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64In effetti, mentre autorevole dottrina36 , ormai risalente,

tendeva a negare qualsiasi autonomia dogmatica alle clausole

di illiceità, attribuendovi, pur se con diverse argomentazioni,

un mero valore dichiarativo, solo alcuni interpreti

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si

36 In Italia, tra i maggiori esponenti dell’orientamento dottrinale volto a negare un qualsiasi ruolo autonomo ai c.d. requisiti di illiceità speciale, ricordiamo DELITALA, Il

fatto, cit., p. 18 ss. Per l’Autore le ipotesi di illiceità speciale non esprimerebbero altro che

un contrasto tra il fatto, inteso nel suo complesso, e l’intero ordinamento. Più precisamente, “non ci sono due specie di antigiuridicità, una generale e una speciale, ma una specie soltanto, poiché l’antigiuridicità risulta, in ogni caso, dal rapporto di contraddizione tra il fatto e la legge. Pertanto, se, da un punto di vista logico, potrebbe ancora sostenersi che l’antigiuridicità sia una nota costitutiva di tutti i fatti delittuosi, non è assolutamente ammissibile che la si consideri tale solo in quei casi nei quali la legge le ha dato esplicito rilievo”. E ancora, “non esiste alcuna differenza sostanziale tra i casi nei quali la legge dà rilievo al requisito dell’antigiuridicità, e quelli in cui tale rilievo fa difetto. Il fatto nella sua materialità è sempre neutro, e dovrà considerarsi come giuridico o antigiuridico a seconda delle circostanze nelle quali è stato commesso […] l’essenza dell’antigiuridicità non cambia natura solo perché il legislatore le ha dato espressamente rilievo”. Chi affermasse, d’altronde, che “nei casi di esplicito rilievo dell’antigiuridicità a costituire il dolo si richiede, oltre alla volontà del fatto, anche la coscienza della sua legittimità” direbbe “cosa o superflua o inesatta. Superflua ove voglia soltanto sostenere che il dolo resta escluso dalla erronea supposizione di uno stato di fatto che, se fosse sussistente, giustificherebbe il reato, inesatta ove voglia, per contro, affermare che il dolo resta escluso anche dall’errore di diritto sull’illiceità dell’azione. All’unità della nozione di antigiuridicità corrisponde, nel nostro ordinamento giuridico, l’unità della nozione di dolo”. Tuttavia l’Autore riconosce che “la sua unica funzione può essere quella di un avvertimento al giudice […] soprattutto consigliabile in tutti quei casi nei quali, malgrado l’astratta corrispondenza tra il fatto concreto ed il modello di torto, il reato potrebbe frequentemente far difetto, in virtù di circostanze particolari di liceità contemplate da un diverso ramo dell’ordinamento giuridico”. Comunque, ribadisce che nemmeno in questi casi l’antigiuridicità diventa un elemento del fatto, né tanto meno per l’esistenza del dolo è necessaria la coscienza dell’illiceità. Cfr., anche ANGIONI, Le cause, cit., p. 22 ss., secondo cui la c.d. antigiuridicità speciale non si distingue in nulla dalla antigiuridicità ordinaria, con la conseguenza che anche la distinzione in merito al dolo è inconcludente; FROSALI, L’errore, cit., p. 297 s.; PETROCELLI, L’appropriazione indebita, Napoli, 1933, p. 426 s. Nella dottrina tedesca più risalente, tra gli altri, v. M. E. MAYER, Der Allgemeiner

Teil, cit., pp. 12-13;

37 Il primo cronologicamente fu FLORIAN, La condizione di antigiuridicità speciale, cit., p. 284-285, secondo il quale le locuzioni illegittimamente, arbitrariamente, indebitamente, senza giusta causa, et similia,“esprimono qualcosa di più della comune caratteristica di antigiuridicità sotto intesa in tutti i reati. Inoltre indicano esse cause di legittimità e cause di giustificazione, le quali non potrebbero comprendersi nell’orbita delle cause analoghe espresse nella parte generale del Cod. […]. In codesti casi il delitto non sussiste se al dolo comune desunto dalla volontarietà, non si aggiunga, nell’agente, il sapere ch’ei opera senza diritto: occorre, cioè, la speciale coscienza dell’illecito.” In altri termini, per codesto Autore la presenza di tali elementi non può essere ritenuta superflua o ridondante, in quanto requisiti della fattispecie criminosa che, dal punto di vista dell’elemento soggettivo, danno vita ad una deroga al principio generale di presunzione di

