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L’integrazione socio-sanitaria

Una delle sfide più importanti dei sistemi sanitari del mondo attuale consiste nel garantire assistenza integrata, efficace ed appropriata per le presa in carico di persone con bisogni sociosanitari complessi. L‟interesse per l‟integrazione non è solo limitato agli anziani, ma anche a coloro che usufruiscono in modo simultaneo dei servizi derivanti da molteplici sistemi di assistenza, come ad esempio gli individui con disabilità fisiche e intellettuali o malattie mentali.

In Italia, secondo gli ultimi dati resi disponibili dall‟ISTAT, si registrano ad oggi circa 2.600.000 persone non autosufficienti167, ossia di persone che riferiscono una totale mancanza di autonomia per almeno una delle funzioni essenziali che permettono di condurre una vita quotidiana normale.

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BRUSONI M., De RIU P.L., (2005) «Sistemi ed interventi per l’accreditamento delle aziende sanitarie in Italia: un panorama ridondante?» in E. Anessi Pessina, E. Cantù (a cura di), L’aziendalizzazione della Sanità in Italia. Rapporto OASI 2005, Milano, Egea.

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1 Cfr. SEBASTIANI G. - IANNUCCI L. - VANNONI F., Disabilità e non autosufficienza, in Approfondimenti sull’Indagine multiscopo Istat salute 2005, Supplemento al Monitor 2008, 22, pag. 126 e ss.

88 Si è assistito inoltre ad un aumento dell‟interesse per modelli di cura che riguardano le malattie croniche e ciò deriva dalla consapevolezza che un modello di cura per il trattamento delle acuzie è inappropriato per i soggetti che presentano molteplici malattie croniche e che necessitano pertanto di una maggiore continuità assistenziale e di un più ampio coordinamento dei servizi. In particolare, la continuità assistenziale consiste nel fornire un insieme di trattamenti o di eventi sanitari tra di loro coerenti e collegati, in conformità con i bisogni sanitari del paziente ed il contesto personale. In essa si identificano alcuni elementi essenziali, quali la presenza di un percorso di trattamento a medio o lungo termine e l‟attenzione del percorso stesso verso un destinatario individuale. Essenziale diventa allora la prospettiva del paziente: continuità è ciò che il paziente percepisce come accompagnamento nelle cure, assieme alla presa in carico professionale.

Inoltre, nel tentativo di migliorare il collegamento tra l‟assistenza sanitaria e quella sociale per i non autosufficienti e di incrementare l‟efficacia e la qualità dei servizi, l‟attenzione dovrebbe essere diretta ad un approccio al sistema nella sua globalità, per fare in modo che i diversi settori, le istituzioni e gli erogatori dei servizi lavorino simultaneamente all‟interno delle iniziative intraprese nella long term care e in particolare nell‟ambito dell‟integrazione sociosanitaria.

L‟erogazione di un‟assistenza appropriata per i soggetti non autosufficienti richiede che si passi da interventi di breve periodo, episodici, ad interventi di lungo periodo per supportare chi necessiti di una continuità assistenziale.

Per supportare tale cambiamento, i Paesi sviluppati hanno fatto dell‟integrazione dei servizi il processo chiave per migliorare la qualità dell‟assistenza, l‟accessibilità, l‟efficienza e la sostenibilità finanziaria.

Questi elementi diventano fondamentali per il sistema dell‟accreditamento che, nella complessa area sociosanitaria, deve sapersi rapportare ai percorsi assistenziali e non solo ad un insieme di prestazioni o di unità di offerta, per orientare il sistema verso gli aspetti qualitativi dell‟integrazione e della continuità delle cure.

Per quanto riguarda il percorso normativo, va ricordato che già con la L. 833/1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, viene essenzialmente affidata ai Comuni singoli o associati la gestione delle Unità sanitarie locali, richiedendo così il coordinamento e l‟integrazione tra i servizi USL e i servizi

89 sociali. In quest‟ottica di sviluppo integrato dei servizi alla persona, alcune Regioni optarono allora per l‟istituzione di Unità Socio-Sanitarie Locali.

