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a seconda dei casi, integratrici o non integratrici del precetto, riconoscendo solo all’errore su queste ultime, peraltro quas

mai individuate, efficacia scusante; la dottrina si divide tra gli

Autori

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che accolgono ancora la dicotomia giurisprudenziale e

coloro i quali, negando validità alla teoria dell’incorporazione,

si sforzano nel tentativo di individuare un altro parametro

distintivo

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.

Sez. II, 22 ottobre 1993, cit., p. 1419; Cass. pen., Sez. VI, 28 giugno 1989, cit., p. 1738; Cass. pen., Sez. I, 20 giugno 1986, cit., p. 600; Cass. pen., Sez. II, 18 gennaio 1986, cit., p. 1519. Per un quadro della giurisprudenza negli anni precedenti, v. LANZI, L’errore su legge

extrapenale, cit., p. 299 ss.; DE SIMONE, L’errore su legge extrapenale, cit., p. 709 ss.

80 Per BATTAGLINI, Errore, cit., c. 1202 ss., sarebbero integratrici quelle disposizioni che concorrono direttamente a costituire uno dei due elementi essenziali della norma penale, precetto e/o sanzione; ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 426, definisce integratrici le norme richiamate che completano la descrizione della fattispecie criminosa, dandole maggiore concretezza. Secondo ROMANO, Commentario, I, cit., p. 464; ID., «Repressione», cit., p. 126, possono considerarsi integratrici del precetto le disposizioni che contribuiscono a definire il singolo tipo di illecito, integrandone la descrizione legale, mediante l’aggiunta o la specificazione di elementi essenziali. In proposito, v. pure PULITANO’, voce Ignoranza, cit., p. 40; ID., L’errore, cit., p. 270. Ad opinione di ONDEI,

Considerazioni circa l’errore, cit., p. 30, occorre distinguere a seconda che la norma

extrapenale sia “recepita” nel precetto ovvero si traduce in un richiamo generico, sussistente quando la norma extrapenale si trovi “in rapporto di subordinazione” rispetto a quella penale. Per SALTELLI, Errore, cit., c. 322, diverrebbe penale ogni disposizione che concorre a costituire “l’elemento nucleare del precetto”, mentre non integratrice sarebbe ogni altra norma che serva “soltanto a determinare, per così dire, il raggio d’azione del precetto”. Ad opinione della RISICATO, Gli elementi normativi, cit., p. 176 ss., la distinzione in questione dovrebbe far leva “sulla relazione esistente tra il significato di base della legge extrapenale e la configurazione della «materia del divieto»”.

Per una critica, cfr. M. GALLO, Appunti, vol. II, part. II, cit., p. 43 ss.; GROSSO,

L’errore, cit., p. 176 ss.; PAGLIARO, Il fatto, cit., p. 491; FROSALI, Antigiuridicità speciale,

cit., p. 379.

81 Tra i numerosi tentativi di delimitare l’operatività dell’ultimo comma dell’art. 47 c.p. rispetto all’art. 5 c.p., superando però la teoria dell’incorporazione, v., in particolare, FROSALI, L’errore, cit., p. 164 ss., distingue due categorie di elementi normativi che concorrono a disciplinare il fatto di reato, “separando ogni elemento che è penale indipendentemente da apporti extrapenali”- come tutte le disposizioni giuridiche create appositamente per integrare una norma penale (es. le definizioni enunciate dal codice penale) - da ciò che, invece, “proviene alla norma penale come elemento integratore (per sua natura, extrapenale)”, concludendo che sulla prima categoria opera l’art. 5 c.p., sulla seconda l’art. 47, terzo comma, c.p. Detto altrimenti, a suo avviso, l’art. 47 concerne le diposizioni “non aventi per loro propria natura carattere penale, le disposizioni che sono principalmente, naturalmente, organicamente destinate a disciplinare rapporti extrapenali, le disposizioni integratrici di provenienza giuridica extrapenale, non ostante che, nella loro

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MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 373, “va precisato che si ha sempre errore sul precetto quando l’errore cade sul significato penalistico dell’elemento normativo. Invece è configurabile un errore sul fatto quando l’errore cade sulle norme extrapenali richiamate, le quali vengono in considerazione dopo che è stato definito in base alla ratio della norma penale il significato penalistico di tale elemento” (corsivo dell’Autore). PAGLIARO,

