All’esame dei rapporti intercorrenti fra domanda di arbitrato e prescrizione si accompagna, inevitabilmente, stante la vicinanza della materia, l’analisi delle ripercussioni che il suddetto atto introduttivo può avere sull’impedimento della decadenza. I due istituti sono spesso trattati congiuntamente poiché entrambi si riferiscono agli effetti che il tempo può avere sulle sorti di determinate situazioni giuridiche soggettive.
Tralasceremo le disquisizioni dottrinali che da sempre si avvicendano sul punto, in particolare per ciò che attiene ad analogie e differenze fra le rispettive discipline133. Tuttavia, taluni brevi cenni di carattere teorico sono imprescindibili per il prosieguo della trattazione.
Innanzi tutto, si rammenta che la ratio ispiratrice degli art. 2944 ss. c.c., nonché delle plurime disposizioni (non solo codicistiche) che prevedono termini decadenziali, è quella di evitare l’eccessiva pendenza nel tempo dei rapporti giuridici, da cui scaturisce la necessità che l’esercizio del diritto avvenga entro tempi determinati e perentori, pena la preclusione del suddetto esercizio e l’estinzione della situazione giuridica soggettiva134, e ciò, lo si rammenta, per il solo fatto oggettivo dell’inerzia del titolare protrattasi oltre un determinato termine (legale o convenzionale).
133 In primis, MOLFESE, op. cit., 15 ss.
134 AA.VV. (BRECCIA et al.), Diritto privato, Torino, 2010, 1307; TORRENTE –SCHLESINGER,
Capitolo II
Argomentando a contrariis, la decadenza può essere evitata qualora il titolare del diritto si faccia carico, con esito positivo, dell’onere di esercitarlo tempestivamente attraverso il compimento di atti determinati in via legale o pattizia, entro le scadenze fissate con le medesime modalità. Fra tali atti rientra, pacificamente, la domanda giudiziale: essa consente, a chi la propone, di affermare, con le forme processuali rigorosamente prestabilite dalla legge, un proprio diritto nei confronti di un altro soggetto, che ne nega la titolarità ovvero ne ostacola l’esercizio135.
È da capire, dunque, se anche sotto questo profilo può ritenersi effettiva la generale equiparazione che spesso ricorre fra domanda giudiziale ed arbitrale136.
Non soccorre, a questo proposito, la riforma del 1994137, intervenuta su alcune disposizioni specifiche (che abbiamo già visto) la cui applicazione estensiva alle fattispecie in essa non espressamente trattate è stata oggetto di posizioni assai contrastanti. In proposito, vale ricordare una pronuncia della Suprema Corte a detta della quale la domanda di accesso agli arbitri avrebbe natura diversa dalla domanda giudiziale e sarebbe ad essa sarebbe assimilabile «solo in relazione a determinati effetti, specificamente precisati nella novella del 1994»138: ergo, non anche in materia di impedimento della decadenza.
A tale pronuncia è stata opposta una ferma critica da parte di coloro che vi hanno ravvisato un’incongruità, nonché «un costo […] inaccettabilmente alto»139 da
135 Fra i termini di decadenza previsti dal codice civile possono applicarsi alla domanda
arbitrale l’art. 24, comma III, c.c. (recesso ed esclusione degli associati), gli artt. 802 e 804 c.c. (revocazione della donazione rispettivamente per ingratitudine e per sopravvenienza di figli), l’art. 1168 c.c. (azione di reintegrazione), l’art. 1170 c.c. (azione di manutenzione), l’art. 1519, comma I, c.c. (restituzione di cose non pagate), gli artt. 1667 e 1669 c.c. (rispettivamente azione contro l’appaltatore per difformità e vizi dell’opera e per rovina e difetti di cose immobili), l’art. 1698 c.c. (estinzione dell’azione nei confronti del vettore); nell’arbitrato in materia di diritto del lavoro, l’art. 2113 c.c. (impugnazione di rinunzie e transazioni da parte del prestatore di lavoro) e, nella normativa speciale, l’art. 6 legge n. 604/1966 (impugnazione del licenziamento) e l’art. 7, comma VI, legge n. 300/1970 (procedimenti disciplinari).
136 Per una generale equiparazione, in giurisprudenza, Cass., sez. I civ. 25 luglio 2002, n.
10922, in Foro it., 2002, I, 2919; in dottrina, BORGHESI, La domanda di arbitrato, in CARPI (diretto
da), op. cit., 312.
