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1. IL MITO DELL’IMPERO NEL FASCISMO ITALIANO

1.4 L’impero tra mito e realtá

La guerra d’Etiopia nell’Italia fascista

Nei paragrafi precedenti si è cercato di evidenziare come l’evoluzione teorico- metodologica avvenuta nelle scienze umanistiche - storiche, filosofiche, sociali - abbia permesso l’apertura di nuovi campi d’indagine concorrenti alla ricerca della completezza della ricostruzione storica. La teoria discorsiva e i suoi corollari, qui declinati nell’analisi del discorso visuale e di quello coloniale, consentono di esaminare la produ- zione culturale del fascismo italiano come costitutiva del suo potere e dell’identità che doveva essere infusa agli italiani nel progetto di costruzione dell’uomo nuovo; questo progetto fu portato avanti anche attraverso l’estetizzazione dell’esperienza politica intesa in termini non semplicemente visuali ma sensoriali, permettendo di descrivere in manie- ra innovativa il rapporto organico che il fascismo instaurò con la società italiana. Queste coordinate metodologiche innovative, se radicate in un lavoro rigoroso di ricostruzione storico-archivistica, possono gettare nuovi e più esaustivi sguardi sulla società e sulla cultura italiana non solo passata ma anche presente, in quanto si può affermare che una coscienza coloniale sia stata creata durante gli anni dell’oltremare e che questa abbia la- sciato delle eredità che hanno influenzato la memoria pubblica e individuale nei decenni successivi agli avvenimenti.169

Entrando nello specifico dell’analisi di questa ricerca, la digressione sulle vicen- de che hanno riguardato la storiografia sul colonialismo italiano svolta attraverso la sin- tesi del percorso accademico di riscoperta di quel periodo ha mostrato come il discorso

coloniale abbia operato non solamente negli anni della colonizzazione formale:

l’orizzonte dell’oltremare non è svanito dalla prospettiva degli italiani, ha semplicemen- te cambiato forma attraverso due meccanismi: da un lato cercando di connotare i propri crimini come prodotti dal fascismo e quindi ascrivibili a quell’esperienza; dall’altro mi- metizzando la sua retorica negli interstizi del più ampio discorso sull’identità nazionale repubblicana. La vicenda coloniale e in particolare i suoi aspetti socio-culturali sono stati accantonati proprio poiché legati indissolubilmente all’idea di italianità costruita sull’alterità, con quest’ultimo termine che richiama senza dubbio una produzione - cultu- rale, istituzionale, sociale - che ha creato il proprio diverso per cementare il proprio noi. Questa produzione sull’alterità è stata alimentata pesantemente nei periodi in cui la poli- tica ha deciso di cimentarsi nelle avventure coloniali definendo gli spazi discorsivi colo- niali entro cui narrare le vicende d’oltremare che tuttavia avevano, in particolare nel ca- so del colonialismo fascista, un risvolto determinante in motivazioni tutte legate a fattori interni alla madrepatria.

Si rende necessario, prima di addentrarsi nell’analisi sulla produzione foto- cinematografica dell’Istituto Luce sulla stagione dell’impero, ricostruire brevemente le

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vicende politiche che hanno caratterizzato la conquista dell’Etiopia e la nascita dell’Africa Orientale Italiana. Il focus di questa ricostruzione non sarà tanto l’elencazione della successione cronologica degli eventi politici che hanno portato alla guerra d’Etiopia; si cercherà invece di evidenziare le connessioni tra discorso coloniale e vicende politiche, il loro rapporto dialettico e non gerarchico al fine di evidenziare l’emergere, durante il Ventennio fascista, di un rinnovato “desiderio etiopico” e della sua diffusione nella realtà italiana. Si indagherà sui motivi che hanno spinto il fascismo ad avventurarsi in un’impresa rischiosa e dispendiosa e sulla conseguente ricerca di un consenso attraverso la narrazione delle fasi belliche. In ultima analisi si analizzerà l’organizzazione e la vita dell’impero, con i numerosi problemi legati alla sua ammini- strazione in modo da delineare sinteticamente la situazione reale dell’oltremare italiano per comprendere meglio il processo di costruzione della sua rappresentazione e quindi lo iato tra realtà ed immagini.

