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Politica

Storia

Antichistica

Romain Puértolas, l’

delfaChiroCherestòChiusoinunarma- dio iKea, ed. orig. 2013, trad. dal francese

di Margherita Botto, pp. 215, € 16, Einaudi,

Torino 2014

Sarà forse per effetto della crisi o del- lo spaesamento post-novecentesco il ma- nifestarsi di una crescente fortuna, nella produzione e nel mercato editoriale, della narrativa umoristica, che attraverso la tra- sfigurazione parodistica evoca problemi seri e reali inseguendo quel bisogno di ricono- scimento collettivo che è poi la funzione so- ciale della risata. È così diventato un caso editoriale il romanzo d’esordio di un gio- vane scrittore franco-ispanico (pubblicato da una piccolissima casa editrice parigina, Le Dilettante, e presto tradotto in trentasei lingue) che, attraverso le esilaranti avventure rocambolesche di un fachiro un po’ ingenuo e un po’ simpatico imbroglione, tratteggia uno scorcio frizzante e veritiero della sorte dei migranti sulle due sponde del Mediter- raneo. Materia che Puértolas conosce bene per aver fatto molti mestieri in giro per l’europa, compreso quello di analista per la polizia di frontiera, e per il suo impegno militante in difesa dei sans-papiers. Attratto all’Ikea di Parigi dall’offerta speciale di un letto di ben 15.000 chiodi a soli 99,99 euro, con un volo pagato dai compaesani amma- liati dai suoi poteri magici e con un’unica banconota da cento euro per giunta falsa in tasca, il fachiro indiano è lungi dall’immagi- nare il vortice in cui sarà risucchiato, infilan- dosi nelle porte scorrevoli che lo incantano all’ingresso. Nonostante le astuzie e i giochi illusionistici con cui si destreggia nel mondo meraviglioso del reparto mobili Ikea in vista del suo scopo, per un imprevisto fatale rima- ne chiuso in un armadio e imballato per la consegna in Inghilterra dentro un Tir, dove a spacchettarlo sono un gruppo di sudane- si al loro ennesimo tentativo di attraversare la Manica. Dei clandestini intrappolati con lui si trova a condividere l’esperienza dello sballottamento verso destinazioni ignote, dei respingimenti per via aerea e marittima, dei soprusi dei trafficanti, delle brutalità praticate sulle coste libiche, nel corso delle mille peripezie narrate con il ritmo incalzan- te di una comicità sempre in bilico tra il tono surreale e il fiabesco, non senza un pizzico di thriller. Della fiaba ci sono tutti gli ingre- dienti canonici nel susseguirsi delle strabi- lianti prove affrontate dal nostro eroe du- rante il viaggio, persino in mongolfiera o su

dal suo villaggio: c’è l’antagonista nel taxista gitano fin dall’inizio alle sue calcagna per vendicarsi del trucco da prestigiatore con cui è riuscito a non pagarlo; c’è la benefattri- ce nella famosa star del cinema che gli pro- cura il dono di una somma esorbitante per la pubblicazione del romanzo scritto sulla sua camicia mentre era rinchiuso nella stiva di un aereo; c’è il premio incarnato dalla bella francese che gli ha offerto il pranzo all’Ikea, con cui non cessa di inseguire il ricongiungi- mento. Ma il senso della storia è anche quel- lo di un romanzo di formazione, perché alla

fine l’umanissimo fachiro, che non è affatto una silhouette piatta retta dai fili di un puro

divertissement, esce trasformato dalla serie

di “elettroschock emotivi” subiti durante il viaggio. ha scoperto la durezza del mon- do ma anche il conforto di un’educazione sentimentale all’altruismo e all’amore, con la bella Marie che lo attende, e grazie alle “belle persone” che esistono anche nei “bei paesi” sognati dai migranti, per chi ha la fortuna di incontrarle al di là delle occhiute barriere doganali. Smessi i panni del fachiro impostore, è alla magia riflessiva del narrare le speranze del mondo che il protagonista affiderà la sua nuova vita di scrittore, happy

end di un viaggio senza ritorno.

