1 – La genesi dell’opera e il rapporto con Neri Pozza
In modo lampante uscì per Neri Pozza, l’editore vicentino che nonostante la dimensione
provinciale e artigianale della propria impresa riuscì a costruire una delle realtà più significative del dopoguerra: sorprende ancora oggi il catalogo delle opere stampate da Pozza, che, grazie al suo fiuto raffinato – capace di scoprire e valorizzare un talento come Goffredo Parise –, ai contatti intessuti nel corso degli anni e alle sue abilità persuasive, pubblicò opere dei maggiori letterati del Secondo Novecento, come Dino Buzzati, Mario Luzi, Eugenio Montale e Andrea Zanzotto.
La raccolta, stampata in mille copie, faceva parte della «gloriosa» Collana di poesia, che a detta dello stesso Bandini «fu uno degli episodi che più diede prestigio e notorietà alla casa editrice nel mondo letterario nazionale»1. Essa aveva preso avvio nel 1953 con la riedizione de La Gaia
gioventù di Antonio Barolini e nel suo catalogo comprendeva opere del primo Novecento non
ancora riscoperte dalla critica (Pianissimo di Camillo Sbarbaro, Sogno e ironia di Carlo Chiaves,
Orchestrine – Arioso di Arturo Onofri), volumi di autori legati alla stagione ermetica (Onore del vero di Luzi, Canto del destino di Giorgio Vigolo, Cineraccio di Leonardo Sinisgalli) e soprattutto
la prima edizione de La bufera e altro di Montale (ben presto esaurita).2
Bandini in più di un’occasione ha ammesso il proprio debito nei confronti di Pozza che, oltre ad avere avuto il merito di scoprire le doti letterarie e umane del giovane poeta, lo supportò nella fase iniziale, segnalandolo a Fasolo per l’antologia dei Nuovi poeti, mettendolo in contatto con la sua cerchia di conoscenze (sono conservate le lettere in cui chiedeva una recensione al successivo
Per partito preso) e riempiendolo di consigli e ammonimenti, non sempre graditi. Come era
1
Dalla lettera di F. Bandini ad A. Colla del settembre 1991, conservata presso l’Archivio Neri Pozza – Bertoliana di Vicenza, Serie Corrispondenza autori, Sottoserie Corrispondenza alfabetica autori, Fascicolo Fernando Bandini, n. 6.
2
Nel complesso la «Collana di poesia» pubblicò i seguenti 24 titoli: Antonio Barolini, La Gaia gioventù e altri versi
agli amici, II edizione, 1953; Camillo Sbarbaro, Pianissimo (1914-1954), 1954; Manlio Dazzi, Stagioni, 1955; Carlo
Chiaves, Sogno e ironia (1910), a cura di Aldo Camerino, 1956; Eugenio Montale, La bufera e altro, 1956; Angelo Barile, Quasi sereno, 1957; Mario Luzi, Onore del vero, 1957; Ugo Fasolo, L’isola assediata, 1957; Corrado Govoni,
Stradario della primavera e altre poesie, 1958; Guglielmo Petroni, Poesie, 1959; Arturo Onofri, Orchestrine – Arioso,
con una nota critico-biografica di Giorgio Vigolo, 1959; Giorgio Vigolo, Canto del destino, 1959; Beniamino Dal Fabbro, Gli orologi del Cremlino, 1959; Maria Luisa Spaziani, Luna lombarda, 1959; Leonardo Sinisgalli, Cineraccio, 1961; François Villon, Poesie scelte, a cura di Luigi De Nardis, 1962; Fernando Bandini, In modo lampante, 1962; Ugo Fasolo, Notte e compianto, 1968; Enrico Scialoja, Morte con Epicuro e altre poesie, 1968; Guglielmo Petroni, Fermo
sereno, 1969; Giorgio Sambonet, Noria, 1969; Margherita Guidacci, Neurosuite, 1970; David Maria Turoldo, Poesie,
avvenuto con Parise, Pozza volle diventare un consigliere a tratti troppo invasivo, affezionato a un’immagine di poeta che non corrispondeva alla reale natura della Musa bandiniana.
