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Approccio pupillometrico al problema della segregazione figura-sfondo

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica

Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute

TESI IN BASI FISIOLOGICHE E MOLECOLARI DELL'ATTIVITÀ MENTALE E DEL

COMPORTAMENTO

APPROCCIO PUPILLOMETRICO AL PROBLEMA DELLA SEGREGAZIONE

FIGURA-SFONDO

RELATRICE

Prof. Paola BINDA

CANDIDATA

Veronica MOSCA

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2 RIASSUNTO

La percezione è un fenomeno complesso, che inizia dal momento in cui la luce entra nell’occhio e procede fino alla sua elaborazione nella corteccia cerebrale. Nel corso dell’elaborazione percettiva intervengono numerosi meccanismi che organizzano e regolano l’organizzazione percettiva e grazie ai quali possiamo dare senso alla realtà che ci circonda. Uno dei più importanti meccanismi che intervengono nella percezione è la segregazione figura-sfondo, il processo che ci permette di distinguere le figure dallo sfondo su cui vengono presentate e che ci dà quindi indicazioni sul modo corretto di interpretare gli stimoli che ci circondano. Un altro processo rilevante è quello costituito dai processi attentivi, che ci permettono di selezionare continuamente dall’ambiente gli stimoli che sono più salienti e più utili ai fini del nostro comportamento. La segregazione figura-sfondo e i processi attentivi sono entrambi regolati sia da processi bottom-up sia da processi top-down: i processi bottom-up sono quelli che provengono dagli stimoli nell’ambiente, ovvero tutte le caratteristiche degli stimoli che ci suggeriscono, nel corso della percezione, che un certo stimolo debba essere interpretato come figura piuttosto che come sfondo, oppure che guidano la nostra attenzione verso quello stimolo perché sono più salienti; i processi top-down sono quelli che appartengono all’individuo che sta percependo lo stimolo, che quindi decide coscientemente di interpretare un certo stimolo come figura oppure di spostare la propria attenzione volontariamente in una certa direzione. Tenendo conto della complessità del fenomeno della percezione, è evidente che studiarla dal punto di vista psicofisiologico non sia un compito semplice. Una metodologia oggettiva ed efficiente che sembra adatta a questo scopo è quella della pupillometria. La letteratura dimostra infatti che il diametro pupillare non sia solamente regolato dalla luminosità ambientale, ma che intervengono anche fattori cognitivi di alto livello nella sua modulazione, come l’illusione di luminosità o i processi attentivi. In questa tesi si propone di utilizzare questa tecnica per studiare la variabilità inter-individuale nei processi di segregazione figura-sfondo.

Parole chiave: segregazione figura-sfondo, elaborazione visiva, attenzione, processi percettivi top-down e bottom-up, pupillometria.

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INDICE

1. Introduzione 4

1.1 Introduzione alla segregazione figura-sfondo 4

1.2 Introduzione all’attenzione 7

2. Teorie sull’organizzazione percettiva 15

2.1 Processo di segregazione figura-sfondo 16

2.2 Processo di raggruppamento 19

3. Organizzazione percettiva e processi attentivi 23

3.1 Processi bottom-up 26

3.2 Processi top-down 27

3.3 Interazione tra organizzazione percettiva e processi attentivi 32

4. Studi pupillometrici su organizzazione percettiva e processi attentivi 43

4.1 Pupillometria e organizzazione percettiva 44

4.2 Pupillometria e processi attentivi 50

4.3 Studi pupillometrici sulle differenze percettive interindividuali 55

5. Parte sperimentale 64

6. Bibliografia 76

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1. INTRODUZIONE

1.1 Introduzione alla segregazione figura-sfondo

Quando tentiamo di interpretare la complessità della scena visiva, tutto può essere figura, definita come l’oggetto in primo piano, oppure sfondo, definito come la superficie collocata dietro alla figura. La capacità di distinguere figure e sfondi è una tappa importante nel processo che dalla percezione semplice di immagini ci porta al riconoscimento degli oggetti che ci circondano.

L’attribuzione dello status di figura o di sfondo è il meccanismo grazie al quale processiamo alcune parti di un’immagine come figura e altre come sfondo, ed è importante perché ci permette di decidere come interpretare gli stimoli nel nostro ambiente. L’interesse della psicologia verso questo ambito di ricerca deriva dalla psicologia della Gestalt. Lo psicologo danese Edgar Rubin introdusse

nel 1920 la cosiddetta figura del “vaso di Rubin” (figura 1.1): essa mostra uno dei rari casi in cui i processi percettivi hanno difficoltà a raggiungere un’interpretazione consensuale. Tutti gli stimoli visivi possono essere intrinsecamente ambigui, ma i processi che determinano lo status di figura e di sfondo riescono sempre a giungere ad una conclusione univoca. Infatti ci sorprendiamo quando questi processi ci portano a due o più interpretazioni plausibili, come nel caso del vaso di Rubin, che, oltre che come vaso, può essere percepito come una coppia di facce di profilo. Ci sono alcuni principi che giocano un ruolo fondamentale nel processo di attribuzione dello status di figura e di sfondo. Ad esempio, la dimensione gioca un ruolo importante: una porzione di dimensioni ridotte sarà percepita con più probabilità come figura rispetto ad una di dimensioni maggiori. Allo stesso modo, se una regione è interamente circondata da un’altra, allora essa sarà percepita come figura. Anche la simmetria orienta la nostra percezione: una porzione simmetrica avrà più probabilità di essere percepita come figura rispetto ad una non simmetrica, che interpreteremo più facilmente come uno sfondo. Nonostante il processo di attribuzione dello status di figura e di sfondo sia fondamentale per la nostra percezione, e si conoscano molti dei fattori che

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lo regolano, i meccanismi percettivi e neurali che lo sottendono sono oggetto di continua ricerca e sperimentazione.

Le teorie tradizionali sulla percezione presuppongono un’assegnazione precoce dello status di figura e di sfondo. In seguito a questa assegnazione accedono all’elaborazione semantica soltanto le figure, e non gli sfondi. Il sistema visivo organizza le informazioni che riceve in modo specifico: quando due parti del campo visivo condividono un bordo, solamente una di esse è percepita come figura con una forma definita, mentre l’altra è percepita come uno sfondo informe dietro alla figura in primo piano. Sappiamo che avviene un processo di competizione tra le due porzioni che

rappresentano la figura e lo sfondo di un’immagine: la forma dello sfondo viene soppressa quando esso perde la competizione con la figura. Tuttavia in qualche modo è necessario elaborare sia le figure che gli sfondi, per rendere possibile la loro segregazione. Non è chiaro, però, se questa elaborazione riguardi proprietà processate soltanto a bassi livelli della gerarchia visiva o anche a livelli superiori. Secondo la visione tradizionale, la segregazione figura-sfondo avviene ad uno stadio di basso livello del processo di elaborazione percettiva. Ci sono una serie di fattori, che rendono più probabile che una certa regione sia percepita come figura o come sfondo. In generale, è più probabile percepire come figura porzioni piccole, chiuse, convesse e simmetriche. La psicologia della Gestalt definisce queste proprietà che influenzano la percezione figura-sfondo come Gestalt configural cues. Altri ricercatori hanno individuato altre proprietà rilevanti. Ad esempio, siamo più portati a percepire come figura la regione che sta al di sotto del bordo piuttosto che quella che sta al di sopra di esso. Queste proprietà sono processate a bassi livelli del processo percettivo. Sappiamo infatti che nello stadio più precoce dell’elaborazione visiva, definito come low-level vision, i neuroni della corteccia striata rispondono maggiormente a barre e linee. È come se il loro campo percettivo fosse una finestra che permette di vedere una piccola parte del mondo: nessuna di queste cellule percepisce l’immagine completa, ma ognuna processa singole

caratteristiche, come ad esempio linee verticali, orizzontali e oblique. Soltanto in seguito tutte le linee vengono messe insieme a formare l’immagine completa: è uno dei compiti della mid-level vision. Essa permette di unire piccoli pezzi di segmenti orientati secondo i principi definiti dalla

