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La riscoperta della storia coloniale italiana

1. IL MITO DELL’IMPERO NEL FASCISMO ITALIANO

1.3 La riscoperta della storia coloniale italiana

Il colonialismo italiano nella storia nazionale

La ricognizione metodologica e storiografica svolta nel paragrafo precedente è partita dalla scuola degli annales, passando per i cultural studies e arrivando al discorso foucaultiano che è stato approfondito nella sua declinazione utile all’analisi visuale e in quella legata all’orientalismo saidiano. Questo percorso brevemente tracciato è utile poi- ché permette di affrontare il lavoro di ricerca cercando continue estensioni e nuovi stru- menti che restituiscano all’analisi storica la complessità degli eventi culturali, mettendo in discussione paradigmi e strutture interpretative considerate per decenni assodate. Ma la ricognizione metodologica, allontanandoci per un momento dai contenuti che essa ha cercato di mettere in luce, è utile da un altro punto di vista perché testimonia e spinge a problematizzare il ritardo che ha contraddistinto gli studi sul colonialismo italiano: nel frattempo che i cultural studies a fine anni inquanta iniziavano a studiare da prospettive originali il mondo contemporaneo, la società italiana aveva oramai quasi dimenticato il proprio oltremare; quando Said presentava al mondo “Orientalismo” usando il discorso di Foucault come strumento per legare il colonialismo all’identità occidentale e propo- nendo implicitamente la messa in discussione delle strutture accademiche che formava- no la conoscenza occidentale sull’Oriente, in Italia stava iniziando il confronto non tan- to, e non ancora, sugli aspetti culturali del colonialismo quanto sulle sue coordinate sto- rico-politiche dimenticate, silenziate e disperse in quella che veniva definita la parentesi negativa del fascismo.

Nonostante l’accumulo iniziale di questo ritardo, la storia del colonialismo italia- no negli ultimi anni, oramai decenni, ha visto allargati i suoi orizzonti d’indagine con contributi scientifici che hanno avuto il pregio di incardinare la vicenda dell’oltremare italiano nella narrazione più ampia della storia d’Italia, complice anche l’utilizzo via via maggiore delle novità metodologiche precedentemente descritte; tuttavia, anche da un punto di vista prettamente politico come osservato da Pietro Pastorelli, il capitolo colo- niale non deve considerarsi per nulla marginale nella storia unitaria, è anzi centrale per- ché influenzò notevolmente il futuro asse che avrebbe portato la nazione in guerra se- gnandone inesorabilmente il destino, con ripercussioni politiche, sociali e culturali.139

Le stagioni politiche che si sono susseguite dall’Unità in poi sono state studiate e caratterizzate attraverso degli eventi che sintetizzano e semplificano la narrazione della storia d’Italia e la percezione del passato in modo da creare dei compartimenti entro cui collocare gli avvenimenti; lo scorrere delle vicende storiche acquisisce una caratterizza-

139 Cfr. P. Pastorelli, Gli studi sulla politica coloniale italiana dalle origini alla decolonizzazione, in Fonti

e problemi della politica coloniale italiana, Atti del convegno Taormina - Messina 23 - 29 ottobre 1989

(cura redazionale di C. Ghezzi), Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni ar- chivistici, Roma 1996, p. 31.

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zione a seconda dello spazio ideale e cronologico in cui sono queste sono accadute. Tut- tavia la realtà di qualsiasi periodo storico, che sia essa politica, sociale, culturale è estremamente più complessa ed offre un campo d’indagine con dei confini da problema- tizzare e non da delimitare. Le grandi diacronie sono composte da innumerevoli sincro- nie libere da qualsiasi ritmo imposto, la continuità rassicurante che trasforma ogni perio- do in un gradino nella scala della storia positiva in realtà pare sovente una sorta di limi- tazione forzosa imposta per perseguire obbiettivi di carattere politico; in un’ottica fou- caultiana sarebbe il potere che cerca di contenere e connotare fatti e discorsi al fine di controllarli e di creare una sua conoscenza oggettiva. Si è ampiamente discusso dell’influenza della teoria discorsiva e della sua declinazione coloniale orientalista sai- diana negli studi sulla società occidentale; questi approcci teorici saranno fondamentali nella ricerca sulle rappresentazioni dell’oltremare italiano durante il fascismo, e permet- teranno di definire gli spazi entro cui gli enunciati sull’alterità e quindi sull’identità sia- no stati operativi e plasmati dal potere, spazi che si incrociano tra essi e che paiono non avere ancoraggi cronologici precisi in quanto gli enunciati che li compongono formano tutt’oggi il discorso identitario/orientalista italiano. Campo privilegiato che mostra come sia complicato il processo di decolonizzazione culturale, controprova del legame dico- tomico ma indissolubile tra alterità e identità, è quello legato alle vicende della storia coloniale italiana, che per decenni è stata parte integrante di quel discorso orientalista che solamente di recente inizia ad essere decostruito.

