relazione alla nota vicenda attinente alla condizione giuridica delle valli da pesca66.
Ci si riferisce in particolare a quella parte delle sentenze considerate ove le Sezioni Unite hanno rilevato che «là dove un bene immobile,
indipendentemente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connotazioni, in particolar modo quelle di tipo ambientale e paesaggistico, destinato alla realizzazione dello Stato-collettività, quale ente esponenziale e rappresentativo degli interessi della cittadinanza (collettività) e quale ente preposto alla effettiva realizzazione di questi ultimi, detto bene è da ritenersi, al di fuori dell'ormai datata prospettiva del dominium romanistico
risulti diversamente, alla figura della concessione-contratto, atteso che il godimento dei beni pubblici, stante la loro destinazione alla diretta realizzazione di interessi pubblici, può essere legittimamente attribuito ad un soggetto diverso dall'ente titolare del bene, entro certi limiti e per alcune utilità, solo mediante concessione amministrativa, con la conseguenza che le controversie attinenti al suddetto godimento sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, quando non abbiano ad oggetto indennità, canoni ed altri corrispettivi. Qualora, invece, si tratti di beni del patrimonio disponibile dello Stato o dei comuni, il cui godimento sia stato concesso a terzi dietro corrispettivo, al di là del nomen iuris che le parti contraenti abbiano dato al rapporto, viene a realizzarsi lo schema privatistico della locazione e le controversie da esso insorgenti sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario». Così, anche Cass. civ.,
23 dicembre 1998, n. 12831, secondo cui i negozi relativi all’uso di beni del demanio pubblico non possono dar luogo che ad atti di concessione, revocabili e perciò incompatibili con la disciplina delle locazioni degli immobili urbani.
65 Si tratta di: Cass., Sez. Un. 16 febbraio 2011, nn. 3811, 3812 e 3813; ID., Sez. Un. 18
febbraio 2011 nn. 3936, 3937, 3938 e 3939.
66 La vicenda è stata oggetto di numerosissimi ed approfonditi studi da parte della dottrina:
tra i più rilevanti, si ricordano M. OLIVI, La condizione giuridica delle valli salse da pesca a sessant’anni dal codice della navigazione (nota a Tribunale Venezia – Sez. stralcio, 10 maggio 2004, n. 883, 15 dicembre 2003, n. 3220, 31 marzo 2003, n. 786), in Dialoghi del diritto, dell’avvocatura, della giurisdizione, n. 4/2004, 244 ss. e, ivi, A. SCHIAVON, Le acque della Serenissima: diritti privati e ragioni pubbliche nella legislazione veneziana,
235 ss. Per un commento sulle decisioni delle Sezioni Unite della Cassazione, si v. in
particolare, F. CORTESE, Dalle valli da pesca ai beni comuni: la Cassazione rilegge lo statuto dei beni pubblici?, in Giornale Dir. Amm., 2011, 11, 1170; sul punto, si v. altresì. C.
MORGANA CASCIONE Le Sezioni unite oltre il codice civile. Per un ripensamento della categoria dei beni pubblici, in Giur. It., 2011, 12; si veda anche la nota di commento alla
analoga Cass. civ. Sez. Unite, 18 febbraio 2011, n. 3938, sempre in Giur. It., 2011, 12, nonchè T. GRECO – M. GRECO, La storia immutata delle valli da pesca dalla Serenissima
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e della proprietà codicistica, "comune" vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà, strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti i cittadini. In questa prospettiva, il bene è pubblico non tanto per la circostanza di rientrare in una delle astratte categorie del codice, quanto piuttosto per essere fonte di un beneficio per la collettività, sino ad ipotizzare casi di gestione patrimoniale dei beni pubblici (come la loro alienazione e cartolarizzazione)».
Nell’iter logico-giuridico della Corte di Cassazione, un determinato bene può cioè essere considerato pubblico non tanto per la circostanza di rientrare in una delle astratte categorie del codice civile, bensì in quanto strumentalmente preordinato alla realizzazione degli interessi pubblici: in una prospettiva sistematica, ciò potrebbe dunque significare tanto che un bene classificato come demaniale in realtà può non essere preordinato al soddisfacimento di tali interessi, quanto che un bene patrimoniale disponibile viceversa li persegua.