137 Già in epoca anteriore alla riforma mostrava il proprio favor per l’idoneità della domanda
arbitrale ad impedire il verificarsi di una decadenza, anche quando questa è esclusa da un atto
giudiziale, CECCHELLA, L’arbitrato, 1991, op. cit., 192.
138 Cass., sez. I civ., 26 marzo 2003, n. 4463, in Foro it., 2003, I, 2083 e in Corr. giur., 2005,
57, con nota di FACCIOLI, Risoluzione per inadempimento ex art. 1453, commi 1 e 2, c.c. ed
arbitrato: una stupefacente ma coerente decisione della suprema corte.
Gli effetti sostanziali della domanda di arbitrato
far pagare all’arbitrato rispetto alla giurisdizione ordinaria. Parimenti, si è affermato che «un’interpretazione rigida della nuova normativa, che riduca gli effetti della domanda qualificata di arbitrato a quelli specificamente menzionati, lascerebbe sussistere soluzioni opinabili»140. Si è già chiarito come, per impedire il maturarsi di una decadenza, sia necessario l’esercizio del diritto, entro termini perentori, da parte del suo titolare: dunque, si badi bene, non un’attività esterna di terzi né un mero fatto giuridico141. È pur vero che la domanda di arbitrato non è espressamente prevista fra gli atti idonei ad impedire una decadenza nell’attuale normativa codicistica, ma è facile obiettare che neanche il suo analogo giudiziale lo è, in via generale. E neppure, ad onor del vero, nelle singole fattispecie via via individuate nella disciplina di diritto sostanziale, che spesso richiama semplicemente la “domanda”, senza specificare altro.
A ciò si aggiunga che qualsiasi domanda (intesa nell’accezione processualistica del termine) consente di far valere una pretesa, anzi, per meglio dire, di esercitare un diritto, oltre ad essere idonea all’instaurazione di un procedimento volto all’emanazione di un provvedimento di merito. Ma questa definizione altro non è che quella fatta propria dalla riforma del 1994, che, seppure limitandosi a tre settori determinati, delinea una tipologia di domanda arbitrale che assorbe in sé il contenuto appena visto e vi aggiunge, al contempo, gli ulteriori elementi della nomina dell’arbitro e della necessità che tale atto, per produrre certi effetti, sia notificato alla controparte.
Una recente pronuncia dei giudici di merito ha trattato la questione dell’introduzione dell’arbitrato entro un termine previsto, in via convenzionale, a pena di decadenza. Vale la pena di approfondirne, seppur sommariamente, il contenuto.
L’Università degli Studi della Basilicata (convenuta) aveva stipulato una convenzione nei confronti dei professionisti che avrebbero prestato, in suo favore, la loro opera intellettuale; fra le varie pattuizioni si includeva una clausola
140 SALVANESCHI, op. ult. cit., 665. Sempre in senso favorevole all’equiparazione fra
domanda giudiziale ed arbitrale, anche in tema di impedimento della decadenza, SALETTI, La
domanda di arbitrato e i suoi effetti, op. cit., 678.
141 In SALVANESCHI, op. ult. cit., 666, nt. 13 si richiama, in senso critico, la soluzione
prospettata da VERDE, Effetti sostanziali e processuali dell’atto di nomina dell’arbitro, op. cit., 298,
ove l’effetto impeditivo della decadenza veniva ricollegato al «solo fatto che il procedimento è iniziato».
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compromissoria ai sensi della quale le controversie future relative alla liquidazione dei compensi (e non definibili in via amministrativa) sarebbero state deferite ad un collegio arbitrale «nel termine di trenta giorni da quello in cui fu notificato il provvedimento amministrativo». Il Tribunale di Potenza, nell’aderire alla difesa dell’ente convenuto, ha innanzi tutto confermato la legittimità della previsione, in via convenzionale, in un termine entro cui adire gli arbitri e ciò in virtù della libertà concessa alle parti quanto allo stabilire le norme da osservare nel corso del procedimento (art. 816, comma II, c.p.c., nella formulazione anteriore alla riforma del 2006, oggi recepito nell’art. 816 bis, comma I, c.p.c.); ma, soprattutto, ha ravvisato in tale previsione un termine decadenziale, seppure in assenza di una espressa previsione in tal senso: infatti, secondo una giurisprudenza consolidata, «per affermare la natura decadenziale di un termine, previsto dalla legge o da un negozio, non è necessario che sia espressamente prevista la decadenza, essendo sufficiente che, in modo chiaro ed univoco, con riferimento allo scopo perseguito e alla funzione che il termine è destinato ad assolvere, risulti, anche implicitamente, che dalla mancata osservanza derivi la perdita del diritto (ex plurimis: Cass. 15 settembre 1995, n. 9764; Cass. 26 giugno 2000, n. 8680)». Nella fattispecie, essendosi dimostrata, la parte attrice, inerte nell’adire la tutela arbitrale nel termine pattuito, il Tribunale lucano l’ha dichiarata inesorabilmente decaduta dall’esercizio del diritto142.
