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L'importanza dell’auto-rappresentazione

Capitolo 3. Decostruire il declino

74 L'atto è stato pubblicato nel Bollettino ufficiale regionale n° 122 del 6 agosto 2009 ( 15 luglio 2009 n.5 )

3.5 L'importanza dell’auto-rappresentazione

Negli ultimi trentacinque anni Taranto si è trovata galleggiando, in un certa senso, alla deriva sull’onda delle trasformazioni economiche, subendo gli effetti della decadenza della grande industria nazionale. Per non parlare della crisi dell’acciaio, le crisi energetiche, la crisi occupazionale, la crisi politica italiana che fece cadere la prima Repubblica, il degrado ambientale, il dissesto finanziario del comune, la crisi finanziaria globale, una nuova crisi occupazionale locale e perfino la crisi del debito sovrano che fermò l’economia italiana nel 2010. In questo quadro una domanda che emerge può essere la seguente: oltre alle condizioni materiale, spaziali ed economiche, quanto possono essere importanti le narrative e le auto-rappresentazioni per tentare una la riconversione produttiva o la rinascita di una città?

Abituati come si è visto ad agire sull'eccezione, sulla congiuntura, in un contesto di debolezza istituzionale, i risultati ottenuti sono sempre stati insoddisfacenti. Nonostante lo Stato centrale si sia ripiegato negli ultimi decenni, a Taranto si è mantenuta una mentalità dipendente e clientelare ancorata a un modello organizzativo di stampo fordista. Mentalità che alimenta pure l’idea che non sia possibile uscire dalla situazione declino, sennò tramite l'intervento massiccio dello stato, come fece una volta.

Nella metà degli anni Settanta a Taranto Taranto si è discusso su come affrontare i problemi derivati dalla piena occupazione e dalla crescita demografica incontrollata: allora si stimava che la popolazione avrebbe superato i 300.000 abitanti nel 1990 (Belfiore & Cassetti 1977). Si discuteva

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su questo, non tanto perché emergesse da un approfondito e dettagliato diagnostico della situazione e delle prospettive future, ma soprattutto perché l'immagine che allora la città aveva di se stessa parlava di una realtà in espansione e stava ancorata a concezioni e paradigmi di stampo fordista, propri della modernità industriale.

Col passare degli anni nessuna delle previsioni (positive e negative) fatte sulla città avvennero. Il benessere che aveva scoppiato negli anni Sessanta, inizia a rivelare l'altro volto della moneta, il boom edilizio si trasformò in sub urbanizzazione senza controllo, lo sviluppo industriale fu accompagnato di morte bianche e problemi d’inquinamento. Poi si succedessero progetti mai realizzati e piani mai attuati, ed emersero nuove forme di disagio sociale e marginalità urbana. Il futuro splendore non arrivava e l'ottimismo incominciò a spegnersi.

Passati gli anni queste situazioni, ancora non concepite come processi di declino, si immischiano anche con una crisi di rappresentanza politica che interessa l'intero paese, aprendo la strada per il populismo. Indipendente del tono che assuma la valutazione che si faccia del decennio e mezzo di giunte populiste, un elemento centrale in essa è l'enfasi sul raggiungimento di un destino grandioso, puntando sull'espansione della città in termini simbolici, economici eppure fisici – pensando ancora, come negli anni Settanta, in una “metropoli jonica”–. L'idea di restituir il benessere perduto, riprendendo la promessa dello splendore futuro, è una costante che al di là di quanto possa sembrare

naive la sua retorica, impedì alla città concentrarsi su suoi problemi, visualizzandosi se stessa in

maniera realista. In questo senso, la retorica vuota dei politici populisti non accompagnata di materialità, misure coerenti e almeno una bozza di strategia per raggiungere gli obiettivi, altro che costruire nuove narrative di futuro non fece altro che rafforzare quelle negative e pessimiste.

Oggi invece, la situazione si è ribaltata rispetto agli anni Sessanta. Da luogo della speranza - di trovar lavoro e costruire un futuro -, la città è passata a luogo da evitare e da dove andarsene. Costruendosi con sé tutta un’immagine negativa che pian, piano si fu alimentando dalle emergenze, dai fallimenti, dai problemi irrisolti, fino a sembrare che la sua situazione fosse irreversibile. Questa condizione, ha portato ad una sorta di disperazione strutturale, che oscilla tra apatia e indignazione, con un livello significativo di sfiducia nella politica e le strutture politiche e amministrative. Tutto questo favorisce più la ricerca di uscite individuali che un'azione concertata e collettiva che vada oltre la denuncia ambientalista.