Elementi normativi e cause di giustificazione

consapevolezza dell’illecito. Così, pure PANNAIN, Gli elementi, cit., p. 91, il quale già osservava che la norma giuridica non contiene avvertimenti o superfetazioni, per cui se la locuzione è stata contemplata dal legislatore dovrà necessariamente aver un suo perché, concludendo che “essi, dunque, null’altro sono se non elementi del reato in quanto parte integrale della descrizione contenuta nel modello legale e addirittura del fatto-reato, come la legge testualmente dimostra, ond’è che anche su di essi deve aversi la proiezione dell’elemento psicologico”. Cfr. CARNELUTTI, Teoria generale, cit., p. 139 s., secondo il quale un reato ad illiceità speciale richiederebbe, oltre la forma, la causa. Più diffusamente, per una prima analisi approfondita della materia, v. LEVI, Ancora in tema

d’illiceità speciale, cit., p. 351 ss. Secondo l’Autore le locuzioni avverbiali con le quali viene

genericamente richiamata l’attenzione dell’interprete sulla necessaria arbitrarietà o illegittimità del fatto, salvo alcuni casi in cui si traducono in clausole superflue nella struttura della fattispecie, perché intendono solo ribadire pleonasticamente l’illiceità di un requisito del fatto proprio in quanto elemento di un reato, costituiscono veri e propri elementi normativi. Capire poi il significato della specifica locuzione nell’economia del fatto di reato è questione da risolversi in sede esegetica. Detto altrimenti “L’illiceità è un attributo del fatto, che ne esprime il rapporto di contraddizione con l’obbligo sancito da una norma giuridica […]. La qualifica di illiceità appare ridondante quando già sono identificate, attraverso il riferimento alla sanzione caratteristica, le norme alle quali il fatto contraddice […]. Bisogna però ricordare che un singolo elemento di un fatto costituente reato, come di qualsiasi altro fatto illecito, non è illecito per sé, dal momento che all’integrazione della correlativa qualificazione di “illecito” del fatto sono essenziali tutti gli elementi. Se vi sono fatti illeciti dei quali qualche elemento sia da qualificare illecito per sé, vuol dire, quindi, che esso è tale in base ad un criterio diverso da quello che deriva dall’essere elemento di un fatto illecito […] l’illiceità speciale è da determinare in base ad una norma diversa dalla norma incriminatrice, in base ad una norma extra penale. L’errore, pertanto, su tale norma è l’errore scriminante dell’art. 47 cod. pen., e non quello irrilevante dell’art. 5 c.p.”. Le intuizioni di Levi vengono riprese successivamente da tutti gli studiosi, tra i quali, in particolare, PULITANO’, Illiceità espressa e illiceità speciale, cit., p. 68 ss; ID., L’errore, cit., p. 367 ss. Attraverso l’interpretazione casistica delle fattispecie ad illiceità lato sensu espressa l’Autore evidenzia che, in taluni casi, dette clausole sono superflue in quanto non rinviano a norme diverse da quelle in cui sono contenute e non esprimono alcun significato distinto e autonomo rispetto a quello desumibile dalla lettura della fattispecie incriminatrice anche in assenza della locuzione avverbiale. Pertanto, nelle disposizioni normative in cui l’illiceità espressa non entra a far parte in alcun modo del fatto, non si ha alcuna deroga al principio dell’irrilevanza dell’error iuris. Queste ipotesi potrebbero servire solo a richiamare l’attenzione del giudice sull’esigenza di verificare l’illiceità nel caso concreto là dove possano interferire in funzione scriminante principi giuridici maturati in altri rami dell’ordinamento. Diversamente, l’illiceità speciale si riscontra in tutte quelle fattispecie ove la locuzione avverbiale richiede, per la sua definitiva determinazione, l’integrazione con date qualifiche normative. Si tratterebbe pertanto di veri elementi normativi, per cui l’errore sulle norme richiamate “non è un errore sul significato del concetto esprimente la qualifica, e implica invece un errore su una caratteristica della situazione di fatto, con conseguente esclusione del dolo”. Cfr., pure, GIULIANI, Le norme di liceità, cit., p. 835; RISICATO, Gli elementi, cit., p. 153 ss.

Nella dottrina tedesca più risalente, tra gli altri, v. BESELER, Kommentar über das

Strafgesetzbuch für die Preussichen Staaten und das Einführungsgesetz vom 14 April 1851,

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