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Possesso e diritti reali

La nostra trattazione relativa agli effetti sostanziali della domanda di arbitrato si avvia verso la conclusione. Analizzati gli effetti generali, ossia idonei a prodursi in tutte (o quasi) le controversie assoggettabili alla forma di A.D.R. in commento, l’oggetto della nostra ricerca va, ora, a restringersi, per focalizzarsi sugli effetti sostanziali che si producono in relazione solo ad alcune controversie.

Infatti, ove si ponga mente agli effetti sinora analizzati, pressoché in tutte le liti si verificheranno l’interruzione e la sospensione della prescrizione relativa al diritto fatto valere. Parimenti, non si vedono limitazioni oggettive (nel senso

150 «Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce

sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo.»

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proprio del termine, ossia di “oggetto” della domanda) nella possibilità di introdurre un giudizio di merito innanzi agli arbitri a seguito dell’esperimento della tutela cautelare presso i giudici ordinari. Più ristretto, invero, è l’ambito applicativo degli effetti in tema di trascrizione e impedimento delle decadenze: i primi, infatti, si produrranno esclusivamente nelle controversie di cui agli artt. 2652 - 2653 c.c., che racchiudono, comunque, una casistica assai ampia ed eterogenea; i secondi, invece, avranno una portata limitata alle liti per le quali è espressamente previsto un termine decadenziale.

Giungiamo così, come si accennava, restringendo ulteriormente il nostro campo di indagine, agli effetti che la domanda di arbitrato produce nell’ambito del possesso e dei diritti reali; ci soffermeremo, poi, nel successivo paragrafo, sui rapporti intercorrenti con l’istituto dell’anatocismo.

Occorre, tuttavia un’ulteriore precisazione di carattere preliminare: nessuna fra le disposizioni di legge che ci accingiamo ad esaminare fa riferimento alla domanda di arbitrato, ma, piuttosto, a quella “giudiziale”. Così, l’art. 1148 c.c., ove si stabilisce che «Il possessore di buona fede fa suoi i frutti naturali separati fino al giorno della domanda giudiziale e i frutti civili maturati fino allo stesso giorno. Egli, fino alla restituzione della cosa risponde verso il rivendicante dei frutti percepiti dopo la domanda giudiziale e di quelli che avrebbe potuto percepire dopo tale data, usando la diligenza di un buon padre di famiglia». Parimenti, l’art. 1283 c.c. (oggetto del prossimo paragrafo), il quale sancisce il principio per cui «In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi».

Pertanto, nel silenzio del legislatore (un silenzio che, lo abbiamo già notato, permane immutato su molti, forse troppi, fronti), non resta che fare ricorso all’analogia legis, cercando di comprendere, innanzi tutto, la ratio che ha animato l’approvazione delle norme poc’anzi citate e, in particolare, di quelle attinenti all’acquisto dei frutti da parte del possessore di buona fede. Sebbene tale forma mentis appaia, ad avviso di chi scrive, l’unica percorribile anche da un punto di vista di metodo e rigore scientifico, si incorrerebbe in una grave trascuratezza

Gli effetti sostanziali della domanda di arbitrato

qualora si omettesse di menzionare che da più parti, in dottrina151 e in giurisprudenza152, si è affermato, puramente e semplicemente, che la domanda di accesso agli arbitri ha una valenza generale ed è idonea a produrre tutti gli effetti sostanziali e processuali di quella innanzi all’autorità giurisdizionale. Secondo altre opinioni, più caute, alla suddetta equiparazione «va assegnata portata non generale, ma neppure limitata ai tre soli casi espressamente regolati dalla nuova legge, bensì estesa a ogni effetto, quantomeno di natura sostanziale»153.

In realtà, a nostro modesto parere, le impostazioni di tal genere non appaiono del tutto soddisfacenti poiché, per quanto autorevoli, sembrano dare per scontate una serie di considerazioni che scontate non sono affatto. Infatti, esse non si preoccupano di verificare qual è la ratio ispiratrice dell’art. 1148 c.c., né, una volta individuatala, si soffermano sulla sua compatibilità rispetto alla domanda di arbitrato.

Un’analisi di questo tipo appare invece opportuna, se non altro perché, lo si ripete, il legislatore è silente sul punto e, nel solco di tale silenzio, assai spesso l’art. 1148 c.c. è stato oggetto di approfondimento facendo esclusivo riferimento alla domanda giudiziale154.