In seguito, il D.P.C.M. 8 agosto 1985 si cimenta nel difficile compito di definire meglio compiti e responsabilità rispetto alle attività sanitarie connesse con quelle socio-assistenziali, individuando quelle assegnate al fondo sanitario nazionale, mentre le altre attività socio assistenziali sono poste a carico dei Comuni o degli Enti gestori.

La svolta del D.lgs. n.502/1992, che adotta criteri di regionalizzazione e aziendalizzazione, al fine di conseguire maggiore efficienza, economicità ed efficacia di interventi, attribuisce la gestione della sanità alle aziende sanitarie, mentre l‟ente comunale rimane nell‟ambito della conferenza dei sindaci, come organismo di indirizzo e verifica delle politiche sociosanitarie.

In questo contesto, tuttavia, l‟integrazione diviene più difficile ed è solo verso la fine degli anni ‟90 che questo obiettivo assume una nuova dimensione.

Così, per l‟area sanitaria, il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 e il D.lgs. 229/1999, propongono un approccio globale ai fattori che concorrono alla salute attraverso il coordinamento tra governo centrale, amministrazioni locali e regionali. Il Piano si concentra sull‟idea di patto di solidarietà per la salute, introducendo concetti nuovi come l‟importanza della salute su scala comunitaria e la condivisione di responsabilità per la sua promozione e tutela.

Analogamente, nell‟area socio-assistenziale interviene la L. 328/2000 e il primo Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali 2001-2003.

Il D.lgs n.229/1999 definisce con precisione le prestazioni sociosanitarie e individua le aree di bisogno, assegnando anche alle Regioni il compito di regolamentare e incentivare l‟integrazione attraverso i Piani sanitari, sociali o socio-sanitari regionali. Successivamente, anche la L. 328/2000 di riforma dei servizi sociali, pone l‟accento sull‟integrazione socio-sanitaria impostando le modalità di costruzione di un vero e proprio sistema integrato di servizi socio- sanitari pianificato sulla base dello strumento programmatorio del Piano di Zona a livello di ambito distrettuale.

L‟integrazione sociosanitaria nasce da uno stretto rapporto tra prevenzione, cura e riabilitazione e si rivela utile per garantire la continuità assistenziale tra ospedale e territorio, promuovendo la solidarietà e valorizzando gli investimenti di salute nella comunità locali. I Piani Sanitari Nazionali presentati negli ultimi anni confermano tali funzioni ed evidenziano come l‟integrazione delle responsabilità

90 e delle risorse possa costituire una condizione essenziale per migliorare l‟efficacia degli interventi, valorizzando i diversi centri di responsabilità. In questo senso l‟integrazione sociosanitaria incide sulla continuità assistenziale, investendo i rapporti tra ospedale e territorio, tra cure residenziali e domiciliari, tra medicina generale e specialistica.

Secondo il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, l‟integrazione sociosanitaria va attuata e verificata a tre livelli: istituzionale; gestionale; professionale.

Alcune Regioni aggiungono a questa iniziale impostazione anche un livello di integrazione comunitaria, che identifica la combinazione di più politiche generali, che incidono sulla qualità della vita quotidiana e condizionano la fruibilità dei servizi (scolastico, lavorativo, urbanistico, della casa, dei trasporti, eccetera), nell‟ottica di inserire obiettivi di salute in ogni politica, per poter incidere sui determinanti di salute.

L‟integrazione istituzionale, identifica le responsabilità coordinate dei vari soggetti istituzionali presenti sul territorio (Comuni, Province, Aziende sanitarie) che si organizzano per conseguire comuni obiettivi di salute.

L‟integrazione gestionale, identifica il coinvolgimento dei soggetti istituzionali presenti in ambito distrettuale, tale da assicurare a tutti i cittadini i diritti fondamentali, quali il diritto di accesso ai servizi sociali e sanitari; il diritto d‟informazione, orientamento e presa in carico, il diritto ad un piano assistenziale e appropriato.

