È la presa in carico del soggetto, piuttosto che della sua malattia, a dover costituire il motore della ricerca di una modalità di assistenza che integri l’aspetto emozionale con gli aspetti biomedici della cura, con tutto ciò che questo comporta. L’esperienza del cancro porta con sé una profonda crisi: diagnosi e trattamenti sconvolgono tanto l’equi-librio della persona malata quanto quello delle persone che gli stanno accanto. La gestione delle emozioni può, d’altra parte, costituire un’op-portunità per la persona di fronteggiare meglio la crisi, una possibilità di cambiamento, soprattutto se viene off erto un contenimento effi ca-ce. Tale azione di contenimento può essere assolta non solo da inter-venti psicologici di tipo specialistico, ma anche da un approccio di équi-pe che costituisce, équi-per il paziente e équi-per la sua famiglia, un’eséqui-perienza emozionale importante: sentirsi accolti nella totalità del proprio essere e nella continuità della propria storia. Prima di diventare l’oggetto di una scienza, la malattia potrebbe essere considerata un vissuto: il vis-suto legato all’esperienza soggettiva del modo in cui una determinata persona vive la sua malattia. Paura, angoscia, dolore, disperazione sono specifi camente di chi li prova e di nessun altro (2).
L’intervento in équipe integrata può rappresentare per il paziente la pos-sibilità di sentirsi accolto nel suo bisogno di contenimento emotivo, nella sua necessità di maggiori informazioni, nella possibilità di sperimentare una relazione personalizzata con gli operatori e nel sentirsi attivamente coinvolto nelle decisioni che riguardano la sua salute, favorendo così an-che la compliance1 all’iter clinico. L’approccio integrato ha come obiettivo la cura della persona e non solo del tumore in quanto, oltre a garantire il miglior trattamento medico possibile attraverso ambulatori multidiscipli-nari e linee guida condivise, permette un precoce riconoscimento di altri bisogni (fi sici, funzionali, psicologici, spirituali, sociali e riabilitativi) della persona malata e dei suoi familiari (3).
L’importanza del lavoro in équipe consiste nel farsi carico anche del-la soggettività deldel-la persona madel-lata e del suo contesto socio-redel-lazionale per meglio rispondere ai bisogni complessi che derivano dalla patologia oncologica. Inoltre, ove necessario, la presa in carico globale del paziente facilita il processo riabilitativo per la prevenzione e il controllo dei sintomi
1 La compliance è intesa in senso generale come l’aderenza, consapevole o inconsapevole, da parte del paziente, alle cure e alle indicazioni terapeutiche fornite dal medico, al fi ne di trarre da queste il maggior giovamento possibile.
legati alla malattia e/o alle terapie (dolore, supporto nutrizionale, psicolo-gico, spirituale, sociale, ecc.) e l’inserimento precoce delle cure palliative.
Il sistema èquipe, se funzionale, interagisce con quello rappresentato dal paziente e dalla sua famiglia agendo come un sistema a rete che pro-tegge e sostiene. Questo è reso possibile dalla messa in comune e dal confronto interno con le conoscenze riguardanti la persona malata, la sua storia passata, il suo sistema di supporti sociali, i suoi bisogni attuali, le sue difese e le sue risorse.
Il fi ne ultimo del processo di integrazione è la costruzione di una rete di interventi che sia aderente e rispondente a quella specifi ca situazione costituita dai bisogni di quella determinata persona malata di cancro in quel particolare momento della sua storia clinica. Solo nel recipro-co rispetto delle diverse modalità operative e delle specifi che recipro- compe-tenze, gli operatori possono pensare di elaborare tra loro una modalità comune di approccio al paziente oncologico, partendo ognuno dalla parzialità del proprio punto di vista, ma con il desiderio di integrarlo e condividerlo.
Il lavoro in èquipe si rifl ette nel coinvolgimento di tutti i soggetti implica-ti nella cura del paziente e passa attraverso un processo di condivisione e gestione delle informazioni e delle emozioni. L’integrazione degli operatori può rappresentare, quindi, un’occasione di crescita personale e professio-nale per tutto il team di cura. Spesso l’operatore si trova a dover gestire situazioni complesse cariche di responsabilità e implicazioni emotive con-nesse con la malattia oncologica, senza la possibilità di condividere con i colleghi ed elaborare in maniera adeguata gli eventi con i quali si confronta quotidianamente.
