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Un inaspettato freno a mano alle nostre abitudini: il COVID-19

Nel documento I CONSUMI NEL TERZO MILLENNIO (pagine 65-69)

È indubbio che questo 2020 sia stato segnato da un evento che ha radicalmente cambiato le nostre vite da tutti i punti di vista, nonché stravolto gli equilibri (talvolta già precari) geo-politici e socio-economici mondiali: la diffusione e la propagazione della malattia infettiva respiratoria da SARS-CoV-2, ufficialmente denominata COVID-19 dall’OMS l’11 febbraio 2020, nome più comune con il quale conosciamo tutti questo nuovo Coronavirus. Nonostante il Covid circolasse in Cina già negli ultimi due mesi del 2019, la malattia è stata identificata per la prima volta il 31 dicembre dello stesso anno dalle autorità sanitarie della città di Wuhan, capitale della provincia di Hubei. A gennaio il paese asiatico ha deciso di promulgare la notizia anche al di fuori dei propri confini. Tra scetticismi e dibattiti anche mediatici che hanno visto il coinvolgimento di virologi, opinion leaders e politici da tutto il mondo, tra notizie sempre in

fieri e pareri discordi e talvolta polarizzati circa la gravità iniziale e potenziale del fenomeno,

la nostra nazione (come nel giro di poche settimane il resto dell’Europa e la quasi totalità dei paesi extraeuropei) si è ritrovata di fronte alla necessità di chiudere tutti i tipi di attività fatta eccezione per quelle che facevano capo all’ambito sanitario e quello alimentare e di beni di prima necessità, al fine di cercare di interrompere la catena di contagi, vista anche la scarsa disponibilità di posti letto nei reparti di terapia intensiva negli ospedali nonché la carenza di personale medico atto a fronteggiare un’emergenza di tale portata a cui indubbiamente non eravamo pronti.

65 Circa 60 milioni di cittadini italiani sono rimasti quindi bloccati a casa dall’inizio del mese di marzo, dapprima con la possibilità di fare ritorno al proprio domicilio o alla propria residenza, poi, dal 23 marzo al 4 maggio 2020, costretti a rimanere nel comune in cui si trovavano salvo casi eccezionali. Una situazione che è divenuta dopo poco non più solo italiana, bensì mondiale.

Scuole di ogni ordine e grado chiuse, così come le sedi lavorative, milioni di attività sono state interrotte, il settore del turismo e della ristorazione si è ritrovato in ginocchio, come anche il settore dei trasporti praticamente bloccato quasi del tutto, e così via. Molte famiglie sono state separate, nell’impossibilità di ricongiungersi, e questo improvviso lockdown (oltre ovviamente alla già presente e lecita preoccupazione di contrarre il virus, visto il numero di decessi che nei primi mesi non accennava a diminuire) ha condotto ad un panico generale, indubbiamente facilitato dal “martellamento” mediatico e dai toni talvolta estremamente drammatici utilizzati dai media anche laddove non ce n’era la necessità, che ha visto spesso come conseguenza azioni ingiustificate, come lo svuotamento nei supermercati di determinati prodotti andati a ruba sugli scaffali. Un panico che ha affondato le sue radici anche nel sentiment comune di estrema precarietà e incertezza per il futuro a venire.

Molto è cambiato ed è stata richiesta una capacità di adattamento immediata a tutti noi da più punti di vista: in primo luogo, genitori e figli nel ruolo di lavoratori di ogni tipologia e studenti (ruoli rivestiti ed esercitati solitamente per lo più fuori dall’ambiente domestico) si sono ritrovati a condividere lo stesso spazio che è divenuto non più solo focolare domestico e luogo di ritrovo degli affetti e della vita casalinga e privata, bensì ambiente lavorativo e di studio in contemporanea. Vi è stata, nella maggior parte dei casi, una vera e propria riorganizzazione dei tempi e degli spazi che si saranno certamente andati a sovrapporre il più delle volte. Tutto questo però, ed è da sottolineare, è stato possibile specialmente grazie all’ausilio della tecnologia che ha assunto un ruolo centrale durante la fase del lockdown: essa ha concesso infatti a milioni di lavoratori di continuare a prestare il proprio servizio attraverso lo smart working, svolgendo la propria attività in telelavoro, un’implementazione avvenuta già da tempo per molte aziende, seppure spesso in maniera parziale o come sperimentazione, ma che si è rivelata necessaria in questa emergenza. È stato possibile anche far sì che gli studenti (sia allievi di elementari, medie e superiori, sia studenti universitari) non perdessero ore di scuola e di lezione, svolgendo quasi tutte le attività curriculari (ove possibile) on-line, con la creazione di aule virtuali: diversi studenti si sono laureati telematicamente, e tante prove sono

