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Interazione tra organizzazione percettiva e processi attentivi

3. Organizzazione percettiva e processi attentivi

3.3 Interazione tra organizzazione percettiva e processi attentivi

L’organizzazione percettiva, ovvero il processo che struttura l’informazione visiva in unità coerenti, e l’attenzione visiva, ovvero il processo tramite cui alcune informazioni visive in una scena vengono selezionate a discapito di altre, sono due meccanismi fondamentali che ci permettono di percepire l’ambiente dal punto di vista visivo e anche di guidare il nostro comportamento visuo-motorio. Recenti ricerche hanno trovato importanti relazioni tra processi attentivi e di organizzazione percettiva. Alcuni studi hanno dimostrato che l’organizzazione percettiva guida l’attenzione selettiva, mentre altri studi suggeriscono che anche l’attenzione può a sua volta influenzare l’organizzazione percettiva.

Per fare chiarezza su questi punti, una ricerca di Kimchi e colleghi (2009) tenta di rispondere a due domande:

- L’organizzazione percettiva può avvenire senza utilizzare i processi attentivi? Alcune forme di segragazione e di raggruppamento possono avvenire senza l’attivazione

dell’attenzione, mentre altre forme richiedono il controllo dell’attenzione. Queste scoperte cambiano la visione tradizionale secondo cui l’organizzazione percettiva sarebbe

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- L’organizzazione percettiva può influenzare la distribuzione automatica dell’attenzione? Alcune caratteristiche degli stimoli nel campo visivo, ovvero le proprietà gestaltiche, quando vengono elaborate per formare unità percettive coerenti, quindi oggetti di senso compiuto, possono catturare l’attenzione automaticamente.

L’organizzazione percettiva si riferisce ai processi visivi che strutturano l’informazione visiva in unità coerenti, che normalmente sperimentiamo come stimoli ambientali. Gli psicologi della Gestalt, che furono i primi a studiare l’organizzazione percettiva, suggeriscono che essa è costituita da processi di segregazione e da processi di raggruppamento, e hanno identificato i fattori che determinano l’organizzazione percettiva, di cui abbiamo parlato nei paragrafi precedenti.

L’attenzione visiva si riferisce ai processi grazie ai quali vengono selezionate le informazioni visive all’interno del campo visivo, in particolare quelle più rilevanti ai fini del nostro comportamento. La distribuzione dell’attenzione può essere un’azione orientata ad un certo compito, quindi basata sugli scopi dell’osservatore. Ad esempio se conosciamo il punto del campo visivo in cui è più probabile trovare un certo stimolo target, possiamo usare questa informazione per spostare volontariamente la nostra attenzione dirigendola verso quel preciso punto. In questo caso si parla di controllo endogeno dell’attenzione. Tuttavia la distribuzione dell’attenzione può anche essere guidata dallo stimolo. In questo caso l’attenzione è involontariamente catturata da alcune particolari caratteristiche degli stimoli, considerate più salienti, e si parla quindi di attenzione esogena.

Molte ricerche suggeriscono una stretta relazione tra processi attentivi e organizzazione percettiva (Driver, 2001). Ad esempio, è stato dimostrato che l’organizzazione percettiva influenza e guida l’attenzione selettiva. In particolare, l’interferenza degli stimoli distraenti in compiti di attenzione selettiva è maggiore quando lo stimolo target e gli stimoli distraenti sono facilmente raggruppabili per caratteristiche gestaltiche come la similarità (Baylis e Driver, 1992).

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Altri studi suggeriscono che anche l’attenzione può influenzare a sua volta l’organizzazione percettiva, in particolare la segregazione figura-sfondo. Ad esempio, una ricerca di Vecera (2004) dimostra che quando l’attenzione spaziale è diretta verso una delle due parti di uno stimolo ambiguo, in cui non è chiaro quale sia la figura e quale lo sfondo, aumenta la probabilità di percepire come figura la parte verso cui si sta rivolgendo l’attenzione.

Dunque esistono molte evidenze che suggeriscono che organizzazione percettiva e attenzione visiva si influenzano reciprocamente.

Le teorie tradizionali della percezione ci dicono che sia il raggruppamento sia la segregazione figura-sfondo avvengono preattentivamente, in uno stadio precoce dell’elaborazione percettiva. Questa assunzione è supportata da considerazioni logiche: se l’attenzione serve per selezionare stimoli dall’ambiente, allora occorre che sia prima effettuata una organizzazione percettiva della scena visiva, ovvero è necessario che prima elaboriamo la percezione degli stimoli, in modo tale da poter poi selezionare gli stimoli in base alla loro rilevanza (Treisman, 1982).