Santina moBiGlia

Rosa Liksom, s . 6, ed.

orig. 2011, trad. dal finlandese di Delfina Sessa, pp. 220, € 15, Iperborea, Milano 2014

La Transiberiana procede spedita verso Ulan Bator. Al di là del finestrino si rincor- rono sequenze sempre uguali di paesaggi immobili, cristallizzati nella morsa del gelo e ricoperti da una fitta coltre di neve. Nello scompartimento n. 6 due persone osserva- no l’orizzonte: lei è una giovane finlandese residente a Mosca, ragazza taciturna, timida ed estremamente riservata, lui è un proleta- rio russo di mezz’età, misogino, antisemita

e con un particolare attaccamento alla bottiglia. entrambi sono em- blemi della propria generazione, esponenti di universi diametral- mente opposti obbligati al con- fronto nell’angusto spazio di un vagone letto, e del resto impossi- bili da combinare, come due rette parallele che non si incontreranno mai. Le intenzioni di Rosa Liksom, vincitrice con Scompartimento n. 6 del premio Finlandia, erano piut- tosto ambiziose: attraverso le due figure della studentessa e dell’ope- raio l’autrice intendeva tracciare il ritratto di un popolo, quello russo, orgoglioso della propria identità, disilluso del presente ma fiero del passato e fiducioso nel futuro, un popolo rude e insieme romantico, che, pur non riconoscendosi nel- la Mosca di fine anni ottanta del Novecento, conserva immutato l’amor di patria e l’attaccamento alla terra. Il risultato finale, tutto sommato, soddisfa i palati meno raffinati ma delude le aspettative di un lettore più esigente: ci si aspetterebbe un ripiegamento intimista più pronunciato, o un’evoluzione del rapporto tra i personaggi meglio tratteggiata; invece Liksom rimane in superficie, si addentra appena negli abis- si dell’anima per poi uscirne subito dopo, senza sporcarsi le scarpe, consegnando al lettore un’immagine parziale dei suoi pro- tagonisti e delle loro fragilità. e dire che proprio quei protagonisti rappresentano un bacino inesausto di possibilità: lui, Vadim, è uno stakanovista convinto, vessillo della Mosca che fu, con un passato di carcere e campi di correzione; lei è invece una giova- ne forestiera, sbarcata nell’immensa Russia piena di genuine speranze e caduta vittima di un amore tormentato, che l’ha lasciata

lità sono molte dunque, e affascinanti, ma il loro sviluppo stenta a decollare. Per contro, Liksom rivela un’indiscutibile abilità nelle digressioni paesaggistiche. Con straordi- nario lirismo descrive un caleidoscopio di colori e un mosaico di immagini che buca- no la pagina e quasi prendono vita, mentre davanti agli occhi del lettore, come fosse anch’egli nello scompartimento, fluisce la seducente taiga innevata e pulsa il cuore della profonda Siberia.

laura Savarino

Emma Healey, elizabethèsComparsa, ed.

orig. 2014, trad. dall’inglese di Manuela Fai- mali, pp. 285, € 17, Mondadori, Milano 2014

Se la sono letteralmente strappata di mano gli editori italiani alla Fiera di Londra di quest’anno. emma haeley, esordiente assoluta, meno di trenta anni, ha scritto il bestseller che tutti speravano di leggere. La protagonista è l’anziana Maud, affetta da una grave forma di Alzheimer, che vive sola con la supevisione di una figlia molto effi- ciente ma poco affettuosa. Maud seleziona i ricordi: come spiegano i manuali, non possiede la memoria recente ma il passato, con tutto ciò che di irrisolto si porta dietro, è una presenza minacciosa. In particolare è convinta che la sua carissima amica eli- zabeth sia scomparsa ma nessuno sembra volerle credere. e così il romanzo prende un’inaspettata piega gialla. L’improbabile investigatrice Maud, pur nella sua impoten- za neurologica, riesce ad andare a fondo e a scoprire cosa è accaduto a elizabeth, oltre a spiegare il cortocircuito che si è creato con l’antica perdita della sorella maggiore, l’a- mata Sukey (il cui cadavere è ritrovato dalla figlia di Maud nel giardino, guarda caso, di elizabeth). Il successo di questo roman- zo sta proprio nell’abbracciare più generi: investigazione, riflessioni sulla vecchiaia, sulle dinamiche familiari, sull’amore e sulla difficoltà di accogliere dimensioni devianti rispetto alla norma. Maud è un personaggio ritratto apposta per far innamorare il letto- re, con le sue spese folli di pesche sciroppa- te di cui riempire inutilmente la dispensa e la determinazione, tutt’altro che malata, di ritrovare l’amica un po’ barbona.

