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Capitolo V: La comunità russo-israeliana

V.I Caratteristiche generali dell’enclave russo nello Stato d’Israele:

V.I.IV Insegnanti russi in Israele

A confronto della relativamente buona integrazione di medici e ricercatori, Remennick ha riportato risultati abbastanza scoraggianti per l’integrazione degli insegnanti russi (circa 40.000 arrivi negli anni Novanta, di cui l’85%394 donne), meno del 20% dei quali riuscì ad impiegarsi nella professione originaria.395Le difficoltà che possono giustificare questo fenomeno sono sicuramente di natura linguistica, ma in questo paragrafo descriverò anche le barriere culturali che si interposero nell’ambiente scolastico e nella metodologia didattica, affidandomi in particolare alla voce degli immigrati che hanno vissuto queste esperienze personali, tramite i sondaggi condotti in loco ancora una volta da Remennick.

Nella professione didattica, il principale ambito di scontro culturale fu proprio la differenza nella metodologia di insegnamento. Come ha ben spiegato Raphael Cohen- Almagor,396direttore della cattedra di scienze politiche presso l’Università di Hull, nel corso degli anni Novanta si instaurò su questo tema un dibattito particolare, volto a sanare e integrare più o meno gradualmente i due differenti sistemi educativi: l’istruzione della scuola media israeliana prevedeva una scarsa applicazione nelle materie scientifiche, un approccio studente-docente molto informale e una particolare cura per il tempo libero e lo sviluppo delle attività ricreative; l’istruzione russa era esattamente l’opposto, rigida e formale nelle gerarchie, improntata al raggiungimento dei livelli minimi di apprendimento da parte di tutti gli allievi, i peggiori dei quali venivano supervisionati dai colleghi più brillanti. Tra gli insegnanti e i genitori olim fu presto avvertita la necessità di implementare il sistema educativo israeliano. Nel 1991 l’oleh Yacov Mazganov397 fondò

394 L. Remennick, “Russian Jews on three continents: identity, integration and conflict”, Transaction Publishers, Piscataway, 2007, p.48

395 L. Remennick, “Immigration, gender and psychological adjustment: astudy among 150 immigrant couplet in Israel”, Sex Roles,53 (11-12), 2005, p.189

396 R. Cohen-Almagor, “Israeli Democracy at the Crossroads”, Routledge, New York, 2005, p.126 397 Per biografia vedasi Mofet Association, www.reshetmofet.org, (ultimo accesso 3/12/2019)

il circuito di scuole “Mofet398”, che oggi comprende circa sei scuole diurne e più di 20 scuole pomeridiane e serali in tutto il paese. La più famosa è “Shevah Mofet” a Tel Aviv, e conta circa 1300 studenti. Mofet, che raggruppa un circuito di scuole specializzate in matematica e scienze riconosciute dal Ministero dell’Istruzione israeliana399 ed è tenuta a utilizzare come lingua di insegnamento l’ebraico,400 sta grazie a questo e agli eccellenti standard educativi iniziando a raccogliere numerose iscrizioni anche da parte dei sabra. Non è difficile immaginare come parte della società israeliana abbia tacciato di elitarismo queste “isole di eccellenza”, peraltro segnalando il pericolo che la lingua ebraica venga declassata dalla lingua russa.

Al di là delle nicchie del sistema educativo russo-israeliano, per sintetizzare la situazione odierna degli olim russi nella professione dell’insegnamento in Israele, mi riporto ancora una volta a un sondaggio (2002) di Remennick,401 che ritengo toccare i punti cruciali della problematica relativa a questa classe professionale. Il sondaggio riguarda 30 ex insegnanti dell’Unione Sovietica, 20 dei quali riuscirono a mantenere la propria professione. Il risultato dello studio ha dimostrato che anche in una società orientata verso l’integrazione dei migranti, le barriere culturali possono ostacolare un buono svolgimento del lavoro, in termini di relazione studente-docente e di competizione con i colleghi. Nello studio, la maggior parte degli intervistati si riferisce alla cosiddetta “sopravvivenza dei migliori”, in cui età, sesso ed esperienza didattica fungono da variabili chiave nel mantenimento della professione. Gli insegnanti considerati “migliori” sono sulla trentina (entrambi i sessi), e, contando sull’esperienza lavorativa dai 5 ai 15 anni, hanno avuto le migliori possibilità di mantenimento e realizzazione professionale. Dall’indagine risulta anche che, nella scelta delle risorse di età più elevata, il sistema scolastico israeliano abbia conferito la precedenza all’assunzione di insegnanti di sesso maschile, presumendo che possedessero una maggiore abilità di controllo delle classi. Soprattutto per sopperire ad una lacunosa conoscenza dell’ebraico, si riteneva che fosse

