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PER PARTITO PRESO (1965)

Nel documento Il "trobar leu" di Fernando Bandini (pagine 105-189)

In una recente intervista concessa a Maurizia Veladiano, Bandini ha confessato che tra tutte le opere pubblicate quella a cui è rimasto più affezionato è Per partito preso: «In questo libro, pubblicato nel 1965, ci sono tutti i turbamenti e le collere della mia giovinezza. C’è tutto ciò che sono stato, compreso il mio rapporto con la città e la mia personale vicenda politica»1. L’importanza di Per partito preso all’interno del percorso dell’autore non è però dovuta solo al contenuto fortemente autobiografico di molti componimenti, quanto soprattutto agli interessanti risultati formali raggiunti, che collocano quest’opera all’interno del più generale rinnovamento in atto nella poesia italiana degli anni Sessanta. Cogliendo suggestioni derivanti da un campo letterario quanto mai vivace (il 1965 è anche l’anno de Gli strumenti umani di Vittorio Sereni e La vita in

versi di Giovanni Giudici) e operando una ricerca personale che poteva contare su una raffinata

sensibilità metrica forgiatasi sui classici, Bandini con Per partito preso diede una propria risposta alle questioni centrali di quel periodo, dal rapporto con gli statuti metrici tradizionali al modo in cui aprirsi al linguaggio e ai temi della realtà, dal ruolo sociale dell’intellettuale alla funzione della poesia nel mondo neocapitalista. Ma, diversamente da altri, il vicentino cercò sempre di superare la crisi che stava attraversando la poesia senza puntellare il proprio discorso di dotte acquisizioni provenienti da altre discipline (come la psicologia lacaniana per Zanzotto, o il decostruzionismo per i Novissimi), tentando soluzioni che sfruttavano le possibilità offerte dallo strumento poetico.

Come era avvenuto nella raccolta precedente, Bandini scelse come titolo un «sintagma vagamente stereotipato e dal sapore di frase fatta»2, con cui ribadiva l’ideale sabiano di «poesia onesta». L’affinità dell’espressione «Per partito preso» col titolo di un’opera famosa di Francis Ponge, Le parti pris des choses, già segnalata da Silvio Ramat nel 1976, secondo l’autore è da addebitarsi solo al caso3. La raccolta uscì per Neri Pozza nella collana «Poesia e verità», che sin dal titolo goethiano intendeva riallacciarsi a una solida tradizione culturale, aliena dalle mode del momento, e riaffermare una finalità morale della letteratura.

1

F. Bandini, Il «vecchio albero fitto in Aznèciv» che sognava di fuggire da Vicenza, intervista a cura di Maurizia Veladiano, «Il Giornale di Vicenza», 6 novembre 2001.

2

Antonio Daniele, La poesia di Bandini, in Le ragioni della poesia, cit., p. 51.

3

Per Ramat «la serie Per partito preso […] s’avvale spesso di una funzione prosastica (sulla scorta di uno Char, di un Ponge, dal quale forse deriva il “partito preso”, mezzo a un ragionamento che può talvolta esser accostato ai temi del post-orfismo bigongiariano)» (Silvio Ramat, Storia della poesia italiana del Novecento, Milano, Mursia, 1976, p. 691). Nell’intervista del 27 ottobre 2011 Bandini ha negato ogni debito con Ponge, pur ammettendo la somiglianza tra i due titoli: «L’ho conosciuto dopo, Le parti pris des choses. Però mi ha fatto anche un po’ rabbia, perché ho detto “guarda te, Ponge dall’aldilà mi copia”». Il volume di Francis Ponge, Le parti pris des choses, Paris, Gallimard, 1942 è stato tradotto in Italia solo nel 1979 da Jacqueline Risset, anche se traduzioni di singole poesie erano già circolanti, a cominciare da quelle di Diego Valeri contenute nel Quaderno francese del secolo, Torino, Einaudi, 1965.

Il titolo di una collana, specie quando è ambizioso ed esplicito come nel nostro caso, sottintende un programma.