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psicologia della Gestalt: vicinanza, simmetria, uguaglianza, forma chiusa, destino comune, sono tutti principi che regolano il modo in cui percepiamo gli stimoli. Intervengono infine i processi della high-level vision, che permettono di riconoscere oggetti familiari, anche quando li percepiamo da nuove prospettive. Secondo questa visione tradizionale, è possibile rappresentarsi gli stimoli sulla base dell’esperienza passata, ovvero sulla base del ricordo della loro struttura o del loro significato semantico, ma soltanto in seguito alla loro elaborazione come figure negli stadi più precoci della percezione. Al contrario, la ricerca indica che l’esperienza passata esercita un’influenza anche sull’assegnazione dello status di figura: siamo più portati a percepire come figura una configurazione familiare piuttosto che la parte rappresentata sul lato opposto del bordo, e la regione di un bordo in cui è disegnato un oggetto familiare ha più probabilità di essere

percepito come figura quando rappresenta un oggetto nel suo orientamento canonico rispetto a quando esso è invertito (Gibson & Peterson, 1994). Se la memoria esercita un’influenza sull’assegnazione dello status di figura, allora probabilmente essa è accessibile prima di questa assegnazione, o al massimo i due processi avvengono contemporaneamente. Inoltre, gli effetti della familiarità sembrano essere correlati a un’altra proprietà, la simmetria. Per indagare questo aspetto, in un paradigma di Gibson e Peterson (1994) viene manipolata la simmetria di due porzioni di spazio che condividono un bordo: una porzione rappresenta un oggetto familiare, mentre l’altra no. Quando entrambe le porzioni sono simmetriche, i partecipanti dichiarano di percepire come figura il lato in cui è disegnato l’oggetto familiare, soprattutto quando esso è rappresentato nel suo

orientamento canonico piuttosto che quando è invertito. Questo dimostra che la familiarità aumenta gli effetti della simmetria. Tuttavia essa sembra anche competere con la simmetria: infatti, se la regione che rappresenta l’oggetto familiare è asimmetrica, mentre lo sfondo è simmetrico, i partecipanti percepiscono meno spesso la figura sul lato in cui c’è l’oggetto familiare. Dunque l’assegnazione dello status di figura si basa sulla competizione e sulla cooperazione tra le proprietà dell’immagine, processate a bassi livelli della percezione, e la familiarità, che dovrebbe invece essere elaborata ad alti livelli della percezione. Quando questi due fattori competono, ad esempio quando la regione che ritrae un oggetto familiare è asimmetrica mentre quella circostante è simmetrica, ogni regione vince la competizione approssimativamente per metà delle volte e viene

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percepita come figura. Se è vero dunque che fattori complessi quali familiarità e simmetria influenzano il processo di segregazione figura-sfondo, come e a che stadio dell’elaborazione corticale del segnale visivo si realizza questo processo? L’opzione tradizionale, secondo cui la segregazione figura-sfondo avviene ai primi livelli dell’elaborazione del segnale e accompagna l’identificazione dei bordi a partire dall’unione di segmenti orientati (stimolo preferenziale per i neuroni di V1), non è in grado di rendere conto degli effetti di memoria (familiarità) o

configurazione globale (simmetria). Peterson, de Gelder, Rapcsak, Gerhardstein, Bachoud-Levi (2000) propongono che la percezione figura-sfondo implichi una competizione inibitoria tra tutte le proprietà delle forme sui lati opposti di un bordo. In generale, le proprietà della forma sullo stesso lato di un bordo cooperano, mentre quelle appartenenti a forme su lati opposti competono: il lato con le caratteristiche più salienti vince la competizione e viene percepito come figura, mentre le caratteristiche dell’altro lato sono inibite. Questo spiega anche perché, quando si percepisce la figura su un certo lato del bordo, la parte opposta viene percepita come sfondo informe. In

conclusione, la competizione inibitoria esiste. Tuttavia non è ancora chiaro se essa avvenga ad alti livelli della percezione, dove vengono rappresentate le proprietà della forma, o solamente a stadi più bassi del processo percettivo.

1.2 Introduzione all’attenzione

Il nostro sistema visivo non è in grado di processare tutti gli stimoli, composti da molteplici e peculiari caratteristiche, che sono presenti nella complessità della scena visiva. Basti pensare alla grande quantità di stimoli che caratterizzano l’ambiente in cui viviamo in tutte le sue forme, a partire dal centro di una città industrializzata, con cartelli stradali, negozi, insegne, traffico, fino al paesaggio naturale con tutti i colori della vegetazione. È necessario che la nostra attenzione selezioni alcuni stimoli e li processi prima di altri, dando la priorità a quelli con le caratteristiche per noi maggiormente salienti e permettendoci di interpretare rapidamente e in modo funzionale la realtà che ci circonda. È così che, quando parliamo con qualcuno in un ambiente rumoroso e affollato, ad esempio un locale pieno di altre persone che parlano tra loro, riusciamo a concentrarci

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sulla conversazione che riteniamo rilevante e ignoriamo di conseguenza gli altri stimoli ambientali. Questo è il così detto fenomeno del “cocktail party”. Il nostro sistema percettivo ci porta a dirigere il focus attentivo su qualcosa in particolare, ponendo in secondo piano gli altri elementi, per permetterci di svolgere un certo compito. Dunque l’attenzione è quel processo cognitivo che ci permette di selezionare dall’ambiente alcuni stimoli per noi salienti tra i tanti disponibili e di ignorarne altri. Ad esempio, quando studiamo, la nostra attenzione deve essere focalizzata su libri e appunti e dobbiamo essere capaci di ignorare altri stimoli “distraenti”. In ogni istante possiamo cambiare la direzione del nostro focus attentivo, o meglio siamo obbligati a farlo perché non riusciamo a prestare attenzione ad ogni stimolo contemporaneamente. Si parla dunque di attenzione selettiva quando si fa riferimento all’elaborazione di informazioni a discapito di altri elementi, che vengono invece ignorati. L’attenzione selettiva si distingue dall’attenzione divisa, che invece si può definire come la capacità di dirigere l’attenzione verso più stimoli contemporaneamente,

fondamentale nei paradigmi basati sul doppio compito.

La domanda che sorge spontanea è a che punto del processo di elaborazione percettiva, che va dalla ricezione degli stimoli a livello dei recettori sensoriali alla loro analisi cosciente a livello corticale, avvenga la selezione dell’informazione che verrà processata e di quella che verrà invece ignorata.

Uno dei primi a teorizzare l’attenzione è stato Broadbent, che ha

elaborato la teoria del filtro (figura 1.2). Secondo Broadbent (1958), inizialmente il sistema sensoriale elabora tutti gli stimoli presenti nel campo visivo e li analizza in base alle loro caratteristiche fisiche di base. Soltanto in un secondo momento entra in azione un filtro che

seleziona, in base alla salienza, gli stimoli che possono passare al sistema percettivo, dove verranno elaborati in modo più sofisticato, permettendoci di percepire solo ciò che ci serve e di cancellare il

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resto. Quindi la selezione dell’informazione avviene prima dell’elaborazione cosciente del contenuto semantico, di conseguenza gli stimoli irrilevanti decadono. Questa teoria è stata poi rielaborata dalla Treisman (1960), che propone invece un meccanismo di attenuazione delle

informazioni inutili, più che una loro totale cancellazione (figura 1.3): inizialmente ci arrivano tutte le informazioni

disponibili, ma poi quelle più rilevanti hanno una maggiore attivazione e arrivano più facilmente alla nostra coscienza, rispetto a quelle irrilevanti che restano invece sotto la soglia della consapevolezza. Sia Broadbent che Treisman ipotizzano quindi una selezione precoce dell’informazione. Al contrario, Deutsch e Deutsch (1963) parlano di una selezione tardiva (figura 1.4): tutte le informazioni vengono processate a livello semantico, soltanto in un secondo momento vengono analizzate in base alla

loro rilevanza e vengono di conseguenza

cancellate, se capiamo che non sono pertinenti, o selezionate, elaborate ulteriormente e utilizzate nel comportamento, se ci permettono di mettere in atto una risposta congruente alla situazione in cui ci troviamo. Infine, secondo la teoria di Norman (1969) l’informazione da elaborare viene selezionata in base alla nostra memoria dello stimolo sensoriale che stiamo percependo: gli stimoli che ci appaiono più familiari vengono infatti percepiti più facilmente e automaticamente, al punto che sembra difficile ignorarli.

Figura 1.3

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Negli anni ’70 la ricerca sull’attenzione si è interessata in particolar modo alla percezione visiva, e questo ha reso possibile studiare l’attenzione attraverso i paradigmi basati sui reaction times, ovvero sui tempi di reazione dei soggetti in risposta alla presentazione di stimoli visivi. Grazie a questa tipologia di paradigmi possiamo affermare che l’attenzione è influenzata dalla semantica. Ad esempio, un paradigma di Tipper (1985) prevede di chiedere ai soggetti di prestare attenzione ad un certo stimolo target, ignorando contemporaneamente un altro stimolo. I due stimoli, target e non, possono essere della stessa categoria semantica oppure non correlati. Dai risultati emerge che quando i due stimoli, target e non, sono semanticamente correlati, ad esempio “coltello” e

“forchetta”, l’elaborazione percettiva avviene più lentamente rispetto a quando essi non hanno alcun tipo di relazione semantica. Questo fenomeno è definito priming negativo, e suggerisce che anche gli stimoli ignorati hanno impatto sul sistema cognitivo e modificano di conseguenza la nostra risposta comportamentale. Tutto questo supporta l’ipotesi della selezione tardiva, secondo cui tutti gli stimoli disponibili vengono elaborati semanticamente e solo in un secondo momento entra in azione un filtro selettivo delle informazioni analizzate.

