato europeo ci sono poi altre aree geografiche meta delle nostre esportazioni. Esse sono diventate particolarmente importanti subentrando nel periodo della crisi come risposta alle esigenze del nostro mercato interno in piena evoluzione.

Possiamo classificare queste destinazioni secondo il loro grado di lontananza e diversità rispetto alle mete comuni. Dunque, oltre al mercato intra-UE, si è aggiunto quello extra-UE tra paesi avanzati e verso i paesi emergenti, vera novità portata dalle esigenze del periodo di crisi.

Si è già detto che il commercio con i paesi europei era appunto cosa consolidata, in quanto “semplice estensione” del mercato italiano interno. Un secondo grado d’internazionalizzazione si presentò con l’aumento degli scambi di beni con i paesi avanzati fuori dall’Unione europea. Essi erano già meta delle nostre esportazioni in precedenza e quindi non hanno rappresentato una novità per le nostre imprese che hanno incrementato le spedizioni verso essi con quasi la medesima difficoltà riscontrabile nel commercio comunitario. L’attrattiva principale di questi Paesi è dovuta alla loro stabilità politica ed economica che facilita gli scambi e a un rischio di cambio controllato dalla stabilità delle valute globali.

La vera novità per l’Italia fu l’apertura al commercio con i Paesi emergenti. È qui che la sfida diventò più difficile perché l’alto rischio dovuto all’affacciarsi in questi mercati portava sì grosse difficoltà ma allo stesso tempo margini consistenti. D’altronde si sa che maggiore è il rischio e maggiori sono i ricavi. Il grado di complessità derivante dal commercio con i Paesi emergenti era delineato da una molteplicità di fattori come le diverse valute (talvolta instabili), dazi e barriere in entrata e uscita, rischi operativi elevati, distanze sia geografiche che culturali e rischi politici e tipici del credito. L’apertura a questi mercati fu, dunque, molto rischiosa ma portò risposte forti e continuò a crescere di anno in anno fino a raggiungere, nel 2012, la quota delle esportazioni italiane con peso maggiore, ben 38,5%.

Oggi, questo processo di riposizionamento continua ancora e a livelli sempre più intensi, le imprese italiane sono presenti ormai in tutto il Mondo e quelli che prima erano mercati emergenti con difficoltà economico-politiche importanti, ora sono mercati di sbocco solidi e dinamici. Gli equilibri commerciali sono in continuo cambiamento, ma l’aspetto interessante è che l’affermarsi di questi mercati si è consolidato proprio durante il periodo della crisi, che ha portato a uno stravolgimento oltre che degli equilibri nazionali, anche di quelli internazionali.

I problemi di tipo economico e finanziario che danneggiarono fortemente i Paesi avanzati portarono conseguentemente a un rafforzamento di quelli emergenti con picchi nei trend raggiunti nel 2013. In quell’anno si verificò proprio un capovolgimento dei trend di crescita tra i Paesi avanzati, fortemente danneggiati dalle crisi economico-finanziarie e quindi in

continua perdita, e quelli emergenti, meta alternativa delle imprese in cerca di sbocchi commerciali nuovi, che fecero registrare un netto ribaltamento nel rapporto sul PIL globale. Questo trend definì dunque il periodo in esame, ma la tendenza non fu costante perché se analizziamo gli anni successivi fino a oggi, il peso dei Paesi avanzati sull’economia mondiale è tornato ad avere l’incidenza principale, a discapito dei Paesi emergenti che giocano spesso un ruolo di “appoggio produttivo”, questo a conferma che prevedere le evoluzioni delle economie in un sistema globale è molto difficile e bisogna tener conto di molteplici aspetti, talvolta difficilmente immaginabili.

Più semplice è, invece, analizzare i processi di cambiamento e trasformazione che hanno subito le economie in periodi passati ed è quello che verrà affrontato nelle prossime pagine di questo scritto. L’analisi ora verterà in maniera specifica sui fattori e sulle cause che hanno portato l’export a modificare considerevolmente i suoi equilibri durante un periodo di crisi e recessione profonda che hanno attanagliato, e in parte ancora oggi, le principali economie globali.