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Запоминать надо только то, что никогда тебе не пригодится. (Венедикт Ерофеев, Записные книжки) Va ricordato solo quello che non ti servirà mai. (Venedikt Erofeev, Quaderni d’appunti)

La passione per la lettura si manifestò in Venja molto presto, ereditata probabilmente dalla madre Anna Andreevna, amante fin da piccola di storia e letteratura. Come rivelò nella sua

Kratkaja avtobiografija, la breve autobiografia pubblicata in apertura all’edizione Prometej di Moskva-Petuški, Erofeev [A1990: 3] cominciò a scrivere a soli cinque anni e il suo primissimo componimento – ricordava la sorella Tamara [BLetopis’ 2005: 13] – furono i Zapiski sumasšedšego (Memorie di un pazzo), realizzati su imitazione dell’omonimo racconto di Gogol’

letto in un’antologia allora presente in casa.

Nel 1945 Venja iniziò a frequentare la scuola elementare a Chibiny assieme al fratello più grande Boris: la madre aveva insistito con le insegnanti affinché ammettessero alla stessa classe anche il figlio minore, sebbene non avesse ancora compiuto otto anni; dopo poco tempo le maestre dovettero riconoscere le straordinarie capacità di quell’alunno ideale che faceva i compiti per il

fratello, divorava libri su libri (i grandi classici recuperati nella biblioteca di casa o previsti dai programmi scolastici) e ne ricordava ogni minimo dettaglio. Nel 1955 al termine della decima classe della scuola dell’obbligo venne insignito della medaglia d’oro, un riconoscimento conferito agli allievi più meritevoli che facilitava loro l’accesso agli istituti superiori1.

A caratterizzare Erofeev fu da sempre una prodigiosa memoria: da bambino aveva memorizzato il contenuto dei 365 foglietti che componevano un piccolo calendario a strappo appeso alla parete di casa ed era in grado di riferire per ogni data l’orario esatto di alba e tramonto, la durata della luce solare e le festività; della Bibbia sapeva citare numerosi passi (soprattutto dei Vangeli) e ricordava tutti e quarantadue i nomi della genealogia di Gesù; conosceva le temperature corporee di animali domestici e selvatici e si vantava di saper recitare ben 172 poesie di Igor’ Severjanin (uno dei suoi verseggiatori prediletti del primo Novecento) assieme a molte altre liriche di esponenti dell’età d’argento.

Con la seconda metà degli anni Cinquanta alla lettura si accompagnarono i primi esperimenti creativi: ad appena sedici anni, tra l’ottobre 1956 e il novembre 1957, scrisse i Zapiski

psichopata, opera sperimentale che anticipava tecniche, strutture narrative e motivi poi sviluppati

in Moskva-Petuški; nel periodo universitario compose inoltre parodie in versi su avvenimenti politici dell’epoca imitando lo stile di Koz’ma Prutkov, Severjanin e Majakovskij2; coinvolse amici e conoscenti nella stesura di poesie pubblicate in raccolte autoedite, come avvenne a Mosca nel 1957 quando durante il semestre universitario fece lo scaricatore in un negozio di alimentari e convinse i colleghi e compagni del convitto di via Krasnaja-Presnja in cui alloggiava a scrivere testi lirici, poi inseriti nell’Antologija stichov rabočego dviženija (Antologia di poesie del movimento operaio)3.

Quando nel 1958 si trasferì per un periodo dalla sorella Nina a Slavjansk (in Ucraina), Venja realizzò un’antologia intitolata Russkie poėty (Poeti russi) nella quale riproduceva a memoria i lavori di scrittori invisi a Stalin e rimasti inediti in Unione Sovietica negli anni Quaranta e Cinquanta.

Conosceva moltissime cose a memoria e citava all’infinito. Amava anche guidare le letture di tutti i suoi cari. Ricordo che scriveva per me degli elenchi, quando veniva in Ucraina, e mi diceva: “Cosa leggi?” “Pikul’” “Bah! Nabokov va letto”. [Frolova, BNeskol’ko monologov 1991: 77]

1 Nel 1956 Erofeev non dovette infatti sostenere l’esame scritto per essere ammesso al dipartimento di lingua e letteratura russa dell’Università Statale di Mosca.

2 Due di questi componimenti parodici sono riprodotti da Murav’ëv in BNeskol’ko monologov 1991: 93.

3 Frammenti dell’antologia sono stati pubblicati in Malaja proza [A2004: 5-15] sulla base di un dattiloscritto recuperato tra i materiali custoditi da Galina Anatol’evna Erofeeva.

Degli elenchi di letture consigliate a Nina sono rimasti alcuni fogli nei quali, con un’elegante e ordinata calligrafia ed esordendo con le parole “Непременно прочтите, Нинон” (Da leggere assolutamente, Ninon), Venja suggeriva alla sorella opere di autori inglesi (da William Shakespeare a Charles Dickens, da Daniel Defoe ad Arthur Conan Doyle), francesi (tra gli altri Voltaire, Gustave Flaubert, Émile Zola, Anatole France), tedeschi (in particolare Johann von Goethe e Thomas Mann), ma le segnalava anche il Decameron di Boccaccio, i Promessi sposi di Manzoni, oltre ai versi di Dante e Petrarca e di alcuni autori latini.

Fig. 1. Pagine dell’elenco di letture consigliate alla sorella Nina (1959)4.