Il benessere fi sico ed emozionale degli operatori è compromesso nel momento in cui essi sperimentano quella condizione di stress caratterizza-ta da un esaurimento delle risorse emotive, da sentimenti di spersonalizza-zione e di insoddisfaspersonalizza-zione lavorativa, defi nita burnout2.
2 Termine inglese che descrive l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le per-sone che esercitano professioni d’aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere. Maslach e Leiter (2000) hanno per-fezionato le componenti della sindrome attraverso tre dimensioni: deterioramento dell’impegno nei confronti del lavoro, deterioramento delle emozioni originariamente associati al lavoro e un problema di adattamento tra persona e lavoro, a causa delle eccessive richieste di quest’ultimo. In tal senso il burnout diventa una sindrome da stress non più esclusiva delle professioni d’aiuto, ma probabile in qualunque organizzazione di lavoro. In parole semplici, è uno stato di esaurimento psico-fi sico che viene denominato anche sindrome da burnout.
Il lavoro in èquipe integrata rappresenta, quindi, non solo un mez-zo per una migliore gestione del paziente, ma anche uno strumento di tutela della salute psico-fi sica dell’operatore, che all’interno del proprio gruppo di lavoro trova uno spazio contenitivo in cui esprimere i propri dubbi, diffi coltà ed emozioni, senza il timore del giudizio degli altri. È necessario che esista all’interno del gruppo una chiara defi nizione dei ruoli professionali da cui discendono i relativi compiti e le aree di inter-vento. Se è vero che l’interdisciplinarietà implica la condivisione di co-noscenze e competenze, d’altra parte ogni singolo operatore mantiene la propria specifi ca professionalità che lo rende ultimo responsabile di alcuni aspetti della cura del paziente (4).
Uno dei primi compiti dell’équipe è la defi nizione delle regole. Esse devono essere esplicite e condivise da tutti gli operatori, indipendente-mente da chi ne è l’autore. Un intervento effi cace all’interno di un conte-sto multidisciplinare richiede che tutte le persone coinvolte conoscano le modalità di funzionamento del gruppo non solo per adeguarsi ad esse, ma anche per poter fornire un’informazione di ritorno sulla validità delle regole stesse. Le riunioni di équipe costituiscono un vero e proprio mo-mento del lavoro di un team interdisciplinare e hanno un’elevata valenza formativa. Possono essere orientate sia alla discussione di casi clinici, sia al confronto su problematiche teoriche o su questioni inerenti al funzio-namento del gruppo di lavoro. La defi nizione dei tempi e degli spazi di questi incontri, che possono essere sistematici oppure occasionali, costi-tuisce una risorsa importante per gli operatori che hanno la consapevo-lezza di avere a disposizione un luogo e un tempo deputati all’incontro e al confronto. La presenza dello psiconcologo a tali riunioni può facilitare in ciascun operatore l’elaborazione dei propri vissuti emotivi legati all’at-tività assistenziale e l’analisi delle dinamiche relazionali con il paziente e tra gli operatori, favorendo così una maggiore consapevolezza della risonanza emotiva di fronte alla persona malata e tra gli stessi operatori (4). Nella pratica clinica, il lavoro in équipe trova spesso ostacoli connessi alla disabitudine all’ascolto dell’altro e a percepire il paziente nella sua globalità e gli altri professionisti come persone, prima che come opera-tori. Soprattutto in contesti in cui la specifi cità professionale risulta così marcata, come in quelli sanitari, emerge la diffi coltà ad accettare i punti di vista degli altri membri dell’équipe come risorse preziose per la pratica professionale di tutti (5).