Il concetto di attenzione può essere metaforicamente descritto come un fascio di luce: il nostro focus attentivo riesce a coprire una parte limitata del campo visivo, ma esso può essere spostato oppure modificato di dimensione man mano che esploriamo l’ambiente. Gli esperimenti di Posner e

Peterson indagano questo aspetto dell’attenzione. Nei loro paradigmi, ai soggetti viene chiesto di focalizzare

l’attenzione al centro di uno schermo, e subito dopo viene

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presentato un cue, ovvero una freccia, che può predire o meno il punto di comparsa dello stimolo target a destra o a sinistra. I soggetti devono rispondere alla presentazione dello stimolo il più velocemente possibile premendo un pulsante (figura 1.5).

Dai risultati emerge che i tempi di reazione sono più brevi nelle prove in cui il cue dà

un’indicazione valida sulla posizione di presentazione dello stimolo target. Questo suggerisce che la direzione indicata dalla freccia ci dà un’informazione che ci permette di spostare precocemente la nostra attenzione e, di conseguenza, di individuare più velocemente lo stimolo e rispondere ad esso più rapidamente. Questi paradigmi supportano l’ipotesi della selezione precoce: se il cue dato è valido, ovvero se indica la posizione in cui comparirà lo stimolo, i tempi di reazione sono più brevi rispetto a quando il cue non è valido. Di conseguenza la selezione avviene presto nel continuum del processo di elaborazione sensoriale, prima dell’elaborazione semantica.

Esistono alcuni effetti, cosiddetti effetti di interferenza, che invece supportano l’ipotesi di una selezione tardiva dell’informazione nel processo percettivo. Essi sono di fatto un’interferenza nella performance causata da una proprietà dello stimolo percepito che non dovrebbe essere considerata rilevante per lo svolgimento del compito, dimostrando quindi che le caratteristiche irrilevanti vengono comunque elaborate.

L’effetto Stroop (figura 1.6) si verifica quando i soggetti sono sottoposti alla presentazione di stimoli costituiti da parole che denominano colori scritte con inchiostro colorato che può essere congruente con il colore denominato oppure no (ad esempio “rosso” scritto in rosso, oppure “rosso” scritto in blu).

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I soggetti devono pronunciare il più velocemente e accuratamente possibile il nome del colore dell’inchiostro e non il colore indicato dalla parola scritta. I tempi di reazione dei soggetti risultano più brevi quando gli stimoli sono congruenti. Questo ci dimostra che una caratteristica non

rilevante dello stimolo (in questo caso il significato della parola) viene automaticamente elaborata, e va ad interferire con la prestazione dei soggetti quando è in conflitto con l’informazione con cui è necessario rispondere (il colore dell’inchiostro). Se le informazioni irrilevanti riguardano lo stesso stimolo che contiene quelle rilevanti è più difficile filtrare l’informazione perché abbiamo difficoltà a ignorare gli stimoli distraenti.

L’effetto Navon (figura 1.7) si verifica quando ai soggetti vengono presentati come stimoli delle lettere grandi (livello globale) composte a loro volta da lettere piccole (livello locale). Le lettere grandi possono essere uguali a quelle piccole che le compongono o diverse (ad esempio, una grande “H” composta da piccole “H”, oppure una grande “H” composta da piccole “S”). Ai

soggetti può essere chiesto di dirigere l’attenzione e denominare la lettera a livello globale o oppure a livello locale.

Il primo effetto che si verifica è che i tempi di reazione dei soggetti sono più veloci se bisogna fornire la risposta relativa al livello globale. Il secondo effetto che si verifica è che quando le due interpretazioni a livello globale e locale sono incongruenti c’è un effetto di interferenza

asimmetrico, ovvero solo il livello globale interferisce con il locale, ma non viceversa. Anche in Figura 1.7

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questo caso l’interferenza di una caratteristica non rilevante dello stimolo (la sua dimensione globale) interferisce con la prestazione dei soggetti a livello locale.

L’effetto Simon si definisce come una migliore prestazione dei soggetti quando essa corrisponde spazialmente alla posizione dello stimolo target (figura 1.8). Questo effetto si verifica quando il soggetto deve ad esempio premere il pulsante destro quando vede un quadrato e premere il pulsante sinistro quando vede un rettangolo.

Poiché la prestazione si basa su una caratteristica non spaziale del target, ovvero la sua forma, la posizione spaziale del target dovrebbe essere un’informazione irrilevante, eppure esercita un effetto interferente sulla risposta del soggetto: misurando i tempi di reazione vediamo che essi sono più brevi se la posizione dello stimolo (quadrato o rettangolo) e la posizione del pulsante da premere per la risposta coincidono (ad esempio, si trovano entrambi a destra).

Quindi una caratteristica non rilevante dello stimolo (la sua posizione nello spazio) influenza la rapidità della risposta fornita in base alla caratteristica rilevante (la forma). C’è quindi un conflitto tra la risposta generata dall’informazione non rilevante e quella generata dall’informazione utile per svolgere il compito. Se queste due risposte coincidono la prestazione dei soggetti risulta migliore, viceversa quando esse non coincidono la prestazione dei soggetti peggiora.

L’effetto Eriksen (Eriksen e Eriksen, 1974) si presenta nel paradigma in cui vengono mostrate ai soggetti delle stringhe di lettere e si chiede loro di rispondere con un Figura 1.8

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determinato pulsante se al centro della stringa è presente una lettera target (H o K), mentre se è presente un’altra lettera non target (ad esempio, S) bisogna premere un pulsante diverso (figura 1.9).

I tempi di reazione risultano più brevi quando le lettere ai lati della stringa richiedono la stessa risposta della lettera target al centro, piuttosto che quando esse richiedono di premere un pulsante diverso. Anche in questo caso avviene un’interferenza tra le informazioni rilevanti per il compito e quelle irrilevanti.

Questi effetti sono da considerarsi a supporto di una selezione tardiva dell’informazione. Tutti gli stimoli vengono inizialmente elaborati, e solo in un secondo momento analizziamo ulteriormente e scegliamo quelli più utili ai fini del comportamento che vogliamo mettere in atto.

In conclusione possiamo affermare che nell’attenzione selettiva entrano in gioco principalmente due meccanismi: uno di attivazione, che elabora sia le informazioni rilevanti sia quelle irrilevanti e ci permette di essere consapevoli degli stimoli rilevanti e di usarli per orientare la nostra risposta comportamentale, e uno di inibizione dell’informazione non rilevante, che è automatico e serve a monitorare l’ambiente.

Il controllo volontario dell’attenzione ci permette di fare più compiti contemporaneamente. Nel corso della percezione decidiamo continuamente a quali stimoli prestare attenzione e quali strategie usare per ottenere i nostri obiettivi, riflettendo su cosa ci aspettiamo di percepire e sulle nostre priorità di percezione. I compiti basati sul controllo dell’attenzione richiedono processi cognitivi di alto livello, come i compiti di pianificazione e monitoraggio. Infatti difficoltà in questi compiti sono associate a danni dei lobi frontali.

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2. TEORIE SULL’ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA

Il mondo che ci circonda è pieno di molteplici stimoli visivi, che i nostri sistemi percettivi devono continuamente organizzare in unità coerenti affinché riusciamo ad interpretarli in modo sensato e ad orientare il nostro comportamento in modo funzionale. L’organizzazione percettiva può essere categorizzata in due processi: il processo di raggruppamento e quello di segregazione. Il primo si riferisce al meccanismo che ci permette di mettere insieme diversi elementi che costituiscono una unità; il secondo si riferisce al meccanismo che ci permette di separare un oggetto da altri diversi e dal suo sfondo. In particolare, il sistema visivo determina quali sono i contorni che delimitano un certo oggetto nel campo visivo dallo sfondo, permettendoci di percepirlo come unità a sé stante.