Merita di essere sottolineata l’argomentazione posta a conclusione della pronuncia in esame, nella parte in cui, in modo del tutto innovativo, espressamente riconosce l’estensione della decadenza prevista per il procedimento arbitrale al giudizio ordinario poiché, se così non fosse, si verificherebbe una vera e propria elusione della clausola compromissoria: infatti, conservando la facoltà di instaurare il giudizio ordinario anche oltre il temine previsto in via convenzionale, «la parte incorsa nella decadenza verrebbe a beneficiare di una sorta di (automatica) rimessione in termini per la tutela del proprio diritto».
Trattasi di un’affermazione tutt’altro che scontata, eppure meritevole di condivisione anche nell’ottica di favorire il ricorso alla forma di tutela oggetto del nostro studio: ci si riferisce, in particolare, ad una sentenza della giurisprudenza di
Gli effetti sostanziali della domanda di arbitrato
legittimità143 che, uniformandosi ai propri precedenti144, ha negato che un’analoga estensione di disciplina potesse aversi nell’ipotesi inversa, ossia dal giudizio ordinario a quello arbitrale. Nello specifico, la Suprema Corte ha affermato che la clausola compromissoria societaria comporta la sostituzione del procedimento arbitrale a quello di opposizione, presso l’autorità giudiziaria, avverso la delibera di esclusione del socio dalla società in accomandita semplice (art. 2287 c.c.), con il conseguente venir meno del termine legale di decadenza di trenta giorni dalla comunicazione della delibera. Tale termine, secondo la Corte, sarebbe incompatibile con la struttura del procedimento innanzi agli arbitri poiché la nomina di questi ultimi, se non già contenuta nel patto compromissorio, potrebbe richiedere tempi assai maggiori di trenta giorni (specie se per la loro nomina deve usufruirsi dell’intervento del Presidente del Tribunale).
Chiarito che l’atto introduttivo del procedimento de quo è idoneo ad impedire il verificarsi delle decadenze se notificato145 entro i termini di volta in volta previsti, non deve dimenticarsi che il giudizio che ne scaturisce può sfociare in un provvedimento di rito, di merito ovvero addirittura estinguersi, con una casistica decisamente articolata che si ripercuote in misura assai diversa sull’effetto che costituisce l’oggetto del presente paragrafo. Non a caso, si è sostenuto che ad evitare la decadenza non è la notificazione della domanda in sé (ossia, lo si anticipa, il prodursi della litispendenza), bensì la procedura che ne scaturisce146.
Nessun particolare problema scaturirà da un lodo di merito, a prescindere dal suo contenuto di rigetto o di accoglimento: la sua emissione consoliderà definitivamente l’impedimento della decadenza, già maturato con la domanda.
Lo stesso non può dirsi di un lodo di rito. Per ciò che attiene al giudizio ordinario, la soluzione comunemente adottata è nel senso di escludere che il provvedimento declaratorio di incompetenza o di carenza di giurisdizione provochi alcun effetto sul decorso dei termini di decadenza147. Questa conclusione,
143 Cass., sez. I civ., 12 novembre 1998, n. 11436, in Foro it., 1998, I, 3692.
144 Cass., sez. I civ., 30 marzo 1984, n. 2084, in Foro it., 1985, I, 2984.
145 In tal senso, TRISORIO LIUZZI, La fase introduttiva del procedimento arbitrale, op. cit.,
713; ID., La riforma della fase introduttiva del procedimento arbitrale, op. cit., 81; SALVANESCHI (a
cura di), Arbitrato, op. cit., 84.
