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Gli interessi economici

Nel documento 1 Saggi e ricerche Storie (pagine 100-104)

Unificazione nazionale e culture locali

4. Gli interessi economici

La lira italiana inizia il suo corso come moneta corrente nel 1862 e va a sostituire le monete dei passati regimi, che avevano circolazione anche fuori dai confini degli stati regionali, comprese persino diverse monete dei regimi napoleonici di inizio secolo. Pure dove il merca-to nazionale incide minimamente sull’agricoltura di sussistenza, altri scambi economici e scambi di servizi creano collegamenti che non

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sciano inalterate le esistenze di gruppi familiari e comunità locali. Nei mercati locali, il sistema metrico decimale entra in vigore sempre dal 1862, venendo a sostituire coi propri standard internazionalmente ri-conosciuti – in metri, litri e chili – le numerose difformi misure in vi-gore nelle diverse località per liquidi, pesi, stoffe e filati, eccetera. La terra e diversi prodotti agricoli – salvo qualche eccezione – continuano tuttavia spesso a essere ancora misurati con le tradizionali misure lo-cali, per non introdurre contenziosi in campi dove le liti tra venditori e acquirenti erano abbastanza facili. I nuovi metodi di misurazione pro-vocano inizialmente qualche difficoltà, poi con l’abitudine una netta semplificazione nella circolazione delle merci.

Senza i limiti moralistici imposti dai vecchi regimi, presto i negozi e i locali pubblici di ritrovo come osterie e caffè si moltiplicano di nume-ro e talvolta la lonume-ro presenza si estende in piccoli e piccolissimi centri abitati dove prima era impensabile. Pure i loro orari di apertura diven-gono elastici, persino nei giorni festivi o durante gli orari di funzioni religiose nelle chiese, non venendo più considerata incompatibile la coincidenza tra tempo sacro e profano.

Le grandi esposizioni divengono un’iniziativa ricorrente per mette-re a confronto, far conoscemette-re e promuovemette-re la produzione industriale e artigianale delle diverse parti d’Italia. L’unificazione della Penisola all’insegna dell’ideologia liberale porta anche la prassi del libero mer-cato, che ha conseguenze contraddittorie e talvolta squilibranti sui mercati locali, favorendo le economie regionali più moderne, in parti-colare della ridotta area industrializzata subalpina (dove, per muove-re macchinari, è possibile sfruttamuove-re l’abbondanza e la forza in discesa delle acque montane) e in generale l’agricoltura della pianura irrigua a nord del Po. In un paese povero di minerali e altre materie prime che consentano di lanciarsi nella rivoluzione industriale, ed anche estmamente montuoso, comunque, le aree di arretratezza economica re-stano molto diffuse, e le oggettive difficoltà nelle comunicazioni spesso provocano notevoli disparità nella penetrazione del sistema nazionale di mercato. Uno degli iniziali effetti positivi della dottrina politico-eco-nomica liberista che pare ispirare la nuova classe dirigente è l’abolizio-ne – l’abolizio-nel 1862 – delle diverse tasse che l’abolizio-nei vecchi regimi si impol’abolizio-nevano su alcune attività produttive, e in particolare le tasse sulla macinatura di cereali o castagne, che costituiscono una vera e propria tassa sulla povertà, e a sud del Po erano applicate quasi ovunque. Questa novità positiva viene però cancellata dal 1869, con la reintroduzione o nuova adozione (in alcune regioni dove non era mai stata adottata) di una onerosa tassa sul macinato, che fornisce una quota molto importante

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del gettito fiscale nazionale e risulta ovunque del tutto impopolare, stimolando lente e varie forme di resistenza, talora sboccate in forme associative popolari. Il liberismo porta effetti squilibranti notevoli sul-le economie locali, dove in breve la grande proprietà agricola porta a decadere gli usi comunitari tradizionali e le innumerevoli forme di uso collettivo della terra o di prassi contrattuali paternalistiche che garan-tivano forme di protezione dei poveri nella società rurale e in quella urbana. L’accentuarsi di tali trasformazioni favorisce la rapida espan-sione di un proletariato slegato da forme di dipendenza dalla proprietà e cronicamente afflitto dalla disoccupazione, specialmente durante la cattiva stagione o in epoche di crisi dei mercati, con effetti economi-ci molto squilibranti, alla base di ricorrenti rabbiose proteste soeconomi-ciali, persistenti in particolare nelle campagne: caratteristica quest’ultima sempre meno riscontrabile nei moderni stati europei e invece molto accentuata in Italia.