L’editore se lo propone come una guida, tenta di tenervi fede e offre al pubblico i risultati della sua scelta.

Il lettore è avvertito di non stupirsi se troverà qui accostati libri di prosa e di poesia, di storia e di critica; un saggio di etnologia a una memoria politica, un capitolo biografico a un lavoro teatrale. La vita e l’esperienza umane maturano giorno per giorno le loro esigenze, e ogni giorno e ogni opera pongono nuovi problemi ed esigono risposte.

Noi, per quello che ci sarà possibile, assicuriamo di svolgere questa nuova esperienza editoriale nelle prospettive di un esame libero e aperto, senza tradire i principi di una tradizione culturale alla quale fino ad oggi siamo rimasti fedeli.4

Il catalogo della collana «Poesia e verità» comprende infatti opere di carattere eterogeneo, identificabili dal colore del fregio in sovracopertina (azzurro per la narrativa, rosso per la poesia e verde per la saggistica), opera dello stesso Pozza: il volume di Bandini era il diciassettesimo della serie, che precedentemente aveva compreso La stella boara di Silvio Negro (1964); Sicilia 1943 di Giorgio Chiesura (1964); Sull’altopiano. Racconti e prose: 1942-1954 di Andrea Zanzotto (1964)5;

Le cose come sono di Franca Melchiori (1964); Fuochi di Sant’Elmo di Alceste Nomellini (1964); Vivere nel tuo paese di Leonardo Castellani (1964); Il capitano Pic e altre poesie di Dino Buzzati

(1965); Un capitolo della biografia di Sibilla di Piero Nardi (1965)6. Caratteristica della serie era il formato esile delle opere pubblicate, che raramente raggiungevano le 100 pagine: la raccolta di Bandini ad esempio ne contava 64, mentre Due poemetti di Buzzati, uscito nel 1967, addirittura 35.7

La quarta di copertina di Per partito preso rispetta lo standard editoriale della collana, che prevedeva un ritratto in bianco e nero dell’autore, una breve nota biografica e un passo significativo dell’opera: la foto, scattata dalla moglie Luisa durante una gita in Friuli, ritrae il poeta in posa con lo sfondo del fiume Varmo, mentre come testo rappresentativo fu scelto un estratto della sezione eponima, contenente l’espressione che dà il titolo alla raccolta.

Per partito preso le fragole continuano a crescere e i frutti di rosa selvatica arrossano le siepi anche se nessuno li coglie. Essere uomo significa essere urbano e dimenticare l’alone

luminoso degli antichi pittori olandesi.

4

Dal risvolto di copertina di Neri Pozza.

5

Dieci anni dopo Bandini avrebbe dedicato un articolo ai racconti di Sull’altopiano, ritenendoli un valido strumento per la comprensione della poetica del solighese: cfr. F. Bandini, Scheda per «Sull’altopiano», «Studi novecenteschi», a. III, 8/9, 1974, pp. 175-183.

6

Tra i numerosi testi pubblicati successivamente si possono citare il Commissario Pepe di Ugo Facco De Lagarda (1965), Duet di Antonio ed Helen Barolini (1966), Fuori storia di Ferdinando Camon (1967), Due poemetti di Buzzati (1967), Cara Milano: 1960-1967 di Luciana Frezza (1967) e Cronache feltrine di Silvio Guarnieri (1969).

7

Pozza in una lettera a Buzzati del 1967 paragonava i suoi volumi a «graziose raccolte per donne d’amore»: «benché io sia un editore privato e le mie edizioni scalfiscano appena (attesi i tempi) le coscienze dei soliti 25 lettori, ho messo in bozze i due poemi che mi hai inviato; bozze che ti invio con la presente per la nota, progettata edizione. Un giorno un editore famoso per vendere duecentomila copie di poesie, ti farà un grande volume illustrato da Gerolamo Bosch; intanto noi facciamo queste graziose raccolte per donne d’amore» (N. Pozza, Saranno idee d’arte e di poesia. Carteggi