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Anche se Taranto oggi offre un’immagine negativa, va detto che, come spesso accade nella contemporaneità, è molto difficile ottenere con certezza un'immagine di insieme di una città nella quale convivono realtà contraddittorie, che a volte perfino si escludono a vicenda, e che si spargono frammentariamente sul territorio. Forse, l'elemento significativo è che oggi la città nel suo insieme quella che riceve da fuori lo stigma del declino o la depressione, e non solo i suoi quartiere più degradati e malfamati, Borgo Vecchio, Tamburi o Paolo VI, che invece lo fanno al suo interno.

L'immagine generale negativa, trova con facilità un correlato spaziale coerente quando si visita la città per la prima volta. Si è ricevuto da un paesaggio per alcuni versi con tratti quasi apocalittici, tra ciminiere fumanti, una puzza sgradevole, nastri trasportatori di materiale e una polvere rossiccia sparsa dovunque. In effetti, fa un effetto strano arrivare a Taranto per chi non è mai andato prima e non si aspetta nulla. Si sente una particolare sensazione d’isolamento, non solo geografico, rispetto alle regioni del centro-nord d'Italia e dell’asse basso adriatico; ma anche, in senso temporale, come se si vivesse sospeso un paio di decenni fa in uno stato di attesa permanente. Non si capisce bene se si sta andando verso i margini dimenticati delle economie avanzate o alle “nuove periferie” dell'economia di cui parlava Richard Mallon (Mallon 1998) o se si sta tornando indietro negli anni '80. A prescindere di come sia valutata, i segni di recessione economica, povertà, disagio sociale e degrado urbano, sono ormai evidenti; quanto l'inquinamento, il suo effetto più noto. Al punto che colpisce la somiglianza, su certi aspetti, con alcune realtà di sviluppo mancato del “Cono sud” sudamericano o di città in declino dell'Europa orientale (Santa Cruz 2010).

Dall’immensità di discorsi, narrative, immagini e chiavi di lettura sotto le quali si può leggere, e si legge questa città, colpisce la ricorrenza di alcune particolarmente prive di speranze. Come qualsiasi spazio urbano e territorio specifico, Taranto costituisce uno spazio di convergenza discorsiva donde si intrecciano, sovrappongono e influenzando, in modo asimmetrico, frammentario e inuguale, un'infinità di discorsi di origine, natura e portata diversa; alcuni più rappresentativi e significativi, altri meno (Santa Cruz 2005). Discorsi, narrative, immagini e letture che provengono dal “common

wisdom” locale, dai mass media (locali, regionali, nazionali e internazionali), dal governo locale,

dallo Stato, la Regione, dall'Unione Europea, dalla pluralità di forme assunte dal mercato – in suoi diversi livelli –, dalle organizzazioni sociali e comunitarie, dagli scienziati e accademici, fra tanti altri. Ibridandosi in un modo tale che non è più possibile stabilire con certezza i limiti di ognuno di

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loro, e tanto meno, capire fino in fondo quali sono i limiti delle dimensioni locale, nazionale e globale.

La mancanza di speranza è, infatti, la prima cosa che si percepisce parlando con gli abitanti, come se non fosse possibile cambiare lo stato delle cose. Sentimento che oscilla tra l’apatia e l'indignazione. Dall'analisi delle interviste e le conversazioni con diversi attori e abitanti, i concetti più ricorrenti associati alla situazione attuale della città, potrebbero essere riassunte in cinque: inquinamento, disoccupazione, violenza, rassegnazione e sfiducia.

Nelle visite successive, l'immagine generale in sostanza rimase invariata, sull'idea di una città che godeva di un ricco passato, ma che nell'attualità sembra non aver futuro89. Nonostante ciò, si è rivelata l'esistenza di un tessuto sociale attivo consapevole, con non poche conoscenze delle tematiche ambientali, il quale anche se non spesso intercetta i livelli di pressa di decisioni, con grande fatica riesce pure ad influenzare il governo locale e l'opinione pubblica. Malgrado le difficoltà, è stato capace di reagire, mobilitare alcuni settori della società e istallare, per esempio, la tematica ambientale di Taranto nell'agenda regionale.