La ragion d’essere della disposizione innanzi citata è generalmente ricondotta all’esigenza («pratica di intuitiva importanza») di salvaguardare il diritto di cui si chiede la tutela dal pregiudizio che potrebbe derivare dalla durata del processo, pericolo che viene scongiurato facendo retroagire gli effetti della sentenza alla

151 BORGHESI, La domanda di arbitrato, in CARPI (diretto da), op. cit., 312, per cui «la domanda di arbitrato deve avere una struttura del tutto simile a quella giudiziale e, dall’altro, che la prima produce gli effetti tipici della seconda. La qual cosa sembra aver eliminato i numerosi dubbi precedentemente sollevati sulla completa equiparazione della domanda arbitrale a quella giudiziale, con quello che ne consegue anche in ordine agli effetti che non trovano specifica menzione nella

legge». Già in precedenza, MIRABELLI –GIACOBBE, Diritto dell’arbitrato. Nozioni generali, Napoli,

1997, 55. Nel senso di una generale equiparazione, seppure con particolare menzione dell’istituto

della litispendenza, RONCO, op. cit., 1394 s. (riguardo alla litispendenza).

152 Cass., sez. I civ., 25 luglio 2002, n. 10922, cit.; Cass., sez. I civ., 8 aprile 2003, n. 5457, in

Giur. it., 2004, 1391, con nota di RONCO, op. cit.

153 DELLA PIETRA, op. ult. cit., 125. Dello stesso avviso TOMMASEO, op. cit., 175, il quale, nel commentare la legge n. 25/1994, ha ridimensionato la portata dell’intervento di riforma, asserendo che con esso si è voluto perseguire lo scopo di estendere alla domanda di arbitrato «l’applicazione delle regole sugli effetti della domanda giudiziale, o almeno di alcuni fra essi».

154 A mero titolo di esempio, Cass., sez. II civ., 21 aprile 1988, n. 3097, in Giust. civ. Mass.,

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proposizione della domanda155. Per meglio dire, il legislatore si è ispirato alla regola processuale (già vista in riferimento all’interruzione e sospensione della prescrizione, nonché alla trascrizione156) per cui l’efficacia della sentenza retroagisce al momento della proposizione, ossia della notifica, dell’atto introduttivo del procedimento. Detto principio è idoneo ad essere applicato all’arbitrato in via generale e dunque anche in relazione alle fattispecie possessorie.

A questo punto si pongono due questioni: l’una, concernente le ragioni per le quali la norma sceglie di utilizzare come parametro temporale di riferimento proprio l’atto introduttivo; l’altra, che si propone di comprendere quale debba esserne il contenuto, negli elementi del petitum e della causa petendi, ai fini della produzione degli effetti de quibus.

Una risposta al primo interrogativo si rinviene nell’idoneità della domanda di far venir meno gli effetti della buona fede del possessore, che a decorrere dal momento della ricezione della notifica di tale atto è posto in grado di conoscere la difformità della situazione possessoria dal diritto157.

Appare evidente che ad un simile risultato, per così dire, “conoscitivo” si perviene non solo con la domanda giudiziale, ma anche con quella arbitrale. Nel corso di questa trattazione si è avuto modo di chiarire quali dovrebbero essere gli elementi caratterizzanti il contenuto della domanda arbitrale ex art. 669 octies, comma V, c.p.c. (nonché dalle altre disposizioni novellate dalla legge n. 25/1994): dichiarazione di voler promuovere il procedimento, proposizione della domanda e nomina degli arbitri. Ciò che a noi più interessa è il secondo fra i tre requisiti appena elencati: infatti, applicando i principi processual-civilistici, se per “domanda” deve intendersi l’atto identificativo di soggetti, petitum e causa petendi, è agevole intuire che i suddetti tre elementi sono presenti non solo nelle domande giudiziali, ma anche in quelle arbitrali. Così, non appena si individua l’oggetto della

155 NATOLI, Il possesso, Milano, 1992, 179; TOMASSETTI, Il possesso, Torino, 2005, 465; SCIOLI, Il possesso, Torino, 2002, 83; RISI, Il possesso, Milano, 2012, 315; MONTEL, voce «Possesso (diritto civile)», in Noviss. Dig. it., XIII, Torino, 1966, 380.