Noi avevamo portato una colazione al sacco per girare a lungo in metrò

e un libretto di devozioni per superare i posti di blocco del neocapitalismo

sognando impossibili salvezze in scapolari di foglie o in medagliette di nuvole,

prendendo i clacson per violini e le camicie da notte per pepli. E tuttavia per partito preso il merlo torna a fischiare

e ci gabella il cemento per legno e la ninfomane per pastorella. 8

L’archivio della Neri Pozza, donato nel 2002 alla Biblioteca Bertoliana di Vicenza, non conserva purtroppo le bozze di stampa del volume né il carteggio coevo tra Bandini e Pozza, ma custodisce comunque un fascicolo contenente le copie di alcune lettere spedite dall’editore a vari critici e poeti del tempo, con cui segnalava il giovane autore e chiedeva una recensione al volume9. Le lettere, oltre a testimoniare il forte temperamento di Pozza, fanno trasparire il suo rapporto di protezione nei confronti di Bandini: a Manlio Dazzi ad esempio la recensione di Per partito preso era richiesta come «favore personale», con la speranza che si rinnovasse la stessa generosità che anni prima l’aveva portato, primo fra tutti, a parlare de La gaia gioventù di Barolini:

Il Bandini, secondo me, è un poeta vero; ma tu capirai, leggendo, di che razza è; parlane se vuoi con Folena, del quale il Bandini è scolaro. Non ha mai avuto altro che cenni del suo lavoro, e per questo PARTITO PRESO, nessuno ancora s’è scomodato (anche se so che ne scriverà Pampaloni SULL’ESPRESSO). Ma, intanto, come mi piacerebbe che fossi tu a battezzare questo nuovo poeta vicentino, che merita la nostra stima, e che vive appartato senza domandare nulla a nessuno. 10

Anche con lo stesso Barolini, cui era legato da un rapporto di parentela e lunga amicizia, Pozza si lamentava per il disinteresse della critica nei confronti del promettente Bandini:

Non ho bisogno di affidarmi al tuo buon cuore, come dicono i poveri; Bandini è un poeta, è una persona seria, uno che studia e vive con estrema modestia. Ha qualità, e nessuno meglio di te ci vede dentro. […] Con tanti sgonfioni che bazzicano i giornali, è incredibile che questo ragazzo non abbia mai avuto uno che scriva di lui con serietà; le solite notiziole di 20 righe.11

8

Qui come nei componimenti in versetti lunghi della sezione Per partito preso cerco per quanto possibile di rispettare la messa in pagina del volume del 1965, dando valore anche all’impatto visivo provato dai suoi lettori. La paragrafatura della stessa poesia all’interno del volume è più ristretta.

9

Il fascicolo Fernando Bandini, appartenente alla Serie Corrispondenza autori, conserva infatti le copialettere di 8 dattiloscritti datati 28 ottobre 1965, inviati da Pozza a Manlio Dazzi, Alberto Bevilacqua (collaboratore de «Il Messaggero»), Antonio Barolini («La Fiera Letteraria»), Giannantonio Cibotto («Giornale d’Italia»), Carlo Betocchi («L’Approdo»), Enrico Falqui («Il Tempo»), Geno Pampaloni («L’Espresso»), Alberico Sala («Corriere della Sera»), Andrea Zanzotto («Paragone»).

Oltre a queste lettere, l’editore vicentino ne scrisse delle altre: nella corrispondenza del Fondo Giorgio Caproni, conservato presso l’Archivio Alessandro Bonsanti di Firenze, è presente una sua cartolina postale del 5 luglio 1965 che segnalava il volume di Bandini (Fondo Giorgio Caproni, Serie Corrispondenza, Segnatura IT ACGV GC. I. 613.1).

10

Dalla lettera di Neri Pozza a Manlio Dazzi del 28 ottobre 1965, conservata presso l’Archivio Neri Pozza, cit., Fascicolo Fernando Bandini, n. 22.