Alla poesia invece Pozza delegava la rappresentazione della sua personale vicenda, l’attualità della sua vita. Nella sua opera di narratore la viva materia della passione, il coinvolgimento di sé, erano indubbiamente più filtrati. L’argomento era spesso tra noi oggetto di animate discussioni (e di vivaci scambi epistolari).
Nel poeta, Pozza non ammetteva un atteggiamento eccessivamente artiste, del quale riconosceva la legittimità nei prosatori (ad esempio in Flaubert). La poesia doveva scaturire dal cuore, essere in presa diretta con la vita. 3
Questa visione poetica trova conferma nella presentazione che Neri Pozza apponeva alla scheda bibliografica di In modo lampante4, importante per comprendere la sua percezione nei confronti del giovane autore.
Forse una delle strade della poesia può essere anche quella seguíta da Fernando Bandini: nel senso della piena presenza dell’uomo in ogni argomento che interessi la vita morale e civile, nella sua attenzione a coglierlo nelle vivezza delle prospettive, con la capacità a ridurlo a personale voce poetica e personale linguaggio; evitando esteriorità decorative di parola, che spesso rendono sterili molti esperimenti della poesia d’oggi.
Ma l’attenzione del Bandini, tesa a rivelare i vari aspetti del mondo, è mossa da una vibrata ironia, che investe l’invenzione conferendole una luce e un tono lontani dal gusto corrente.
L’unità di questo piccolo libro (libro e non raccolta di poesie) è saldata dalla franchezza degli affetti, dal rincorrersi dei motivi che trovano coesione in un dettato espressivo raggiunto dopo un lavoro paziente e oscuro.
È convinzione dell’autore che, nel vaniloquio più o meno sperimentale dei nostri giorni, spetti al poeta un lavoro duro e ingrato dal quale non aspettarsi altro che il consenso dell’anima, insieme a quello di quei pochi per i quali la poesia ha ancora un significato.5
La nota di Neri Pozza, presentando la poesia di Bandini come una via alternativa al «vaniloquio più o meno sperimentale dei nostri giorni», autonoma da quelle poetiche che basandosi su «esteriorità decorative di parola» raggiungono solo risultati «sterili», riporta alle vibranti polemiche letterarie legate alla neoavanguardia. In realtà anche Bandini subì qualche influsso dalle novità introdotte dai Novissimi (come approfondirò nel capitolo successivo): ma se riconosceva la legittimità degli assunti teorici di Sanguineti (come l’«instabilità» e il «mutamento della lingua
3
F. Bandini, Poesia, antico amore, «Il Gazzettino», 19 dicembre 1988 (suo il corsivo).
4
La scheda bibliografica di In modo lampante, ormai assente da quasi tutte le copie in circolazione, è praticamente ignota: il piccolo cartoncino contiene una foto dell’autore, ritratto con un libro in mano davanti alla propria libreria, la presentazione di Neri Pozza e una breve nota («FERNANDO BANDINI è nato a Vicenza il 30 luglio 1931. Ha pubblicato l’edizione della Politica dei villani di Domenico Pittarini e curato la ristampa dei Banchetti di Cristoforo da Messisbugo, per la nostra Casa Editrice»).
5
poetica del novecento»6), non ne condivideva l’oscurità programmatica, cercando una via alternativa di sperimentalismo che non precludesse la chiarezza del messaggio.
La presentazione di Pozza, distinguendo la poesia di Bandini dallo sperimentalismo della neoavanguardia, ne sottolineava il contenuto morale e civile, la personalità del linguaggio e la venatura ironica di molti componimenti. Per quanto riguarda la struttura dell’opera si avverte invece, nascosta, una excusatio non petita: «L’unità di questo piccolo libro (libro e non raccolta di poesie) è saldata dalla franchezza degli affetti, dal rincorrersi dei motivi». Ma dalla lettura di In
modo lampante ciò che sfugge talvolta è proprio una struttura chiaramente unitaria della raccolta, a
cominciare dalla divisione in tre sezioni, che non sembra seguire criteri cronologici o formali, quanto legarsi ai toni e ai contenuti delle poesie.
