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Ridimensionare il declino tarantino

Capitolo 3. Decostruire il declino

74 L'atto è stato pubblicato nel Bollettino ufficiale regionale n° 122 del 6 agosto 2009 ( 15 luglio 2009 n.5 )

3.3 Ridimensionare il declino tarantino

Una delle caratteristiche dell'urbanizzazione contemporanea è che negli ultimi quarant'anni la correlazione fra industrializzazione e urbanizzazione ha perso senso, e di questo il declino di Taranto ne è un esempio chiaro. Nelle economie avanzate, qualunque sia la forma che assuma, la crescita urbana tende ad avvenire laddove le economie locali sono riuscite a rinnovare la loro base economica, dopo la delocalizzazione, la chiusura o ridimensionamento delle attività industriali (Vicari Haddock 2004). Infatti, nel contesto delle politiche europee, alle città è stato attribuito un ruolo fondamentale come motore dell'economia (Commissione Europea 2003), nel senso che sarebbero proprio le città quelle a fare e spingere l'Europa (Sachsen-Anhalt 2010).

Da questa prospettiva, considerando le quattro voci attraverso le quali è stato raccontato il declino tarantino (declino economico, degrado ambientale, spopolamento e degrado urbano), risulterebbe che le città che non sono riuscite a invertire la spirale del declino, sarebbero quelle che nonostante i tentativi, non sono state in grado né di risvegliare l’economia né di rinnovare la base economica. Invece di diventare motori dell'economia, si sarebbero consolidate come una sorte zavorra che la rallenta. Il che sembra confermare la diagnosi iniziale nel senso che ci sarebbero dei contesti refrattari al cambiamento, e che Taranto costituirebbe uno di questi. Intorno a questa chiave di lettura si costruiscono le rappresentazioni più frequenti della città configurando il sostrato ideologico, a partire dal quale si formano le narrative egemoniche e dominanti che, ancorate a un supposto realismo, ostacolano l’emergenza di qualsiasi ipotesi di un radicale cambiamento

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intenzionale dell’orizzonte di possibilità. E se invece tale lettura non fosse del tutto vera?

Che la città di Taranto affronti una situazione di declino da ormai troppo tempo è piuttosto chiaro, com’è chiaro che secondo le narrazioni prevalenti sulla città, questa situazione sembra non aver soluzione. Dalle descrizioni del declino è anche evidente, che Taranto non è una città soggetta agli effetti di una crisi specifica, ma piuttosto una che ha subito lo stratificarsi di diverse situazioni di crisi, delle quali non ha mai saputo riprendersi, creando una condizione economica e sociale recessiva che si allunga da almeno tre decenni. Su questo punto bisogna soffermarsi un attimo perché questo ultimo aspetto sta a significare che, al di là di quanto possano restituire le narrative locali più pessimiste, Taranto non vive una “crisi terminale”, ma gli effetti di un lungo processo di decadenza economica e di deterioramento socio-ambientale, che è ben diverso.

Tabella n° 3.7

Reddito medio nelle principali città del Mezzogiorno

Comune Regione Popolazione (2010) Reddito medio (2009)

Cagliari Sardegna 156.488 € 14.730 Lecce Puglia 95.520 € 12.223 Bari Puglia 320.475 € 12.201 Salerno Campania 139.019 € 12.159 Taranto Puglia 191.810 € 11.164 Messina Sicilia 242.503 € 10.301 Palermo Sicilia 655.875 € 10.142

Reggio Calabria Calabria 186.547 € 9.873

Foggia Puglia 152.747 € 9.780 Brindisi Puglia 89.780 € 9.664 Catania Sicilia 293.458 € 9.498 Napoli Campania 959.574 € 9.432 Andria Puglia 100.086 € 5.870 Fonte: http://www.comuni-italiani.it/

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non ha raggiunto uno stato critico. Vista nel dettaglio nei suoi singoli elementi e indicatori sociali, offre un'immagine leggermente diversa. Per esempio, nonostante le sue criticità e la sua difficoltà di attirare investimenti e creare posti di lavoro, come risulta chiaro anche dall’analisi delle politiche e le iniziative mesi in atto, la città continua ad avere un reddito medio più alto di quello della maggioranza delle città vicine e molte delle più importanti città del Mezzogiorno (vedere Tabella n° 3.7 “Reddito medio nelle principali città del Mezzogiorno”). L'industria siderugica, anche se occupa la metà degli impiegati del 1981, continua ad attirare lavoratori di altri comuni della provincia, infatti, oltre il 50% degli assunti dell'ILVA sono residenti in altri comuni della provincia di Taranto. Ma anche ha produrre oltre il 70% del PIL provinciale. (ILVA 2010).