11

Il fitto impegno epistolare di Pozza si concludeva con una lettera a Zanzotto, che soli tre anni prima aveva pubblicato per la casa editrice vicentina il volume di racconti Sull’Altopiano e che faceva parte con lui e Bandini del Consiglio Direttivo dell’Associazione degli Scrittori Veneti. Confidando nel rapporto di amicizia con l’autore vicentino, Pozza gli chiedeva di recensire il volume nella rivista «Paragone» o di segnalarlo a Pasolini:

Carissimo Andrea,

ho dedicato il pomeriggio a scrivere lettere agli amici per il nostro Bandini; e chiudo con te. Forse, con calma, ti potrebbe riuscire a buttar giù, su questo nostro amico che lo merita, un paio di colonne; che potresti mandare a Paragone; o meglio scrivere a Pasolini una lettera che lo riduca a leggere il libro e a scriverne.

Forse la lettera a Pasolini ti verrà più facile; lui a Paragone ha le porte aperte, è acuto e forse potrebbe vederci dentro. E poi, mentre a te queste cose costano molta fatica, a lui vengono dritte, perché non soffre d’insonnia e non ha cani che gli abbaiano sotto le finestre.

Fammi questo piace[re]. Ho scritto a Barolini, che non mi faccia incazzare e scriva sulla FIERA, a Pampaloni perché ricordi l’ESPRESSO, a Cibotto per il GIORNALE D’ITALIA, a Betocchi per l’APPRODO, a Alberto Bevilaqua per il MESSAGGERO, a Nardi per il CARLINO, a Falqui per IL TEMPO. E infine a Sala perché si decida per il Corriere.

Forse, se a qualcuno vai di rincalzo, è la volta buona, si muovo[no] e parlano. 12

Nonostante le sollecitazioni dell’editore, inizialmente Per partito preso non ottenne recensioni di rilievo13, guadagnandosi comunque l’attenzione di molti critici e poeti, specie nell’ambiente di «Paragone». Proprio un collaboratore della rivista milanese, Giovanni Raboni, fu il primo a segnalare l’opera di Bandini in un lusinghiero articolo del 196614

, uscito negli stessi giorni in cui Marco Forti, a nome di Vittorio Sereni e Giovanni Giudici, proponeva al vicentino di pubblicare il suo futuro volume nella collana di poesia più prestigiosa in Italia, «Lo Specchio» della Mondadori.

1 – La struttura e lo stile dell’opera

La raccolta è formata da 50 poesie, distribuite in tre sezioni non omogenee tra loro: alla suite iniziale Per partito preso, composta da 26 testi numerati, seguono i 16 componimenti di Neve e

tuono e gli 8 di Difesa. Rispetto a In modo lampante, la struttura del nuovo volume è totalmente

frutto delle scelte di Bandini e la divisione in sezioni si attiene a criteri cronologici (oltre che

12

Dalla lettera di N. Pozza ad A. Zanzotto del 28 ottobre 1965, ivi, n. 15. Zanzotto scriverà un articolo su Bandini solo molti anni dopo, recensendo il volume Santi di Dicembre: Andrea Zanzotto, Astri e neve, animali e santi nel magico

dicembre di Bandini, «Il Corriere della Sera», 20 dicembre 1994.

13

L’unica eccezione fu una recensione radiofonica di Maria Luisa Spaziani: «Salvo una recensione della Spaziani, alla Radio, non c’è stato cane che gli abbia dedicato una colonna dove si parlasse del suo lavoro con la serietà dovuta» (dalla lettera di N. Pozza ad A. Bevilacqua del 28 ottobre 1965, in Archivio Neri Pozza, cit., Fascicolo Fernando

Bandini, n. 21).