Nella prima sezione si concentrano le dichiarazioni di poetica e i componimenti dal tono mordace (presenti comunque anche nella terza); nella seconda prevalgono testi dal carattere elegiaco, con riflessioni sull’infanzia e sul passaggio del tempo; nella terza ci sono molte poesie dedicate a Vicenza, specie la prima e l’ultima, il che conferisce un certo equilibrio alla sezione. Dal punto di vista formale, la sezione centrale contiene i componimenti più brevi (si va dagli otto versi di Forza di gravità e Tempo passato ai diciassette di Sereno autunno dopo la pioggia e Nel luogo
deserto), forse per l’influenza del modello delle prime due raccolte montaliane, in cui una sezione
centrale è dedicata ai componimenti di più forte concentrazione lirica, gli Ossi di seppia e i Mottetti. Ma a parte questo, all’interno dell’opera i legami strutturali si limitano a richiami di carattere lessicale o tematico, come ad esempio l’uso, sia nella prima che nell’ultima poesia, della parola
carità, che da pura, emblema di una passione civile fiduciosa e incorrotta, si fa alla fine adolescente, osservata con nostalgia da un animo più distaccato. Questi rapporti interni comunque
non sono supportati da altri chiari indicatori di un’evoluzione interna del discorso: la sensazione che lascia In modo lampante è di una raccolta che si perde in molte tematiche e tonalità diverse, quasi come se l’autore stesse provando vari tasti e corde dei propri strumenti poetici, il che lo porta a ribadire più volte gli stessi concetti.
L’impressione di disomogeneità, la prevalenza di scene favolistiche e di un tono satirico dipendono dalla particolare genesi della raccolta, frutto non tanto delle scelte dell’autore quanto di quelle dell’editore: In modo lampante in verità è una sorta di antologia della produzione poetica giovanile di Bandini curata da Pozza, che selezionò i suoi testi in base ai propri gusti.
6
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Archivio storico Arnoldo Mondadori Editore, segreteria editoriale
autori italiani, fasc. Bandini Fernando, lettera di F. Bandini a M. Forti, Vicenza, 16 ottobre 1966, ms. Il contenuto di
questa lettera sarà approfondito nel capitolo dedicato alla raccolta Per partito preso, in cui lo sperimentalismo del vicentino si fa più consapevole ed articolato.
Nel primo libro, ad esempio, la preminenza del tono satirico, giambico, è opera sua. Gli piacevano quelle poesie mie, m’ha detto: «Portami qua tutto quello che hai scritto in versi». E io gli ho portato un affare enorme, perché avevo trent’anni, scrivevo da diciotto, e non avevo mai pubblicato niente. Lui ha detto: «Portami tutto, non cominciare a fare la scelta, “questo è ancora immaturo”, eccetera». Gli ho portato tutto, e lui ha creato il libro.7
Le poesie scartate dalla selezione qualche anno dopo avrebbero dovuto formare una nuova raccolta, ma le bozze di stampa furono perse, e con esse ogni testimonianza di questo corpus di testi giovanili.
