Banalmente, si potrebbe definire l’innovazione come l’attitudine a definire e realizzare delle alternative alle possibilità già conosciute e adottate. Restringendo il focus tematico all’interno del fenomeno dell’imprenditorialità, l’innovazione assume dei contorni più definiti. In tale contesto l’innovazione si lega alla capacità degli attori economici di “tradurre” un’invenzione in un qualcosa di concreto, che vada a modificare lo stato attuale in termini di prodotto, segmento o mercato. Già negli anni Trenta Schumpeter affermava che un’invenzione che non trova applicazione concreta nel mercato è irrilevante in termini economici. Per riuscire in questa sfida l’organizzazione, così come il singolo imprenditore, devono riuscire a combinare diversi tipi di risorse, materiali e immateriali (si pensi alle competenze, alle conoscenze, agli impianti di produzione e ai team di ricerca e sviluppo). Nonostante il tempo trascorso, il contributo di Schumpeter si dimostra quanto mai attuale nel catturare gli aspetti fondamentali che identificano i campi potenzialmente oggetto d’innovazione.
Tuttavia, nel corso degli anni la letteratura ha offerto svariate classificazioni e interpretazioni relative al fenomeno dell’innovazione. Tra le più importanti e
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maggiormente condivise ricordiamo la classificazione proposta da Drucker nel 1954, che distingue l’innovazione in due categorie: innovazione di prodotto (o servizio), e innovazione di processo. La prima categoria individua quelle innovazioni che interessano il prodotto (o il servizio) relativamente alle sue qualità e specificatamente nel contesto dell’uso o fruizione. La seconda tipologia inquadra invece i cambiamenti e i progressi che migliorano i processi di produzione e offerta dei beni e servizi stessi. Tali aspetti sono spesso legati a miglioramenti dei sistemi produttivi nell’ambito dell’efficacia e dell’efficienza, ma anche ad aspetti estranei alla produzione. Spesso le due categorie appaiono collegate, in quanto può accadere che un’innovazione di processo comporti un’innovazione di prodotto e viceversa (Chesbrough, 2005). Come sottolinea Verganti queste tipologie di innovazione derivano “dall’integrazione tra diversi fattori: nuove opportunità tecnologiche di prodotto e di processo, nuovi modelli di d’impresa (come conseguenza di nuovi assetti organizzativi o scelte strategiche), nuovi valori che si affermano nella società, nuovi bisogni dei mercati” (Verganti 2011, p.45). Un’ulteriore proposta di classificazione si distingue in quanto sposta l’attenzione dall’oggetto interessato dall’innovazione all’origine (o fonte) dell’innovazione stessa. Si parla quindi di innovazioni Technology Push e Market Pull. La prima categoria descrive le innovazioni, generalmente di tipo radicale, come effetto di scoperte tecnologiche che comportano l’emersione di nuove possibili applicazioni sul mercato della tecnologia stessa. Quest’ottica vede i clienti e consumatori come figure passive che subiscono le offerte di nuovi prodotti e servizi, i quali puntano a bisogni nascosti, latenti o semplicemente ne creano di nuovi.
Alternative a questa categoria vi sono le innovazioni dette Market Pull. Esse nascono principalmente nell’ambito degli studi di mercato e dell’analisi dei bisogni dei clienti, dall’osservazione della fruizione dei servizi e dell’utilizzo dei prodotti. In altre parole, si parte dallo studio di un ipotetico problema e si ricerca la soluzione tecnologica che ne consente il superamento. Spesso questa tipologia di innovazione ha una connotazione di tipo incrementale, in quanto si concretizza in miglioramenti di prodotti o servizi esistenti in termini di prestazioni o prezzo. A metà strada tra queste impostazioni si sviluppa una terza via detta Innovazione Design Driven (Verganti, 2011). Questo tipo di innovazione punta a ridefinire il significato associato alla fruizione di un servizio o all’utilizzo di un prodotto. Esse fanno leva principalmente su bisogni latenti e aspetti
emozionali e rappresentano il tentativo, da parte delle organizzazioni o dell’imprenditore, di comprendere ed eventualmente anticipare trend nei modelli socio- culturali e di consumo offrendo prodotti e servizi concettualmente innovativi (Verganti, 2011). Anche questa tipologia di innovazione può manifestarsi in modo incrementale o radicale; nel primo caso si assiste all’introduzione di un prodotto o servizio in linea con i correnti modelli socio-culturali e di consumo, nel secondo caso invece è evidente una forte reinterpretazione dei concetti alla base del prodotto o servizio. Come lo stesso Verganti sottolinea, le tre tipologie di innovazione qui brevemente esposte (Technology, Market, Design-driven) sono ulteriormente interpretabili come la combinazione di vari livelli di innovazione funzionale (e quindi tecnologica) e innovazione di significato.
