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L’ INCIDENZA DELLA COMMISSIONE DI MASSIMO SCOPERTO NELL ’ ACCERTAMENTO

CAPITOLO II L’USURA NEI RAPPORTI BANCARI

2.3 L’USURA NEI RAPPORTI DI APERTURA DI CREDITO IN CONTO CORRENTE

2.3.2 L’ INCIDENZA DELLA COMMISSIONE DI MASSIMO SCOPERTO NELL ’ ACCERTAMENTO

NELL’ACCERTAMENTO DELL’USURA

A questo punto, è possibile affrontare una delle tematiche di maggiore interesse che hanno riguardato il fenomeno dell’usura nel corso degli anni: l’incidenza della commissione di massimo scoperto nella determinazione dell’eventuale natura usuraria del rapporto tra banca e cliente.

Per molto tempo, la giurisprudenza di merito si è occupata del problema relativo alla computabilità, ai fini della violazione della legge antiusura, delle commissioni di massimo scoperto nel calcolo del TEG. In sostanza, il problema principale era se tale commissione dovesse essere ricompresa oppure no tra i costi del finanziamento per il raffronto con i costi medi.

Il dibattito era incentivato da un’incoerenza normativa: a fronte, infatti, dell’ampia formulazione dell’art. 644, comma 4, c.p., che richiede di tenere conto di tutte le commissioni, spese e remunerazioni a qualsiasi titolo collegate all’erogazione del credito, i decreti ministeriali di rilevazione dei tassi di

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interesse, fino al secondo trimestre del 2009, escludevano la commissione di massimo scoperto dal calcolo del TEG, recependo, in tal modo, le Istruzioni della Banca d’Italia che fino all’agosto del 2009 non prevedevano l’inclusione di tale commissione né tra gli interessi, né tra gli oneri.

È però del tutto evidente come una tale esegesi finiva per porsi in aperto contrasto con il tenore letterale dell’art. 644, comma 4, c.p., a rigore del quale le commissioni collegate all’erogazione del credito devono essere ricomprese nella determinazione del tasso di interesse. È proprio per questo motivo che dottrina e giurisprudenza di merito maggioritarie hanno sempre ritenuto che di tali commissioni si dovesse tener conto nel rispetto dell’art. 644 c.p., in quanto comprese nella nozione di tasso di interesse effettivo.

Alla stessa conclusione è poi approdata, più di recente, la Corte di Cassazione, II sezione penale, con la nota sentenza del 26 marzo 2010, n. 12028. Con tale pronuncia la Suprema Corte, oltre a riconoscere l’inidoneità di quanto previsto dalle Istruzioni della Banca d’Italia a derogare alla norma penale, ha affermato il principio in base al quale il chiaro tenore letterale dell’art. 644, comma 4, c.p. impone di considerare rilevanti, ai fini dell’accertamento dell’usura, tutti gli oneri che un utente sopporta in connessione all’uso del suo credito. E allora, se così è, la commissione di massimo scoperto è un costo, indiscutibilmente, collegato all’erogazione del credito.

Ma, su questa controversa materia, ancora prima del risolutivo intervento della Corte di Cassazione con la sentenza appena citata, era intervenuto il legislatore con l’art. 2 bis, comma 2, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito

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nella Legge 28 gennaio 2009, n. 2, stabilendo che “gli interessi, le commissioni e

le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente […] sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 codice civile, dell’art. 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 108/1996”.

Tale orientamento innovativo, ormai consolidato in dottrina e in giurisprudenza, è stato recepito anche dalla Banca d’Italia nelle “nuove” Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi, emanate nel mese di agosto del 2009, le quali prevedono, proprio, l’inclusione della commissione di massimo scoperto tra gli oneri da considerare nel calcolo del TEG (68).

Alla luce di tali principi, deve ritenersi che, al pari della commissione di massimo scoperto, debbano computarsi ai fini del calcolo dell’usura anche le commissioni da ultimo previste dal TUB.

L’inclusione della commissione di massimo scoperto nel calcolo del TEG non determina, in termini di comparabilità di dati omogenei, almeno per il periodo successivo al 1° gennaio 2010, alcun problema nel confronto con il tasso soglia. Ciò in quanto, da tale data, il tasso-soglia, secondo le nuove regole, è rilevato considerando anche le commissioni di massimo scoperto. In sostanza, non vi sono problemi applicativi perché vi è uniformità tra i criteri di rilevamento utilizzati per individuare il tasso-soglia e le modalità di calcolo del TEG.

68 In effetti, al punto C4 delle Istruzioni, tra le voci di costo da includere nel calcolo, la Banca d’Italia ha indicato anche “[…] gli oneri per la messa a disposizione dei fondi, le penali e gli oneri applicati nel

caso di passaggio a debito di conti non affidati o negli sconfinamenti sui conti correnti affidati rispetto al fido accordato e la c.m.s. laddove applicabile secondo le disposizioni di legge vigenti”.

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Diversamente, per il periodo anteriore al 1° gennaio 2010, laddove, uniformandosi al principio contenuto nella citata sentenza della Corte di Cassazione n. 12028/2010, si decida di introdurre nel calcolo del TEG anche la commissione di massimo scoperto, ci si trova nella pratica di fronte alla necessità di rapportare elementi non omogenei tra di loro. Il TEG, da un lato, comprensivo della commissione di massimo scoperto, il tasso-soglia, dall’altro, privo della presenza di tale commissione.

Si pone, pertanto, la necessità di rendere omogenei i due dati. A tal fine, la soluzione più opportuna appare essere la seguente: utilizzare, quale parametro di riferimento, il tasso di interesse rilevato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, adeguatamente corretto, però, mediante l’aggiunta della commissione di massimo scoperto.

E questo non dovrebbe essere un problema perché, già a partire dal 2002, il Ministero ha iniziato a rilevare la commissione di massimo scoperto media.

Utilizzando questo parametro, moltiplicato per 1,25 al pari del TEGM, e sommandolo a quest’ultimo, nonché aggiungendo i noti quattro punti percentuali previsti dalla legge, è possibile ottenere un parametro di riferimento idoneo per il confronto con il tasso effettivamente praticato a carico del cliente.

2.3.3 UN ESEMPIO PRATICO: I DIFFERENTI RISULTATI CUI SI PERVIENE