Un filone di ricerca alternativo suggerisce invece che l’organizzazione percettiva non può avvenire senza l’impiego dei processi attentivi. Ad esempio Mack e Rock (1998) suggeriscono che le evidenze che supportano la teoria secondo cui l’organizzazione percettiva avverrebbe

preattentivamente sono in realtà ottenute in condizioni in cui l’informazione sullo stimolo target è in qualche modo conosciuta e quindi attesa dagli osservatori. La mancata inconsapevolezza degli osservatori renderebbe impossibile determinare una condizione preattentiva, in quanto gli osservatori sono consapevoli della potenziale rilevanza delle informazioni nella scena visiva, e quindi anche inconsapevolmente essi potrebbero parzialmente impiegare i loro processi attentivi nel compito.

Un paradigma di Mack e colleghi (1992) propone un metodo per capire se il processo di

raggruppamento può avvenire anche in una condizione di inattenzione. Il compito degli osservatori era quello di determinare se fosse più lunga la linea verticale o quella orizzontale di uno stimolo a forma di croce presentato per pochi ms. In alcuni trials la croce era circondata da elementi di ridotte

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dimensioni non raggruppabili, mentre nella condizione “inattentiva” questi elementi erano raggruppabili in righe o in colonne per proprietà gestaltiche (similarità, luminosità, prossimità). Dopo aver giudicato la lunghezza delle linee, ai partecipanti veniva chiesto come avessero percepito l’organizzazione dello sfondo. Dai risultati emerge che gli osservatori erano

inconsapevoli del possibile raggruppamento degli elementi sullo sfondo, ovvero non sapevano dire se essi potessero essere raggruppati per righe o per colonne. Se invece gli osservatori venivano istruiti a prestare attenzione allo sfondo, essi erano perfettamente in grado di descrivere il raggruppamento degli elementi intorno alla croce. Questo suggerisce che il processo di raggruppamento non può avvenire senza l’impiego dell’attenzione.

Tuttavia è anche vero che questi risultati potrebbero essere spiegati da una ridotta memoria esplicita, più che da un mancato processo di raggruppamento. Per fare chiarezza su questo punto, Moore e Egeth (1997) hanno tentato di esaminare l’influenza di uno stimolo inatteso sulla risposta degli osservatori ad un altro stimolo atteso. Gli stimoli presentati erano due linee orizzontali e i partecipanti dovevano giudicare quale delle due fosse più lunga. Sullo sfondo venivano presentati stimoli raggruppabili per luminosità, costruiti in modo da influenzare il giudizio sulla lunghezza della linea orizzontale (stimolo target). Dai risultati emerge che anche se gli osservatori non erano in grado di percepire l’organizzazione dello sfondo, il loro giudizio sulla lunghezza della linea orizzontale era influenzato dagli elementi raggruppati su di esso. Di conseguenza possiamo affermare che un processo di raggruppamento basato sulla similarità del livello di luminosità degli stimoli può avvenire anche in una condizione inattentiva, quindi senza la consapevolezza dei partecipanti.

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Per quanto riguarda il processo di segregazione figura-sfondo, le teorie tradizionali hanno sempre suggerito che esso avvenisse in uno stadio preattentivo. Tuttavia questo può essere messo in dubbio alla luce di altre ricerche che indicano che l’attenzione esogena possa influenzare l’assegnazione dello status di figura e di sfondo. Un paradigma di Peterson e Kimchi (2008) tenta di indagare questo aspetto. Agli osservatori vengono presentati come stimoli target delle matrici che appaiono su sfondi, teoricamente irrilevanti ai fini del compito, costituiti da regioni concave alternate a regioni convesse (figura 3.1).

La matrice target può essere presentata nelle parti convesse (percepite con più probabilità come figure) o in quelle concave (percepite come sfondi). Gli osservatori osservano la presentazione di due configurazioni consecutive, e il loro compito è giudicare se le due matrici target siano uguali o diverse. L’organizzazione figura-sfondo su cui vengono presentate le matrici può essere la stessa oppure cambiare, indipendentemente dal cambiamento della matrice target. Riassumendo, i partecipanti dovevano giudicare se le matrici target fossero uguali o diverse, in seguito veniva

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chiesto loro se esse fossero state presentate all’interno di una figura o di uno sfondo e infine se la configurazione figura-sfondo fosse cambiata da un trial all’altro.