Le prime conquiste d’oltremare e la società italiana

Le avventure coloniali iniziano ad essere presenti nell’orizzonte dell’Italia unita negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo, con un interesse che lentamente coin- volse la giovane nazione; è interessante notare il fatto che l’oltremare entra nel dibattito politico relativamente presto, in un contesto in cui i problemi legati all’unificazione del- lo Stato superano ancora di gran lunga i suoi benefici. L’indagine sulle motivazioni che spinsero verso le imprese coloniali tardo ottocentesche ha visto numerosi punti di vista storiografici confrontarsi su temi inerenti il processo di unità nazionale in relazione al compimento del processo risorgimentale, sul ruolo della nuova nazione italiana nello scacchiere internazionale, sulle ragioni economiche e commerciali che avrebbero spinto verso la conquista coloniale, sul clima culturale europeo favorevole all’espansione, sul diffondersi di pressioni da parte dei nascenti circoli coloniali e dagli ambienti militari.170

Non emerge una motivazione prevalente che sospinse la prima politica coloniale, ma l’influenza contemporanea dei fattori sopraelencati giocò un ruolo decisivo; tuttavia l’assenza di una motivazione chiaramente individuabile e pressante avrà come conse- guenza la mancanza di un’idea coloniale definita che caratterizzasse i progetti coloniali italiani. Nonostante ciò si poteva iniziare a intravedere come l’orizzonte coloniale, non tanto nelle sue ancora esigue vicende politiche o economiche quanto nel suo impatto cul- turale, potesse permettere la continua affermazione di una retorica utile ad affermare i caratteri identitari dei nuovi italiani: educare all’italianità attraverso la rievocazione di un passato glorioso come fu, ad esempio, quello latino, fu più semplice nel momento in cui la nazione poteva proiettare questa retorica in un’impresa politica oltre i confini na- zionali che potesse implicitamente rimarcare la nuova identità nazionale.

Questi aspetti caratterizzeranno gli anni della conquista della Libia e dell’Etiopia, ma come affermato da Giuseppe Finaldi già con la Prima guerra d’Africa nelle scuole pubbliche, agenti educativi per eccellenza dei nuovi italiani, si iniziarono a diffondere

170 Cfr. A. Pes, La costruzione dell’impero fascista. Politiche di regime per una società coloniale, Aracne, Roma 2010, pp. 28-31.

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dei contenuti tanto che «it is clear that the vicissitudes of the Prima guerra d'Africa were taken up by schools and school teachers throughout Italy as an opportunity to evoke, for the benefit of their pupils as well as for themselves, an extraordinarily attractive vision of the fatherland as a nation peopled by heroes as great as Italy’s glorious past»171

. Sebbene le prime acquisizioni coloniali nel Mar Rosso, segnatamente l’Eritrea, videro lo Stato subentrare a compagnie private e di conseguenza la risonanza di questi eventi non fu eccessiva e non coinvolse la gran parte degli italiani, tanto che Labanca afferma che nei primi anni il colonialismo fu un fenomeno quasi esclusivamente legato alla volontà dell’esecutivo rispetto anche al Parlamento,172

soprattutto nel periodo della battaglia di Adua il discorso coloniale iniziò a definire il suo spazio intersecando il pro- cesso di costruzione identitaria: le vicende africane divennero sempre più interne, e per questa ragione l’interesse nei confronti della materia coloniale cresceva in maniera esponenziale.

La vasta eco che la battaglia di Adua ebbe in Italia, oltre alle ripercussioni dirette sulla politica africana italiana con le dimissioni del primo ministro Crispi, segnò al di là della sconfitta militare il primo vero coinvolgimento della società italiana nelle vicende d’oltremare.173

L’onta di questa sconfitta avrebbe, secondo Calchi Novati, elevato e reso proprio nella nazione, e in particolare nei movimenti nazionalisti che poi contribuiranno prima alla formazione di una sorta di lobby coloniale, poi all’ascesa del fascismo, un primo germe di forte sentimento razzista che si diffonderà in maniera decisa durante il fascismo e che si concretizzerà nelle politiche razziali degli anni trenta.174