Le altre [poesie] non solo sono state eliminate, ma due tre anni dopo lui aveva pensato di stampare anche quelle, e ha fatto le bozze. Le bozze me le ha date, io le ho corrette, le ho restituite, e lui le ha perse. Cosicché c’è un gruppo abbastanza cospicuo di mie poesie che sono nell’iperuranio, se le stanno leggendo gli angeli.8
L’influenza di Pozza su In modo lampante è tale che alcuni testi furono composti da Bandini proprio per accontentare i suoi malumori: secondo quanto ricorda in un articolo del 1988, il poeta fu costretto a chiudersi in casa per scrivere nuovi componimenti che soddisfacessero il gusto dell’editore, che di fronte al primo dattiloscritto della raccolta aveva lamentato l’assenza di poesie in rima e manifestato il desiderio di un maggior abbandono «al canto, ai moti del cuore»,
Neri (che amava spesso atteggiamenti conservatori, con qualche punta di misoneismo) amava i giovani quando credeva di scoprire in essi quell’intelligenza e quel fervore che lo facevano certo del perpetuarsi, di generazione in generazione, delle cose in cui generosamente credeva.
Pubblicò “Il ragazzo morto e le comete” di Parise, quando lo scrittore aveva appena vent’anni. Pubblicò il mio primo libro di poesie, inserendolo in una collana prestigiosa per firme di poeti, quando ero totalmente sconosciuto. Neri aveva una grande sicurezza nei propri giudizi, una sicurezza inscalfibile, perché si sentiva pronto a sbagliare intellettualmente in nome di uno spettro di valori che trascendevano il puro esercizio della letteratura. Ricordo che di fronte al dattiloscritto di quel mio primo libro di poesie (“In modo lampante”) mi rimproverava perché non usavo la rima. In realtà egli desiderava che fossi meno “sapiente”, che mi abbandonassi di più al canto, ai moti del cuore. Dovetti chiudermi in casa per scrivere qualche poesia con le rime da inserire nella raccolta e lui ne fu contentissimo.9
Testi dall’aria noventiana come Forza di gravità e Canzone e le quartine perfettamente rimate di Quando saprai, Vento in Valsugana e Fossero i miei versi potrebbero quindi essere stati composti da Bandini in un secondo momento, per accontentare i gusti di Pozza.
7
Cfr. l’intervista a Bandini del 27 ottobre 2011 riportata in appendice.
8
Ibid.
9
2 – Aspetti linguistici e stilistici
La raccolta In modo lampante segna per Bandini il graduale tentativo di liberarsi dal monolinguismo della tradizione lirica italiana, che aveva invece caratterizzato Pianeta dell’infanzia: questa evoluzione linguistica e stilistica – che raggiungerà risultati pregevoli soprattutto nel volume
Per partito preso – assecondava l’«assunzione di nuove istanze narrative, argomentative,
aforismatiche»10, tramite il progressivo avvicinamento a una «poesia impura e, al limite, impoetica, infinitamente inclusiva», capace di rapportarsi con la modernità: nei testi più interessanti della raccolta si riscontra infatti un’«abilitazione in senso espressivo di vastissime zone del repertorio linguistico corrente, cioè del cosiddetto linguaggio parlato o comune con le sue varie sottospeci e varianti di tipo burocratico, commerciale, giudiziario, tecnico, ecc»11. Alcuni esempi sono l’uso di un lessico spurio legato al settore industriale (idrogeno; metallo; Italcementi), bellico (radar;
cavalli di frisia; scariche; proiettili; mortaio; polvere pirica; svastica; bombe al plastico; razzi Polaris) e burocratico (ufficio politico; messaggio-radio; passaporto; congiura pan-araba; ministro degli Esteri; Ambasciata romana; mozione d’ordine; Commissione).
Nelle poesie più riuscite di In modo lampante, gli elementi della realtà quotidiana entrano in tensione col tessuto lirico delle poesie, con finalità di volta in volta espressive o ironiche, poichè Bandini – come Raboni – riconosceva nel «linguaggio della tradizione, recente o remota, […] uno spazio sperimentabile come qualsiasi altro […]. Sperimentabile, voglio dire, ai fini espressivi, di recupero o di straniamento o di critica»12. Un esempio interessante è offerto dalla poesia Soldati, dove immagini bibliche e letterarie convivono con improvvisi abbassamenti tonali, ottenuti con l’inserzione di termini afferenti a un ambito industriale o scientifico, come acqua pesante, idrogeno,
chimici o toponimi come Washington, Persepoli, Mosca.