Fino al IXX secolo la teoria prevalente era quella dello Strutturalismo. Secondo questa teoria, l’organizzazione percettiva era attribuibile all’esperienza passata: interpretiamo gli stimoli nel campo visivo in base al modo in cui li abbiamo precedentemente organizzati, quindi in base alle nostre esperienze percettive precedenti. Tuttavia nel XX secolo, con la Psicologia della Gestalt, questa teoria è stata rivalutata alla luce di nuove scoperte. Infatti, i processi di segregazione e raggruppamento possono avvenire anche senza il contributo della memoria di esperienze pregresse, e non solo. Probabilmente questi processi possono avvenire prima ancora che gli stimoli percettivi abbiano accesso alla nostra memoria. Quello che succede è che rappresentazioni di basso livello (quindi basate sulle caratteristiche percettive degli stimoli) e di alto livello (basate invece sul ricordo di esperienze pregresse) si influenzano reciprocamente e orientano entrambe la nostra organizzazione percettiva. Di conseguenza possiamo affermare che i processi di raggruppamento e segregazione avvengano sotto la guida di caratteristiche degli stimoli e di caratteristiche del soggetto che sta percependo quegli stimoli, e che queste due tipologie di caratteristiche competano tra loro.

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16 2.1 Processo di segregazione figura-sfondo

È il meccanismo che divide il campo visivo in oggetti separati, ed è determinato da molteplici fattori. Questi fattori possono essere “basati sull’immagine”, oppure “soggettivi”. I primi sono quelli che gli psicologi della Gestalt hanno definito come indipendenti dall’esperienza

dell’osservatore.

Ad esempio, la psicologia della Gestalt ha dimostrato che siamo più portati a percepire come figura la porzione che giace sul lato convesso di un bordo, piuttosto che quella che giace sul lato concavo (figura 2.1). Peterson e Salvagio (2008) hanno dimostrato che la probabilità di percepire la figura sul lato convesso di un bordo è del 58%, risultato significativo ma che da solo non può spiegare totalmente il processo di assegnazione dello status di figura.

Altre proprietà identificate dalla psicologia della Gestalt sono la simmetria, una ridotta dimensione e il principio di chiusura (Rubin, 1958). Tuttavia recenti ricerche hanno dimostrato che nessuna di queste proprietà può da sola determinare il processo di segregazione, che sembra invece essere determinato da un insieme di caratteristiche fisiche della scena visiva e anche da informazioni di altro tipo, da ricercare più in caratteristiche percettive individuali. Un altro fattore basato

sull’immagine, individuato da Hulleman e Humphreys (2004), è quello secondo cui porzioni con una base larga e una punta stretta hanno più probabilità di essere interpretate come figure, rispetto a quelle con una base stretta e una punta larga (figura 2.2). Questo fattore può essere spiegato dal fatto che riflette una caratteristica

dell’ambiente in cui viviamo, in quanto oggetti strutturati in questo modo sono più stabili e di conseguenza sono più comuni da osservare nel mondo reale.

Figura 2.1

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I fattori soggettivi sono quelle proprietà che si riferiscono all’osservatore che influenzano la segregazione. Esempi possono essere l’esperienza passata (quindi l’apprendimento), l’attenzione, il perceptual set, il punto di fissazione dell’osservatore. Inizialmente gli psicologi della Gestalt credevano che l’esperienza passata non potesse essere in grado di influenzare il processo di attribuzione dello status di figura. Tuttavia negli anni ’90, grazie anche al contributo dei paradigmi di Peterson e Gibson (1994), la ricerca ha dimostrato che l’esperienza passata guida la nostra interpretazione delle immagini. Più nello specifico, i nostri processi di segregazione saranno più portati ad interpretare come figura una configurazione familiare piuttosto che una che ci appare priva di senso. Nel paradigma di Peterson e Gibson, vengono presentati come stimoli rettangoli verticali divisi a metà da un bordo centrale, costruiti in modo tale che il bordo centrale suggerisse un oggetto familiare e nominabile su uno dei due lati dell’immagine (figura 2.3). Dai risultati emerge che gli osservatori percepivano con più probabilità la figura sul lato in cui era suggerita la configurazione familiare, quando essa veniva presentata nella sua orientazione regolare (figura 2.3 A), piuttosto che quando essa veniva invertita (figura 2.3 B).

Tra i fattori soggettivi che influenzano la segregazione figura-sfondo possiamo annoverare anche la direzione dello sguardo degli osservatori. Infatti, sappiamo che le persone sono più portate a percepire come figura una data regione quando essa viene presentata nel loro punto di fissazione. Inoltre entrano in gioco anche altri effetti come l’attenzione spaziale, indipendentemente dal punto di fissazione. Infatti, Baylis e Driver (1995) hanno dimostrato che spostare volontariamente l’attenzione verso una porzione del campo visivo aumenta la probabilità di percepirle quella porzione come figura. Infine dobbiamo menzionare il perceptual set, ovvero le intenzioni del soggetto a percepire la figura su un lato di un bordo piuttosto che sull’altro. Le intenzioni sono manipolate dalle istruzioni fornite dallo sperimentatore e sono in grado di esercitare un’influenza

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sulla segregazione, anche quando il punto di fissazione è mantenuto costante (Peterson e Gibson, 1994).

Altre ricerche hanno esplorato come fattori diversi possano interagire tra loro e di conseguenza modulare la loro influenza sul processo di segregazione figura-sfondo. Ad esempio, Peterson e colleghi (1994) dimostrano che gli effetti del punto di fissazione non cambiano al variare della familiarità dello stimolo presentato, né subiscono alcuna influenza da parte delle istruzioni ricevute dagli sperimentatori. Kanisza e Gerbino (1976) suggeriscono che il fattore di simmetria non interferisce con il fattore di convessità, poiché gli effetti della convessità non diminuiscono in caso di competizione con la simmetria. Peterson e Gibson hanno esaminato come la simmetria e la familiarità possano interagire tra loro. Per farlo hanno mostrato brevi presentazioni di stimoli costruiti in modo tale che una silhouette familiare ma non simmetrica condividesse un bordo con una configurazione simmetrica ma non familiare. I risultati dimostrano che quando le immagini vengono presentate in un orientamento invertito, la simmetria gioca un ruolo importante, ovvero le parti simmetriche hanno una probabilità significativamente maggiore di essere percepite come figure. Se invece le immagini vengono presentate nel loro corretto orientamento, l’effetto della simmetria diminuisce, e aumenta la probabilità che venga percepita come figura la configurazione familiare, portando il rispettivo contributo di questi due fattori ad essere equivalente. Il contributo della familiarità aumenta invece quando la configurazione presentata dalla parte opposta del bordo è asimmetrica (Peterson e Skow, 2008).

Considerando gli effetti della familiarità sull’assegnazione dello status di figura, alcuni autori suggeriscono che la segregazione figura-sfondo avvenga ad uno stadio tardivo dell’elaborazione visiva, al contrario di quanto pensavano gli psicologi della Gestalt. Tuttavia questa proposta non sembra essere consistente con gli effetti della durata di esposizione. I paradigmi di Peterson e Gibson dimostrano che gli effetti della simmetria e della familiarità si verificano quando le immagini vengono presentate per 28 ms, ma non quando esse vengono presentate per 14 ms. Di conseguenza la segregazione figura-sfondo dovrebbe verificarsi ad uno stadio precoce

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Vecera e O’Reilly (2000) collocano la segregazione figura-sfondo ad uno stadio precedente rispetto alla rappresentazione oggettuale, nella gerarchia dell’elaborazione visiva. Mantengono quindi la visione gestaltica di una segregazione figura-sfondo che precede l’accesso alla memoria degli stimoli: gli effetti della familiarità sono considerati effetti top-down e quindi collocati ad uno stadio successivo.

Infine, Kimchi e Peterson (2008) hanno mostrato che la segregazione può avvenire anche prima che l’attenzione venga focalizzata in un punto del campo visivo, quindi in una fase preattentiva.

2.2 Processo di raggruppamento

Come la segregazione, il raggruppamento è un processo complesso influenzato da molteplici fattori “basati sull’immagine”, ovvero caratteristiche fisiche degli stimoli, e da altri fattori “soggettivi”, come appunto attenzione e esperienza passata.

Gli psicologi gestaltici (Wertheimer, 1938) hanno individuato una serie di proprietà degli stimoli che sarebbero in grado di guidare il processo di raggruppamento (figura 2.4). Questi fattori includono prossimità, similarità, destino comune, continuità, forma chiusa. Il principio di prossimità è probabilmente il più

importante, e suggerisce che elementi del campo visivo che si trovano gli uni vicini agli altri tenderanno ad essere raggruppati insieme. Il principio di similarità ci dice che tenderemo a raggruppare insieme anche elementi che sembrano essere simili tra loro per qualche caratteristica, come ad esempio il colore o la forma. Secondo il principio del destino Figura 2.4

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comune, stimoli che si muovono nella stessa direzione saranno raggruppati insieme. Infine, il principio di continuità suggerisce che elementi che formano una continuità regolare verranno raggruppati insieme.