Ma se così è, dovrebbe venir meno l’esigenza che l’attribuzione dell’uso di un bene classificato come demaniale (o patrimoniale indisponibile) avvenga esclusivamente mediante lo strumento della concessione, in quanto a quest’ultima si ricorre proprio solo nel caso in cui il godimento dei beni pubblici sia consonante alla loro destinazione consistente nella diretta realizzazione di interessi pubblici.
(a) In questo senso, si è, infatti, pronunciato il Tar Liguria in una recente decisione.
Il caso esaminato dal Tar verteva sulla legittimità di una procedura, indetta dalla Società Porto Antico Spa, concessionaria dell’area demaniale e partecipata dal Comune, dall’Autorità Portuale e dalla Camera di Commercio di Genova, avente ad oggetto l’individuazione del conduttore degli immobili - che insistevano sul demanio marittimo dell’area portuale di Genova - da destinarsi a cinema multisala.
Nel dichiarare inammissibile il ricorso proposto per carenza di giurisdizione, il Giudice amministrativo rilevava che ad una siffatta conclusione avrebbe condotto (oltre alla “natura privatistica della concessionaria”) il fatto che «il contratto di locazione, oggetto della
domanda di declaratoria d’inefficacia, esorbita, ai sensi dell’art. 133 lett e) n. 1, d.lgs. n. 104/1, dalle categorie negoziali tipizzate devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo».
E, soprattutto, la circostanza per cui, premesso che «(almeno parte
de)gli immobili che sono allogati nell’ area demaniale portuale, quelli per cui è causa (…) non sono stati destinati al soddisfacimento di esigenze di pubblico interesse: con la sola prescrizione della valorizzazione patrimoniale dell’asset immobiliare, anche la destinazione commerciale è senz’altro consentita (…)» trovano qui applicazione i principi esposti dalla
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«Suprema corte che, in ordine all’effettivo regime pubblicistico dei beni
demaniali, opera una netta distinzione fra “una visione prettamente patrimoniale-proprietaria ed una prospettiva personale-collettivistica” (cfr., Cass. sez. un . 16 febbraio 2011 nn. 3811, 3812 e 3813; ID., sez. un, 18 febbraio 2011 nn. 3936, 3937, 3938 e 3939)».
Con il che, «gli immobili, pur facenti parte del demanio marittimo, che
hanno (ricevuto in forza di atti o provvedimenti) destinazione commerciale, ossia, per impiegare la categoria concettuale coniata dalla Cassazione, che sono strumentali all’esercizio d’attribuzioni dominicali dell’ente pubblico, non sono tout court assorbiti nel regime pubblicistico strettamente demaniale»67.
La decisione, ove si consideri che essa verte su di una subconcessione di un bene demaniale, non rileva tanto in sé: basti, infatti, rilevare che la Cassazione in una più risalente sentenza68 aveva già chiarito che un concessionario, se autorizzato dall’amministrazione concedente, può dare in uso a terzi terreni demaniali o locali facenti parte del demanio sia mediante locazione, sia in subconcessione, differenziandosi i due strumenti sotto il profilo causale, proprio per il fatto che solo in quest’ultima l’attribuzione in uso del bene al terzo tende a perseguire l’interesse pubblico del bene. Interesse che va desunto da tutte le clausole contrattuali che impongano obblighi contrattuali nei confronti del subconcessionario69.
Ciò che però appare di rilievo è il fatto che a questa conclusione il Tar sia giunto muovendo da un’argomentazione svincolata dal ruolo del subconcessionario, attribuendo dunque una valenza più generale alle conclusioni esposte70.
(b) La suindicata distinzione posta dalle Sezioni Unite in relazione al regime dei beni pubblici è stata ripresa in occasione di un’altra decisione adottata dal Tar Liguria, avente ad oggetto il rilascio di una concessione ex art. 18 l. 84/9471.
In tale circostanza, il Tar ha rilevato che «nella nuova tassonomia dei
beni pubblici, è fuori di dubbio che le aree portuali hanno una finalità
67 Tar Liguria, Genova, Sez. II, 15 giugno 2011, n. 939: la decisione è stata
successivamente confermata da Cons. St., Sez. 6, 20 marzo 2012, n. 1574, che però non si è pronunciata sul punto.
68 Cass. civ., 26 aprile 2000, n. 5346.
69 V. sul punto anche Cass. civ., 17 gennaio 2007, n. 972 e Cass. civ., 11 febbraio 2005, n.
2852.
