pacifiche sono infra-sistemiche, potendo anche queste ultime avere come fine, di-
chiarato o dissimulato, il sovvertimento del regime. La stessa istituzione di
un’Assemblea costituente, se talora conferma la fine già avvenuta di un assetto poli-
tico-costituzionale, talaltra la preannuncia soltanto; e ciò potrebbe valere – lo si è già
ricordato – anche per l’ordinario potere di revisione qualora esso, di fatto, venga e-
sercitato, oltre i propri limiti, per trasformare surrettiziamente il fondamento di validità
dell’ordinamento. In effetti, da un rapidissimo esame di carattere storico-comparato,
si può rilevare come, a differenza di altri continenti (specie quello africano) o del pas-
sato meno recente (senza andare troppo a ritroso nel tempo, è sufficiente ricordare
che il Giappone, la Germania e la stessa Italia solo con il disastro della seconda
guerra mondiale hanno rinunciato ai propri connotati autocratici), in Europa e in Ame-
rica Latina, nella seconda metà del Novecento, «la tesi “pacifista” delle transizioni» di
regime sia stata quella largamente preferita dai vari protagonisti dei tanti processi
nazionali di democratizzazione: il cambio del regime, in questi casi, è avvenuto
«all’interno di un quadro di apparente legalità e con la volontà di procedere nella di-
rezione di una riconciliazione nazionale»
127.
126 Invero, la resistenza collettiva, persino quando è costretta a ricorrere all’uso della forza per opporsi
validamente all’usurpatore (anche non violento), rimane, per definizione, uno strumento di conservazione e non di rovesciamento del regime. Tra i tanti che, al fine di preservare l’ordinamento vigente, ammettono, sia pure come
ultima ratio, all’insurrezione armata, o il ricorso ad altre forme di violenza da parte dei resistenti, si possono men-
zionare V.E.ORLANDO, Teoria giuridica delle guarentigie della libertà, in A.BRUNIALTI (diretta da) Biblioteca di
scienze politiche, Utet, Torino, 1890, 1065 e 1072 ss.; ID., Principii di diritto costituzionale, quinta edizione rivedu- ta ed ampliata dall’Autore, Barbera, Firenze, 1917, 317 ss.; G.CASSANDRO, voce Resistenza (Diritto di), in Noviss.
dig. it., vol. XV, Utet, Torino, 1968, 592; W. WERTENBRUCH,Per una giustificazione della resistenza, in AA.VV., Studi sassaresi, vol. III, Autonomia e diritto di resistenza, Giuffrè, Milano, 1973, 332; H. SCHOLLER,Il diritto di resi- stenza nella Costituzione della Repubblica federale di Germania e la giurisprudenza della Corte costituzionale,
ivi, 360; G. FERRARI,Il senso dello Stato, Cedam, Padova, 1990, 62; A.CERRI, voce Resistenza (diritto di), in Enc.
giur., Treccani, Roma, vol. XXVI, 1991, 8; F. DE SANCTIS,voce Resistenza (diritto di), in Enc. dir., vol. XXXIX, Giuffrè, Milano, 1998, 1002 (il quale giunge persino ad annoverare la guerriglia e il terrorismo (internazionale) tra le forme estreme di resistenza attiva e violenta, ravvisando, peraltro, come le stesse siano attualmente «in via di istituzionalizzazione di fatto», in quanto considerate «le uniche risposte adeguate ad una forma di potere sempre meno legata a quello territoriale sovrano che ha caratterizzato la stagione dello ius publicum europeaum»). Con-
tra, però, v., quantomeno, N. BOBBIO, La resistenza all’oppressione, oggi, in AA.VV., Studi sassaresi, vol. III, cit., 28; A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Legittimità e resistenza, ivi, 37; E.BETTINELLI, voce Resistenza (diritto di), in Dig.