In seguito sono stati aggiunti altri principi che regolano il raggruppamento. Il principio di regione comune suggerisce che stimoli che si trovano all’interno della stessa regione chiusa tenderanno ad essere raggruppati insieme. Il principio di connessione degli stimoli ci dice che stimoli che sono connessi tra loro tenderanno ad essere raggruppati insieme. Secondo il principio di sincronia stimoli visivi che cambiano contemporaneamente saranno raggruppati insieme.

Il principale dei fattori soggettivi che guidano il processo di raggruppamento è l’esperienza passata. Un paradigma di Kimchi e Hadad (2002) lo dimostra: gli sperimentatori hanno chiesto ai soggetti di giudicare se due lettere fossero uguali o diverse. Le lettere target erano precedute dalla

brevissima presentazione di un’altra lettera, che poteva essere mostrata nella sua regolare orientazione oppure invertita, e poteva essere costituita da segmenti disconnessi oppure poteva essere intatta. I risultati indicano che quando quest’ultima lettera era intatta, essa era in grado di velocizzare il giudizio di uguaglianza tra i due stimoli, sia se veniva presentata nella sua regolare orientazione sia se veniva invertita. Quando invece la lettera era costituita da segmenti disconnessi, essa riusciva a velocizzare la risposta dei soggetti soltanto quando era presentata nella sua regolare orientazione, a meno che non venisse aumentato il tempo di esposizione della lettera. Dunque l’esperienza passata della lettera è in grado di velocizzare il processo di raggruppamento dei segmenti al fine di formare la lettera. Altri fattori soggettivi che influenzano il processo di

raggruppamento sono l’attenzione, la consapevolezza e le aspettative dell’osservatore. Ad esempio, Freeman, Sagi e Driver (2001) hanno dimostrato che l’attenzione può influenzare il processo di raggruppamento. In questo paradigma lo stimolo target è un filtro di Gabor a basso contrasto al centro dello schermo, circondato da due coppie di filtri di Gabor ad alto contrasto (figura 2.5). Di queste due coppie, una era collineare con lo stimolo target, mentre l’altra era ortogonale. Dai

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risultati emerge che la coppia collineare con il target migliora la detenzione del target ma

solamente quando è attesa, ovvero in qualche modo preannunciata da un cue mostrato prima della presentazione dello stimolo target, riuscendo così a catturare la nostra attenzione e a direzionarla in linea con lo stimolo target.

Secondo le teorie tradizionali della percezione, il meccanismo di raggruppamento dovrebbe avvenire in uno stadio preattentivo, e servirebbe ad indicarci dove dobbiamo direzionare la nostra attenzione. Tuttavia altri autori suggeriscono che il raggruppamento non avviene precocemente, ma soltanto in seguito ad altri processi come la percezione di profondità e luminosità. Ad esempio, in un paradigma di Rock e Brosgole (1964) vengono mostrati agli osservatori delle matrici

bidimensionali di puntini luminosi in una stanza oscurata, sia su un piano frontale sia su un piano inclinato in grado di dare un senso di profondità. I puntini erano più vicini verticalmente piuttosto che orizzontalmente, infatti quando essi erano presentati sul piano frontale erano sempre

raggruppati in colonne. Tuttavia quando i puntini venivano presentati su un piano inclinato, essi apparivano più vicini orizzontalmente, ma gli osservatori continuavano a raggrupparli in colonne. Questi risultati dimostrano che il processo di raggruppamento avviene in seguito alla percezione di profondità binoculare.

Esistono dunque evidenze che suggeriscono che il processo di raggruppamento avviene in uno stadio tardivo dell’elaborazione percettiva, altre che dimostrano che alcuni tipi di raggruppamento, come ad esempio quello per similarità cromatica, avvengono in uno stadio precoce, a livello della retina, e altre ancora che lo collocano in uno stadio precoce alla luce del fatto che esso possa influenzare la percezione di luminosità. Probabilmente è necessario dividere il processo di

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raggruppamento in diverse categorie, tra le quali alcune avvengono relativamente presto nel corso dell’elaborazione visiva, mentre altre in uno stadio successivo.

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3. ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA E PROCESSI ATTENTIVI

Il nostro sistema visivo incontra continuamente molteplici stimoli ambientali, ma questi stimoli non hanno tutti la stessa rilevanza per noi: alcuni sono utili a controllare il nostro comportamento ed altri possono essere irrilevanti. Poiché non abbiamo la capacità di elaborare tutti gli stimoli contemporaneamente, intervengono i processi attentivi che selezionano gli stimoli utili e scartano quelli inutili. Una delle ipotesi che tenta di spiegare questa selezione è quella che prevede che gli stimoli siano selezionati sulla base della loro posizione spaziale. Per capire questa ipotesi possiamo pensare all’attenzione come un fascio di luce diretto verso alcune porzioni del campo visivo, che elabora quindi gli stimoli all’interno della porzione di spazio su cui è concentrata e pone in secondo piano l’elaborazione di tutti gli altri stimoli. Gli studi che supportano questa concezione

dell’attenzione si basano su paradigmi in cui si fornisce ai soggetti un cue che predice la posizione in cui verrà successivamente presentato lo stimolo target. Questi studi dimostrano che gli stimoli target presentati nella posizione predetta dal cue vengono processati in maniera più efficiente rispetto agli altri (Posner, 1980). Quest’ultima ipotesi è in netto contrasto con quella dell’attenzione selettiva basata sullo stimolo, che prevede che gli stimoli non vengano selezionati solamente sulla base della loro posizione spaziale. Infatti secondo questa ipotesi, gli stimoli vengono selezionati come porzioni di spazio visivo compatte e organizzate corrispondenti a oggetti presenti

nell’ambiente. Riconosciuto uno stimolo atteso, vengono processate tutte le sue caratteristiche, mentre le proprietà di altri stimoli non attesi vengono meno elaborate o addirittura ignorate

(Duncan, 1984). Alcuni studi che supportano questa ipotesi hanno infatti dimostrato che gli stimoli vengono selezionati e quindi processati insieme per proprietà come similarità (se ad esempio due stimoli sono dello stesso colore) o connessione fisica (Baylis e Driver, 1992).

In un compito di ricerca visiva gli stimoli vengono selezionati e distinti dallo sfondo attraverso i processi attentivi. Quello che succede è che nel corso del processo di percezione il nostro sistema visivo è in grado di trovare nell’ambiente circostante ciò che stiamo cercando usando l’attenzione spaziale per analizzare le caratteristiche degli stimoli. Nei tipici paradigmi di ricerca visiva i soggetti devono cercare uno stimolo target tra tanti altri stimoli distraenti. Ad esempio, devono

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cercare una barra verticale nera tra tanti stimoli distraenti. Nella vita reale dobbiamo continuamente eseguire questo compito in moltissime situazioni, ad esempio quando cerchiamo uno specifico prodotto tra gli scaffali di un supermercato, oppure quando cerchiamo il volto di un amico tra tutte le persone presenti in un’aula universitaria. In primo luogo dobbiamo considerare che in questi casi i nostri stimoli target sono altamente salienti per noi, di conseguenza essi catturano

immediatamente e più efficientemente la nostra attenzione. Tuttavia quando gli stimoli target condividono alcune caratteristiche con gli stimoli distraenti, abbiamo bisogno di mettere in atto una ricerca visiva più accurata ed efficiente. Un altro dato che emerge è che più stimoli distraenti sono presenti, più aumenterà il nostro tempo di reazione. Il modello di Desimone e Duncan (1995) tenta di spiegare questi effetti e propone che si verifichi una competizione tra due diverse tipologie di informazioni: l’informazione bottom-up (o “stimulus driven”) che arriva dalle caratteristiche sensoriali dello stimolo presente nella scena visiva, e l’informazione top-down (o “goal driven”), che deriva dall’obiettivo comportamentale del soggetto. Nel corso della ricerca visiva, abbiamo bisogno di considerare e confrontare le due informazioni bottom-up e top-down. Normalmente lo stimolo target dovrebbe emergere e distinguersi dagli stimoli distraenti per la presenza di

caratteristiche fisiche particolari che orientano la nostra attenzione. Ad esempio, uno stimolo nuovo, oppure uno stimolo diverso tra tanti altri uguali tra loro catturano la nostra attenzione. Tuttavia a volte questo non si verifica, ad esempio quando non è presente un’unica proprietà dello stimolo capace di influenzare e di dirigere la nostra attenzione. A questo punto entrano in gioco i processi di controllo top-down dell’attenzione spaziale, che sono in grado di facilitare la ricerca visiva basandosi sulla descrizione dello stimolo target di cui abbiamo memoria, e quindi, nel caso di un paradigma, basandosi sulle istruzioni fornite dallo sperimentatore che hanno determinato l’obiettivo del soggetto. Facciamo un esempio: lo sperimentatore dice al soggetto di cercare una barra verticale nera. Questa descrizione viene analizzata dalla working memory, e rinforza i

processi bottom-up, ovvero fa in modo di orientare l’attenzione verso gli stimoli che corrispondono alle caratteristiche del target. Quando gli stimoli distraenti sono troppi o condividono alcune delle caratteristiche del target (ad esempio se sono stimoli neri come il target), allora intervengono i

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processi top-down che risolvono la competizione tra le caratteristiche bottom-up che corrispondono al target e orientano l’attenzione verso quelle corrette.