Per quanto riguarda il Ventennio fascista, la Seconda guerra mondiale e la suc- cessiva costruzione della Repubblica hanno contribuito alla delimitazione e alla chiusura dell’indagine su diversi aspetti del passato coloniale dittatoriale e pre-fascista: la situa- zione interna e internazionale negli anni tra il 1945 e il 1948 non permise una riflessione approfondita sulle eredità del fascismo e il passaggio dal regime mussoliniano a quello repubblicano, per chi combatté il fascismo e fu chiamato a guidare la giovane Repubbli- ca, doveva essere netto e preciso per rimarcare la discontinuità con la dittatura. I venti della Guerra fredda iniziavano a soffiare anche sulla Penisola, accompagnati dai fondi del piano Marshall che imponevano un posizionamento nello scacchiere internazionale che condizionasse non solo la politica interna nei suoi aspetti amministrativi ed econo- mici, ma anche il modello socio-culturale da diffondere e non ultima la selezione delle memorie che avrebbero accompagnato la creazione dell’Italia repubblicana. Il fascismo

doveva diventare una parentesi, un altro compartimento nel quale riversare la parte nega-

tiva dell’Italia e degli italiani, il loro peccato originale lavato dal battesimo del Secondo conflitto mondiale. Tuttavia esaminando le sincronie e i discorsi ad un livello più appro- fondito si nota che persone, esperienze, memorie di epoca fascista non potevano essere archiviate con semplicità nel fascicolo sulla dittatura. Per la necessità di creare un nuovo inizio anche le tendenze ed esperienze originatesi prima del fascismo furono spesso ri- condotte alla parentesi dittatoriale. In questo senso il colonialismo, impresa che nasce sotto i governi liberali tardo ottocenteschi e che durante il Ventennio diviene uno degli elementi portanti della politica del regime, ha marcato con un’intensità sempre maggiore la politica e la cultura italiane, con discorsi istituzionalizzati che non si originano nel fa-

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scismo ma che durante il Ventennio si rimodellarono e acquisirono nuovi enunciati e una circolazione capillare nella società italiana.

La vicenda coloniale italiana nacque senza progetti politici precisi e senza ingenti capitali che avrebbero potuto giustificare una conquista rispondente una logica commer- ciale ed economica.140

L’epoca crispina e quella giolittiana, tra la disfatta di Adua e la guerra in Libia, non videro la definizione di un progetto politico di conquista che moti- vasse il sempre maggiore interesse nei confronti dell’oltremare. Tuttavia è proprio in questi anni che il colonialismo iniziò a circolare nella società e nella cultura italiana in numerose discussioni che riguardavano in maniera crescente anche strati di quella socie- tà di massa che andava formandosi: come ha sottolineato Giuseppe Finaldi esaminando la nascita e lo sviluppo della coscienza coloniale nella popolazione italiana attraverso l’educazione scolastica, le prime imprese coloniali liberali sono state strumentali al fine di creare una comunanza e un senso d’identità nazionale.141

L’oltremare divenne più familiare, l’esotico sempre più vicino e lentamente l’idea coloniale si espanse non limitandosi ai dibattiti parlamentari, all’opera delle socie- tà geografiche, ai circoli finanziari che intravedevano nelle colonie possibilità di crescita economica.142

Giovanni Pascoli, per citare uno dei più celebri letterati del tempo, con la suggestione della Grande Proletaria che si è mossa divenne in qualche modo l’emblema di un discorso che iniziò ad invadere la società italiana, di un colonialismo immaginato che cercava si il prestigio internazionale, nuovi luoghi geografici e risorse economiche, ma che soprattutto voleva nuovi spazi discorsivi in cui compiere il percorso di costru- zione identitaria nazionale. L’attenzione crescente che i vari governi prima liberali e poi fascisti dedicarono al tema coloniale sono coevi al processo di nazionalizzazione delle masse degli italiani, di creazione di un’identità unitaria guidata attraverso le istituzioni dello Stato che invade gli spazi educativi e associativi in maniera sempre maggiore e addirittura totalizzanti durante il Ventennio fascista.