disc. pubbl., Utet, Torino, vol. XII, 1997, 190. 127 Amplius, E.C
ECCHERINI, op. cit., 84 ss. e 92, la quale evidenzia che, a partire dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso, in Spagna, Portogallo e Grecia, sono stati proprio “i governi militari” non solo a non opporsi, ma persino a dare l’avvio, o comunque ad associarsi, al processo di mutamento del regime. L’Autrice, inoltre, ritiene che sia «lecito parlare di transizioni pacifiche» per quanto riguarda sia i Paesi ex comunisti dell’Europa orientale (con l’eccezione della Jugoslavia e, in parte, della Romania), sia quelli più importanti dell’America del Sud, nei quali la negoziazione tra le diverse componenti della scena politico-sociale (in particola- re l’esercito e i movimenti di guerriglia interna) ha caratterizzato già la fase “precostituente” dei nuovi ordinamenti costituzionali. Questa dottrina, peraltro, accenna all’evoluzione assai differente che si è registrata nella gran parte
Ne consegue che il carattere, a seconda dei casi, pacifico o violento potrebbe
accomunare transizioni, per molti altri profili, assai diverse tra loro e, viceversa, di-
stinguere transizioni, sotto tutti i restanti aspetti, assimilabili. Il che sembra avvalorare
la tesi, già da tempo autorevolmente espressa, che la dicotomia in analisi si fondi, in
realtà, su di un criterio meramente «estrinseco», che, di per sé, non varrebbe a con-
trassegnare una differenziazione veramente rilevante nel campo squisitamente giuri-
dico
128. Si potrebbe anche evocare, ad ulteriore riprova della validità dell’assunto, la
stessa discrepanza di valutazioni, che si registra nella letteratura che si occupa di
processi di democratizzazione, in ordine alla stabilità che assicurerebbe l’una o l’altra
via di mutazione ordinamentale. A chi ritiene che un moto insurrezionale, che preclu-
da ogni forma di accordo o collaborazione con la «nomenklatura», sia in grado di «at-
trarre minore consenso, specie in una prospettiva futura, rispetto ad un avvicenda-
mento di regime implementato con mezzi democratici»
129, si contrappone chi ricon-
duce ad una «transición pactada», o comunque incruenta, un più alto rischio di addi-
venire ad un risultato esclusivamente di facciata, oppure apprezzabile soltanto nel
lungo periodo, proprio perché un simile processo trasformativo non riuscirebbe ad
delle realtà nazionali dell’Africa, dove ad una decolonizzazione prevalentemente non cruenta, è seguita (se si esclude il Sudafrica) un’epoca di scontri e conflitti particolarmente efferati per la modifica delle strutture portanti del regime o anche solo per l’avvicendamento al governo del Paese.
128 Così C. M
ORTATI, La Costituente, cit., 40, il quale sosteneva, altresì, che il fatto insurrezionale, in cui può concretarsi la violenza, non ha un significato univoco, potendo rivestire i caratteri di un atto perfettamente legale (come nel caso di quegli ordinamenti che riconoscono espressamente il diritto di resistere con ogni mezzo all’oppressione), ovvero di un rovesciamento radicale dell’ordine costituito. L’illustre giurista calabrese, in proposi- to, ricordava, accanto alla rivoluzione, anche il colpo di Stato e l’usurpazione, ipotesi tutte e tre accomunabili sotto il profilo del ricorso alla violenza (intesa, quest’ultima, nella sua accezione più comprensiva, ossia non necessa- riamente «come esercizio di forza materiale», ma, più genericamente, «come esclusione di un procedimento di persuasione»). Cfr. anche S. PUGLIATTI, Nota su continuo e discontinuo nel diritto, in ID., Grammatica e diritto, cit., 355, secondo cui per lo studioso di diritto il problema essenziale, in merito alla continuità di un regime, è se esso abbia subito semplici ritocchi, aggiornamenti o adattamenti, oppure mutamenti radicali nelle sue strutture portanti e nelle competenze dei suoi organi di vertice: una Costituzione, infatti, potrebbe essere trasformata o sostituita anche senza «scosse violente» e, in tal caso, sarebbe possibile «metaforicamente parlare di «rivoluzione pacifi- ca», e considerare il fenomeno, dal punto di vista giuridico, alla stessa stregua del fenomeno rivoluzionario vero e proprio». In senso analogo, ex aliis, F.PIERANDREI, La rivoluzione, cit., 213 e 244 s.; L. VENTURA, Le sanzioni co-
stituzionali, Giuffrè, Milano, 1981, 208; P. GIOCOLI NACCI, Appunti sulle fonti normative (dalle lezioni), Cacucci, Bari, 1992, 12.
129 Sono parole di L. M
EZZETTI, op. cit., 10 ss., spec. 18. In tal senso, ex aliis, già S.P.HUNTIGTON, La ter- za ondata, cit., 291 s., il quale afferma che un processo transitorio pacifico e partecipato appare «più utile al con-
solidamento democratico» (anche se non esclude del tutto l’ipotesi «che la violenza espressa in quel processo susciti nella popolazione una profonda avversione per i bagni di sangue e sviluppi pertanto un profondo attacca- mento alle istituzioni e ai valori democratici»). Sul punto, infine, cfr. T.GROPPI, Sudafrica: la riconciliazione attra-
verso il diritto, in Quad. cost., 2003, la quale ritiene che la democrazia, «proprio in quanto regime «aperto», volto
a consentire, attraverso il compromesso, la convivenza di tutti i soggetti del pluralismo, pone un’esigenza forte di previa, e poi di duratura, pacificazione» (pp. 578 s.). In quest’ottica, la violenza, l’eccessivo accanimento giudizia- rio, in luogo dell’aministia e della sostanziale indulgenza, verso gli esponenti dell’assetto istituzionale crollato, accresce il pericolo di «perpetuare conflitti e divisioni del passato, mantendoli nel presente e proiettandoli nel fu- turo, ostacolando così il ripristino della pacifica convivenza» (p. 584).