Fattore necessario per un’integrazione effi cace è pensare in modo inte-grato: è importante che gli operatori abbiano la consapevolezza che ogni paziente ha bisogno di essere preso in carico globalmente e che lui stesso e gli altri operatori sono ciascuno il prodotto di un’integrazione corpo-psi-che, ovvero di fattori biologici, psicologici e sociali (6). Tuttavia tale con-sapevolezza non è innata. Nella pratica clinica, il passaggio dalla multidi-sciplinarietà, ovvero dalla presenza di diff erenti fi gure professionali nello stesso luogo, all’interdisciplinarietà, all’integrazione di queste stesse fi gure professionali, spesso non si realizza in quanto non basta semplicemente ri-unire nello stesso luogo diff erenti operatori per realizzare un lavoro di équi-pe. Quest’ultimo non è automatico, né semplice: occorre una formazione specifi ca per integrare persone con competenze e linguaggi diversi in un approccio comune. Tale formazione deve avere come obiettivo quello di far sviluppare negli operatori un modello operativo comune e condiviso di approccio al paziente, pur nel rispetto delle specifi che competenze e professionalità di ciascuno di loro.
Una siff atta formazione richiede lo sviluppo di conoscenze comuni da parte di ciascun operatore, la condivisione e il rispetto dei codici operativi e linguistici degli altri colleghi, la capacità di comunicare e di condividere tra i diff erenti professionisti obiettivi specifi ci per la cura del paziente, la possibilità di creare uno spazio di condivisione dei vissuti e delle diffi coltà incontrate da ciascuno nella propria pratica clinica (7).
La formazione all’integrazione è necessaria non solo per permettere all’operatore di acquisire gli strumenti per una presa in carico globale della persona malata e quindi garantire una buona qualità del servizio, ma anche per elaborare i propri vissuti emotivi legati all’attività assi-stenziale. Lavorare in équipe non è una capacità innata degli operatori, ma è il frutto di un percorso formativo che prevede anche l’elabora-zione dei vissuti emotivi legati all’attività assistenziale, partendo dalla disponibilità di ciascun operatore a mettersi personalmente in gioco nella relazione con il paziente, i suoi familiari e gli altri operatori. In linea con ciò è il Piano Sanitario Nazionale 2010-2012 che auspica, da una parte, la formazione alla comunicazione e alla relazione degli operatori sanitari, dall’altra, che l’organizzazione dell’attività di oncologia preve-da momenti dedicati strutturati di condivisione e di confronto tra gli operatori, indispensabili per la realizzazione di un progetto assistenzia-le condiviso e integrato (3).
Infi ne, la formazione all’integrazione, utile all’operatore per apprendere stili comunicativi e modalità relazionali adeguate da mettere in atto con il paziente e gli altri operatori, si propone anche come possibilità di supera-mento di quel disagio emotivo degli stessi operatori che, se non viene ela-borato in un contesto formativo o in uno spazio di riunione con i colleghi, può portare l’operatore a relazioni non sane con i pazienti e con gli altri membri dell’èquipe di cura (8).
Bibliografi a
1. Ippocrate. Testi di medicina greca. Milano: Rizzoli; 1983.
2. Scoppola L. Il somatico e lo psichico. Castrovillari: Teda Ed.; 1990.
3. Piano Sanitario Nazionale. Triennio 2010-2012.
4. Caruso A, et al. L’intervento integrato in psiconcologia. In: Bellani ML, Morasso G, Ama-dori D, Orrù W, Grassi L, Casali PG, Bruzzi P (Ed.). Psiconcologia. Milano: Masson; 2002. p.
951-60.
5. McCallin AM. Interdisciplinary researching: exploring the opportunities and risks of working together. Nurs Health Sci 2006;8(2):88-94.
6. Haidet P, et al. Reconsidering the team concept: educational implications for patient-centered cancer care. Patient Educ Couns 2009;77(3):450-5.
7. Caruso A, et al. Formazione alla relazione ed all’integrazione: un percorso da costrui-re con gli operatori. Atti XI Congcostrui-resso nazionale SIPO “Professionalità ed innovazioni in Psico-Oncologia”. Senigallia (AN), 1-3 ottobre 2009. p. 226-8.
8. Caruso A, et al. La formazione alla relazione in ambito oncologico. In: Morasso G, Tona-michel M (Ed.). La soff erenza psichica in oncologia. Modalità di intervento. Roma: Caroc-ci; 2005. p. 139-53.