70 Ad una conclusione analoga era giunta Corte di Cassazione, Sez. V trib., 25 luglio 2001,
n. 10097, che aveva ritenuto applicabile alla concessione di beni demaniali disposta dal Consorzio Autonomo del Porto di Genova (ora Autorità portuale), configurando tale concessione un atto negoziale di locazione in quanto riconducibile agli atti di pertinenza del Consorzio «in veste di consegnatario e gestore e che esprimono un momento tipico delle
sue incombenze di natura imprenditoriale».
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produttiva. Tant’è che l’attività economica e imprenditoriale, in misura preponderante rispetto al regime demaniale, conforma la disciplina portuale: “l’incremento dei traffici e la produttività del porto”, nella formulazione espressa all’art. 18, comma 6, l..cit, sono i principi che indirizzano l’attività di regolazione demandata all’Autorità portuale. L’appartenenza pubblica al demanio portuale delle aree in concessione, secondo il dato positivo appena richiamato, per riprendere la perifrasi impiegata dalla Suprema corte, è pertanto strettamente inerente al “perseguimento della relativa funzione e dei relativi interessi ad essa collegata” (Cass. sez. un., 14 febbraio 2011 n. 3665)»72.
Questa considerazione, che riecheggia le tesi elaborate più di cinquant’anni fa dal Benvenuti73, porta cioè a ritenere che le aree portuali debbano essere considerate alla stregua di beni pubblici non tanto perché attratte dal regime normativo del porto, laddove viene espressamente elencato tra i beni demaniali, quanto piuttosto perché esse, per carattere loro intrinseco, non possono che perseguire la finalità propria di un bene pubblico che, trattandosi di beni demaniali marittimi, coincide con lo scopo di perseguire i pubblici usi del mare.
Il che significa che, a prescindere da qualsivoglia classificazione normativa, la concessione amministrativa non può che essere l’unico strumento mediante il quale l’amministrazione attribuisce il godimento di aree e banchine portuali.
10.2. Di recente, il rapporto tra concessione e locazione di beni è stato esaminato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione anche sotto un diverso profilo74.
La fattispecie, in cui la Cassazione si è trovata a decidere in merito al giudice competente a decidere una vertenza, riguardava proprio la necessità di qualificare il rapporto intercorso tra un’amministrazione ed un privato, riconducendolo nell’ambito della concessione di beni, o del contratto privato di locazione.
Nel caso sottoposto all’attenzione della Cassazione, il Comune di Mantova sottoscriveva una convenzione con una Cooperativa avente ad oggetto la concessione in uso di uno stabile adibito a centro socio educativo,
72 A ciò peraltro aggiungendo che «sul piano sistematico, quanto ai profili specificamente giuridici, è paradigmatico l’art. 1, 18° comma d.l. n. 194 del 2009 convertito, con modificazioni, dalla l. 26 febbraio 2010 n. 25, che, con riguardo al demanio marittimo ed alle modalità d’accesso alle concessioni da parte degli operatori, in attesa della revisione della legislazione in materia, predica il rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti».
73 F. BENVENUTI, Il demanio marittimo fra passato e futuro, in Riv. Dir. nav., 1965, I, 154
ss.
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nell'ambito di un appalto relativo alla erogazione di servizi socio assistenziali che vedeva la stessa Cooperativa nel ruolo di appaltatore. Successivamente, alla scadenza del suddetto contratto, l'Azienda sanitaria locale della Provincia di Mantova approvava la convenzione con la cooperativa per il periodo compreso tra il 1 aprile 2000 e il 31 dicembre 2002, che aveva ad oggetto l'espletamento, da parte della Cooperativa, del servizio socio assistenziale direttamente erogato a favore dell'Azienda sanitaria locale.
Al fine di consentire alla Cooperativa il godimento dell'immobile per l'erogazione del servizio, essa concludeva con il Comune di Mantova un differente accordo, in data 25 gennaio 2001, con decorrenza retroattiva dal 31 luglio 2000, con il quale il Comune concedente si obbligava alla consegna dell'immobile alla cooperativa, dietro corrispettivo annuale di lire 30 milioni.
Per effetto di tale nuovo accordo la Cooperativa “concessionaria” assumeva la figura di consegnataria del bene ed il rapporto di concessione in uso in essere tra le parti era poi proseguito in forza di successivi atti di rinnovo del contratto, così come era proseguito il rapporto tra la Cooperativa ricorrente e l'Azienda sanitaria locale della Provincia di Mantova. Ad un dato momento, la Cooperativa chiedeva al Comune la riqualificazione del rapporto intercorrente in ordine al godimento dell'immobile in termini di contratto di locazione ad uso diverso dall'abitazione, con conseguente applicazione della L. n. 392 del 1978 - che avrebbe comportato la proroga della scadenza del contratto. Tale richiesta veniva però disattesa dal Comune che negava la sussistenza del rapporto di locazione ed intimava alla Cooperativa il rilascio dei locali alla data di scadenza.