Tuniche ed altro ci giochiamo a dadi. I sentieri s’incrinano di gelo,
i frassini a riparo sono radi. La veglia è lunga,
non c’è scampo da Bòrea. Aspettiamo che giunga
l’ora prima (e la luna si scolora dietro le nubi, scivola nel cielo). Controlliamo la notte sulle carte di Tolomeo: la vôlta scorre lenta. Forse da qualche parte
10
R. Zucco, “E Bandini?”. Note per una lettura di «Memoria del futuro», cit., p. 68. Zucco si riferisce alla raccolta Per
partito preso, ma il suo discorso può essere esteso parzialmente anche a In modo lampante.
11
G. Raboni, Poesia degli anni sessanta, Roma, Editori Riuniti, 1976, pp. 100-101.
12
il piano è pronto, un nulla ci spaventa: èlitre, bianco fremito del buio.
Sorvegliamo il poeta, il nero allogeno che rincasa sul tardi.
Cigola il tempo sui celesti cardini e i chimici, insonni, producono acqua pesante e idrogeno. Ai mulini dei radar
noi raccogliamo a sacchi una farina sottile di paure.
Davanti alla foresta si dirada l’ombra, vibrano antenne sensibili, ci parlano città:
Gerusalemme e Mosca, Washington e Persèpoli. Ma il morto giace solo
e irrigidito già dall’ora nona. Sui cavalli di frisia un usignolo accende un breve zirlo.
(Badiamo che non vengano i discepoli col favor delle tenebre a rapirlo).
La poesia contiene alcuni richiami alla Passione di Cristo: i soldati romani che, dopo aver crocifisso Gesù, si spartiscono le sue vesti e vegliano il corpo (vv. 1 e 4); il riferimento all’«ora nona» della sua morte (vv. 26-27). Come detto questo sfondo biblico si intreccia con alcune immagini letterarie, in particolare riprese da L’uccellino del freddo di Pascoli: «i sentieri s’incrinano di gelo» (v. 2) ricorda i versi iniziali della lirica pascoliana, «e sentire fai nel tuo zirlo / lo strido di gelo che crepi. / Il tuo trillo sembra la brina / che sgrigiola, il vetro che incrina…», con una contrazione del paragone tra il gelo e il vetro; l’apposizione analogica «èlitre, bianco fremito del buio» (v. 13) può essere confrontata coi vv. 12-13 della stessa poesia («T’ha insegnato il breve tuo trillo / con l’elitre tremule il grillo...»); la rima zirlo:rapirlo (vv. 29-31) è un calco della rima
zirlo:dirlo presente sempre ne L’uccellino del freddo13. Dal poeta romagnolo è ripresa anche la rima
solo:usignolo, che ricorre ne Il poeta solitario e nel finale de L’immortalità 14.
A questi probabili pascolismi si aggiungono altri richiami: l’immagine ai vv. 7-8, «e la luna si scolora / dietro le nubi, scivola nel cielo», messa tra parentesi quasi a marcarne la funzione evocativa, riprende Il tramonto della luna di Leopardi, v. 12, «scende la luna, e si scolora il mondo»; mentre «Cigola il tempo sui celesti cardini» (v. 16) ha alle spalle il celebre incipit montaliano «Cigola la carrucola del pozzo»15, con la ripresa diretta del verbo cigola ad inizio verso associato a un’altra parola sdrucciola iniziante per car-.
13
G. Pascoli, L’uccellino del freddo, Canti di Castelvecchio, vv. 3-6, 12-13 e 1-3 (Id., Poesie, cit., vol. I, p. 510).
14
Id., Il poeta solitario, Canti di Castelvecchio, vv. 5-7 e L’immortalità, Primi poemetti, vv. 28-30 (ivi, pp. 602 e 273).