Camilla valletti

Sc

hede

- Letterature

Lars kepler, l’uomo della sabbia, trad.

dallo svedese di Carmen Giorgetti Cima, pp. 524, € 16,40, Longanesi, Milano 2013

Il motto è sempre: la mente è il luogo del delitto. Il terzo romanzo della serie iniziata con l’Ipnotista, un grande bestseller mon- diale divenuto film nel 2013, ci riporta i due antagonisti implacabili: l’arci-cattivo Jurek Walter, detenuto nell’unità di massi- ma sicurezza di un reparto psichiatrico, e lo stoico commissario Joona Linna. A questi si aggiunge una fata-poliziotta, modellata sullo stile di Katniss everdeen, l’eroina di Hunger

Games, che deve snidare il segreto perverso

di Jurek Walter, o meglio trovare i luoghi dove ha sepolto vivi alcuni incolpevoli che hanno sfiorato ignari la sua vita giovanile. Dopo molti anni uno di questi morti viventi riemerge infatti dall’oblio, e il mondo è co- stretto a riaprire gli occhi su un orrore che aveva rimosso. La catena del vivere e del morire, però, a stento accelera sino al pa- rossismo finale. Si tratta infatti di un thriller serrato ed efficace nell’acchiappare l’atten- zione, scritto a quattro mani dai coniugi Ahndoril-Kepler, uniti sotto lo pseudonimo di Lars, una coppia di poliedrici scrittori svedesi. I capitoletti sono brevi e nervosi e i primi due terzi del voluminoso romanzo risultano interessanti per ambienti e perso- naggi. ognuno degli attori reca un segreto doloroso e lancinante, che riemerge metten- do sempre in forse una serenità agognata, ma precaria. I protagonisti e i comprimari sembrano talvolta maschere del teatro an- tico, sballottati da tragiche commedie degli equivoci. La parte finale risente troppo del-

la sindrome Mission impossible, con effetti speciali molto forti, che ne accentuano la scarsa plausibilità complessiva. Nel raccon- to vediamo esplicarsi capacità mirabolanti di forzare porte, ingannare telecamere di sor- veglianza, uccidere con un dito, plagiare a morte con una parola una vittima psicotica. Ma forse è proprio questa la forza di tali ro- manzi: spaventarci a morte e farci desiderare una dolce vacanza nelle Langhe, sfuggendo a un inquietante impero del Male e renden- doci meno ostica la democrazia del pasticcio che viviamo.

aldo FaSolo

Salla Simukka, rossoilsangue, ed. orig.

2013, trad. dal finlandese di Delfina Sessa, pp. 260, € 17, Mondadori, Milano 2014

È un noir un po’ splatter young adult. Complicato da spiegare, in quanto coinvol- ge aspetti letterari e di mercato. Comincia- mo dal paratesto. La sovraccoperta mostra mezzo volto femminile ricoperto di gocce di sangue; il taglio delle pagine è rosso vivo come seconda e terza di copertina; in con- trocoperta altre gocce di sangue e l’indica- zione che la protagonista Lumikki è forte e solitaria e nasconde terribili segreti come Lisbeth Salander. Dai risvolti apprendiamo che il nome significa Biancaneve; si parla di paura, sangue, omicidi e droga; Simukka è autrice, traduttrice ed editor di libri per adulti e ragazzi e nel 2013 ha vinto il più prestigioso premio finlandese di narrativa giovanile. La storia, che parte da una busta

di banconote insanguinate, è un thriller ben congegnato, intricato e adrenalinico, anche se un po’ ingenuo per esperti del genere, che fa incontrare e scontrare teenager in cerca di sballi e guai, spietati criminali dell’est, colletti bianchi corrotti del Nord. La figura dell’eroina si costruisce plausibilmente, mi- steriosa, autosufficiente e fobica, da sembra- re davvero l’erede della hacker anarchica e bisessuale di Millennium, con sconfinamenti nel fiabesco e citazioni di Astrid Lindgren, come è tipico dei gialli nordici (più una sor- presa a metà romanzo, che è il primo di una trilogia e quindi ha un finale aperto). Come

ha detto Stefano Calabrese, docente di semi- ologia del testo, globalizzazione e crossover, a partire da Harry Potter, hanno di fatto an- nesso i testi destinati agli adolescenti al mer- cato della letteratura per adulti (Letteratura

per l’infanzia. Fiaba, romanzo di formazione, crossover, cfr. “L’Indice”, 2014, n. 5). Rosso il sangue servirà a combattere il disastroso

calo di lettori fra i quindici e diciassette anni nel 2013 (- 9 per cento)? Magari arrivando anche ai cosiddetti new adult formati alla lettura da Harry Potter e Twilight.