Il discorso coloniale si lega al percorso di costruzione di un’identità italiana nel momento in cui il processo di educazione nazionale insiste su tematiche che entrano poi nell’essenza stessa dell’avventura coloniale e nella retorica con cui veniva narrata: la missione civilizzatrice, i geni romani, la ricerca di un prestigio nazionale e di imprese capaci di “fare gli italiani” iniziarono ad essere temi ricorrenti nella descrizione dell’oltremare quasi prescindendo dai singoli eventi coloniali. La società italiana attra- verso numerose manifestazioni culturali iniziò a entrare in contatto col discorso colonia- le che definiva il suo spazio attraverso le più svariate attività: i dibattiti pubblici che av- venivano nei quotidiani e nelle aule parlamentari, l’opera importante delle società geo- grafiche e degli istituti, delle missioni, le suggestioni della letteratura da viaggio che rac- contava e dava forma a dei concetti lontani geograficamente e mentalmente, contribui- rono a definire non semplicemente un mondo lontano e diverso, ma anche gli strumenti cognitivi e politici con i quali confrontarsi e dominare questo orizzonte d’oltremare.175

171 G. Finaldi, Culture and imperialism in a ‘backward’nation? The Prima Guerra d ‘Africa (1885-96) in

Italian primary schools, in Journal of Modern Italian Studies, op. cit., p. 384.

172 Cfr. N. Labanca, op. cit., p. 78.

173 Cfr. A. Pes, La costruzione dell’Impero Fascista, politiche di regime per una società coloniale, op. cit., pp. 50-57.

174 Cfr. G. Calchi Novati, Il Corno d’Africa nella storia e nella politica, SEI, Torino 1994, p. 55.

175 Sono di seguito elencati alcuni lavori che hanno trattato della costruzione nella società italiana dell’idea di Africa: V. Deplano, L’Africa in casa. Propaganda e cultura coloniale nell’Italia fascista, Mondadori, Milano 2015; G. Monina, Il consenso coloniale: Le società geografiche e l'Istituto coloniale

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Dopo la sconfitta di Adua, se si esclude l’acquisizione da parte dello Stato della colonia somala sotto forma di protettorato a seguito dell’attività commerciale di compa- gnie private, l’attività di politica coloniale fu marginale, probabilmente anche a seguito delle proteste dell’opinione pubblica segnata dalla disfatta del 1896. Si deve arrivare alla conquista della Libia per rivedere una mobilitazione politica e civile nei confronti di un obbiettivo coloniale.

Nel corso degli anni, sul finire dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, si definì in maniera più chiara pure la volontà italiana di avere una pertinenza nel Mediter- raneo in virtù delle numerose comunità italiane presenti nelle coste.176

Pur riconoscendo l’esiguità dei territori lasciati liberi da Francia e Gran Bretagna, soprattutto dopo la di- chiarazione del protettorato francese sulla Tunisia nel 1881, i governi liberali post- crispini cercarono di ritagliarsi un loro spazio d’oltremare cercando sponde diplomatiche con le grandi potenze: queste - ed in particolare la Francia con l’accordo del 1902 - deci- sero di venire incontro a quest’esigenza concedendo un diritto di prelazione sulla Libia, lasciapassare per la guerra italo-turca del 1911 in cui gli italiani conquistarono la Tripo- litania e la Cirenaica sconfiggendo l’esercito turco, pace sancita col trattato di Losanna nel 1912.177

Tuttavia la sconfitta dell’esercito turco non significò il completo controllo del territorio: questo fu più difficile del previsto e richiese un immane dispendio di ener- gie. In particolare la Cirenaica e la regione sahariana del Fezzan non avrebbe ceduto ai colonizzatori prima della fine degli anni Venti, in pieno fascismo. Sebbene i comandi militari e politici italiani avessero preparato con cura le spedizioni in Libia, al fine di non inciampare in una seconda Adua, trascurarono un fattore fondamentale e cioè la re- sistenza araba del movimento Jehad.178 Questo aspetto legato alla resistenza araba fu

quasi completamente sottovalutato, in quanto negli ambienti italiani era forte la convin- zione che il popolo che si andava a conquistare fosse disponibile e accogliente verso una nuova potenza europea che l’avrebbe liberato dal giogo dell’oppressione turca.179