Le annotazioni sui diari dei primi anni Sessanta rivelano l’interesse di Erofeev per scrittori europei di inizio Novecento – come Thomas Mann (rimasto affascinato dal Doctor Faustus, Venja progettò un proprio Russkij Faust i cui abbozzi sono purtroppo andati perduti [BSedakova,

Neskol’ko monologov 1991: 102]) e Franz Kafka (Il processo lo colpì profondamente) – nonché

per autori contemporanei (da William Faulkner ad Heinrich Böll), allora in voga e noti in traduzione al pubblico russo: nel relativo disgelo dell’epoca da Occidente filtravano infatti molte novità editoriali alle quali Venja guardò spesso con curiosità.

Va qui aperta una piccola parentesi: queste letture tradiscono l’inclinazione di Erofeev anche verso elementi allogeni propri della cultura occidentale. Ricordava infatti Ol’ga Sedakova [BNeskol’ko monologov 1991: 101]:

La sua autoidentificazione come russo era estremamente forte. Concrete erano per lui le categorie “noi” e “loro” (“loro” cioè l’Europa). Diceva serio: “Noi abbiamo insegnato loro a scrivere romanzi (Dostoevskij), a comporre musica (Musorgskij), e così via”. Eppure, a quanto pare, anche lui, come moltissimi russi, era attratto proprio da “loro”. […] La civiltà cristiana secondo lui si incarnava in Dante, in Pascal, in Tommaso d’Aquino, in Chesterton, e non qui. Quante volte ripeteva: “Non riuscirò mai a capire cosa ci trovino nella Trinità di Rublëv!”.

Tra gli autori europei più amati vi erano Lord Byron e Walter Scott (apprezzato soprattutto come poeta, letto da Erofeev nella traduzione russa di Vasilij Žukovskij), Rabelais e Sterne; un legame quasi familiare lo vincolava poi ai suoi “conterranei norvegesi”5 [AErofeev 1990: 3], gli scrittori Henrik Ibsen, Bjørnstjerne Bjørnson e Knut Hamsun (il romanzo Misteri, imparato subito a memoria, fu una vera scoperta per Venja durante gli anni universitari): nei primi anni Sessanta su di loro aveva persino scritto alcuni articoli, proposti all’almanacco studentesco dell’istituto di Vladimir, ma poi mai pubblicati perché ritenuti “terrificanti nel metodo” [ibidem] e andati presto smarriti6. A entusiasmare Erofeev, oltre a pensatori russi quali Konstantin Leont’ev, Vladimir Solov’ëv e Nikolaj Berdjaev, era la filosofia occidentale e in particolare le riflessioni di Leibniz, Nietzsche e Freud.

Erofeev leggeva di fatto tutto quello che era allora disponibile in Unione Sovietica, diffuso attraverso i canali ufficiali o circolante tacitamente nel sottosuolo proibito del samizdat. Nel 1961, ad esempio, dalla capitale portò ai vladimircy l’almanacco letterario «Sintaksis», rivista autoedita concepita un paio d’anni prima da Aleksandr Ginzburg dove avevano trovato pubblicazione, tra gli altri, i versi allora proibiti di Bulat Okudžava, Bella Achmadulina e Genrich Sapgir [BLetopis’ 2005: 44]. Si dimostrò inoltre attento alle nuove pubblicazioni

nell’ambito della poesia e della prosa, leggendo recensioni dalle riviste letterarie «Literaturnaja Gazeta», «Knižnoe obozrenie», «Inostrannaja literatura».

Fig. 2. Venedikt Erofeev, fine anni Ottanta (foto di Viktor Baženov).

5 La definizione, non senza un velo di autoironia, dei tre scrittori scandinavi come “conterranei” è dovuta al fatto che Erofeev si sentiva geograficamente vicino a loro in quanto nato nell’estremo nord russo.

Insomma, cibo con cui saziare la propria fame di conoscenza Erofeev ne trovò parecchio: “sognava di passare una vita intera a studiare – ricordava Murav’ëv [BNeskol’ko monologov

1991: 91] – a fare lo scolaro o a starsene seduto in biblioteca con un libriccino in mano”.

Lesse veramente di tutto e in maniera piuttosto asistematica: dalla letteratura nazionale e internazionale (nelle sue declinazioni di prosa, poesia o teatro) alla scienza, dalla storia alla teologia, dall’arte alla politica, dalla sociologia alla musica, ovunque alla ricerca di risposte alle sue infinite domande.7

Le vaste conoscenze di Erofeev erano qualcosa di straordinario per uno scrittore russo cresciuto in epoca postbellica […]. Sterne e Goethe, Kant e Nietzsche, Wagner e Dvořák gli sembravano degli interlocutori in carne e ossa. […] Venička parlava con i grandi come con persone alla pari, in maniera libera e allegra. [BZorin 1991: 120]

Caratteristica di Venja è proprio questa leggerezza nel dialogo con i grandi nomi della letteratura, della filosofia e della musica, la stessa ardita leggerezza che contraddistinguerà, del resto, il suo alter ego Venička in Moskva-Petuški.

E il metro di giudizio per valutare scrittori classici o contemporanei incontrati nelle letture e percepiti come persone “in carne e ossa” e suoi “pari” non poteva che essere paradossale, come lo stesso Erofeev rivelò in un’intervista: “misuro la portata e il valore di uno scrittore in base a quanto alcol gli verserei da bere se entrasse in casa mia. E perché non usare una simile unità di misura?” [AErofeev, Tosunjan 1989: 512]. Ecco allora che ai prosatori bielorussi Vasil’ Bykov e Ales’ Adamovič avrebbe versato da bere un bel bicchiere pieno, al principale esponente della prosa contadina Valentin Rasputin su per giù cento grammi [AErofeev, Tosunjan 1989: 512]; a proposito di Fazil’ Iskander, che non amava, avrebbe detto invece: “che corra da solo a prendersi da bere con addosso i suoi pantaloni della tuta” [ibidem]!