Dai risultati (figura 3.2) emerge che il cambiamento della configurazione figura-sfondo era in grado di influenzare il giudizio sulla matrice: se la matrice target cambiava, risultava più semplice coglierne la variazione quando anche

l’organizzazione figura-sfondo era cambiata. Allo stesso modo se la matrice target rimaneva la stessa, risultava più semplice accorgersene quando anche l’organizzazione figura-sfondo non era cambiata. Inoltre, le performance risultavano meno efficienti quando una matrice, in precedenza presentata su uno sfondo (concavo), veniva successivamente presentata su una figura (convessa), piuttosto che il contrario, presumibilmente perché il sistema visivo si trovava implicitamente a dover processare anche una nuova figura, un nuovo oggetto che interferiva con l’elaborazione percettiva della matrice target.

Questi effetti prodotti dalla variazione dell’organizzazione figura-sfondo sono stati registrati anche quando gli osservatori non erano in grado di indicare se il target fosse comparso su una figura o su uno sfondo né se la configurazione figura-sfondo fosse cambiata o meno. Questo suggerisce che il processo di segregazione figura-sfondo può almeno in parte avvenire senza l’impiego

dell’attenzione, poiché riesce ad influenzare la performance anche quando gli osservatori ne sono inconsapevoli.

Tuttavia sappiamo che i processi di segregazione figura-sfondo e di raggruppamento non sono processi unitari, ma sottendono molteplici meccanismi, di cui alcuni richiedono l’impiego dei processi attentivi. Un paradigma di Razpuker-Apfeld e Kimchi si propone di indagare questo aspetto, utilizzando come stimoli delle matrici presentate su sfondi costituiti da configurazioni composte da puntini che coinvolgevano tipologie diverse di raggruppamento (figura 3.3).

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Possiamo distinguere tre condizioni: in alcune configurazioni i puntini potevano essere

raggruppati in righe e in colonne per similarità cromatica (figura 3.3 A), in altre potevano essere raggruppati in forme sempre per similarità cromatica (figura 3.3 B: quadrato o croce), in altre ancora potevano essere raggruppati in forme ma per omogeneità degli elementi (figura 3.3 C). In ogni trial venivano presentate due configurazioni consecutive, e il compito degli osservatori era giudicare se le matrici target fossero uguali o diverse. La configurazione sullo sfondo poteva cambiare o meno indipendentemente dalla variazione delle matrici target. In seguito gli osservatori venivano sottoposti a domande sulla configurazione mostrata precedentemente. Dai risultati emerge che la configurazione sullo sfondo esercita un’influenza sul giudizio di variazione del target quando esso richiede un raggruppamento di righe e colonne basato sulla similarità cromatica (figura 3.3 A) e anche quando esso richiede un raggruppamento in forme per omogeneità degli elementi (figura 3.3 C): in entrambi i casi, la mancata variazione del target era più facilmente percepibile quando anche la configurazione sullo sfondo restava invariata e la variazione del target era più facilmente percepibile quando anche la configurazione dello sfondo cambiava. Al contrario, quando il raggruppamento in forme si basa sulla similarità cromatica (figura 3.3 B) non si nota

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alcuna influenza della configurazione sullo sfondo. In nessuna delle tre condizioni gli osservatori erano in grado di definire la configurazione sullo sfondo, dimostrando così di esserne

inconsapevoli. I diversi risultati del raggruppamenti in linee e colonne (figura 3.3 A) e in forme entrambe basate sulla similarità cromatica (figura 3.3 B) sono interessanti perché entrambi sono guidati dall’informazione sul colore, tuttavia la prima è in grado di avvenire in una condizione inattentiva mentre la seconda no. Possiamo ipotizzare che quest’ultimo tipo di raggruppamento che include sia la segregazione sia il riconoscimento di forme richieda l’impiego dei processi attentivi. È come se in questo caso sia necessario risolvere la competizione figura-sfondo tra i diversi gruppi di puntini, poiché uno di essi viene interpretato come “figura” e l’altro come “sfondo”, mentre nel caso del raggruppamento in linee e colonne ogni gruppo contribuisce allo stesso modo alla configurazione globale. Per verificare questo punto è stata aggiunga una quarta condizione (figura 3.3 D), in cui è necessario raggruppare i puntini in linee orizzontali o verticali basandosi sulla similarità cromatica, ma in cui è richiesta anche la risoluzione della competizione figura-sfondo. Anche in quest’ultimo caso, non si nota alcun effetto della configurazione sullo sfondo: questo ci porta a pensare che risolvere la competizione figura-sfondo richieda l’impiego dei processi attentivi.