Sotto- lineando questo aspetto politico-militare si può evidenziare come il discorso coloniale iniziasse ad avvolgere e plasmare anche le scelte politiche: i futuri soggetti coloniali ini-

da storica, 1867-1997, Società geografica italiana, Roma 2000; A. Pes, La costruzione dell’impero fasci- sta. Politiche di regime per una società coloniale, op. cit., pp. 15-70; N. Labanca, Oltremare: storia dell'espansione coloniale italiana, op. cit., pp. 15-128; A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, Dall'unità alla marcia su Roma, op. cit.; G. L. Podestà, Sviluppo industriale e colonialismo: gli investi- menti italiani in Africa orientale: 1869-1897. Giuffrè, Milano 1996; L. Goglia, F. Grassi, Il colonialismo italiano da Adua all’Impero, Laterza, Roma-Bari 2004; G. Finaldi, Culture and imperialism in a ‘back- ward’nation? The Prima Guerra d ‘Africa (1885-96) in Italian primary schools, in Journal of Modern Italian Studies, v. 8, n. 3 (2003) pp. 374-390; L. Polezzi, Imperial reproduction: the circulation of colo- nial images across popular genres and media in the 1920s and 1930s, in Modern Italy, v.8, n. 1; L. Polez-

zi, L’Etiopia raccontata agli italiani, in (a cura di) R. Bottoni L’impero fascista. Italia ed Etiopia (1935-

1941), Il Mulino, Bologna 2008, p. 290.

176 Cfr. N. Labanca, Oltremare, op. cit., p. 34.

177 Per una panoramica sul conflitto libico cfr. F. Gramellini, Storia della Guerra Italo-Turca 1911-1912, Acquacalda comunicazioni, Forlì 2005; A. Del Boca, Gli italiani in Libia. Voll. 1 & 2: Tripoli bel suol

d'Amore. Milano, Mondadori 1997.

178 Cfr. H. W. Al-Hesanawi, Note sulla politica coloniale italiana verso gli arabi libici 1911-1943, in (a cura di) A. Del Boca, Le guerre coloniali del fascismo, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 33.

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ziarono ad essere descritti come disposti ad essere sottomessi alla superiore civiltà ita- liana.

La conquista libica fu sospinta da un importante fetta di consenso della società italiana e in particolare da parte di movimenti nazionalisti come l’Associazione naziona- lista italiana, e da ambienti politico-economici che premevano per la penetrazione in Li- bia in vista dell’accrescimento delle loro potenzialità, come nel caso della Banca roma- na, legata ad ambienti vaticani. Sebbene la conquista militare sia stata sancita con la sconfitta degli ottomani, l’effettivo controllo del territorio avverrà solo attraverso i mas- sacri fascisti di fine anni venti.

La Grande guerra fece passare in secondo piano le velleità coloniali italiane; a seguito della stipula del Patto di Londra nel 1915 l’Italia si aspettava delle concessioni coloniali generose da parte delle potenze con le quali si era alleata, mirando a includere in caso di vittoria dell’Intesa alcuni territori degli sconfitti. Tuttavia le clausole del Patto stilate in particolare da Francia e Gran Bretagna riguardanti gli eventuali compensi per l’Italia non furono generose: la partecipazione al conflitto fu ripagata, per quanto riguar- da la situazione delle colonie italiane, con rettifiche territoriali di poco conto. Il lavorio diplomatico per ottenere maggiori concessioni coloniali - visto che i gabinetti di Giolitti, Salandra, Boselli e Orlando si guardarono bene da nuove avventure militari esotiche alla luce della sconfitta di Adua, della difficile pacificazione libica e di tutte le questioni sul tavolo post-bellico - continuò invano durante la conferenza di Versailles che segnò una sconfitta per le aspirazioni italiane e un punto di non ritorno per il risentimento basato sulla retorica della “vittoria mutilata”, che da lì a pochi anni confluirà nell’universo ideologico fascista compiendo il suo percorso nell’autunno 1935 con la propaganda anti- societaria in ottica di rivendicazione del ruolo colonizzatore e civilizzatore dell’Italia.

Dal liberalismo al fascismo

Per quanto riguarda il passaggio dall’epoca liberale a quella fascista, su un piano di politica coloniale e, più ampiamente di politica estera, i primissimi anni del regime mussoliniano non segnarono una netta discontinuità rispetto alle linee di politica estera del periodo precedente: secondo Angelo Del Boca la continuità nel personale e nelle strategie fu anche dettata da una mancanza di chiarezza nelle linee guida di politica este- ra fascista; Benito Mussolini, pur essendo stato nel 1911 fermo oppositore della guerra in Libia, passaggio questo che porterà ad un primo allontanamento dalla linea seguita dal PSI, nel corso degli anni inizierà a modificare le sue posizioni in materia di politica co- loniale. Queste posizioni muteranno sia per una nuova consapevolezza del ruolo che la politica estera avrebbe potuto giocare nelle scelte interne, sia per l’opportunismo che caratterizza lo stile mussoliniano, in quanto si avvicineranno a quelle dei vari gruppi che contribuivano alla crescita e alla definizione del movimento fascista.180