15
L’immaginario biblico e pascoliano di Soldati convive con un lessico legato alla nuova realtà industriale, la cui ripresa però viene risarcita dalla «tensione dialettica»16 che si crea col contesto lirico: se in Pianeta dell’infanzia la paura di ricadere nel rimario pascoliano aveva portato al totale abbandono della rima, in Soldati essa assume un ruolo importante nel controbilanciare e allo stesso tempo nell’evidenziare i nuovi apporti linguistici. L’aprirsi alla realtà industriale diventa infatti uno stimolo per la creazione di rime originali (Bòrea:scolora; allogeno:idrogeno; tardi:cardini;
radar:dirada; Persépoli:discepoli) che elevano termini impoetici al livello dello stile lirico. In
questo nuovo contesto il recupero di pascolismi (i citati zirlo:dirlo; solo:usignolo) non appare più come una ripresa passiva della tradizione, ma come un contrappunto stilistico rispetto alle rime inedite. Per comprendere la funzione che assume la rima in questi esempi, risulta utile l’articolo di Bandini sul «trobar leu» di Marino Moretti:
La rima è in Moretti capriccio e/o arte nel senso che essa suppone, come principale funzio- ne, la messa in rilievo per contrasto della prosasticità del lessico e del tono medio della pronuncia. Rime scontate e inerti, assonanze o rime imperfette come calca o balalaica; relitti danteschi come
Bruggia e s’aduggia, funzionano da bordone e da basso continuo per isolare e sottolineare il più
specifico e innovativo materiale linguistico che il poeta introduce nei suoi versi.17
Quello che è stato osservato a livello della rima vale anche in generale per le immagini e lo stile: come notò Sergio Salvi, in Bandini l’«impasto premeditato di “nuovo” e di “vecchio”» permette l’«ammodernamento problematico della sensibilità poetica medio-novecentesca», come dimostra in Soldati l’uso ambiguo della preziosa metafora «Cigola il tempo sui celesti cardini», subito depotenziata da un riferimento industriale.
In Soldati […] a un certo punto si dice: cigola il tempo sui celesti cardini / e i chimici,
insonni, producono / acqua pesante e idrogeno. A parte la stimolante trinità proparossitona, si
vede subito come avviene l’aggiornamento della scrittura e dell’ispirazione […]. L’immagine ermetico-barocca sembra vergognarsi di sé non appena è stata pronunciata e si puntella allora in area di laboratorio scientifico e addirittura, perché non si avverta lo sgradevole iato, trova il modo di illeggiadrire il proprio prosieguo mediante quell’attributo “insonni” che fa lievitare l’elenco fulmineo dei rari e preziosi prodotti, sempre però industriali. Se si spostasse il baricentro della poesia verso il basso, potrebbe anche apparire che l’immagine d’avvio dell’estratta terzina fosse all’apposto ironica, quasi un inserto. Dunque Bandini è astuto.18
Gli inserti letterari presenti nelle poesie di Bandini non vanno intesi come memoria poetica involontaria, ma rientrano nella strategia interna al testo che in certi casi può far ricorso a una
16
F. Bandini, Il “sogno di una cosa” chiamata poesia, in Pier Paolo Pasolini, Tutte le poesie, a cura e con uno scritto di Walter Siti, Saggio introduttivo di Fernando Bandini, Cronologia a cura di Nico Naldini, Tomo primo, Milano, Mondadori, 2003, p. XXXVI.
17
F. Bandini, Il «trobar leu» di Marino Moretti, cit., p. 247.
18
«gestione ironica» della tradizione. Un caso emblematico è l’uso ravvicinato del dantismo bulicame e del petrarchismo rimena in un passo che descrive in modo epico le giornate passate alla Bertoliana a consultare codici e dizionari («e il dolce bulicame dei glossari / che mette pace tra i venti contrari / delle passate età / e la nuda parola ci rimena»19).
L’autore maggiormente ripreso nelle poesie di In modo lampante è Pascoli, i cui versi