A fronte di ciò, la Cassazione rilevava come «il rapporto intercorso tra
la Cooperativa ricorrente e il Comune di Mantova non possa essere in alcun modo qualificato come di locazione, non solo e non tanto perché così non è stato qualificato dalle parti, ma perché il godimento dell'immobile è stato strettamente collegato e strumentale rispetto all'espletamento del servizio assistenziale, oggetto del rapporto principale, dalla stessa ricorrente qualificato come di concessione».
Soggiungendo che «la giurisdizione si determina sulla base della
domanda ma, a tal fine, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto petitum sostanziale, il quale va identificato (…) soprattutto in funzione della causa petendi »75.
75 In senso analogo aveva concluso in precedenza anche la Corte di Cassazione, Sezione
penale, Sezione Sezioni Unite, 11 luglio 2009, n. 15381, la quale aveva ritenuto che «è
consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui nell'ipotesi in cui la ASL abbia affidato ad un privato la gestione del servizio di bar all'interno di un ospedale pubblico, il rapporto tra la pubblica amministrazione ed il privato, avendo ad
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Nel caso richiamato, la Cassazione risolve perciò la questione del giudice competente a decidere della controversia non sulla base della tipologia del bene interessato, bensì della natura del rapporto oggetto del giudizio. In particolare, il rapporto viene cioè qualificato come concessione di beni pubblici sul presupposto specifico che tale strumento è diretto ad attribuire al concessionario un bene preordinato esclusivamente allo svolgimento di un servizio pubblico76.
oggetto un'attività da svolgersi all'interno di locali facenti parte della struttura immobiliare ospedaliera (come tale destinata a pubblico servizio e perciò rientrante tra i beni patrimoniali indisponibili ai sensi dell'art. 830 cod. proc. civ.) può trovare titolo solo in un atto concessorio, potendo tali beni essere trasferiti nella disponibilità di privati, per usi determinati, solo mediante concessioni amministrative, con la conseguenza che le relative controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cass. sez. un. 14 novembre 2003, n. 17295; 12 giugno 1999, n. 327; 21 luglio 1998, n. 7131; 29 marzo 1994, n. 3075). Ne consegue che risulta irrilevante il nomen iuris (nella specie “contratto di locazione”) che concretamente le parti hanno dato all'atto con il quale è avvenuto l'affidamento dei locali in questione».
76 M. MAZZAMUTO, Riparto di giurisdizione, rapporti collegati e concentrazione delle tutele, in Giur. It., 2012, 6, secondo l'aspetto più specifico della pronuncia in esame è «il criterio adottato per pervenire ad una qualificazione ''pubblicistica'' del rapporto, nel senso che si tratti di una concessione di beni pubblici e non di un mero contratto di locazione. Quello tra concessione e contratto è certamente uno dei terreni tradizionali ove, anche ai fini della giurisdizione, si consuma con un certo grado di problematicità lo scrimen tra rapporti di diritto pubblico e rapporti di diritto privato, che si tratti della distinzione tra concessione e contratto di appalto o appunto tra concessione e contratto di locazione. Nel caso di specie, una Cooperativa godeva di un immobile messo a disposizione da un Comune e funzionalizzato allo svolgimento di un servizio socio- assistenziale attribuito, alla stessa Cooperativa, da un'Azienda sanitaria locale. La Cassazione ha ritenuto che si trattasse di «concessione» di beni pubblici, con conseguente giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ex art. 133, lett. b), c.p.a.), proprio in ragione di tale nesso funzionale: «Perché il godimento dell'immobile è stato strettamente collegato e strumentale rispetto all'espletamento del servizio assistenziale, oggetto del rapporto principale». Il giudice della giurisdizione attenua così un certo schematismo che sembrava emergere dalla propria giurisprudenza, e cioè il precedente ricorso ad una rigida bipartizione che non parte da un'indagine sul contenuto del rapporto, bensì pregiudizialmente dalla tipologia del bene pubblico sul quale il rapporto va a cadere. Data una certa categoria di bene, la qualificazione è vincolata in senso pubblicistico (per i beni demaniali e del patrimonio indisponibile) o privatistico (per i beni del patrimonio disponibile). Un orientamento analogo era già rinvenibile nella giurisprudenza amministrativa. Si adotta lo stesso impianto, anzi, sul