Tuttavia, sebbe- ne ancora nei primi anni venti del Novecento Benito Mussolini rimarchi la differenza tra

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«imperialismo di marca prussiana o inglese»181

e il modello espansionista fascista, che prevederebbe non tanto conquiste coloniali quanto «la diffusione del genio italiano nel mondo attraverso l’emigrazione»182, è evidente che le influenze di nazionalisti e futuristi

spinsero per portare la questione coloniale nei primi posti dell’agenda politica fascista. Questo aspetto, letto in combinato alla sostanziale continuità del personale della carriera diplomatica e ministeriale, porta a due ordini di considerazioni: la prima riguarda la na- scita di una sorta di diplomazia parallela guidata dallo stesso Mussolini che vedeva tra le sue fila suoi uomini di fiducia che potessero iniziare sotto traccia una politica estera più libera e aggressiva dai vincoli societari, contesto quest’ultimo in cui la carriera ufficiale continuava ad operare con relativa continuità col periodo liberale sotto la guida del sot- tosegretario agli esteri Salvatore Contarini, sostituito nel 1925 da Dino Grandi.183

Que- sta sostituzione, venendo alla seconda considerazione, coincise anche con l’inizio di un periodo nuovo nelle scelte di politica estera e coloniale in cui si afferma un cambiamen- to nello stile più aggressivo e rivendicativo di Benito Mussolini che abbandona la linea di Contarini nel momento in cui questa avrebbe voluto comporre le questioni aperte in seguito alla delusione sugli esiti della conferenza di Versailles sempre nel quadro delle alleanze e degli strumenti esistenti dal periodo liberale.184

Non è un caso che proprio nel 1925 Benito Mussolini stesse già iniziando a pensare ad una guerra di conquista dell’Etiopia.185

Parallelamente al processo di fascistizzazione dello Stato e della società, che ve- de nel discorso sulla rivendicazione della responsabilità del delitto Matteotti da parte di Benito Mussolini in persona, nel varo delle leggi fasciatissime, nella nuova legislazione repressiva in materia di diritti associativi e civili e in generale della stretta repressiva au- toritaria i suoi momenti fondanti, si assiste a questo cambiamento di stile nella politica estera: come sottolineato da Carocci, anche il clima culturale e politico europeo della seconda metà degli anni venti spinse affinché uno stile marcatamente fascista potesse palesarsi nelle scelte di una politica estera che potesse realizzare i miti del regime.186

Emergono alcuni punti chiave da evidenziare per meglio analizzare il rapporto tra fasci- smo, politica estera e discorso coloniale: sebbene si sia evidenziata una sostanziale con- tinuità “strutturale” nella politica estera, questa inizia a risentire della visione totalizzan- te e mitica che il fascismo inizia a trasformare in politiche concrete a partire dal 1925: la proiezione esterna dello Stato fascista influenzò il discorso coloniale circolante durante le prime esperienze d’oltremare liberali potenziando ed estremizzando alcuni concetti retorici già ampiamente presenti nei decenni precedenti, che tuttavia si saldarono con il progetto di rivoluzione antropologica e sociale che il fascismo si sforzò di compiere.

181 Discorso tenuto da Benito Mussolini il 6 febbraio 1921 a Trieste, citato in (a cura di) P. Orano,

L’espansione coloniale, Pinciana, Roma 1936, p. 21.

182 Cfr. A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale. La conquista dell’impero. Vol. 2, op. cit. p. 4. 183 Cfr. E. Di Nolfo, Mussolini e la politica estera italiana (1919-1933), Cedam, Padova 1960, pp. 35-36; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, op. cit., pp. 23-365.

184 Cfr. A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale. La conqusita dell’impero, Vol. 2, op. cit., p. 5. 185 Cfr. A. Sbacchi, Il colonialismo italiano in Etiopia 1936-1940, op. cit., p. 2.

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La riconquista fascista della Libia

La conquista della Libia segnò in qualche maniera la continuità con gli obbiettivi politici liberali, ma abbracciò anche l’arco temporale in cui lo Stato italiano subì la stret- ta autoritaria fascista, con conseguenze notevoli soprattutto nelle modalità con le quali il regime decise di “pacificare” il territorio formalmente conquistato nel 1911-12. Nicola Labanca afferma che la «riconquista» del territorio libico e in particolare della Tripolita-

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