La segregazione oggettuale, o organizzazione percettiva, si riferisce ai processi visivi che

determinano quali caratteristiche visive possano comporre una singola forma e quali caratteristiche costituiscano invece altre forme diverse. Questi processi avvengono sulla base dei principi

gestaltici dell’organizzazione visiva (Wertheimer, 1958). La segregazione figura-sfondo è la capacità di distinguere le forme in primo piano, ovvero le “figure”, dai loro sfondi, e include i processi di segregazione oggettuale (Rubin, 1915).

L’attenzione basata sullo stimolo si riferisce ai processi visivi che selezionano e distinguono una determinata forma da tante altre forme diverse. La segregazione oggettuale e l’attenzione basata sullo stimolo sono probabilmente interconnesse, poiché prima che una forma possa essere selezionata le sue caratteristiche devono essere separate dalle caratteristiche delle altre forme. Dunque, l’attenzione basata sullo stimolo permette ad un osservatore di selezionare le proprietà di un oggetto per poi riuscire a distinguerlo e interpretarlo. Riusciamo più facilmente ad elaborare un singolo stimolo piuttosto che molti stimoli contemporaneamente, poiché la selezione è più

efficiente se l’attenzione è rivolta ad una singola porzione di spazio piuttosto che verso più parti.

Ogni possibile scena visiva contiene molteplici stimoli che competono gli uni con gli altri mentre vengono selezionati dall’attenzione, di conseguenza il nostro sistema visivo sarà capace di elaborare un determinato stimolo a discapito degli altri. La teoria della competizione tenta di spiegare come alcuni oggetti risultino figure più salienti e siano di conseguenza selezionati prima di altri. Come abbiamo già detto, nel corso dell’elaborazione percettiva intervengono due tipi di bias: quello bottom-up, che dipende dalle proprietà e dalla salienza degli stimoli nell’ambiente esterno, e quello top-down che dipende dal compito e dall’obiettivo del soggetto. Queste due diverse

informazioni agiscono simultaneamente e possono cooperare o competere l’una con l’altra. Entrambe contribuiscono a risolvere la competizione tra diversi oggetti o diverse porzioni del campo visivo e contribuiscono di conseguenza a influenzare la nostra percezione visiva.

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26 3.1 Processi bottom-up

Come abbiamo detto nel paragrafo precedente, i diversi stimoli nella scena visiva sono in costante competizione. Possiamo analizzare due diverse tipologie di competizione. La prima è quella messa in atto dai processi di segregazione, che fanno sì che i vari stimoli presenti nella scena visiva competano affinché emerga una o più figure e tutti gli altri elementi si uniscano a formare lo sfondo diventando virtualmente indistinguibili e di conseguenza poco percepibili. In secondo luogo, entrano in gioco i processi di attenzione basata sullo stimolo, che hanno l’obiettivo di selezionare una figura o un gruppo di figure a discapito delle altre. Queste due forme di competizione sono strettamente legate.

Per quando riguarda la segregazione oggettuale, possiamo dire che essa è influenzata da alcune particolari informazioni bottom-up. Esse sono costituite da indicazioni che suggeriscono se diversi elementi appartengono allo stesso stimolo o a stimoli diversi. Tutte le proprietà gestaltiche (ad esempio somiglianza, vicinanza, continuità di direzione, destino comune) sono informazioni bottom-up che influenzano la segregazione (Lowe, 1985). Quando una scena visiva può essere segregata, e di conseguenza interpretata, in diversi modi, le informazioni bottom-up guidano la percezione affinché essa sia in linea con i principi studiati dalla psicologia della Gestalt. I principi gestaltici sono di fatto delle regolarità nell’ambiente circostante, a cui il nostro cervello è

particolarmente sensibile – e probabilmente questa sensibilità è almeno in parte acquisita con l’esperienza (Mozer, 1992). Ad esempio, in una scena visiva è molto probabile che porzioni di spazio dello stesso colore si muoveranno insieme e faranno quindi parte dello stesso oggetto, perciò il nostro cervello impara a percepirle come un unico stimolo.

Oltre alla competizione dovuta alla segregazione oggettuale, avviene anche quella dovuta al processo di attenzione basata sullo stimolo. La selezione degli stimoli, messa in atto

dall’attenzione, è influenzata da informazioni bottom-up, ovvero che provengono dalle caratteristiche della scena visiva. Un esempio di questo processo è fornito dai paradigmi in cui viene chiesto ai soggetti di cercare una lettera target presentata in mezzo ad altre lettere che

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che quando lo stimolo target e gli stimoli distraenti sono costituiti dalla stessa lettera dell’alfabeto, i soggetti identificano più rapidamente il target, mentre quando essi sono diversi la risposta dei soggetti è rallentata. La selezione spaziale messa in atto in questo compito può essere influenzata da alcune proprietà degli stimoli che ci inducono a raggruppare insieme gli oggetti che vediamo. Ad esempio, è stato dimostrato che quando lo stimolo target e gli stimoli distraenti si muovono nella stessa direzione, essi vengono processati come un singolo gruppo. La stessa cosa accade quando essi sono dello stesso colore e quando seguono il principio gestaltico di connessione fisica (Baylis e Driver, 1992). Un altro aspetto interessante è che quando ai soggetti viene dato un cue, ovvero un suggerimento che indica la posizione spaziale in cui verrà presentato il target, le prestazioni sono più accurate e più rapide (Posner, 1980). Questo dimostra ulteriormente come l’informazione bottom-up possa influenzare l’attenzione.

I processi di segregazione oggettuale e di attenzione tuttavia non sono guidati solamente da processi bottom-up, ma vengono modulati anche dalle informazioni rilevanti per il nostro comportamento e per gli obiettivi che abbiamo in un determinato momento. Questa modulazione viene messa in atto per mezzo di processi top-down che vanno ad interferire nella competizione tra diversi gruppi percettivi.

3.2 Processi top-down

In molti casi nella scena visiva non c’è un solo stimolo che consideriamo saliente o che sia rilevante per il comportamento. Possono sempre esserci molteplici parti o stimoli che hanno lo stesso livello di salienza, o in altri casi potrebbe accadere che lo stimolo più saliente non

corrisponde a quello più rilevante per il comportamento. Dunque intervengono segnali top-down per scegliere dove dirigere la nostra attenzione, ad esempio su quale dei due stimoli che ci

appaiono ugualmente salienti, oppure per decidere se prestare attenzione allo stimolo più saliente o a quello più utile. Le principali tipologie di informazioni top-down che influenzano la segregazione

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oggettuale e l’attenzione sono tre: i processi di riconoscimento oggettuale, i processi di “perceptual set” e i processi endogeni di attenzione spaziale.

Le rappresentazioni oggettuali sono immagazzinate nella memoria visiva a lungo termine come oggetti familiari. Molti studi hanno dimostrato che gli oggetti familiari esercitano una forte influenza sulla segregazione oggettuale e sull’attenzione. Per prima cosa, le forme familiari risultano più salienti rispetto a quelle meno familiari. Ad esempio, nel processo di segregazione figura-sfondo, Peterson e colleghi (1994) hanno dimostrato che una forma familiare ha più probabilità di essere percepita come figura. Questa preferenza per forme familiari è molto più evidente quando gli stimoli sono rappresentati nella loro normale orientazione (piuttosto che capovolti).