La crescente attenzione per il colonialismo e la creazione della società di massa, di una cultura di massa e per la massa andarono di pari passo, saldandosi proprio durante la campagna d’Etiopia del 1935 in cui «la guerra esprime l’intenzione del regime di por- tare a termine la rivoluzione sociale interpretandone nel contempo la modernità».143

Nei decenni che trascorsero tra l’acquisto di Assab e l’ingresso di Badoglio in Addis Abeba l’oltremare divenne un orizzonte sempre più vicino e interno, che accompagnò la defini- zione dell’identità nazionale italiana in maniera via via più massiccia. La dimensione internazionale dell’esperienza d’oltremare pare accessoria rispetto a quel “socialimperia- lismo” a cui fa riferimento Nicola Labanca, cioè all’espansione verso l’esterno che però

140 Cfr. G. Calchi Novati, L’ Africa d’Italia. Una storia coloniale e postcoloniale, Carocci editore, Roma 2011, p. 82; G. L. Podestà, Il mito dell’Impero: economia, politica e lavoro nelle colonie italiane

dell’Africa orientale 1898-1941, Torino, Giappichelli 2004.

141 Cfr. G. Finaldi, Culture and imperialism in a ‘backward’ nation? The Prima Guerra d‘Africa (1885-

96) in Italian primary schools, in Journal of Modern Italian Studies, v. 8, n. 3 (2003), pp. 347-390.

142 Cfr. M. Isnenghi, L'Italia del fascio, Giunti Editore, Firenze 1996, p. 212.

143 E. Bricchetto, La verità della propaganda. Il “Corriere della sera” e la guerra d’Etiopia, Unicopoli, Milano 2004, p. 25.

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ha l’obbiettivo di integrare all’interno ceti e classi sociali.144

Per questa ragione l’aspetto internazionalistico della vicenda imperiale del 1935 pare secondario o meglio funzionale rispetto agli obbiettivi politici e culturali che il fascismo s’impose. In virtù di queste considerazioni lo studio approfondito e multidisciplinare della stagione coloniale italiana diviene peculiare per la comprensione dell’evoluzione della cultura e della società italia- na novecentesca, e deve mirare a ricostruire con precisione eventi sia politici che socio- culturali nel quadro della storia nazionale; solo in questa maniera si avrà uno sguardo sempre più esaustivo sull’Italia passata e soprattutto su quella attuale nella sua comples- sità. Le parentesi che contenevano la storia coloniale vanno sbiadendo, ma questo pro- cesso di inserimento a pieno titolo dell’oltremare nella storia italiana è stato lento e scientificamente travagliato.

Il ritardo e i “ritorni di memoria” negli studi sull'oltremare

Il ritardo storiografico che ha accompagnato la ricostruzione della vicenda colo- niale è premessa quasi obbligato che inizia ogni lavoro sull’oltremare italiano; analizzare le ragioni per le quali l’Italia repubblicana, ad un livello istituzionale e accademico, ab- bia deciso di non indagare sul suo passato di potenza colonizzatrice è attività sulla quale accademici e cultori della materia hanno dedicato importanti lavori e anni di ricerca. A ben vedere è proprio negli interstizi di questo ritardo, di questa negazione forzosa di una parte di storia nazionale, che si possono trovare elementi del discorso sull’oltremare resi- lienti agli eventi che segnano il mutare delle stagioni politiche e che riemergono agendo nella cultura e nella società italiane a distanza di decenni, elementi questi legati ad una vicenda che ancora produce i suoi effetti in termini culturali e di immaginario.

Alessandro Triulzi a tal proposito parla di «ambigui ritorni di memoria a più li- velli» riferendosi al fatto che soprattutto dalla fine degli anni ottanta del Novecento vi- cissitudini storiche e politiche abbiano in parte fatto riscoprire alla società italiana il suo passato coloniale.145

I flussi di migranti che massicciamente si affacciavano e si affac- ciano nelle coste del sud Italia, la vicenda della restituzione della stele di Axum da Ro- ma ad Addis Abeba, gli accordi stipulati tra i Governi italiano e quello libico sono alcuni degli eventi che hanno consentito questi ritorni di memoria, una memoria che rievoca un passato coloniale lontano ma che si riverbera nel presente. La vasta eco che questi eventi hanno avuto nella stampa quotidiana e nei mezzi d’informazione ha esteso il dibattito oltre i confini accademici entro i quali era contenuto. Il colonialismo così ritorna, a di- stanza di diverse decine di anni, inserendosi nel discorso sull’alterità, sul essenza del non essere italiano che rimanda alla definizione implicita dell’identità e dell’essenza italiana, rievocando quel passato che voleva essere chiuso sul quale «ciò che doveva essere detto era stato già detto».146