14

G. Raboni, Tre libri di poesia, «Paragone», a. XVII, n. 196, giugno 1966, pp. 150-151. L’articolo è raccolto col titolo

formali): secondo le datazioni aggiunte in Memoria del futuro, che riprende le 3 sezioni scartando solo 13 testi, i componimenti di Per partito preso risalirebbero al 1964, quelli di Neve e tuono al 1962-1963, quelli di Difesa al 1965. Il mancato rispetto in Per partito preso della successione cronologica, dovuto all’anticipazione della sezione eponima, si spiega forse con la volontà di dare maggiore visibilità alle poesie in cui lo sperimentalismo raggiungeva i risultati più originali.

Ogni sezione presenta delle caratteristiche proprie, testimoniando nell’insieme il multiforme laboratorio poetico dell’autore: Neve e tuono si pone in continuità formale ed espressiva con le poesie di In modo lampante, specie per la ripresa allusiva del modello della quartina rimata di endecasillabi, controbilanciata dalla presenza di alcuni componimenti non isostrofici dove prevale invece la polimetria15; Per partito preso è un poemetto che sperimenta varie soluzioni formali, dal sonetto al versetto lungo, dalle strofette alla prosa lirica, abbandonando i paletti metrici tradizionali (l’isostrofismo, l’endecasillabo e la rima) e aprendo il discorso a un linguaggio calato nella quotidianità e a un andamento ora narrativo, ora riflessivo, ora polemico, che si appoggia su una ricercata retorica dal sapore biblico; Difesa infine rispecchia un ulteriore episodio di questa ricerca, che ha nuovamente come caratteristica formale l’allontanamento dalla metrica tradizionale (con prevalenza nei risultati più interessanti dei versi lunghi o dell’ipermetria), cui si aggiunge il ricorso esasperato a figure di ripetizione e accumulazione o il riuso ironico di espedienti tecnici della neoavanguardia, specie sanguinetiani.

Ripercorrendo il libro secondo l’ordine cronologico di composizione, balza dunque agli occhi il notevole scarto esistente tra le poesie del 1962-63 e quelle del 1964, fatto che si ricollega al più generale rinnovamento della poesia italiana negli anni Sessanta, segnati dalla radicale messa in discussione dei valori poetici tradizionali da parte dei Novissimi e da un drastico cambiamento nella poetica di autori come Zanzotto, Sereni, Luzi (e successivamente Montale), che sempre più contamineranno la loro produzione col «magma», le «stalle di Augìa» del labirinto della realtà, aprendosi a una poesia discorsiva fitta di dialoghi (Luzi e Sereni), a una lacerazione del linguaggio e dell’io lirico (Zanzotto), a un affossamento del sublime verso una poesia ironicamente diaristica (Montale). Per partito preso rappresenta un sismografo delle sollecitazioni che attraversavano il campo letterario, di quelle istanze su cui si interrogarono i maggiori poeti del tempo e alle quali anche Bandini cercò di dare una risposta. Tra l’altro sono questi gli anni in cui il vicentino, volendo parlare del dramma dei bambini uccisi nel campo di concentramento di Terezin, avvertiva l’inadeguatezza dello «stile impegnato» del tempo ad esprimere tematiche alte senza cadere nel mestiere e decideva di ricorrere a una lingua universale come il latino.

15

In questi testi, dove l’autore fa un amaro bilancio della propria vita (Passivo), riflette sulla propria poetica (Il

saltimpalo) o ricorda con commozione la madre (Mia madre cuciva tomaie), c’è forse una ripresa del modello della

Anche Neve e tuono risulta un capitolo importante di questa ricerca, che conferma la reversibilità tra sperimentalismo e convenzione che Zanzotto difende nel suo articolo polemico sui Novissimi. Rispetto agli esperimenti più evidenti di Per partito preso e Difesa, o alla nascente produzione parallela in latino, le quartine di Neve e tuono testimoniano una ricerca formale e linguistica più interna e nascosta, che rinnova la tradizione attraverso operazioni decontestualizzanti. Sul modello di opere come IX Ecloghe di Zanzotto, Bandini in Neve e tuono spesso cerca un contrasto tra il «classicismo di fondo» della poesia, ottenuto attraverso l’allusione al canone, e il ricorso al «plurilinguismo e la mescidanza dei livelli stilistici».