Un altro meccanismo top-down è quello del perceptual set: si riferisce alle aspettative ed agli obiettivi dell’osservatore. Generalmente il perceptual set viene stabilito dalle istruzioni del compito fornite dallo sperimentatore. Se ad esempio in un compito di ricerca visiva i soggetti devono trovare un certo stimolo target, una sorta di modello del target viene attivato in memoria per facilitare e guidare il comportamento. Molti esperimenti dimostrano che le istruzioni fornite dallo sperimentatore possono influenzare il modo in cui uno stimolo viene elaborato, e questo suggerisce che l’informazione top-down possa influenzare quella bottom-up proveniente dagli stimoli nella segregazione oggettuale e nell’attenzione. Uno studio che supporta quanto detto è quello di

Peterson e Hochberg (1983). Ai soggetti viene presentato uno stimolo bistabile, ovvero uno stimolo che può avere due diverse interpretazioni percettive. Lo sperimentatore fornisce istruzioni che inducono i soggetti a percepire una parte di uno stimolo bistabile come frontale rispetto ad un’altra. I risultati hanno dimostrato che i soggetti interpretavano più facilmente lo stimolo nel modo che era stato suggerito dallo sperimentatore. Questo dimostra che le intenzioni, e quindi un’informazione top-down, riescano ad influenzare la percezione. Oltre alla segregazione oggettuale, il perceptual set influenza anche l’attenzione basata sugli stimoli, ne è una dimostrazione il paradigma di Neisser e Becklen (1975): esso prevede di mostrare ai soggetti due filmati, uno su un gioco manuale e l’altro su una partita di pallacanestro, quindi due filmati con lo stesso livello di salienza (per

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minimizzare l’influenza delle informazioni bottom-up). Ai soggetti viene chiesto o di guardare entrambi i filmati oppure di concentrarsi soltanto su uno dei due. Dai risultati emerge che i soggetti sono fortemente più abili a prestare attenzione selettivamente ad uno dei due filmati piuttosto che a entrambi.

Infine, occorre menzionare i processi di attenzione spaziale. Situazioni come quella del perceptual set utilizzano il controllo volontario dell’attenzione spaziale, dirigendola quindi verso determinati stimoli in linea con le istruzioni fornite dallo sperimentatore. Se ad esempio un soggetto viene indotto a percepire come figura la parte rossa del campo visivo, indirizzerà la propria attenzione verso questa parte e la percepirà di conseguenza più probabilmente come figura (Baylis e Driver, 1993). Altri studi hanno dimostrato che il punto di fissazione dello sguardo può influenzare l’interpretazione di una scena (Peterson e Gibson, 1994). Quindi l’attenzione spaziale è un altro processo top-down che entra in gioco nella percezione. Ad esempio, Driver e Baylis (1993) hanno dimostrato che l’attenzione spaziale può influenzare la segregazione figura-sfondo. Gli osservatori del loro paradigma devono tracciare il contorno di una delle porzioni di uno stimolo figura-sfondo. Prima dello stimolo, sullo schermo appare un cue spaziale, che può predire o meno la posizione in cui si trova il target. Dai risultati emerge che gli osservatori sono più veloci a rispondere quando il cue predice la posizione di presentazione del target. Questo suggerisce che il controllo volontario, e quindi endogeno, dell’attenzione spaziale influenza la segregazione oggettuale. L’attenzione spaziale influenza anche la selezione degli oggetti. Nel paradigma di Egly e colleghi (1994), appaiono due rettangoli. Uno dei due è contrassegnato da una barra. Dopo una pausa, appare uno stimolo target in una delle tre possibili posizioni: nella posizione prevista dalla barra, in una posizione diversa da quella prevista dalla barra ma nello stesso rettangolo, oppure nell’altro rettangolo. Dai risultati emerge che i soggetti sono più veloci ad elaborare gli stimoli che

compaiono nel rettangolo contrassegnato piuttosto che quelli che compaiono nell’altro rettangolo. Questa selezione supporta l’ipotesi dell’informazione top-down: quello che succede è che il rettangolo contrassegnato fornisce un indispensabile suggerimento sulla base di cui i soggetti posizionano la loro attenzione spaziale.

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Per riassumere, le informazioni bottom-up (“stimulus-driven”) e le informazioni top-down (“goal-driven”) possono influenzare la segregazione oggettuale e l’attenzione. L’organizzazione percettiva di una scena visiva e la direzione dell’attenzione spaziale dipendono entrambe dalla competizione e dalla cooperazione tra queste due tipologie di informazioni. Entrambe influenzano il nostro

comportamento in vari modi. Infatti, il nostro sistema visivo deve essere continuamente sensibile alle caratteristiche bottom-up, perché esse ci forniscono importanti informazioni sull’ambiente esterno. Tuttavia è necessario anche che l’elaborazione visiva sia anche guidata e modulata dagli obiettivi dell’osservatore, quindi dai processi top-down.

Consideriamo ora che uno stimolo che raffigura un oggetto familiare ha più probabilità di essere percepito come figura. Questo effetto di familiarità risulta ridotto quando lo stimolo viene presentato al contrario, suggerendo che la rappresentazione oggettuale influenzi la segregazione figura-sfondo. A questo punto entrano in gioco le intuizioni della Peterson e colleghi (1999), che ipotizzano che il riconoscimento degli oggetti avvenga prima della segregazione figura-sfondo. Dunque gli stimoli verrebbero prima identificati, e in un secondo momento questa identificazione influenzerebbe la segregazione figura-sfondo. Vecera e O’Reilly (2000) forniscono invece una interpretazione alternativa. Propongono un modello interattivo, che prevede che la segregazione figura-sfondo riceva un feedback top-down dalla rappresentazione oggettuale. Alla luce di queste ipotesi, Vecera e colleghi propongono un modello che tenta di spiegare gli effetti top-down nella segregazione figura-sfondo. Il modello prevede tre principi:

1) La segregazione figura-sfondo seleziona una interpretazione di una scena visiva in ogni istante. La posizione occupata dalla figura dovrebbe essere attivata, e questa attivazione si traduce nell’interpretazione della figura e dello sfondo;

2) Le figure tendono ad essere porzioni di spazio continuo e connesso. Le connessioni tra figure ci permettono di interpretarle come unità.

3) La segregazione, così come l’attenzione, ha una funzione selettiva che favorisce una parte (la figura) rispetto ad un’altra (lo sfondo). La competizione che avviene tra due possibili interpretazioni di uno stimolo ha la conseguenza di attivare la figura e lo sfondo. Questo si

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traduce nella funzione selettiva della segregazione. Questo principio dimostra la strettissima relazione tra segregazione oggettuale e attenzione: hanno entrambe una funzione selettiva.

Il modello di Vecera e colleghi prevede tre diversi livelli di elaborazione. Il primo livello analizza i contorni dell’immagine presentata. Il secondo livello rappresenta quale superficie debba essere considerata la “figura”. Infine avviene la rappresentazione oggettuale che porta al riconoscimento di forme familiari. Quindi l’unità figura-sfondo viene elaborata attraverso due tipi di informazioni: quelle bottom-up, provenienti dai contorni presenti nel campo visivo, e quelle top-down della rappresentazione interna dell’oggetto. Lo stimolo figura-sfondo fornisce informazioni bottom-up che devono essere segregate sulla basse di proprietà gestaltiche come la convessità e la simmetria: le due parti, figura e sfondo, competono tra loro per ottenere il ruolo di “figura”. Poiché le

informazioni bottom-up non sono sufficienti a risolvere questa competizione, si verifica la

competizione con le informazioni top-down, che provengono dalle rappresentazioni oggettuali. Ad esempio, una delle due parti, figura o sfondo, rappresenterà un oggetto familiare. Se la familiarità viene facilmente riconosciuta, ad esempio se lo stimolo familiare è rappresentato nella sua orientazione canonica e non al contrario, questa informazione top-down influenzerà la

segregazione: interpreteremo come figura lo stimolo familiare. Un ulteriore esperimento di Vecera e O’Reilly tenta di capire se addirittura le informazioni top-down possano sovrastare quelle bottom-up. In questo studio viene utilizzato uno stimolo in cui le informazioni bottom-up portano ad interpretare come figura la parte non familiare dello stimolo, mentre le informazioni top-down favoriscono l’interpretazione della parte familiare come figura. Dai risultati emerge che entrambe le tipologie di informazione influenzano la segregazione figura-sfondo. Precisamente, quando la parte non familiare è più piccola di quella familiare, vincono la competizione le informazioni bottom-up e quindi questa parte viene interpretata come figura, a discapito di quella familiare. Emerge inoltre una preferenza per gli stimoli familiari presentati nella loro orientazione canonica piuttosto che invertita: in questi due tipi di presentazioni si verificano effetti bottom-up diversi, dimostrando quindi la presenza di un’influenza top-down dalle rappresentazioni oggettuali.

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Per concludere, sappiamo che la scena visiva può essere interpretata in molteplici modi. Alcuni stimoli risultano più salienti di altri; allo stesso modo alcuni stimoli sono più rilevanti di altri per un certo scopo. La salienza dell’oggetto e la sua rilevanza per l’obiettivo esercitano una forte influenza sui processi di segregazione figura-sfondo e attenzione. Sappiamo che avviene una competizione tra le diverse parti di uno stimolo che determina quale delle due debba essere interpretata come figura, e che questo processo è influenzato da informazioni top-down (rappresentazioni oggettuali) e da informazioni bottom-up (proprietà gestaltiche come la dimensione). La percezione guida il nostro comportamento basandosi sia sui processi bottom-up, che derivano dalle caratteristiche fisiche dell’ambiente, sia sui processi top-down, come gli obiettivi dell’osservatore.