398 Acronimo che riprende le parole matematica e fisica, ma significa anche eccellenza

399 Tutte le scuole sono rigorosamente supervisionate dal Ministero, ad eccezione delle scuole ultra- ortodosse

400 N. Kheimets and A. D. Epstein, “Between the Maintenance of Russian and the Shift to Hebrew-English Bilingualism: The Formation of ‘Triglossia’ among the Post-Soviet Jewish Intelligentsia in Israel”, University of Haifa, 2004.

401 L. Remennick, “Survival of the Fittest: Russian Immigrant Teachers Speak about Their Professional Adjustment in Israel”, International Migration Journal, vol. 40. 99, 2002, ultimo accesso 17/11/2019

appunto necessaria questa caratteristica, come riporta un’intervistata dello studio di Remennick: “Quando fui finalmente in grado di scherzare in ebraico l’esperienza di

classe cambiò sensibilmente. Notai come anche gli allievi più reticenti cambiarono attitudine e iniziarono a porre più attenzione alla mia lezione, la lingua è quasi tutto in classe”. Lo stereotipo culturale era altrettanto presente, soprattutto da parte dei genitori

israeliani, che spesso trattavano gli olim con la diffidenza e superiorità. Tale atteggiamento era talvolta condiviso da alcuni colleghi, che sostenevano che gli insegnanti russi, provenienti dal regime sovietico, fossero troppo autoritari e inflessibili, come ha accusato un’altra intervistata: “Pensano che la scuola russa sia un dipartimento

del KGB o dell’Armata rossa. La loro idea riguardo a tutto ciò che è russo rimanda all’era di Stalin, come se vivessimo negli anni Trenta. Per alcuni è un modo agevole per screditare la nostra etnia e prevaricare l’eguaglianza professionale, nonostante la nostra didattica sia migliore”.

Come per tutte le professioni “sociali”, profondamente legate alla cultura e al senso di appartenenza, si può dire che la continuità della professione dell’insegnamento sia alla fine avvenuta efficacemente per coloro che hanno saputo resistere all’impatto con la diffidenza e gli stereotipi vigenti nella società di ricezione, addentrandosi nella cultura locale e nei casi migliori beneficiando del supporto dei colleghi. Concludendo, ho voluto soffermarmi su questa classe lavorativa sia per la considerevole rappresentanza numerica che dagli anni Novanta ha iniziato a costituire, sia perché le caratteristiche del dibattito didattico che abbiamo descritto mi permettono di agganciarmi a una non trascurabile questione culturale, che, come vedremo dal paragrafo V.III, arriva talvolta a incrociarsi con la sfera etnico-identitaria e la volontà di tutelare l’insegnamento e l’utilizzo della lingua russa, come ben sintetizzato dall’opera “Elective Language Study and Policy in

Israel”402. Tuttavia, prima di parlare di lingua e cultura per definire l’identità etnica della

comunità russo-israeliana, devo necessariamente contestualizzare la questione dal punto di vista religioso, un tema che abbiamo visto essere decisivo nella concessione della nazionalità, dei privilegi e della definizione delle comunità etniche all’interno dello Stato d’Israele.

402 M. Muchnik, M. Niznik, A. Teferra, T. Gluzman, “Elective Language Study and Policy in Israel”, Springer, New York, 2016