Con IX Ecloghe lo scavo, che si esprime ancora nei toni alti di Vocativo, vede contemporaneamente il poeta annettersi nuovi territori nel senso dell’estensione. In contrasto acre con gli arcaismi, con il classicismo di fondo – intavolature che sono sia linguistiche che metriche – irrompono le parole della tecnica e della scienza contemporanea, parole come vampirisma,

mataia, cariocinesi, anancasma, ecc.16

Nelle poesie di Neve e tuono la ripresa del canone metrico e la citazione di autori classici come Virgilio, Orazio, Aulo Gellio, Cavalcanti, Dante e Petrarca avviene all’interno di contesti lessicali e tematici appartenenti alla nuova società industriale e capitalistica, attraverso operazioni di smontaggio e ricomposizione in cui gli elementi della tradizione non diventano materiale inerte, ma entrano a far parte del procedimento creativo, secondo tipologie simili a quelle che Luigi Milone riscontrava nella prima produzione di Zanzotto, non a caso la più apprezzata da Bandini:

Non si tratta di reperti archeologici riaffioranti passivamente e passivamente riportati: le citazioni, le suggestioni letterarie, sono smontate dai loro spazi iniziali, piegate ad esigenze diverse e – solo allora – reinserite in circolazione. Le operazioni decontestualizzanti non arricchiscono il testo di preziose referenze, ma generano direttamente il linguaggio e le sue evoluzioni.17

Rispetto alle volute frizioni che caratterizzavano la poesia di Gozzano, dove il raffinato immaginario dannunziano veniva depotenziato invischiandolo nella bassezza del quotidiano, in Bandini le «operazioni decontestualizzanti» non spengono l’aura degli autori citati (che anzi sembra rinnovata o rimpianta), rivolgendo l’ironia semmai alla situazione vissuta dal poeta. Il classico non è più una statua camusa circondata dall’insalata, né come in Sanguineti un fossile o una mummia gettati in pasto alla panfagia linguistica della società contemporanea, quanto piuttosto terreno di

16

F. Bandini, Zanzotto dalla «Heimat» al mondo, in A. Zanzotto, Le poesie e prose scelte, a cura di Stefano Dal Bianco e Gian Mario Villalta, con due saggi di Stefano Agosti e Fernando Bandini, Milano, Mondadori, 1999, p. LXX.

17

Luigi Milone, Per una storia del linguaggio poetico di Andrea Zanzotto, «Studi novecenteschi», n. 8/9, luglio- novembre 1974, p. 209.

confronto per riflettere – anche in modo sarcastico – sull’alienazione del presente, come quando in

Una visita in fabbrica Sereni mette in bocca a un operaio un verso di Dante:

Salta su il più buono e il più fesso, cita:

E di me si spendea la miglior parte

tra spasso e proteste degli altri – ma va’ là – scatenati. La parte migliore?

Non esiste. […]18

In Neve e tuono le poesie di Bandini che maggiormente si aprono alla realtà, raccontando alcuni episodi della propria esperienza politica o testimoniando i piccoli compromessi quotidiani imposti dalla vita, fanno spesso ricorso al mito o alla citazione letteraria, quasi per creare uno schermo, un filtro attraverso cui il poeta osserva se stesso e i propri problemi da un’ottica più distaccata. La prima poesia della sezione, Chierico rosso, inizia con una citazione dantesca:

L’altoparlante a Palazzo Zileri ci faceva di smalto

come l’antica Medusa. Fioriva di tinnule bolle l’asfalto

All’interno di un contesto tutt’altro che poetico, l’attesa dei risultati elettorali di fronte alla sede della D.C. di Vicenza, la citazione di Inferno IX, 52 («Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto») esprime efficacemente la reazione sgomenta di Bandini e dei suoi compagni per la cospicua vittoria elettorale democristiana, che come l’«antica Medusa» del mito li ha impietriti. Il riferimento dotto

Nel documento Il "trobar leu" di Fernando Bandini (pagine 105-189)

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