L‟integrazione professionale, si realizza fra figure professionali diverse sia nell‟area sanitaria sia tra area sanitaria e area socio-assistenziale.

A fronte di tale scenario occorre creare un sistema sensibile ai mutamenti socio demografici in atto ed alla conseguente trasformazione della domanda di salute, intesa nella sua concezione ampia, in cui le componenti sanitaria e sociale parimenti convivono. L‟accreditamento nel settore socio sanitario permette proprio questo: costruire un sistema elastico capace di rispondere alle mutate esigenze di salute mantenendo pur sempre standard di qualità elevati.

6.1. I confini dell’area socio sanitaria

La necessità di chiarire quali sono i confini dell‟area “sociosanitaria” e quali le competenze e responsabilità dei soggetti titolari, prima di tutto aziende sanitarie e Comuni o ambiti sociali,

91 richiede una prima riflessione sulle norme di riferimento, che si susseguono nel tentativo di dare organicità e sistematicità ad una distinzione che rimane di ordine giuridico e non trova riscontro nell‟unitarietà dei bisogni della persona.

Le norme ora contengono una definizione di “assistenza sociosanitaria”. In particolare l‟art. 3-septies del D.Lgs. 502/1992 e s.m.i., la identifica in “un insieme di attività atte a soddisfare, con percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione”.

L‟assistenza sociosanitaria si basa su alcuni principi fondamentali, che sono affermati esplicitamente dal D.P.C.M. 14 febbraio 2001, art. 4, comma 3 e riguardano: la valutazione multidimensionale del bisogno (sanitaria e sociale); l‟unitarietà dell‟intervento e del percorso assistenziale, con concorso professionale di personale medico, infermieristico, riabilitativo e di servizio sociale professionale, nonché la necessità di definire la complessità del percorso sulla base di alcuni elementi: intensità delle cure, natura del bisogno, tempi e modalità delle cure. A ciò va affiancato un progetto personalizzato che tenga conto degli obiettivi di salute da raggiungere, del responsabile del caso (case manager); e della verifica delle azioni compiute sotto il profilo della qualità (valutazione periodica) e degli esiti.

In questo modo un programma di accreditamento non potrà che presupporre l‟esistenza di questi elementi: valutazione multidimensionale con gli strumenti validati e concordati tra Stato e Regioni; la presenza di un piano personalizzato di assistenza e l‟utilizzo dei flussi informativi.

Da queste indicazioni sembra avviarsi quella svolta, più volte prevista dalla programmazione, verso un‟assistenza territoriale che possa contare su una base conoscitiva certa e sulla condivisione del valore di un percorso assistenziale e non solo di singole prestazioni di cura.

Per quanto riguarda le tipologie di prestazioni sociosanitarie, il D.Lgs. n. 502/1992 e s.m.i., all‟art. 3-septies, si misura con una nuova classificazione, prevedendo “le prestazioni sanitarie a rilievo sociale” e “le prestazioni sociali a rilievo sanitario”, basate sulla “prevalenza” del bisogno della persona.

In particolare le “prestazioni sanitarie a rilievo sociale” sono quelle proprie dell‟area medica, psicologica, infermieristica e riabilitativa che si strutturano nell‟ambito ambulatoriale, domiciliare e delle strutture diurne e residenziali. Tra

92 queste vi sono le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria che, per la rilevanza terapeutica, sono proprie del sistema sanitario e a totale carico dello stesso. D‟altro canto, le “prestazioni sociali a rilievo sanitario” consistono in azioni atte alla rimozione di ostacoli di natura sociale e assistenziale, che impediscono l‟ottimizzazione dei risultati di cura e riabilitazione, quali gli interventi di natura economica, gli aiuti domestici familiari e altre forme di168 sostegno alla domiciliarità; nonché ospitalità di tipo “alberghiero” presso le strutture diurne e residenziali.