presupposto dell'impossibilità di una riqualificazione sostanziale del rapporto, il mancato rispetto di quella bipartizione diviene persino motivo di illegittimità, sicché, per il patrimonio «disponibile», l'utilizzo della concessione «si risolve, in fondo, nella elusione delle norme inderogabili poste dal diritto privato», così come, per i beni demaniali e del patrimonio indisponibile, «devesi dubitare della legittimità di rapporti locatizi». Ma, al contempo, si configura un punto di allentamento della bipartizione che non mette certo in discussione la primarietà del criterio della natura del bene, bensì ne relativizza il carattere esclusivo: se per i beni demaniali e del patrimonio indisponibile il mezzo pubblicistico è inderogabile, non altrettanto inderogabile è il mezzo privatistico per i beni del patrimonio disponibile, atteso che tale normale correlazione «non impedisce all'amministrazione di attribuire il
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In tal quadro, viene meno qualsiasi attribuzione giuridica preventivamente individuata per il bene, essendo rilevante solo il fine che l’amministrazione pubblica persegue, allorché attribuisce ad un privato il godimento del bene stesso77. La decisione solleva dunque ancora il problema della determinazione dei confini di applicazione della concessione di beni pubblici rispetto all’affine istituto, di matrice privatistica, del contratto di locazione.
In più, essa pone l’ulteriore questione dell’assimilazione tra concessione di beni e di servizi pubblici quale fattore determinante nella distinzione rispetto alla locazione.
11. La qualificazione della concessione di beni nel diritto europeo.
Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è cimentata con il problema della natura della concessione di beni demaniali, nonché del corrispondente ambito di applicazione.
In particolare, la Corte ha, per un verso, analizzato il rapporto tra concessione di beni pubblici e contratto di locazione di beni immobili, seppure sotto il profilo circoscritto dell’inquadramento giuridico dell’istituto in esame ai soli fini del previsto trattamento fiscale; per altro verso, ha esaminato l’incidenza della natura del bene pubblico rispetto alla regolazione delle attività che su di esso possono essere svolte, ai fini di un’eventuale deroga del regime della concorrenza.
godimento del bene al di fuori dei moduli privatistici quando ciò sia necessario, o anche semplicemente opportuno, per la realizzazione di obiettivi pubblici di più ampio respiro. In tali eventualità, infatti, l'assegnazione del bene potrebbe costituire una delle prestazioni che caratterizzano il rapporto amministrativo considerato (si potrebbe indicare l'ipotesi di un'assegnazione in godimento di beni al gestore di un'opera o di un servizio pubblico È appunto in questa direzione che motu proprio sembra andare la decisione in commento. La Cassazione non parla né di beni demaniali, né di beni del patrimonio indisponibile — altrimenti la qualificazione concessoria sarebbe emersa de plano —, bensì evidentemente di beni del patrimonio disponibile che, nell'occasione, sono tuttavia funzionalizzati alla gestione di un servizio pubblico. Anzi, il giudice della giurisdizione sembra ulteriormente allargare la valenza del momento teleologico, non costituendo ostacolo l'asimmetria soggettiva dei rapporti, quello servente, facente capo al Comune, quello servito, facente capo all'Asl». V. a commento della medesima sentenza, anche la breve nota di G. DE MARZO, Concessioni publiche, Urb. e app., 2012, 3, 317
77 In termini analoghi si è espressa ancor più di recente la stessa Corte di Cassazione a Sez.
Un., 21 luglio 2011, n. 15980, rilevando espressamente che «per costante giurisprudenza di
queste Sezioni Unite, i rapporti in questione, avendo ad oggetto un'attività che deve svolgersi all'interno di locali destinati a pubblico servizio e, per tanto rientranti nel patrimonio indisponibile dell'ente proprietario, hanno natura concessoria e come tali sono devoluti, in caso di controversia, alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi della L. n. 1034 del 1971, art. 5, come novellato dalla L. n. 205 del 2000 (in tal senso SU. 1.7.09 n. 15381, conf. in precedenza, 17295/03, 327/99, 7131/98, 3075/94, nonchè la recentissima n. 18679/11, pronunziata in un giudizio vertente tra le medesime odierne parti)».
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a) Con riferimento al primo caso, è di particolare interesse un giudizio