Figura 1.13 – Tipologie di Innovazioni per funzione e significato
Fonte: Verganti, 2011
Come viene rappresentato nella matrice proposta, l’innovazione funzionale può manifestarsi con un’intensità bassa e quindi portare ad un miglioramento incrementale del prodotto o servizio, oppure comportare significativi miglioramenti oppure ancora, definire nuove funzioni in precedenza mancanti. Al crescere dell’intensità di questo
aspetto, è probabile che ci si trovi dinnanzi ad un’innovazione dettata prevalentemente da progressi tecnologici. Per quanto riguarda il piano del significato, le sue modifiche possono trarre origine da un semplice adattamento alle esigenze emergenti dallo studio dei mercati, oppure manifestarsi in un cambiamento sostanziale. In seguito a questa breve esposizione di alcuni concetti fondamentali di innovazione, si sposterà ora l’attenzione al contesto imprenditoriale, attraverso un’analisi volta ad individuare i tratti che contraddistinguono la figura dell’innovatore. Tale impostazione verrà poi utilizzato per analizzare le dinamiche di sviluppo di alcune start-up all’interno di un incubatore tecnologico, cercando di identificare i contributi più significativi attribuibili a tale struttura. L’importanza dell’innovazione per la sostenibilità a lungo termine di un’organizzazione appare quanto mai scontata. Meno scontata è invece la capacità di innovare e di riconoscere le persone che potenzialmente sono in grado di dar vita a tali fenomeni. Spesso si tende ad identificare l’idea di innovatore con la figura del singolo, dell’imprenditore di successo. Tuttavia anche dirigenti e top manager di aziende consolidate possono manifestare tale qualità, per esempio nella gestione di una business unit, nel lancio di un prodotto o servizio. Si pensi alle situazioni in cui all’interno di un mercato si identificano due categorie di attori: l’azienda Leader e le aziende Follower. La prima, grazie alla sua vocazione innovativa, è in grado di sviluppare e offrire prodotti e servizi che la associano, nella mente del consumatore, al prodotto innovativo stesso (si pensi, per esempio, al settore dei lettori MP3 e alla relativa associazione al brand iPod). Tuttavia ai fini della nostra ricerca, e per una questione di semplicità, nel caso aziendale che seguirà questo capitolo analizzeremo degli esempi di imprese neo avviate per identificare alcuni aspetti che intrecciano imprenditorialità e innovazione. Infatti, come anticipato in precedenza, è possibile affermare che la figura dell’imprenditore è spesso il canale attraverso il quale l’innovazione raggiunge il mercato; ciò non significa che ogni imprenditore abbia le caratteristiche dell’innovatore. Allo stesso modo l’innovazione può trovare espressione all’interno di un ambiente corporate. Dyer, Gregersen e Christensen (2011) identificano quattro diversi tipi di innovatori:
Start-up entrepreneur
Corporate entrepreneur
Process innovators
Quindi ciò che appare davvero rilevante è identificare un metodo che permetta di riconoscere le qualità caratterizzanti il profilo dell’innovatore. Questa concettualizzazione è alla base del contributo che andremo presentare di seguito.