156 V. supra, in questo capitolo, par. 2.

157 Cass., sez. III civ., 4 luglio 1975, n. 2610, in Giust. civ. Mass., 1975, 1220. È stato

osservato che non rileva il fatto che il procedimento scaturito dalla domanda si concluda con una pronuncia di rito (e, nella fattispecie, di incompetenza); in tal senso, anche Cass., sez. I civ., 5 aprile 1974, n. 956 in Giust. civ. Mass., 1974, 444 (s.m.), e, per esteso, in Dir. fall., 1975, II, 46 ss. In

Gli effetti sostanziali della domanda di arbitrato

pretesa azionata in arbitrato e lo si mette a conoscenza dei soggetti che costituiscono la controparte del procedimento, non si vede come si possa affermare che un atto siffatto sarebbe inidoneo a far venir meno gli effetti della buona fede del possessore. In buona sostanza, quest’ultimo, convenuto in arbitrato, sarà sottoposto, in caso di accoglimento158 della domanda e alla stregua di quanto accade nel giudizio ordinario, a restituire all’attore i frutti maturati a far data dalla notifica dell’atto introduttivo.

A questo punto, non resta che indagare (ed ecco che ci accingiamo a rispondere al secondo interrogativo) circa l’oggetto della pretesa azionata innanzi agli arbitri e idonea a produrre gli effetti ex art. 1148 c.c.

La problematica ha avuto una risposta affatto univoca.

Secondo una prima impostazione, la domanda a cui l’art. 1148 c.c. si riferisce dovrebbe essere quella che ha come petitum il pagamento dei frutti e non il più generico oggetto di rilascio o restituzione del bene159, rispetto al quale la corresponsione dei frutti potrebbe essere una mera conseguenza. Talvolta si è sostenuto che, nella necessità che la domanda debba includere la richiesta dei frutti e non sia diretta ad altro oggetto, alla citazione è equiparabile «ogni esperimento di pretesa in uno dei modi consentiti dalla legge»160: ergo, anche l’atto introduttivo del giudizio arbitrale, in un’ottica di indubbio favore per quest’ultimo.

Sempre ispirata da un fermo rigore, altra e diversa opinione si è basata sull’interpretazione letterale dell’art. 1148 c.c. nella parte in cui utilizza il termine “rivendicante” per limitare l’ambito di applicazione di tale norma alla sola azione di rivendicazione (art. 948 c.c.), a disposizione di chi intende ottenere il riconoscimento del suo diritto di proprietà e conseguire il possesso di un bene nei confronti di chi lo detiene o possiede. Anche aderendo a questa seconda teoria non

158 La precisazione, per quanto prima facie scontata, è in realtà opportuna. Infatti, se non

sembrano esservi grandi questioni circa le conseguenze del rigetto dell’azione proposta contro il possessore (il quale non sarà obbligato a restituire i frutti in favore dell’attore), più delicato è il problema attinente all’ipotesi di estinzione del giudizio. Si è affermato, in proposito, che agli effetti della buona fede potrebbe porsi fine solo con una nuova e successiva domanda soltanto a decorrere

dalla quale potrebbe decorrere l’obbligo di restituzione dei frutti. SCIOLI, op. cit., 88; NATOLI, op.

cit., 179. Per i casi di estinzione del procedimento arbitrale si rinvia alle osservazioni in tema di

sospensione e interruzione della prescrizione, supra, in questo capitolo, par. 1.

159 Cass., sez. II civ., 23 maggio 1992, n. 6224, in Giust. civ. Mass., 1992, 837 (s.m.) e in

Giur. it., 1994, I, 798, con nota di CORSALE, Note in tema di possesso di buona fede e obbligo di

restituzione dei frutti.

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si vede in quale limitazione potrebbe incorrersi ove la domanda sia di tipo arbitrale anziché giudiziale. Infatti, è da escludere che le controversie in materia di diritti reali siano comprese in quelle non compromettibili ai sensi dell’art. 806 c.p.c, dato che esse vertono in materia di diritti disponibili e non si rinvengono particolari disposizioni di legge che ne vietano l’assoggettamento alla forma di tutela in commento.