Il declino economico tarantino è in grande misura legato all’evoluzione dell’attività siderurgica, e ne subisce il fatto che questa non solo non sia in grado di generare lo sviluppo di altre attività economica, ma è un elemento strutturale che storicamente ha ostacolato le capacità imprenditoriale (Triglia 1992 / Di Fabbio 2011). Tuttavia Taranto, presenta tassi di attività che malgrado vadano decrescendo con gli anni, sono più alti della media regionale e del Mezzogiorno. All’interno di questa popolazione attiva, a differenza delle altre zone della regione Puglia, Taranto si caratterizzava prima della crisi finanziaria, per l’alto volume di addetti alle unità locali delle imprese del settore industriale in senso stretto, percentuale che andava ben oltre la media nazionale.

Tabella n° 3.8

Addetti alle unità locali delle imprese per settore di attività economica. SLL Taranto e Italia. 2005. Industria in

senso stretto Costruzioni Commercio

Alberghi e

ristoranti Altri servizi

SLL Taranto 33,29% 9,80% 20,36% 4,07% 32,47%

Italia 28,22% 10,65% 20,10% 6,41% 34,59%

Dati: Istat 2005.

Allo stesso tempo,è necessario inserire in prospettiva anche il degrado ambientale. Secondo diversi fonti, intorno al 2006 – 2007 l'inquinamento a Taranto era scappato a ogni controllo, diventando una vera e propria crisi ambientale d’interesse nazionale, lasciando la città sull'orlo del disastro ambientale (PeaceLink 2007). Versione relativizzata nella sua gravità dall'ILVA, secondo la quale i prelevamenti di datti allora non erano stati adeguati e in pratica sia l'ILVA come le altre aziende avrebbero inquinato molto meno (Pirro 2010).

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Benché il degrado ambientale abbia raggiunto livelli gravi e sia assai diffuso sul territorio di Taranto e i comuni vicini - sia come sostengono gli scienziati e le associazioni ambientaliste, o sia molto meno grave come sostengono invece gli industriali - il fatto significativo è che non è scoppiato ancora una vera e propria emergenza ambientale né un disastro ecologico. Per fortuna, non è mai accaduta una fuoriuscita di diossina come quella di Seveso nel 1976 né un disastro ecologico come quello di val di Stava nel 1985.

La situazione è comunque grave e richiede degli interventi urgenti, non solo dal governo locale, ma anche della regione Puglia e lo Stato italiano. Non si può aspettare che scoppino i disastri per attivare meccanismi che fronteggino i problemi, soprattutto perché pur non essendoci l’emergenza, gli effetti nocivi sulla salute umana (in particolare e l'incidenza dell'inquinamento sulle patologie cancerogene) e le attività economiche (in particolare l'allevamento degli animali e l'agricoltura) si prolungano per anni e finiscono per interessare tutto il sistema sociale locale, con gravissime conseguenze future. Inoltre non c'è nessuna garanzia che, non occupandosi per decenni del risanamento del territorio, una volta scoppiata un'emergenza ambientale lo si faccia in modo adeguato.

Su questo la storia recente è eloquente, e ciò dimostra quanto sia inefficace la logica “emergenziale” per affrontare gli avvenimenti critici che interessano i territori, basta vedere come si sono affrontate altre emergenze. Sia a livello locale, come il crollo di vico Reale a Taranto (nel 1975), sia a livello nazionale come il terremoto dell'Aquila (nel 2010) o le alluvioni a Genova e a Barcellona in Sicilia (nel 2011).