Una spinta decisiva a modernizzare le relazioni nelle comunità lo-cali viene dai flussi migratori temporanei verso le città, o verso lavori industriali nelle fabbriche, o nei cantieri di opere pubbliche. Dall’ulti-mo quarto del XIX secolo, una parte crescente di questi flussi si dirige verso stati esteri, anche in ragione della maggiore richiesta di manodo-pera in miniere e industrie siderurgiche, oltre che in cantieri di nuove vie di comunicazione. I lavoratori che migrano temporaneamente – per una parte dell’anno o per pochi anni – per poi reinserirsi nella vita eco-nomia e civile dei paesi di provenienza, con un reddito supplementare o con risparmi accumulati, diventano presto un elemento presente in buona parte delle regioni italiane.

5. Le infrastrutture

Le costruzioni di moderne infrastrutture in quel periodo comincia-no a segnare il territorio, estendendo all’Italia – con qualche ritardo rispetto ad altri paesi europei – gli effetti della seconda rivoluzione industriale. L’ampliamento e l’ammodernamento dell’apparato milita-re, incrementa a sua volta la necessità di costruire fortificazioni, caser-me e collegacaser-menti, sui confini e sulle coste, anche in zone decentrate e impervie. Attorno ai grandi cantieri che cominciano a punteggiare l’Italia, gravitano speculazioni affaristiche e masse di manovalanza che per anni mettono sottosopra l’economia di ampi territori prima adibiti quasi esclusivamente a colture e pascolo. Finanziamenti statali e comunali alla costruzione della nuova rete di comunicazioni –

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senzialmente ferroviarie e stradali, insignificanti quelle fluviali; poi la rete postale e telegrafica, oltre all’incremento di veicoli col traino a cavalli – mobilitano forze disparate per ottenere il collegamento di località al sistema viario, per garantirsi appalti di opere pubbliche e assunzioni consistenti di manodopera. Le prospettive di sviluppo che paiono aprirsi alle diverse località sono spesso enfatizzate, così come appaiono spropositate le promesse sugli effetti benefici che i cantieri potrebbero avere sull’occupazione, sul commercio, sulla mobilitazione di capitali locali, e sulla valorizzazione delle risorse e ricchezze poten-ziali di ogni zona. Attorno a queste prospettive, spesso favoleggiate, e attorno a cui si discute a lungo, anche paesi rurali e ambienti popolari si mobilitano, sostengono o boicottano elezioni di determinati consi-glieri comunali, sindaci e deputati, firmano petizioni al parlamento o ai consigli provinciali, sollecitano delegazioni ai ministeri. Ogni più piccolo municipio cerca di attrarre qualche investimento della spesa pubblica o privata verso di sé, magari anche solo per l’attivazione di qualche servizio moderno come il telegrafo, o la costruzione di un edi-ficio pubblico: almeno un ufedi-ficio postale o una qualsiasi caserma, se proprio non è possibile una stazione ferroviaria. La costruzione della nazione passa in modo non irrilevante attraverso questa miriade di progetti di sviluppo paesani, talvolta velleitari. La necessità di inter-mediari favorisce la mobilità sociale di molti parvenu, portavoce locali verso le istituzioni, persino quando si tratta di opere strettamente locali – come possono essere fontane, lavatoi, fognature – costruendo su tali iniziative un’ascesa politica personale o di gruppi politici più o meno formalizzati. E questo avviene con intensificata frequenza, dal 1889, quando le cariche municipali divengono elettive, facendo interveni-re nelle contese anche gruppi sociali esclusi dal diritto di voto, donne comprese.

Massicci interventi dello stato e delle reti di notabili accentuano squilibri tra sviluppo e arretratezza, sia sul piano economico che su quello civile. Le regioni in cui la politicizzazione élitaria e popolare è più radicata e organica riescono ad attrarre maggiormente gli investi-menti economici modernizzanti dello stato liberale. Ma pure in aree meno toccate dai flussi di investimenti pubblici, lo sviluppo economico e la politicizzazione delle relazioni sociali modificano sostanzialmente le culture locali. E intanto, al pari dei binari per il treno, la posa dei pali del telegrafo viene a solcare diffusamente il paesaggio rurale, metten-do la popolazione a confronto obbligato con tecnologie che inducono a modificare le rappresentazioni del mondo, mentre le popolazioni im-parano a ridurre l’isolamento della propria esistenza.

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