3.3 Interazione tra organizzazione percettiva e processi attentivi

L’organizzazione percettiva, ovvero il processo che struttura l’informazione visiva in unità coerenti, e l’attenzione visiva, ovvero il processo tramite cui alcune informazioni visive in una scena vengono selezionate a discapito di altre, sono due meccanismi fondamentali che ci permettono di percepire l’ambiente dal punto di vista visivo e anche di guidare il nostro comportamento visuo-motorio. Recenti ricerche hanno trovato importanti relazioni tra processi attentivi e di organizzazione percettiva. Alcuni studi hanno dimostrato che l’organizzazione percettiva guida l’attenzione selettiva, mentre altri studi suggeriscono che anche l’attenzione può a sua volta influenzare l’organizzazione percettiva.

Per fare chiarezza su questi punti, una ricerca di Kimchi e colleghi (2009) tenta di rispondere a due domande:

- L’organizzazione percettiva può avvenire senza utilizzare i processi attentivi? Alcune forme di segragazione e di raggruppamento possono avvenire senza l’attivazione

dell’attenzione, mentre altre forme richiedono il controllo dell’attenzione. Queste scoperte cambiano la visione tradizionale secondo cui l’organizzazione percettiva sarebbe

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- L’organizzazione percettiva può influenzare la distribuzione automatica dell’attenzione? Alcune caratteristiche degli stimoli nel campo visivo, ovvero le proprietà gestaltiche, quando vengono elaborate per formare unità percettive coerenti, quindi oggetti di senso compiuto, possono catturare l’attenzione automaticamente.

L’organizzazione percettiva si riferisce ai processi visivi che strutturano l’informazione visiva in unità coerenti, che normalmente sperimentiamo come stimoli ambientali. Gli psicologi della Gestalt, che furono i primi a studiare l’organizzazione percettiva, suggeriscono che essa è costituita da processi di segregazione e da processi di raggruppamento, e hanno identificato i fattori che determinano l’organizzazione percettiva, di cui abbiamo parlato nei paragrafi precedenti.

L’attenzione visiva si riferisce ai processi grazie ai quali vengono selezionate le informazioni visive all’interno del campo visivo, in particolare quelle più rilevanti ai fini del nostro comportamento. La distribuzione dell’attenzione può essere un’azione orientata ad un certo compito, quindi basata sugli scopi dell’osservatore. Ad esempio se conosciamo il punto del campo visivo in cui è più probabile trovare un certo stimolo target, possiamo usare questa informazione per spostare volontariamente la nostra attenzione dirigendola verso quel preciso punto. In questo caso si parla di controllo endogeno dell’attenzione. Tuttavia la distribuzione dell’attenzione può anche essere guidata dallo stimolo. In questo caso l’attenzione è involontariamente catturata da alcune particolari caratteristiche degli stimoli, considerate più salienti, e si parla quindi di attenzione esogena.

Molte ricerche suggeriscono una stretta relazione tra processi attentivi e organizzazione percettiva (Driver, 2001). Ad esempio, è stato dimostrato che l’organizzazione percettiva influenza e guida l’attenzione selettiva. In particolare, l’interferenza degli stimoli distraenti in compiti di attenzione selettiva è maggiore quando lo stimolo target e gli stimoli distraenti sono facilmente raggruppabili per caratteristiche gestaltiche come la similarità (Baylis e Driver, 1992).

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Altri studi suggeriscono che anche l’attenzione può influenzare a sua volta l’organizzazione percettiva, in particolare la segregazione figura-sfondo. Ad esempio, una ricerca di Vecera (2004) dimostra che quando l’attenzione spaziale è diretta verso una delle due parti di uno stimolo ambiguo, in cui non è chiaro quale sia la figura e quale lo sfondo, aumenta la probabilità di percepire come figura la parte verso cui si sta rivolgendo l’attenzione.

Dunque esistono molte evidenze che suggeriscono che organizzazione percettiva e attenzione visiva si influenzano reciprocamente.

Le teorie tradizionali della percezione ci dicono che sia il raggruppamento sia la segregazione figura-sfondo avvengono preattentivamente, in uno stadio precoce dell’elaborazione percettiva. Questa assunzione è supportata da considerazioni logiche: se l’attenzione serve per selezionare stimoli dall’ambiente, allora occorre che sia prima effettuata una organizzazione percettiva della scena visiva, ovvero è necessario che prima elaboriamo la percezione degli stimoli, in modo tale da poter poi selezionare gli stimoli in base alla loro rilevanza (Treisman, 1982).

Un filone di ricerca alternativo suggerisce invece che l’organizzazione percettiva non può avvenire senza l’impiego dei processi attentivi. Ad esempio Mack e Rock (1998) suggeriscono che le evidenze che supportano la teoria secondo cui l’organizzazione percettiva avverrebbe

preattentivamente sono in realtà ottenute in condizioni in cui l’informazione sullo stimolo target è in qualche modo conosciuta e quindi attesa dagli osservatori. La mancata inconsapevolezza degli osservatori renderebbe impossibile determinare una condizione preattentiva, in quanto gli osservatori sono consapevoli della potenziale rilevanza delle informazioni nella scena visiva, e quindi anche inconsapevolmente essi potrebbero parzialmente impiegare i loro processi attentivi nel compito.

Un paradigma di Mack e colleghi (1992) propone un metodo per capire se il processo di

raggruppamento può avvenire anche in una condizione di inattenzione. Il compito degli osservatori era quello di determinare se fosse più lunga la linea verticale o quella orizzontale di uno stimolo a forma di croce presentato per pochi ms. In alcuni trials la croce era circondata da elementi di ridotte

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dimensioni non raggruppabili, mentre nella condizione “inattentiva” questi elementi erano raggruppabili in righe o in colonne per proprietà gestaltiche (similarità, luminosità, prossimità). Dopo aver giudicato la lunghezza delle linee, ai partecipanti veniva chiesto come avessero percepito l’organizzazione dello sfondo. Dai risultati emerge che gli osservatori erano

inconsapevoli del possibile raggruppamento degli elementi sullo sfondo, ovvero non sapevano dire se essi potessero essere raggruppati per righe o per colonne. Se invece gli osservatori venivano istruiti a prestare attenzione allo sfondo, essi erano perfettamente in grado di descrivere il raggruppamento degli elementi intorno alla croce. Questo suggerisce che il processo di raggruppamento non può avvenire senza l’impiego dell’attenzione.

Tuttavia è anche vero che questi risultati potrebbero essere spiegati da una ridotta memoria esplicita, più che da un mancato processo di raggruppamento. Per fare chiarezza su questo punto, Moore e Egeth (1997) hanno tentato di esaminare l’influenza di uno stimolo inatteso sulla risposta degli osservatori ad un altro stimolo atteso. Gli stimoli presentati erano due linee orizzontali e i partecipanti dovevano giudicare quale delle due fosse più lunga. Sullo sfondo venivano presentati stimoli raggruppabili per luminosità, costruiti in modo da influenzare il giudizio sulla lunghezza della linea orizzontale (stimolo target). Dai risultati emerge che anche se gli osservatori non erano in grado di percepire l’organizzazione dello sfondo, il loro giudizio sulla lunghezza della linea orizzontale era influenzato dagli elementi raggruppati su di esso. Di conseguenza possiamo affermare che un processo di raggruppamento basato sulla similarità del livello di luminosità degli stimoli può avvenire anche in una condizione inattentiva, quindi senza la consapevolezza dei partecipanti.

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Per quanto riguarda il processo di segregazione figura-sfondo, le teorie tradizionali hanno sempre suggerito che esso avvenisse in uno stadio preattentivo. Tuttavia questo può essere messo in dubbio alla luce di altre ricerche che indicano che l’attenzione esogena possa influenzare l’assegnazione dello status di figura e di sfondo. Un paradigma di Peterson e Kimchi (2008) tenta di indagare questo aspetto. Agli osservatori vengono presentati come stimoli target delle matrici che appaiono su sfondi, teoricamente irrilevanti ai fini del compito, costituiti da regioni concave alternate a regioni convesse (figura 3.1).

La matrice target può essere presentata nelle parti convesse (percepite con più probabilità come figure) o in quelle concave (percepite come sfondi). Gli osservatori osservano la presentazione di due configurazioni consecutive, e il loro compito è giudicare se le due matrici target siano uguali o diverse. L’organizzazione figura-sfondo su cui vengono presentate le matrici può essere la stessa oppure cambiare, indipendentemente dal cambiamento della matrice target. Riassumendo, i partecipanti dovevano giudicare se le matrici target fossero uguali o diverse, in seguito veniva

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