Un primo passo possibile è eseguire azioni per diminuire le emissioni inquinanti, facendole rientrare nei limiti previsti dalla Legge Regionale e le normative europee. In questo senso, come si è visto, l'European Investmen Bank approvò all'ILVA Taranto S.p.A e alla Cementir crediti per la modernizzazione degli impianti come parte della politica di sostenibilità ambientale delle rispettive aziende.

Dopo di che, si potrebbe valutare da dove iniziare i lavori di risamento. Si può partire, per esempio, dal rione Tamburi con la discussione di misure e azioni di mitigazione degli effetti

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dell'inquinamento (come quelle proposte dal prof. Gianluigi de Gennaro), facendo uso, per esempio, di alcuni strumenti come l'APQ in attuazione. Ciò avrebbe anche un effetto psicologico di non poco conto e potrebbe compromettere una parte del tessuto sociale attivo che è molto sensibile alle tematiche ambientali.

In una fase successiva si potrebbe puntare sul risanamento e recupero per la città delle aree militare sotto utilizzate, lasciando per l'ultimo le zone industriali sotto-utilizzate o dismesse, il porto e il fondale marino. Cioè, si possono trovare diverse soluzioni, prendere decisioni varie e scegliere strade differenti, ma si deve partire da qualche parte. Comunque vada, il risanamento non è solo un obbligo morale da parte di uno Stato che è diretto responsabile dell’inquinamento; attuare un piano di risanamento del territorio tarantino è anche un'obbligo legale, imposto da un decreto della Presidenza della Repubblica del 1998.

Il risanamento del fondale marino è alla base di qualsiasi ipotesi di ristrutturazione del porto ma è anche uno degli aspetti più onerosi che dovrebbe affrontare un piano di risanamento. In questo senso, non sono pochi coloro che credono che non sia realistico pensare al risanamento del territorio tarantino, da un lato perché non è possibile togliere quei livelli d’inquinamento e, dall'altro, se fosse possibile sarebbe troppo costoso. Comunque, alternative ce ne sono, tuttavia, i tipi di trattamento sono molteplici e in Europa esiste un grande sviluppo scientifico e tecnologico e un vasto bagaglio di conoscenze su questo aspetto.

Tabella n° 3.9

Alternative di risanamento ambientale

Trattamento Caratteristiche

Chimico Trasformare gli inquinanti in componente meno tossici.

Fisico Separando gli inquinanti dalla matrice solida o liquida, ottenendo la materia inquinante informa concentrata per un ulteriore trattamento.

Termico

Biologico Facendo uso di micro organismi che degradano gli inquinanti presenti nel terreno, i sedimenti o l'acqua.

Fonte: Valitutti 2009.

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senza necessità di scavare il terreno e spostare il materiale inquinato ad altre aree, riducendo notevolmente i costi di operazione. Però, è un trattamento più lento e i suoi risultati sono meno certi, data la natura variegata dei diversi suoli. La tecnica stimola la crescita di microorganismo che usano gli inquinanti come nutriente o fonti di energia. Limite di questa tecnica, è che determinati prodotti sono resistenti all’azione dei microbi o richiedono molto più tempo. Alcune delle tecniche più diffuse in questo senso sono: a) il bioventing, usato per risanare suoli inquinati con idrocarburi di origine petrolifero, ed è una delle meno costose; e il b) biosparging, simile all'altro, ma che si usa in suoli saturi e falde, applicando ossigeno che stimola la riproduzione di microrganismi. Questo ultimo è utile contro benzina, gasolio, greggi petroliferi, etc. (Valitutti 2009) Resta però il fatto che la quantità d’inquinanti a Taranto, come si è visto, è molto varia e che il principale agente inquinante è la diossina, per la quale il trattamento è molto costoso.

Non poche volte si sostiene che l'inquinamento a Taranto abbia raggiunto livelli tali, che l'ipotetico risanamento del territorio, con tutta la sua complessità costituirebbe un'operazione costosissima, che in pratica la farebbe impraticabile. Anche se quest’ultimo fosse vero, il problema è che contare con un’ambiente mediamente pulito è uno dei requisiti che devono possedere i territori per assicurare la sostenibilità nel tempo, ed è una delle condizioni per raggiungere gli obiettivi europei. Dunque, ogni strategia di sviluppo che si intraprenda deve, per forza, includere un piano di risanamento, riduzione di emissioni, trattamenti di rifiuti industriali. Si faccia nella misura del possibile o con obiettivi più ambiziosi.