La tesi oggi prevalente e maggiormente condivisibile è, invece, di più ampie vedute. Essa si fonda sull’assunto per cui la restituzione (nel nostro caso, dei frutti) non debba solo ed esclusivamente basarsi su ragioni di rivendicazione della proprietà, per essere intesa in senso lato ed applicarsi anche a fattispecie diverse, come quelle di ripetizione di indebito oggettivo (art. 2033 c.c.)161. In entrambe le ipotesi, infatti, l’attore vanta un diritto su un bene e agisce per la sua restituzione, ragione per la quale, a nostro dire, sono applicabili i principi di retroattività degli effetti della sentenza al momento della domanda e di cessazione degli effetti della buona fede con la notifica dell’atto introduttivo del giudizio162.

Ancora, si consentirebbe l’applicazione dell’art. 1148 c.c. anche alle azioni di restituzione volte alla riconsegna della cosa «in conseguenza del venir meno del rapporto in base al quale la medesima era stata trasferita»163.

Ipotesi eterogenee, dunque, ma accomunate, oltre che dall’obbligazione restitutoria che consegue all’accoglimento delle rispettive domande, dall’idoneità ad essere devolute alla cognizione arbitrale, vertendo in materia di diritti disponibili

161 Trib. Modena, 23 novembre 2005 in Giurisprudenza locale, Modena, 2006; tra la

giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. III civ., 4 marzo 2005, n. 4745, in Giust. civ. Mass., 2005, 3.

162 COSTA, voce «Domanda giudiziale», in Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1968, 165, per cui la

dovuta restituzione dei frutti da parte del possessore di buona fede «dipende non dall’essere la domanda giudiziale un atto di costituzione in mala fede, ma dal principio che all’attore dev’essere dato ciò che gli sarebbe pervenuto se la legge fosse stata attuata al momento della domanda»; in

senso diametralmente opposto, COLESANTI, op. ult. cit., 253, il quale rinviene nella domanda

arbitrale un atto idoneo a mutare il titolo del possesso: il che, a nostro avviso, altro non è che una conferma del fatto che anche in epoca ben lontana dalla novella del 1994 la domanda di arbitrato poteva far cessare la buona fede del possessore, con conseguente, necessaria restituzione dei frutti percepiti a far data dalla domanda.

163 SCIOLI, op. cit., 87 s. Vedi anche Cass., sez. III civ., 4 giugno 1985, n. 3315, in Resp. civ., 1986, 303, concernente una fattispecie di restituzione di un bene acquisito in forza di un contratto poi dichiarato nullo, alla quale la Corte ha ritenuto di poter applicare l’art. 1148 c.c., seppure a

Gli effetti sostanziali della domanda di arbitrato

ed in assenza di specifici divieti di legge in materia164. Pertanto, non può che condividersi appieno l’impostazione di chi ritiene che con la notificazione dell’atto introduttivo del procedimento arbitrale si producono gli effetti sostanziali di cui all’art. 1148 c.c.165

Un’ultima osservazione in tema di diritti reali. Nel nostro codice civile si rinvengono altre due disposizioni dettate in riferimento alla domanda giudiziale, ma che ben possono estendersi al nostro oggetto di studio. Il riferimento va, in primis, all’art. 948 c.c., già citato. Inoltre, sempre nel silenzio del legislatore, autorevole dottrina ha ritenuto di poter estendere alla domanda arbitrale l’idoneità ad

164 Per completezza, seppur consapevoli che quanto ci accingiamo ad accennare esula in parte

dall’oggetto della nostra trattazione, si ritiene opportuno dare breve conto della divergenza di opinioni registratasi sul punto della compromettibilità o meno, in arbitrato, delle controversie possessorie. Il tema è stato, ed è tutt’ora, al centro di un fervente dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Si scontrano, variamente argomentate, la tesi di chi esclude che detto tipo di liti possa essere devoluto alla cognizione arbitrale e l’opposta impostazione, più recente, di coloro che invece sostengono che nulla osta al fatto che le controversie possessorie possano formare oggetto di giudizio arbitrale. Per il primo orientamento, Cass., sez. III civ., 22 febbraio 1979, n. 1144 in Rep.