Principi, cit., p. 416, afferma che “se il soggetto, in dipendenza dell’errore sulla legge

extrapenale, erra sul significato di ciò che sta compiendo, il suo errore esclude il dolo perché egli non vuole l’evento significativo del reato. […] Possono residuare, però, taluni casi, nei quali l’errore sulla legge extrapenale non preclude al soggetto la comprensione del significato del fatto, in quanto la regola giuridica si affianca a una corrispondente regola sociale che consente di individuare la stessa classe di fatti o di oggetti. In questi casi il dolo si accontenterà della parallela conoscenza della valutazione sociale. Allora, un eventuale errore non escluderà il dolo, ma potrà avere effetto, solo se inevitabile, come ignoranza della legge penale (art. 5 c.p.)”. PULITANO’, L’errore, cit., p. 262 ss., afferma la natura integratrice di tutte le disposizioni richiamate, tramite un elemento normativo, dalla fattispecie penale, salvo poi precisare che “le norme «integratrici» extrapenali, non «sommandosi» alla norma-madre, nella descrizione degli elementi di fattispecie già tutti indicati da quest’ultima, restano estranee alla ricostruzione «dogmatica» della norma penale”. A suo avviso, il significato qualificatore dei concetti normativi non è dato dalla norma integratrice, “al contrario, è quel significato (predeterminato altrimenti) che serve ad individuare proprio date norme come parametro d’applicazione”. Il nucleo significativo dei concetti normativi è determinato con riguardo alla sua funzione penalistica, “come parte del significato precettivo immediato della norma penale. Ciò implica che l’errore su tale nucleo qualificatore dei concetti normativi non ha nulla a che vedere con l’errore sulle norme «extrapenali» integratrici, ma cade in via diretta ed esclusiva sulla norma incriminatrice […]. Indiscussa è pertanto l’applicazione, nella specie, del principio d’irrilevanza di cui all’art. 5 […]. Dove l’art. 47 u.c. sembra dover venire in considerazione, è per l’errore sulle fattispecie integratrici […]. Senza interferire con l’art. 5 – lasciando cioè ferma l’irrilevanza dell’errore sul «significato» dei concetti normativi – l’art. 47 u.c. afferma semplicemente la rilevanza scusante dell’errore «essenziale» sulle fattispecie integratrici: quell’errore in forza del quale, anche a conoscere il significato del concetto normativo e dell’incriminazione che lo incorpori, venga esclusa la sua applicabilità nella specifica situazione, e venga quindi esclusa la sussistenza nella specie di una qualifica costitutiva 8conosciuta o meno per tale in astratto) del fatto di reato”. PALAZZO, L’errore, cit., p. 80 ss., ritiene di poter distinguere tre diverse tipologie di errore in cui può incorrere l’agente: 1) l’errore sull’esistenza del precetto (“il soggetto può o semplicemente ignorare l’esistenza del precetto […] oppure erroneamente convincersi dell’inesistenza del precetto”), inescusabile perché vertente sull’antigiuridicità della propria condotta; 2) l’errore sulla struttura del precetto (“il soggetto si rappresenta la struttura del precetto con un elemento costitutivo in più o in meno di quelli reali, oppure confonde un elemento costitutivo reale con un altro qualitativamente eterogeneo”), sempre inidoneo ad escludere il dolo perché frutto di una rappresentazione dell’illecito diversa da quella reale; 3) l’errore sull’ampiezza del precetto (“quando l’agente conosce inesattamente l’estensione e i limiti di applicabilità del precetto, cioè l’ampiezza delle categorie logiche –che possono essere distinte in categorie normative o logico-culturali - attraverso le quali è indicato il fatto contenuto nel precetto”): l’errata attribuzione del significato laico dell’elemento normativo allo specifico caso concreto, determinando la mancata sussunzione del fatto storico entro l’ambito di operatività della fattispecie incriminatrice, si risolverebbe in un errore sull’ampiezza del precetto rilevante a norma dell’art. 47, terzo comma, c.p. GRASSO, Considerazioni in tema

CAPITOLO III

Prendendo le mosse, invece, dalla diversa impostazione da

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