Il fatto indicativo in tutto ciò è che in nessun momento si è valutata seriamente l'ipotesi di una chiusura programmata dell'industria siderurgica seguita da un lavoro di bonifica progressiva del territorio. Non si è fatto non solo per essere considerato troppo oneroso e tecnicamente impraticabile (fatto sul quale molti scienziati non sono d'accordo), ma sopratutto perché fugge all'orizzonte delle possibilità dei decisori e di una larga fascia della popolazione locale. Ovvero, perché Taranto senza la siderurgica (e le altre industrie di base) è ritenuta un'ipotesi inconcepibile. Tuttavia, non è solo l'ILVA, la Camera di Commercio e la Confindustria locale a difendere il “carattere” industriale della città, l'interdipendenza simbiotica tra città e industrie e l'assurdo dell'ipotesi di chiusura. Questi enti promuovono la tesi della grande industria di base come unica possibilità economica per il territorio, anche il governo locale (anche se in modo ambiguo), ma sopratutto i sindacati (CGIL, CISL e UIL) che si preoccupano della necessità di avere posti di

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lavoro fisso e stabili in città. La crisi finanziaria e la recessione economica non hanno fatto altro che confermare queste posizioni, ribadendo la necessità di mantenere la siderurgica in funzioni, malgrado le sue esternalità negative. Innanzitutto, non si appaiono alternative oltre al fantasma della crisi occupazionale e l'acutizzarsi del declino urbano e lo spopolamento che già si affaccia da oltre tre decenni.

Inoltre, la contrazione demografica tarantina (21,8% tra 1982 e 2011) non è maggiore di quella vissuta da molte altre città italiane tra 1971 e 2001 – per esempio, Milano, Torino, Genova, Firenze o Bologna; e in effetti, è ben al di sotto di quella di Cagliari tra 1981 e 2011 (34,2%). Il fatto rilevante in questo caso è che a differenza della maggioranza dei casi italiani, a Taranto lo spopolamento non solo non si è fermato intorno al 2000, ma continua ancora oggi. Tendenza osservata anche in altri casi del sud d'Italia,75 che rappresenta un fenomeno che starebbe aumentando nell’ultimo tempo,76 coincidendo con la situazione di recessione che affronta il paese.

Questo quadro sembra confermare la teoria per cui la storia dello sviluppo urbano non è rappresentabile una storia lineare di crescita costante; ma è caratterizzata da fasi di crescita, stagnazione e declino, dovute a trasformazioni e nuove condizioni economiche, sociali e politiche (Fritsche & al. 2007). Il fenomeno di città duramente colpite dalla decadenza dell'economia fordista non è nuovo e ha dato origine alla teoria del declino urbano e più recentemente allo studio delle cosiddette “shrinking cities”77, cioè città che soffrono processi di “contrazione” e “spopolamento”. In Italia, sebbene circa il 50% delle città con più di 100 mila abitanti rientrino in questi parametri, lo studio di questo fenomeno non hasuscitato l'interesse che ha avuto in altri Paesi, come la Germania.

In Italia non si fa tanto riferimento alla contrazione demografica, né all’eccedenza di costruzioni non occupat, sebbene i tassi di abitazioni abbandonate siano abbastanza elevati in alcune città, con cifre non troppo lontane di quelle di città dove il tema delle abitazioni vuote ha assunto il carattere di problema da affrontare (Tabella n°3.10 “Percentuale di abitazioni vuote in città del Sud d'Italia e

della Germania Orientale”). Si fa invece riferimento alla sub-urbanizzazione e allo sprawl

75 Allegato, Tabella n° 6 Ciudades italianas de más de 100.000 habitantes en contracción demográfica (1991-2011) 76 Allegato n° 4 “Figure e tabelle”: Tabella n° 2.2 Tassi di crescita della popolazione nel Mezzogiorno italiano, per

Regione (2007-2011).