Fernando rotondo

Sc

hede

CentoCinQuanta annidi eConomia ita- liana, a cura di Michele Barbato, pp. 606,

€ 25, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014

Il volume raccoglie i saggi pubblicati originariamente, nel corso del 2011, sulla rivista “economia Italiana”, in occasione del centocinquantenario dell’unità ita- liana. Gli interventi si articolano intor- no a tre grandi aree tematiche: i vincoli alla crescita dell’economia italiana; la dotazione infrastrutturale e i luoghi del- lo sviluppo; gli strumenti della politica economica. Tuttavia, al di là della parti- colare angolazione analitica prescelta da ciascun autore, ci sono due motivi uni- ficanti che attraversano tutte le indagini particolari. In primo luogo un approccio metodologico che tiene conto sempre della retrospettiva storica. In secondo luogo un’attenzione costante al problema della crescita. Inquadrati in questo oriz- zonte di riferimento generale, i singoli contributi vanno a formare un affresco di grande respiro sulla vicenda dell’econo- mia italiana. Un quadro in cui emergono i fattori strutturali di lungo periodo. Da quelli naturali (la scarsa disponibilità di materie prime e di fonti energetiche), a quelli propri della tradizione storica na- zionale (il policentrismo urbano, il duali- smo economico), ai profili amministrativi e finanziari (il carattere della pubblica amministrazione, il sistema creditizio), a quelli economici e imprenditoriali (la cultura d’impresa, il capitale umano), a quelli sociali (lo sviluppo demografico, la stratificazione della società). A sua volta, però, la proiezione storica è funzionale a illuminare le sfide del presente: competi- tività del sistema paese nel quadro della concorrenza internazionale; ruolo cre- scente della finanza estera e delle influen- ze esterne per le vicende economiche e politiche nazionali; efficacia delle politi- che di sviluppo e di integrazione territo- riale, adeguatezza della cultura giuridica ad assecondare e sostenere l’imprendito- rialità.

maurizio GriFFo

Ernesto Rossi, breViariodiunliberista eretiCo, a cura di Gianmarco Pondrano

Altavilla, pp. 106, € 10, Rubbettino, Sove- ria Mannelli 2014

“Dovremmo parlare dell’urgente ne- cessità di sostituire almeno tre quarti degli attuali direttori generali che ammi- nistrano complessi aziendali del valore di centinaia e centinaia di miliardi (…) Dovremmo parlare degli ‘esperti’ e degli altri impiegati che le grandi ditte indu- striali e le organizzazioni di categoria, per ‘spirito di collaborazione’, prestano agli uffici pubblici in cui vengono studiati i più importanti interventi dello Stato nel- la vita economica e vengono prese le de- cisioni di carattere più riservato”. Sem- brano scritte oggi e invece queste parole risalgono a sessant’anni fa. Le troviamo verso la conclusione di questo volumet- to che opportunamente raccoglie alcuni brani di una delle figure più interessanti e provocatorie di pubblicista, economista e politico laico e antifascista della nostra storia nazionale, l’eterno rompiscatole ernesto Rossi. Articolato in nove capi- toletti, il libro spazia dal rapporto fra la democrazia e il “bisogno di quattrini, di sempre più quattrini” dei partiti, alla questione del “privatizzare i profitti e socializzare le perdite”, ai disastri del- la “pubblica (?) amministrazione”. Ri- leggere le acute analisi di Rossi è come srotolare il film delle continue occasioni mancate della nostra storia repubblicana. Si può dissentire da questo o quel giudi- zio specifico, ma è difficile non convenire con lo spirito che animava l’autore di Il

manganello e l’aspersorio e I padroni del vapore e sperare in un recupero di tale

spirito da parte di qualche suo volonte- roso erede del XXI secolo.