The Innovator’s DNA
Dallo studio approfondito dei tratti caratteriali di venticinque imprenditori innovativi e da un’analisi di oltre 3000 tra manager e top manager, Dyer, Gregersen e Christensen (2009) hanno elaborato una teoria interpretativa dell’innovazione, intesa come la capacità di alcuni individui di generare delle idee rivoluzionarie. Tale lavoro si basa prevalentemente sull’assunzione che alla base della capacità innovativa dell’individuo vi sia la cosiddetta “intelligenza creativa”, ovvero una capacità innata, determinata da particolari e irriproducibili combinazioni che determinano la personalità di ciascun individuo. Tentare di comprendere cosa sia responsabile della capacità innovativa di una persona è simile, e altrettanto difficile, allo studio delle motivazioni che spingono un individuo a diventare imprenditore. Comunemente si ritiene che alcune persone siano “right brained”, cioè dotati di una maggiore capacità intuitiva e creativa. Tuttavia secondo gli autori una percentuale di questa abilità non può essere spiegata esclusivamente dalla genetica. Ispirandosi alla struttura a doppia elica del DNA gli autori introducono cinque capacità (skill) che, secondo quanto emerso dai loro studi e dalle loro osservazioni, sono responsabili della capacità innovativa di ogni individuo. Tali skill sono presenti allo stesso modo, ma in quantità inferiori, anche nei soggetti non innovativi, o che comunque non manifestano tale capacità:
Associating: l’abilità di creare associazioni tra concetti non logicamente collegati, appartenenti ad ambiti differenti. Secondo gli autori corrisponde alla struttura di base del DNA dell’innovatore, sula quale si vanno ad innestare, combinandosi, le restanti capacità o “percorsi”. Ciò è il risultato delle capacità degli innovatori di analizzare nel dettaglio un’esperienza di consumo o un
processo e al tempo stesso mantenere un collegamento con la visione d’insieme. Aspetto interessante di questa impostazione teorica è che secondo gli autori tale capacità risulta essere “allenabile”, così come le altre quattro skill.
Questioning: la capacità degli innovatori di mettere in discussione qualsiasi aspetto dello status quo (attraverso domande-tipo: Why? Why not? What if?). Spesso accade, specialmente in riferimento ai manager, che le persone responsabili di sviluppare un processo o un prodotto si chiedano quali siano i metodi per migliorarlo. Il problema sollevato dagli autori è che in questi casi le persone ragionano in termini di miglioramento incrementale, mentre un innovatore raggiunge maggiori livelli di efficacia in quanto in grado di sfidare concetti condivisi e ritenuti immodificabili.
Observing: questa capacità assume un ruolo fondamentale nel tentativo di comprendere il comportamento dei clienti potenziali. Gli autori infatti sottolineano come, nel passato, questa qualità sia stata il presupposto alla creazione di idee di business rivoluzionarie.
Experimenting: così come gli scienziati, gli innovatori testano nuove idee attraverso la creazione di prototipi. In seguito all’osservazione, gli innovatori costruiscono esperimenti il cui scopo è fornire risposte concrete alle loro teorie, ma non solo. Questa abilità si manifesta anche ella capacità di modificare un’idea di business nel corso della sua espansione e consolidazione. Si pensi a come Jeff Bezos ha saputo inserire nuove attività nel portfolio di Amazon, passando dalla vendita di libri cartacei all’offrire servizi cloud. Tale sforzo appare maggiormente significativo se si considera la difficoltà di istituire un atteggiamento favorevole alla sperimentazione in un ambiente corporate.
Networking: in genere il networking è utilizzato per facilitare l’acceso a risorse scarse. Gli innovatori utilizzano il networking non solo per le risorse ma specialmente per entrare in contatto con nuove dimensioni di conoscenza. Tali conoscenze e connessioni permettono di facilitare i processi derivanti dall’unire idee e concetti provenienti da contesti tra loro distanti. Tale aspetto merita una particolare attenzione in riferimento all’argomento del presente elaborato.
Figura 1.14 – Framework dell’Innovator’s DNA