77 Concetto usato negli Stati Uniti, egli ultimi anni Settanta da Robert Weaver (1977, “The Suburbanisation of America

or the Shrinking of the Cieties”, in: Civil Rights Digest, vol.9-3, pp.2-11) y Gurney Breckenfeld (1978, “Coping

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incontrollato, situazione che interessa quasi tutte le città italiane, che nonostante le contrazioni demografiche continuano ad espandersi spazialmente. Taranto non è l’eccezione. Il fenomeno, infatti, in particolare negli Stati Uniti, ma anche in Germania Orientale, è ritenuto una delle principali cause dello shrinkage di molte città, come Detroit o Leipzig. In poche parole, in Italia, pur considerando tutte le sue particolarità e complessità, è evidente che si subisce lo shrinkage, anche se spesso non è concettualizzato come tale.

Nonostante ciò alcune città, in particolare nelle regioni meridionali del Paese, non sono riuscite a invertire la tendenza allo spopolamento e continuano un lungo e progressivo processo di declino sia demografico sia urbano: per esempio, a Cagliari, Napoli, Catania e Taranto.78 Nei casi di Taranto e Catania, non solo hanno un 18% o 14% in meno di popolazione di venti anni fa, ma anche hanno tassi di abitazioni vuote che superano il 15%.

Tabella n° 3.10

Percentuale di abitazioni vuote in città del Sud d'Italia e della Germania Orientale

Città meridionali (2001) % abitazioni vuote Città tedesco-orientali % abitazioni vuote (2005)

Reggio Calabria 21,7% Bitterfeld-Wolfen 21,1%

Catania 16,1% Magdeburg 20,4%*

Taranto 15,3% Leipzig 20,0%*

Bari 13,9% Halle 16,3%

Palermo 11,4% Dessau-Rosslau 16,3%

* 2000. / Dati. Istat Censimento 2001 / IBA Stadtumbau Sachsen-Anhalt 2010, Anah 2010.

In efetti, anche se il tema delle “shrinking cities” è in certo modo dominato da ricercatori tedeschi, lo shrinkage è un fenomeno mondiale (Oswalt 2004). In Italia, la maggior parte di questi processi di

shrinkage avviene tra il 1970 e il 2000, soprattutto nelle zone di vecchia industrializzazione nel

nord del Paese, a causa della de-industrializzazione e de-localizzazione, stabilizzandosi dal 2001 in poi - per esempio, a Genova o Venezia - e perfino invertendosi da allora, in città come Torino e Milano. Va detto, però, che la perdita di popolazione a Taranto (e tutti i casi italiani) non è paragonabile a quella subita da città come Saint Louis, Detroit o Cleveland,79 né ad alcuni casi

78 Allegato, Tabella, Città italiane di oltre 100.000 abbitanti in contrazione demografica (1991-2011)

112 molto complessi in Germania dell'Est.

La contrazione demografica tarantina è ancora più indicativa se comparata con altre situazioni di contrazione demografica in Italia, per esempio, con il processo di calo demografico sperimentato per città come Torino, Milano e Genova a partire degli anni Settanta. Il comune di Torino, che oggi ha 260.000 residenti in meno di quanti ne aveva 40 anni fa, vide diminuire la sua popolazione del 26% circa tra 1971 e 2003, la stessa situazione è successa anche a Milano (-28%) e Genova (-26%) e molte altre città nello stesso periodo, oggi hanno rispettivamente 398.000 e 208.000 residenti in meno.

Tabella n° 3.11

Città italiane di oltre 100.000 abitanti in contrazione demografica (1991-2011)

Città 1991 2001 2011 % var. 1991-2011 Napoli 1.087.902 1.004.577 957.637 - 11,97% Catania 339.359 312.205 292.743 - 13,73% Taranto 234.992 201.754 191.280 - 18,60% Cagliari 224.881 163.671 156.275 - 30,50% Pisa 100.593 89.710 87.994 - 12,52%

· Dati Istat. Ricostruzione Intercensuaria della popolazione (1991); Bilancio demografico mensile (2011)