Inoltre, la città spesso viene rappresentata (dalla stampa e la letteratura disponibile) e si auto- rappresenta, come una città con un grande passato e un ricco patrimonio, che l'avevano promesso un futuro splendore, ma nella quale è difficile intravedere una via di uscita al declino. Così come accade, in alcuni casi di città in Germania dell’Est (Ebers 2007), come Halle o Dessau,90 in molte zone dell’Europa del’Est e anche in Europa Occidentale, per esempio a Charleroi (van den Berg & altri 2007).

Un “grande passato” che però, nel caso tarantino, risale alle sue lontane origine greco-bizantine91 e solo in alcuni casi all’apogeo dell’industria militare e cantieristica navale nel primo Novecento. Nel caso di Dessau fa riferimento allo sviluppo della Bauhaus, a Halle al loro vecchio passato come città universitaria medievale (IBA Stadtumbau - Sachsen-Anhalt 2010) e a Charleroi al loro

89 Ispirato nel capitolo 3° “Cities with a past but no future?”, del libro di Malko Eber: Shrinking Cities, the Hidden

Challenge, GRIN Verlag, de 2007. Usato facendo riferimento ai casi di “shrinking cities” in Germania Oriental.

90 En la actualidad el estado alemán Sajonia-Anhalt se está llevando a cabo el programa “Internationale Bauausstellung Stadtumbau (IBA) Sachsen-Anhalt 2010”, que incluye a 19 ciudades, entre las cuales figuran Halle, Bitterfeld y Dessau.

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splendore miniero e industriale (van den Berg & altri 2007). Questi pochi casi, e tanti altri in contesti assai diversi, hanno in comune la mancanza di incoraggianti prospettive di futuro.

In problema è che l’auto-rappresentanzione negativa, in zone recessive (o periferializzate), hanno un peso di non poco conto. Poiché il consolidamento di un’identità negativa spesso costituisce un ostacolo all’azione, spingendo ancora di più la spirale del declino. A Taranto, come in tante altre città del Sud d’Italia, di Germania Orientale e di Europa dell’Est, quest’immagine di solito si traduce in rassegnazione. Soprattutto perché alcuni di questi sono territori altamente antropizzati dove, comunque negli ultimi 50 e 60 anni sono state bersaglio di molte politiche, interventi e cambiamenti. Quindi, non è che siano state veramente dimenticate, ma che sono state vittime di politiche fallite che portarono a un mancato sviluppo, nonostante i finanziamenti nazionali ed europei negli ultimi due decenni.

Queste auto-rappresentanze negative, al rendersi egemoniche nell’opinione pubblica e il governo locale, possono perfino paralizzare l’effettività dell’azione pubblica, ricadendo in azioni ritualistiche, facendo sembrare come un dato di fatto che la natura stessa del territorio e la sua società fosse ostile all'innovazione (Lang 2011) e refrattario al cambiamento e allo sviluppo. Le azioni ritualistiche, in particolare nelle strutture amministrative dei governi locali, solitamente costituiscono una delle forme di adattamento a una situazione di anomia, cioè quando non esiste corrispondenza tra gli obiettivi culturali di una società, i mezzi socialmente accettati e le capacità di suoi membri per raggiungerli.92In questo senso, l'adattamento ritualista implica l'abbandono o la riduzione degli obiettivi culturali della società, che ormai non si possono raggiungere con i mezzi disponibili, per la ricerca della soddisfazione individuale.

La letteratura internazionale dimostra, tuttavia, che perfino un’ossificata auto-rappresentanza negativa, può ben trasformasi negli anni, se accompagnata da una prospettiva positiva sul futuro o di uscita dalla stagnazione che sembri plausibile. In questo senso, il caso della Ruhr è forse dei più noti. Nella Ruhr il declino economico è iniziato negli anni '60, ma la coscienza di aver perso il ruolo centrale e di costituire una zona in declino si è gradualmente cimentata, fino ad essere ormai evidente nei primi anni '80, quando l'intera area a nord del bacino della Ruhr era praticamente una

92 In sociologia si utilizza la nozione dell'adattamento ritualistico al interno del paradigma della devianza sviluppato da Robert Merton in “Social Theory and social structure” del 1949.