66 state svolte in questa modalità. Anche i colloqui di lavoro e tante altre attività sono stati portati avanti per via telematica. E ci si è arrangiati come si è potuto anche nelle relazioni, tra familiari, amici, partner, spesso e volentieri lontani, utilizzando ancora di più questi mezzi telematici in sostituzione di altro, magari effettuando più videochiamate di quelle che normalmente si sarebbero effettuate, anche di gruppo. Persino il mondo dello spettacolo si è dovuto riconvertire al digitale, anche in occasione di importanti manifestazioni come quella del concerto del Primo Maggio, utilizzando per lo più la modalità della diretta streaming e del collegamento da casa, non potendo riempire teatri, piazze e palazzetti o partecipare a programmi televisivi, se non per via telematica. Una vera e propria rivoluzione delle nostre vite, per non parlare della distorsione della percezione del tempo che abbiamo esperito nella Fase 1, laddove alcuni hanno parlato di una dilatazione di esso mentre altri di una accelerazione. Una giornata uguale ad un'altra, senza la possibilità di viaggiare, uscire, frequentare la propria rete sociale di appartenenza, in una società in cui abbiamo fatto della mobilità, della velocità, del multitasking e della compressione di mille impegni in una sola giornata di 24 ore un must. Per molti, inoltre, quello della convivenza forzata con i propri membri familiari o in altri casi la solitudine per chi è rimasto solo, ha rappresentato un vero e proprio banco di prova. Non sono pochi i soggetti infatti che sono andati in crisi e hanno sofferto di svariati disturbi, come l’insonnia dovuta allo sfasamento dei ritmi giorno/notte fino ad arrivare in molti casi alla depressione.

Per contro, tante persone hanno dichiarato di aver tratto anche dei benefici da questa situazione di fermo tempo e immobilismo, eccone alcuni: l’aver ridedicato tempo a sé stesse, ai propri hobby e ai propri affetti, nonché anche alla cucina (avevamo potuto osservare dalle statistiche riportate nel precedente capitolo che gli italiani negli ultimi anni dal 2010 al 2020 erano soliti dedicare sempre meno tempo ai fornelli prediligendo cibi pronti) avendo potuto disporre di maggiore tempo libero; l’aver compreso maggiormente il valore delle relazioni e dei legami con chi amiamo, come anche il valore di una pacca sulla spalla a un amico, un abbraccio, o quello che poteva sembrarci un gesto banale e automatico, come quello della classica stretta di mano.

Da una parte si è sentita la mancanza del contatto fisico quindi e vi è stata una rivalutazione di tante azioni quotidiane su cui non ci eravamo forse mai soffermati (il caffè al “nostro” bar, il tragitto casa-lavoro o casa-scuola, etc), nonché dei luoghi della vita quotidiana in quanto palcoscenici delle nostre relazioni e scenografie dell’esistenza di ognuno, come la scuola, l’ufficio, la parrocchia di appartenenza, il centro sportivo etc. Dall’altra parte è anche vero che