144 Cfr. N. Labanca, Oltremare, op. cit., p. 12.

145 A. Triulzi, Premessa, in Quaderni storici, v. 37, n. 1 (2002), pp. 3-20.

146 R. Rainero citato da A. Sbacchi, Italia ed etiopia, la rilettura del periodo coloniale e le valutazioni

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L’interesse accademico per la storia coloniale italiana è vivo da ormai quattro decadi, escludendo da questo computo alcuni lavori pionieristici e isolati come quello sulla “Prima guerra d’Africa” di Roberto Battaglia pubblicato alla fine degli anni cin- quanta, e partendo invece dagli anni settanta e ottanta del Novecento con i lavori di An- gelo Del Boca, Giorgio Rochat, Alberto Sbacchi, Richard Pankhurst per citare i più ce- lebri, in cui si ricostruisce la storia politica e militare delle conquiste coloniali italiane senza alcuna nostalgia ma esaminando le fonti archivistiche che lentamente iniziarono ad essere disponibili. Questi lavori hanno avuto il merito di aver «riscritto la storia del colonialismo italiano, illustrandone l’importanza da un punto di vista non solo storiogra- fico, ma anche civile. […] incoraggiando una presa di coscienza collettiva e la costitu- zione di una memoria critica».147

Negli ultimi decenni attirano sempre maggiore attenzione scientifica quegli aspetti sociali e culturali del dominio in cui la società e la cultura coloniali non vengono esaminate quasi fossero un corpo estraneo rispetto alla storia italiana, ma che riposizio- nano il dibattito sull’oltremare all’interno del processo di definizione/ridefinizione dell’identità nazionale italiana operato dai governi liberali e fascisti, con l’intento di dif- fondere un’immagine dell’altro coloniale che aiutasse la definizione dei carattari nazio- nali. L’impatto sociale e culturale dell’oltremare nella realtà italiana è avvenuto e si è inserito nei decenni in cui andava formandosi concretamente l’unità e l’identità naziona- le; lo Stato italiano integrava la nazione attraverso la scuola, la cultura e l’estensione dei diritti politici, civili e associativi; in altri termini nazionalizzava le masse, e contempora- neamente iniziava a diffondere la suggestione coloniale che dagli anni ottanta del di- ciannovesimo secolo occupò un ruolo sempre maggiore nel dibattito politico e culturale, con discorsi oscillanti tra l’esotismo affascinante e la necessità impellente al fine di ri- solvere i problemi interni. Già la guerra in Libia del 1911 iniziò vedere un coinvolgi- mento non solo politico-istituzionale ma anche civile e culturale della nazione, fattore questo che divenne emblematico durante la guerra d’Etiopia nel 1935, in cui l’orizzonte africano venne raccontato in modo da essere funzionale alla soluzione delle questioni interne e al processo di diffusione culturale di una nuova immagine dell’identità italiana ridefinita dall’azione fascista.

Sottolineata l’importanza via via crescente che il colonialismo ha avuto nei primi decenni dell’Italia unita emerge uno iato tra l’importanza che la politica coloniale - so- ciale, militare, culturale - ha avuto e la rapidità con cui la storia africana dell’Italia è sta- ta accantonata. Quei ritorni di memoria ai quali si è fatto riferimento ripropongono la questione del perché non si sia sviluppata l’indagine di una parte della storia italiana che non è possibile considerare come parentesi. Ci sono numerose interpretazioni sui motivi di tale omissione che riguardano le vicende politiche interne e internazionali da un lato e la natura stessa dell’oltremare italiano dall’altro.