Considerando i risultati di tutti questi paradigmi, possiamo supporre che alcune forme di

raggruppamento e di segregazione figura-sfondo possano avvenire anche senza un coinvolgimento dell’attenzione selettiva, tuttavia esistono alcuni tipi di organizzazioni percettive che richiedono l’impiego dell’attenzione focalizzata. Questo ci porta a pensare che i processi di organizzazione percettiva non siano unitari bensì sottendano molteplici meccanismi che possono richiedere o meno l’impiego dell’attenzione.

A questo punto diventa spontaneo chiedersi se l’organizzazione percettiva degli oggetti, guidata dalle proprietà gestaltiche, che ci permettono di strutturare gli stimoli visivi in unità percettive coerenti, sia in grado di dirigere automaticamente la nostra attenzione visiva verso quegli oggetti. Molte ricerche hanno dimostrato che l’organizzazione percettiva è in grado di guidare l’attenzione

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selettiva, ma non è semplice dimostrare che questa influenza sia dovuta di per sé alla capacità di un singolo oggetto di attirare l’attenzione, perché ci sono sempre molti fattori in gioco.

Un paradigma di Kimchi e colleghi (2007) si propone di indagare questi aspetti. Ai partecipanti viene mostrato uno schermo composto da nove lettere L rosse e verdi, ruotate in modi diversi in modo tale da formare i vertici di quattro quadranti che complessivamente costituivano un quadrato (figura 3.4).

Il compito era di indicare il colore dell’elemento suggerito da un asterisco presentato al centro di uno dei quadranti e da una parola presentata prima della presentazione degli elementi nello schermo che indicasse la posizione del target (sotto/sopra/destra/sinistra). Ad esempio, se compariva la parola “sotto”, bisognava indicare il colore dell’elemento sotto all’asterisco. Riassumendo, ogni trial iniziava con la presentazione della parola, poi appariva lo schermo, dopo 150 ms appariva l’asterisco al centro di uno dei quadranti. Quindi il compito richiedeva di

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localizzare l’asterisco, localizzare il target relativamente all’asterisco e analizzare il colore del target. In alcuni trial le lettere L erano disposte in modo tale da rispettare le proprietà gestaltiche di collinearità, chiusura, simmetria, delineando un vero e proprio stimolo a forma di quadrato. L’asterisco poteva apparire all’interno del quadrato (“Inside-object condition”, figura 3.4 a), oppure all’esterno del quadrato (“Outside-object condition”, figura 3.4 b), mentre in altre prove non era presente alcun quadrato (“No-object condition”, figura 3.4 c). La presenza o assenza del

quadrato nello schermo era irrilevante ai fini del compito, poiché lo scopo era di determinare il colore di un singolo elemento in base all’asterisco. Ci aspettiamo che se l’attenzione viene automaticamente indirizzata verso l’oggetto, in questo caso il quadrato, il tempo di risposta sarà maggiore e la risposta sarà più accurata nella condizione “Inside-object” piuttosto che in quella “No-object”, poiché l’attenzione dovrebbe dirigersi in anticipo verso il quadrato, mentre il tempo di risposta sarà minore e la risposta meno accurata nella condizione “Outside-object” piuttosto che in quella “No-object”, poiché l’attenzione dovrebbe essere indirizzata prima verso il quadrato e poi spostata verso il reale punto di presentazione dell’asterisco. I risultati confermano infatti questa ipotesi (figura 3.5).

Possiamo quindi concludere che la percezione di un oggetto nel campo visivo possa attrarre

automaticamente la nostra attenzione e che questa attrazione sia determinata dalle proprietà gestaltiche degli stimoli nel nostro campo visivo.

Dunque c’è una forte relazione tra l’organizzazione percettiva e l’attenzione visiva, che presenta molte complesse sfaccettature. Una scena visiva può essere organizzata percettivamente anche senza mettere in atto i processi attentivi, e l’attenzione selettiva può essere guidata dall’organizzazione percettiva della scena visiva. D’altra parte, anche il controllo volontario dell’attenzione può influenzare il modo in cui la scena visiva viene organizzata

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percettivamente. È ovvio ed evidente che ci sia una forte interazione tra organizzazione percettiva e attenzione visiva e che entrambi questi processi costituiscano importanti funzioni del nostro

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