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Interludio: il pensiero di Arthur Schopenhauer nell’opera di Luigi Pirandello e di Italo Svevo

IL CROLLO DI CASA BUDDENBROOK

III.3 Interludio: il pensiero di Arthur Schopenhauer nell’opera di Luigi Pirandello e di Italo Svevo

È interessante notare come un’eco del pensiero schopenaueriano possa esser colto anche nell’opera di due autori italiani quasi coetanei di Thomas Mann: Luigi Pirandello e Italo Svevo. Il rilievo è importante perché mostra quanto la filosofia del pensatore tedesco fosse diffusa in Europa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. La consapevolezza dell’esistenza di un fondo irrazionale e caotico dell’esistenza è infatti una delle caratteristiche dell’opera, letteraria e teatrale, dei Luigi Pirandello. Il relativismo pirandelliano può infatti essere considerato una manifestazione, sotto il profilo letterario, del concetto di illusorietà, mutevolezza e soggettività del mondo fenomenico. Come ha osservato Adriano Tilgher,

Pirandello è relativista, nega che esista una realtà e verità fuori di noi, sostiene che per ognuno essere e apparire sono la stessa cosa, che non v’è scienza ma solo opinione (Così è, se vi pare) e che tutte le opinioni si equivalgono (Ciascuno a suo

modo), appunto perché per lui tutte le nostre affermazioni e teorie e leggi e norme non

sono che Forme effimere in cui per qualche istante si cala la Vita, in sé destituite di intima verità e consistenza.32

Che altro è questa realtà fatta di forme e opinioni sempre provvisorie, sempre instabili se non il mondo della “rappresentazione” schopenhaueriana, il mondo dei fenomeni e dell’irrealtà? Inoltre,

non ci può essere spazio per la religione in un’intuizione della vita che riduce la conoscenza a illusione priva di qualunque validità oggettiva, che nega ogni distinzione fra l’essere e il parere, che abolisce ogni differenza di valore fra le contrastanti opinioni,

32 ADRIANO TILGHER, Il mondo poetico di Pirandello, in Pirandello o il dramma di vedersi vivere, a cura di Pierfrancesco Giannangeli, Chieti, Edizioni Solfanelli, 2013 (Roma 1922), p. 34.

che preclude all’individuo la possibilità di uscire da sé e di attingere le cose e gli altri individui nella realtà loro, che riduce bene e male, valore e disvalore a illusioni incoscienti, portate per un attimo come fuochi fatui dal vento dei nostri interessi e delle nostre passioni, e che passano e si spengono appena interessi e passioni prendano a soffiare in altra direzione; in un’intuizione della vita, insomma, che al fondo di tutto e matrice di tutto pone uno slancio vitale privo di razionalità e finalità, senza lume d’intelligenza, che ciecamente procede, tutto travolgendo nella sua rapina.33

Tilgher giunge così a una conclusione:

Al di là della superficiale distinzione delle cose, degli individui, degli stati d’animo, l’orecchio di Pirandello avverte il ruggire di un identico fuoco sotterraneo di cui cose individui stati d’animo non sono che effimere, transeunti scintille, determinazioni, quindi, limitazioni, cioè, in fondo, negazioni, e che tutte le avvolge, contiene e supera nella infinità ed indeterminazione sua: fuoco che arde e non mai si consuma, cieco e irrazionale slancio vitale che non ha meta né scopo, che procede innanzi a sé con la sicurezza e la incoscienza di un sonnambulo, trascendendo ogni umana ragione, e che perciò a questa appare un vivente imperscrutabile mistero, un caos isterico e ubriaco, come direbbe Andreieff, eternamente mobile ed irrequieto quanto la Volontà di Schopenhauer, ma più di questa condannato all’insoddisfazione eterna essendogli negato il naufragio sereno nel quieto porto dell’ascesi in cui la volontà di Schopenhauer finalmente si placa.34

E che cosa dire di Italo Svevo, questo scrittore che, esattamente come Pirandello, a lungo si nutrì di cultura tedesca? Giuseppe Antonio Camerino suggerisce la possibilità di considerare l’inettitudine tematizzata dallo scrittore triestino un tentativo di raggiungere quella noluntas che, secondo Schopenhauer, può davvero liberare l’individuo dalle catene della “volontà”.

33 Ivi, p. 35. 34 Ivi, pp. 36-37.

Schopenhauer si presenta a Svevo […] non solo come teorico dell’ascesi e del rifiuto dell’azione, che comporta sofferenza e sottomissione al più forte, ma anche come teorico della contemplazione.35

Il riferimento alla via ascetica intesa come liberazione dal pungolo costante della “volontà” rappresenta uno dei passaggi più importanti del Mondo come volontà e

rappresentazione. Se infatti l’arte è in grado di liberare solo momentaneamente l’uomo dalla

sofferenza, se la compassione può aiutare a comprendere il tormento che assilla l’esistenza di ogni creatura sulla terra, soltanto l’ascesi può definitivamente liberare l’uomo dal dolore. Attraverso il percorso ascetico l’uomo cessa di volere e distrugge la volontà, mettendosi in cammino lungo una strada fatta di rinuncia ai piaceri, umiltà, castità e povertà. Camerino prosegue evidenziando che

ovviamente nel grande pensatore irrazionalista, Svevo trova il conforto filosofico al rifiuto della lotta per la vita, concepita naturalmente come organizzazione e competizione sociale […]. Come dimostro più avanti, la contemplazione non è un aspetto diverso ma, nell’accezione sveviana, un aspetto determinato dell’ascesi e del rifiuto dell’azione. L’individuo contemplativo manca della forza e della spregiudicatezza dell’individuo lottatore, cioè dell’individuo attivo: e non solo per aspirare all’affermazione economica e alla conseguente integrazione, ma anche più semplicemente per tollerare senza avvilimenti la vita dei borghesi.36

Insomma l’inettitudine dei personaggi sveviani si configurerebbe, secondo questa prospettiva, come una via di liberazione dalla volontà di vivere e sarebbe dunque accomunata all’ascesi di cui tratta Schopenhauer nel Mondo come volontà e

35 GIUSEPPE ANTONIO CAMERINO, Il concetto di inettitudine e le sue implicazioni mitteleuropee ed ebraiche, in Italo Svevo e la crisi della Mitteleuropa, a cura di Giuseppe Antonio Camerino, Napoli, Liguori, 2002, p. 47.

rappresentazione.

Il punto di rottura col mondo affaristico e coll’attivismo della società borghese si realizza infatti attraverso un rigoroso processo di distacco e di «assenza dalla vita», per usare la pregnante espressione di Svevo: isolamento che trova tra l’altro le sue esplicite radici culturali nella filosofica ascesi di Schopenhauer. Il concetto d’inettitudine solo in esso s’identifica con un più generico stato d’inazione. L’ascesi e l’inazione sono le ultime risorse per evitare la disperazione che nell’individuo segue all’insuccesso, per evitare l’angoscia e, in ultima analisi, la scelta.37