Ferdinando FaSCe

Maria Paola Del Rossi e Ilaria Romeo, Tral’inCudineeilmartello. lasatira aitempidi “laVoro”, prefaz. di Michele

Serra, pp. 277, € 18, Ediesse, Roma 2014

Pochi ricorderanno “Lavoro”, la stori- ca testata della Cgil di Di Vittorio. Uscì in vario formato dal 1948 al 1962 e, pur con i suoi limiti, rappresentò lo sforzo di superare il difetto principale della stampa sindacale del dopoguerra, fin lì destinata ai soli iscritti, per allargarsi a una platea più vasta. Al suo interno trovò spazio una rubrica satirica, appunto intitolata

Tra l’incudine e il martello, che occupava

due colonne del rotocalco settimanale. A essa è dedicata la ricostruzione del libro. I saggi delle due autrici introducono una ricca scelta di vignette, disegni e illustra- zioni, opera di lettori e di quadri sinda- cali, tratto non secondario dell’originalità di quella vicenda. Del Rossi ricostruisce la nascita della satira militante in Italia, a partire da quella vicina alla stampa del so- cialismo delle origini, come “L’Asino” di Podrecca e Galantara, a cui idealmente si

rifaceva questa satira dal basso del sinda- cato socialcomunista, mentre, per i riferi- menti contemporanei, gli strali di quella generazione di vignettisti operai si ap- puntavano sul “Candido” di Guareschi, attorno a cui andavano coagulandosi gli umori più viscerali della destra più con- servatrice. Romeo si sofferma sugli aspetti della vita interna del giornale, la scelta dei temi delle campagne propagandistiche, la forma del concorso a premi a cui spesso si ricorreva. Per quanto in forme più com- punte e in uno stile un po’ ingessato, in sintonia con il clima della guerra fredda, tra queste pagine si respira un umorismo popolare a suo modo memore del celebre motto bakuniniano “Sarà una risata che vi seppellirà”. Anche se con un linguaggio paludato, la satira muove sempre dallo sberleffo e dalla pernacchia, anche se ha a che fare con il Piano Marshall o la “legge truffa”.

nino de amiCiS

Mauro Marcantoni e Giorgio Postal, südtirol. storiadiunaguerrarimossa

(1956-1967), pp. 110, € 17,50, Donzelli,

Roma 2014

Risalendo sino al trattato di Saint-Ger- main (1919), con cui fu sancita la cessione del Tirolo meridionale all’Italia, gli autori di questo breve ma denso volumetto fan- no luce sulle ragioni storiche che stanno alla base di quel vero e proprio conflit- to che, a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, fu ragione di aspre tensioni fra Italia e Austria. e, al contempo, ripercor- rono le ragioni che, a partire dall’accordo De Gasperi-Gruber (1946), alimentarono le aspirazioni indipendentiste della po- polazione germanofona residente nella regione di frontiera a sud del Brennero. Aspirazioni che, godendo di ampi con- sensi a livello locale nonché del sostegno indiretto del governo austriaco, furono all’origine della formazione di una co- stellazione di organizzazioni (alcune delle quali apertamente orientate in senso ne-

onazista) che non esitarono a ricorrere a forme sempre più spregiudicate di violen- za. Merito principale del volume consiste dunque nel ricostruire questa porzione controversa e perlopiù rimossa della sto- ria repubblicana lungo un duplice bina- rio. Per un verso ripercorrendo le diverse fasi entro cui prese forma il terrorismo sudtirolese, dalla Notte dei fuochi del 1961 alla strage di Cima Vallona del 1967. e, per un altro, seguendo lo sviluppo del- la complessa azione di mediazione che fu portata avanti, non senza interruzioni e difficoltà, dai principali esponenti della classe dirigente di allora (si pensi ad Aldo Moro, Bruno Kessler e a Silvius Magnago della Svp) sul piano politico internaziona- le, nazionale e locale. Un’azione destina- ta a tradursi, con l’entrata in vigore nel 1972 del nuovo Statuto di autonomia, in una piena riconciliazione che, a distanza di anni, si pone come esempio virtuoso di depotenziamento dei conflitti tra gruppi etnici e linguistici diversi.

FederiCo troCini

palmiro togliatti e papa gioVanni.

CinQuant’annidopoildisCorsoIldestI- nodelluomoel’enCiCliCaPacemInter- rIs, a cura di Francesco Mores e Riccardo

Terzi, pp. 149, € 12, Ediesse, Roma 2014

Non furono pochi coloro che ritenne- ro di ravvisare un rapporto diretto tra il discorso che Palmiro Togliatti pronunciò a Bergamo il 20 marzo 1963, noto con l’enfatico titolo Il destino dell’uomo, e l’enciclica che a distanza di pochi giorni fu promulgata da papa Giovanni XXIII, la Pacem in terris. In effetti, precisa Fran- cesco Mores, “il rapporto tra questi due testi e tra queste due figure fu indiretto e proprio per questo molto più stretto e profondo”. Il giudizio appare generoso. Lo squilibrio tra i due testi è enorme. Quello del leader del Pci, proiettato in

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