146 BORGHESI, op. ult. cit., 313.
147 Trib. Venezia, 27 settembre 1983 in Dir. maritt., 1983, 882; Cass., sez. I civ., 23 marzo
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completamente divergente da quella acquisita in materia di prescrizione, è stata tuttavia temperata dall’istituto della translatio iudicii, per cui la riassunzione della causa inizialmente promossa innanzi al giudice incompetente dinanzi a quello munito di potestas iudicandi impedisce la decadenza del diritto fatto valere. Tuttavia, lo si rammenta, tale ultimo istituto non opera in arbitrato, per espressa previsione di legge (art. 819 ter, comma II, c.p.c.): così, in giurisprudenza, si è asserito che l’eterogeneità del processo arbitrale rispetto a quello ordinario porta ad escludere sia che essi possano dar vita ad un rapporto processuale unitario, sia che agli arbitri sia consentito indicare il giudice da essi ritenuto competente (scelta resa comunque inoperante dalla mancanza di vincoli tra arbitri e giudici ordinari). Il tutto, con conseguente statuizione dell’inidoneità dell’atto introduttivo del giudizio arbitrale ad impedire l’avverarsi della decadenza del diritto ivi dedotto, nonché dell’improduttività della pretesa riassunzione148.
Infine, qualora il procedimento arbitrale si estingua, e dunque non si giunga all’emissione di un lodo, la domanda sarà travolta dall’inefficacia (al pari degli altri atti processuali) e, con essa, gli effetti tutti che ne derivano149. Potremmo aggiungere che è proprio la fattispecie estintiva quella in cui, più che in ogni altra, si coglie la portata del collegamento fra la domanda arbitrale e l’instaurazione di un rapporto di carattere processuale, che solo ove mantenuto sino alla pronuncia di merito consente, alla prima, di spiegare appieno la sua portata, anche, e non da ultimo, in riferimento alla decadenza.
In conclusione, sia consentita un’ulteriore considerazione. Quando si affronta la tematica della compatibilità fra l’istituto della decadenza e l’atto che introduce il procedimento innanzi agli arbitri, si tende a soffermarsi solo sull’idoneità o meno di quest’ultimo ad impedire il maturarsi della prima, così trascurando che può esso stesso costituire un dies a quo per il decorrere di taluni termini decadenziali. Il principale è quello previsto dall’art. 810 c.p.c. a proposito della nomina degli arbitri (ripreso nell’art. 811 c.p.c., per applicarlo alla fattispecie della loro sostituzione),
148 Cass., sez. II civ., 27 maggio 1961, n. 261, in Foro it., 1962, I, 1123 ss. e in Giust. civ.,
1961, I, 1836, con nota di SAMMARCO.
149 Con riferimento all’estinzione del procedimento promosso innanzi all’autorità giudiziaria
ordinaria, ma addivenendo a conclusioni che perfettamente si adattano al procedimento arbitrale, v.
Gli effetti sostanziali della domanda di arbitrato
ove si stabilisce che la parte che riceve l’invito (dall’avversario) a procedere alla nomina deve notificare le generalità dei componenti del collegio a sua volta da lei designati «nei venti giorni successivi» alla ricezione dell’invito. Invito che, a nostro avviso, può sia consistere in un atto autonomo e atipico, ossia in una mera nomina, priva di particolari formalità, sia essere assorbito dalla domanda arbitrale ex art. 669 octies, comma V, c.p.c., che appunto include, fra i suoi elementi costitutivi, la nomina degli arbitri. Sebbene la norma taccia sul punto, si ritiene plausibile ritenere che raramente, alla nomina, non si accompagni l’invito alla controparte a provvedere in egual modo: ove ciò si verifichi, va da sé che la domanda, rectius, la sua notifica costituirà l’atto da cui decorre il termine iniziale di decadenza previsto negli artt. 810 - 811 c.p.c.
Questa, dunque, la disciplina degli effetti dell’atto introduttivo del procedimento arbitrale in tema di impedimento delle decadenze, sinora lasciata all’elaborazione dottrinale giurisprudenziale e per la quale sarebbe auspicabile uno specifico intervento normativo: esigenza già soddisfatta per ciò che attiene alla domanda di mediazione (art. 5, comma VI, d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28)150 e che, tuttavia, tarda ad avere analogo riconoscimento nel procedimento arbitrale.