A differenza di Taranto il comune di Torino, che ha un territorio 40% più piccolo di quello tarantino, sviluppò intorno a sé una vasta area metropolitana (con un territorio cinque volte quello di Taranto) della quale il comune torinese funziona come centro ospitandone il 52% degli abitanti (Ave 2005). Il fatto rilevante è che l'area metropolitana di Torino (con i suoi 1.700.000 abitanti circa) non ha mai smesso di crescere, neanche nei momenti più bui della de-industrializzazione della città. Altrettanto successe a Milano, anche se in questo caso lo sprawl raggiunse dimensione molto più vaste e la sub-urbanizzazione diede luogo a una regione metropolitana che si estende, secondo alcune delle più autorevoli interpretazioni, nel territorio di ben tre regioni italiane diverse: Lombardia, Piemonte e il Veneto; e include anche zone del cantone Ticino in Svizzera – (Balducci & altri 2011).

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A sua volta Genova, con un territorio ancora più grande che quello tarantino di quasi un 17% (ma a differenza di Taranto la maggior parte di questo territorio e montuoso e non edificabile), nonostante avesse perso circa il 26% di suoi abitanti in trenta anni, fece quasi lo stesso nella forma di una lunga conurbazione costiera che raduna 1,2 milioni di persone. A Taranto invece ciò non è successo, come si spiega più avanti, il suo particolare processo di sub-urbanizzazione, in gran parte all’interno dei limiti comunali, non si è tradotto nella creazione di una vera area metropolitana e non attrae popolazione.

Una altra differenza fondamentale tra città in contrazione demografica come Taranto - ma anche Cagliari o Catania - con quelle che a partire del 2000 hanno invertito nettamente la tendenza - come Torino e Milano - è che queste ultime attraggono popolazione, in grado di contrastare la costante emigrazione. La crescente mobilità della popolazione tra città, regioni, paesi e continenti è una delle caratteristiche demografiche della contemporaneità; le criticità non si producono dunque quando la città produce emigrazione, ma quando non è capace di attirare nuovi residenti.

Tabella n° 3.12

Città italiane che hanno perso almeno il 20% della popolazione (1971-2011)

Città Massimo di abitanti

(anno) Minimo di abitanti (anno) % decrescita Popolazione maggio 2011 Cagliari 237.356 (1982) 156.116 (2011) 34,22% 156.275 Milano 1.732.000 (1971)80 1.247.052 (2002) 27,99% 1.334.077 Catania 400.048 (1971) 292.743 (2011) 26,82% 292.743 Genova 816.872 (1971) 601.338 (2003) 26,38% 608.676 Torino 1.167.968 (1971) 860.346 (2003) 26.33% 908.853 Venezia 363.062 (1971) 268.516 (2007) 26,04% 270.772 Bologna 490.528 (1971) 371.363 (2001) 24,29% 380.181 Firenze 457.803 (1971) 352.096 (2002) 23,09% 372.966 Napoli 1.226.594 (1971) 957.637 (2011) 21,92% 957.637 Taranto 244.798 (1982) 191.280 (2011) 21,86% 191.280

Fonte: Propria elaborazione: Dati Istat. Censimenti 1971, 1981. Ricostruzione Intercensuaria della popolazione (1982-2001); Bilancio demografico (2002); Bilancio demografico mensile (2003-2011) http://www.demo.istat.it

80 Nel 1973 Milano registra una popolazione di 1.743.427 residenti. Ai fini comparativi si usa la popolazione del censimento di 1971.

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Paradossalmente a Milano, per tutto il decennio del Duemila, i tassi d'emigrazione annua annua sono stati il doppio di quelli tarantini. Negli ultimi dieci anni, mentre a Milano e a Torino si osservano ogni anno tassi di emigrazione che andavano da 2% al 3%, a Taranto questi oscillavano solo tra l'1,5% e l'1,75% annuo. Tuttavia, tra il 2001 e il 2011 a Milano la popolazione è cresciuta del 6,9%, a Torino del 5,6% e a Taranto è diminuita del 5,2%. Il punto è che Milano e Torino non sono eccezioni: in molte città d’Italia si emigra di più che a Taranto, ma non si registra un così forte calo della popolazione.

In sintesi, nonostante il progressivo processo di declino economico, sociale, demografico, urbano e ambientale della città negli ultimi decenni, cosi come la presenza di forti criticità strutturali che

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