67 si è potuto riapprezzare il valore della lentezza, e soprattutto ci si è resi conto di quanto la tecnologia possa essere di ausilio e sarebbe da implementare laddove sia per fattori di natura ecologico ambientale, sia per una questione di risparmio di tempo ed energie, si potrebbe tranquillamente fare a meno di ricorrere a incontri in presenza fisica, come ad esempio per alcune riunioni di lavoro. Fermatosi il tempo e arrestatasi la mobilità frenetica di sempre infatti, anche le città hanno cambiato volto: dai più piccoli centri alle più grandi metropoli abbiamo assistito a uno svuotamento di persone e veicoli con un conseguente disinquinamento acustico, rimpiazzato dalla presenza costante di un silenzio stato definito dai più assordante (se pensiamo al dramma che questo silenzio è andato a sonorizzare non è implausibile pensare che molti lo abbiano percepito in questo modo); al ripopolamento da parte degli animali in molti casi (come i delfini nel porto di Cagliari, i pesci nelle acque ora chiare dei canali di Venezia e i semplici uccellini di cui abbiamo ricominciato ad ascoltare il canto appena fuori il nostro balcone di una Roma o una Milano la cui colonna sonora è generalmente il frastuono dei clacson, magari); i mari sono divenuti più blu e più puliti; l’aria è tornata ad essere meno inquinata a causa dell’improvvisa interruzione del traffico di tutti i mezzi di trasporto pubblico e privato; inoltre, vista l’impossibilità di spostarsi entro certi limiti dalla propria abitazione, in molti hanno acquistato anche prodotti alimentari dai negozianti più vicini, favorendo così le più piccole attività locali che normalmente a malapena reggono la concorrenza dei grandi supermercati.

Potremmo pensare a questo punto che al di là della drammaticità delle conseguenze che questo virus ha portato sia dal punto di vista economico su scala globale sia dal punto di vista sanitario, qualcosa di buono sia stato recuperato: per lo meno la consapevolezza dell’insostenibilità (per molti degli aspetti di cui abbiamo ampiamente discusso nei capitoli precedenti) del nostro sistema economico e sociale, delle nostre abitudini di vita e di consumo. Tuttavia è da tenere a mente che questa interruzione che ci ha dato modo di poter riflettere sul nostro modello di vita conforme alle regole e ai dettami della globalizzazione, è stata la conseguenza di una pandemia globale, evento di natura del tutto eccezionale. L’arresto dei ritmi frenetici cui siamo sottoposti oramai da decenni è avvenuto, ma è stato un arresto forzato e obbligato, e non voluto perché maturato. Vi è stata sì la rottura di un equilibrio e l’interruzione della pratica di abitudini comunque malsane, ma occorre che venga maturata l’idea di ripensare a un modello economico alternativo, possibilmente di natura ambientalista e sostenibile in tutti i sensi, nella cui direzione i nostri governi devono portarci. Ma è anche dal basso che le persone devono cominciare a comprendere a fondo qual è il loro ruolo in questo cambiamento. È

68 probabile che le proposte che Fabris aveva nel 2010 come possibili soluzioni al problema possano essere integrate o superate grazie al progresso tecnologico e all’evoluzione di tecniche che possano permettere di conciliare delle esigenze da oramai “cittadini del mondo” che continuiamo ad avere, alla possibilità di difendere e rivalorizzare il nostro territorio, ad esempio, come abbiamo avuto modo di capire nel capitolo precedente. Per il momento, è da chiederci e osservare quale sia stata la prima reazione degli italiani a questa brusca interruzione di una economia e una società globalizzate e iperconnesse così come le abbiamo vissute fino ad ora, anche per intuire quale possa essere il margine di miglioramento e intervento per la costruzione di un futuro più sostenibile.

È mio interesse quindi in questo capitolo analizzare come la nostra società abbia affrontato questa fase, la cosiddetta Fase 1 corrispondente ai mesi di lockdown: dal punto di vista della ridefinizione dei propri tempi e dei propri spazi vitali e relazionali; dal punto di vista del rapporto con le tecnologie e i social media che hanno avuto un ruolo cruciale in questa vicenda e si sono dimostrati come mai prima d’ora essenziali, scrollandosi anche di dosso quell’alone di giudizio per lo più negativo e moralistico che pesava su di essi; e infine dal punto di vista della scelta dei consumi, per comprendere se ad un aumento del tempo per dedicarsi all’arte culinaria, tradizione secolare italiana, è corrisposto effettivamente un ritorno all’esaltazione della nostra tradizione nonché ad una maggiore cura nella scelta dei prodotti da acquistare, nell’ottica di una maggiore autenticità.

Nel documento I CONSUMI NEL TERZO MILLENNIO (pagine 65-69)