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zona devastata dall’inquinamento, le attività industriale e l’incuria (Dahlheimer 2008).93 Dopo oltre un secolo di abusi ecologici, sociali ed estetici, era già ampiamente diffuso lo stigma di “zona grigia”, avvelenata, depressa e senza futuro. Allora si considerava che la condizionante industriale era il principale elemento che ostacolava la rivitalizzazione dell’area.

Nonostante tutto ciò, della mano dell’IBA Emscher Park, tutta la regione scoprì negli anni Novanta che la sua storia industriale aveva tutto un valore e le comunità incominciarono a identificarsi in modo cosciente con quella storia (Ganser 2008).94 Nell’attualità, sebbene non è nato un nuovo orgoglio come esisteva in passato - quello si essere il cuore industriale del miracolo economico della Germania -, è emersa la consapevolezza sul passato, la storia comune di tutta la regione, e da quella una prospettiva di futuro sostenibile nel tempo, che ha contribuito a generare una nuova identificazione positiva (Prossek 2004). Su quest'aspetto, il caso di Liepzig non è molto diverso, trascinando da decenni lo stigma di città degradata, grigia e senza prospettive, è riuscita ad auto- rappresentarsi in termini positivi negli anni Duemila (Rink ed alt. 2010).

In questo senso, a Taranto ben si potrebbero individuare e rafforzare in modo coerente e permanente nel tempo, degli elementi identitari della società, non solo a livello locale, ma anche a un livello territoriale più vasto, tentando di costruire un’auto-rappresentanza se non del tutto positiva, almeno che possa sostituire la rassegnazione. Lavoro che certamente non dovrebbe farsi solo dalle altezze della pubblica amministrazione e circoli illuminati, ma considerando i suoi molteplici attori, nei diversi strati e livelli della società. Cioè dal basso, non solo dal locale. A partire di elementi diversi di storie comuni e condivise, delle loro caratteristiche e delle loro diversità, che consentano di costruire non solo narrazioni o un’eventuale immagine positiva della città. Ma soprattutto che permettano intravedere alternative di futuro nell’orizzonte buio.

Negli anni ‘90s, a partire della domanda ambientale, questo processo di presa di coscienza sulla storia recente, il carattere della città e il suo presente hanno acquisito un certo spessore. Forse ancora in modo parzializzato e troppo concentrato a denunciare gli effetti dell'inquinamento e il combattimento alla gran industria; ma comunque, costituisce un’importante risorsa sociale a cui

93 Achim Dahlheimer, Ministro de Costruzione e Trasporto dello Stato Nord Rhin-Westfalia; In: “International

Building Exhibition Emscher Park. The projects 10 years later”, Klartext Verlag, Essen, 2008, p.6.

94 Karl Ganser, Direttore dell'IBA Emscher Park entre 1989 y 1999; In: “International Building Exhibition Emscher

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ricorrere. E si aggiunge alla valorizzazione del patrimonio archeologico, storico e architettonico del comune, che nonostante il forte degrado, per esempio del centro storico, come si è visto cresce in importanza dagli anni Sessanta. Anche se forse, non si è saputo intercettare bene, rimane sempre come un elemento presente di cui tenere conto e come un elemento in torno al quale è più semplice radunare una società ormai frammentaria, divisa e individualista come quella tarantina.

Un fatto importante a tenere presente, è che non ha nessun senso cancellare della storia quello che ci sembra sgradevole, per esempio la siderurgica, lasciando solo quello che ci piace e rafforza, l’origine greco e la storia marittima. Ma piuttosto lo scopo sarebbe avere conoscenza di tutti gli elementi che storicamente hanno contribuito a formare la società tarantina, dalla lontana origine greca o bizantina, alla presenza militare-navale e l’importanza dell’industria siderurgica. La cosa rilevante è l’effetto che nella memoria collettiva hanno i diversi elementi, tra i quali il patrimonio industriale e la storia de la siderurgia italiana giocano un ruolo centrale, perché è l’elemento che per mezzo secolo, bene o male, ha determinato l’esistenza e la vita della città e di suoi abitanti.

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