147 R. Pergher, Impero immaginario, impero vissuto. Recenti sviluppi nella storiografia del colonialismo

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La travagliata perdita delle colonie

La perdita formale delle colonie non è seguita ad un processo di decolonizzazio- ne violento utile a palesare lo scontro tra partito coloniale e partito anti-coloniale, non ci sono state nel dibattito pubblico post-bellico voci di dissenso da parte dei popoli ormai divenuti ex sudditi: ciò ha impedito la forzosa riflessione sull’esperienza coloniale ita- liana, che evidentemente aveva motivi per non essere discussa ed elaborata proprio nel momento in cui l’Italia usciva provata dalla Seconda guerra mondiale e si avviava alla fase nuova repubblicana. La sconfitta militare durante il conflitto mondiale ha fatto si che la perdita delle colonie non sia avvenuta attraverso lo scontro per la rivendicazione dell’indipendenza da parte dei popoli soggetti al dominio coloniale; è stata la comunità internazionale a sottrarre l’oltremare all’Italia, in una decolonizzazione tutta particolare che, come ha brillantemente sottolineato Nicola Labanca, è stata «subita da bianchi ad opera di altri bianchi».148

Questo ha fatto si che a livello di immaginario collettivo e di dibattito pubblico il negro, l’altro coloniale, siano stati privati del processo che gli avrebbe permesso di acquisire una dignità morale che avrebbe giustificato le loro even- tuali rivendicazioni. Il silenziare la richiesta di queste rivendicazioni è coinciso con lo spegnimento della riflessione sul passato coloniale. Se a ciò si aggiunge il fatto che la nuova Repubblica, nata dall’alleanza di partiti e movimenti che avevano combattuto il fascismo, ha seguito la via della rivendicazione coloniale opposta alla volontà di indi- pendenza invocata dagli ex sudditi, cercando di mantenere un’influenza nei vecchi pos- sedimenti coloniali, si intuisce quanto tutta la costruzione sociale e culturale sull’Italia colonialista soprattutto in epoca fascista abbia potuto decantare negli anni successivi al Ventennio senza essere intralciata da una presa di coscienza politica, sociale e scientifica sul portato dell’esperienza africana che ricostruisse gli eventi in maniera chiara eviden- ziando luci e soprattutto ombre degli anni coloniali. La comprensione del colonialismo italiano, il suo ricordo e la sua rielaborazione sono state, soprattutto negli anni immedia- tamente successivi alla perdita dei possedimenti d’oltremare, attività che hanno coinvol- to un numero esiguo di personalità spesso mosse da un interesse nostalgico149

e limitate da ragioni politiche150

che hanno reso complicata la ricostruzione degli avvenimenti co- loniali soprattutto per quanto concerne l’attività legata alla propaganda e all’azione cul- turale che faceva riferimento al Ministero della Cultura Popolare e in maniera minore al Ministero dell’Africa italiana.151

Ad un livello istituzionale l’Italia repubblicana, con Alcide de Gasperi in testa, si sedette al tavolo delle trattative successive alla fine del secondo conflitto mondiale lavo- rando strenuamente per cercare di mantenere un legame con le ormai ex colonie, sostan-

148 N. Labanca, Oltremare, op. cit., p. 434.

149 Cfr. P. Jedlowski, Memoria pubblica e colonialismo italiano, in Storicamente, n. 7 (2011), pp. 1-3; C. Burdett, Colonial association and the memory of Italian East Africa, in (a cura di) J. Andall, D. Duncan,

Italian Colonialism: legacy and memory, , Peter Lang, Berna 2005, pp.125-140.

150 N. Labanca In marcia verso Adua, Einaudi, Torino 1993 p. IX.

151 P. Ferrara, Recenti acquisizioni dell'Archivio centrale dello Stato in materia di fonti per la storia

dell'Africa italiana: Ufficio studi e propaganda del MAI, in Fonti e problemi della politica coloniale ita- liana. Atti del convegno Taormina-Messina, 23-29 ottobre 1989 (cura redazionale di C. Ghezzi), op. cit.,

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zialmente non riuscendoci perché le potenze alleate con Gran Bretagna e Stati Uniti in testa si opposero a qualsiasi forma di permanenza coloniale o neo-coloniale degli italiani in Africa;152 l’importanza strategica di Libia e Corno d’Africa nell’equilibrio mondiale

che andava formandosi nel quadro dello scontro Stati Uniti/Unione Sovietica unita al fermento mondiale che spingeva verso la decolonizzazione - quantomeno formale - non permetteva alle potenze alleate di affidare all’Italia, Paese sconfitto e in macerie, il con- trollo diretto o indiretto delle ex-colonie, o almeno di quelle ritenute più importanti.

Se lo scacchiere internazionale impediva il perpetuarsi di forme neo-coloniali, eccezion fatta per l’Amministrazione fiduciaria in Somalia, «l’unico caso in cui il terri- torio sotto tutela venne affidato all’ex potenza coloniale sconfitta, l’Italia, che per di più nel 1950 non era neppure membro dell’Onu»153

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