Foro it., 1979, voce «Possesso», n. 43; Cass., sez. II civ., 18 agosto 1990, n. 8399, in Giust. civ. Mass., 1990, 1562 s.; Cass., sez. II civ., 16 aprile 1958, n. 1249 in Giust. civile, 1958, 1295 ss., a

detta delle quali la tutela possessoria ha ricevuto dal legislatore una struttura processuale incompatibile con l’arbitrato, che si caratterizza per la mancanza di poteri coercitivi in capo agli arbitri; parimenti, il sistema non tollera né prevede che i provvedimenti di tal guisa possano essere posti nel nulla dalla pronuncia di un privato. Si riferisce alla «peculiarità della controversia» e al «particolare interesse pubblico che il legislatore tende a tutelare» Trib. Vallo della Lucania (ord.), 16

febbraio 1996, in Foro it., 1996, I, 2247. In dottrina, LA CHINA, op. cit., 50, il quale aggiunge che le

controversie possessorie non sarebbero compromettibili perché non relative all’esistenza di un

diritto; BERLINGUER, op. cit., 105. Per il secondo orientamento, Cass., sez. II civ. 2, ottobre 1992, n.

10839 in Rep. Foro it., 1992, voce «Possesso», n. 43, che si fonda sul presupposto che le controversie possessorie possono formare oggetto di transazione ed essere liberamente disposte dalle

parti; in dottrina, PUNZI, op. cit., I, 404;RUBINO SAMMARTANO, op. cit., 344. Non includono le liti

possessorie nell’ambito delle materie non compromettibili BERLINGUER, op. cit., II, né ZUCCONI

GALLI FONSECA, sub art. 806, in CARPI (diretto da), op. cit., 27 ss.; in realtà, quest’ultima Autrice,

sulla scorta del pensiero già a suo tempo elaborato in CECCHELLA, op. ult. cit., 20 ss., asserisce che

una qualche preclusione, se vi fosse, potrebbe derivare dalla struttura del procedimento possessorio, che si caratterizza per una prima fase (necessaria) che per i suoi connotati tipicamente cautelari non può che essere proposta innanzi al giudice ordinario e per una seconda fase (eventuale) la cui cognizione ben può essere devoluta agli arbitri, trattandosi, in effetti, di un giudizio di merito. In ogni caso, a conclusione, una cosa è la competenza ad emettere provvedimenti possessori (che a nostro avviso spetta anche agli arbitri), ben altra è il potere di dar loro attuazione (che spetta solo all’autorità giurisdizionale, la sola ad essere dotata di poteri coercitivi). Degna di nota è anche la

metodologia proposta da PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, op. cit., 394 ss., che propone

di individuare le controversie compromettibili per arbitri in base ad un triplice elemento: quoad

ufficium (determinato con riferimento all’attività del “decidere”), quoad obiectum (determinato in

negativo, per esclusione rispetto alle controversie di cui agli artt. 409 e 442 c.p.c.) e quoad effectum (sempre per esclusione con una relatio generale a tutte le controversie che non possono formare oggetto di transazione); ebbene, ci sembra che anche attraverso l’applicazione di questo triplice valutazione non si possa che optare per l’affermazione dell’arbitrabilità delle controversie possessorie.

165 TRISORIO LIUZZI, La fase introduttiva del procedimento arbitrale, op. cit., 712; ID., La

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interrompere in modo istantaneo l’usucapione, e ciò in base al rinvio compiuto dall’art. 1165 c.c. («Applicazione delle norme sulla prescrizione») rispetto alle disposizioni generali sulla prescrizione, comprensive, dunque, di quelle relative alle sue cause di sospensione e di interruzione. Ma se all’usucapione è applicabile quest’ultima disciplina, comprensiva del novellato art. 2943 c.c., va da sé che la nota equiparazione in esso contenuta è valida e efficace anche ai fini dell’interruzione dell’usucapione166.

Si è, infine, precisato che solo la domanda di arbitrato rituale sia idonea alla produzione dell’effetto da ultimo menzionato, e ciò in quanto vi è un’assimilazione degli effetti del lodo rituale a quelli della sentenza, il che consente di qualificare (a seconda delle opinioni) il compromesso o l’atto di nomina degli arbitri o la formulazione dei quesiti alla stregua di una domanda giudiziale; per converso, analoga soluzione non sarebbe prospettabile per l’ipotesi irrituale, che sfocia in una pronuncia destinata a mantenere i suoi effetti nell’ambito dell’autonomia privata167.